2. Se stessi
1. I desideri
ALLA BASE DELLA MOTIVAZIONE PERSONALE
Segui il percorso positivo:
agisci in funzione dei desideri.
Abbandona il percorso negativo:
evita di farti guidare dai bisogni, trasformali in desideri.
È il primo giorno di lavoro per due tecnici esperti. Hanno più o meno la stessa età ed hanno
maturato un'esperienza precedente simile in aziende diverse. Non si conoscevano; si sono
vicendevolmente presentati nello stanzino dove stavano attendendo il responsabile del personale,
che darà loro il benvenuto in azienda. Così, per rompere gli imbarazzi e far passare un po' il
tempo, si sono stanno scambiando qualche informazione che possa permettere una conoscenza
più approfondita... chissà, forse si troveranno anche a lavorare insieme...
Il primo dice: “Sono molto contento di essere qui. Devo ammettere che ero piuttosto stufo del
lavoro che facevo nella mia azienda precedente. Non vedevo l'ora di venire via, avevo veramente
il bisogno di cambiare.”
Il secondo dice: “Sono molto contento di essere qui. Devo confessare che anch'io ero piuttosto
stufo di ciò che facevo nell'azienda precedente. Non vedevo l'ora di occuparmi di ciò che mi
hanno proposto qui. Era da un po' di tempo che stavo puntando ad un'occasione di questo
genere”.
Stessi lavori, stessa età, stessa situazione... ma motivazioni diverse.
Entrambi i tecnici hanno lasciato un'azienda per accettare il lavoro presso un'altra azienda.
Motivano questa scelta usando quasi le stesse parole. Però qualche piccola sfumatura ci rivela la
diversità del loro approccio. Il primo afferma “Non vedevo l'ora di andare via”, mentre il secondo
asserisce “ Non vedevo l'ora di occuparmi di queste cose”.
Entrambi sono stati “motivati” da qualche ragione per fare la stessa azione: cambiare lavoro.
Ma le due motivazioni hanno una natura diversa.
La motivazione del primo è mossa dai bisogni. La motivazione del secondo è mossa dai
desideri. Il primo segue un meccanismo che lo porta ad agire allontanandosi da qualcosa che per
lui costituisce un'esperienza negativa. Agisce per evitare un disagio, un dolore, una sofferenza. Il
secondo invece agisce per perseguire una meta. Non “si allontana” da qualcosa, ma “va verso”
qualcosa.
Il primo è “spinto” da un bisogno, il secondo è “attirato” da un desiderio.
Se voi foste il loro nuovo datore di lavoro, quale dei due tecnici preferireste? Secondo voi,
quale dei due tecnici ha più probabilità di fare un lavoro eccellente? Quale sarà probabilmente più
motivato e contento? Quale farà più carriera? Quale guadagnerà di più e farà guadagnare di più
voi?
Certo, è difficile dirlo se non si hanno tutti gli elementi in mano. Ma proviamo a fare un
ragionamento come se tutte le altre caratteristiche dei due personaggi fossero identiche. Ma da
questa semplice distinzione fra “bisogno” e “desiderio” è già possibile dire chi parte
avvantaggiato.
Quando parliamo di desiderio facciamo una operazione mentale chiamata “anticipazione”. È
come se prevedessimo ciò che vogliamo ottenere, anche se a volte facciamo fatica a renderci
conto in modo completo di ciò che vogliamo. L'anticipazione è un'idea, una tensione emotiva
mista a una scelta razionale. L'anticipazione pone un traguardo positivo che si vuole raggiungere.
È il meccanismo che fa scattare la voglia di realizzare, di “determinare” se stessi: di mettere a
frutto nella realtà concreta le proprie capacità personali.
Il bisogno invece è il tipo di motivazione che deriva dalla volontà di ridurre uno stato di
necessità. Solitamente il concetto di bisogno si riferisce a stati di tipo fisiologico: si dice che i
bisogni primari siano la fame, la sete, il sesso, il sonno. Questo perché i bisogni sono legati al
mantenimento di un benessere: in primo luogo di tipo fisiologico, in secondo luogo di tipo
sociale.
Il primo tecnico aveva bisogno di andare via da quell'azienda, e i motivi possono essere vari:
forse era troppo lontano da casa (bisogno di tipo fisiologico); magari non andava d'accordo con il
capo (bisogno di tipo sociale). Qualunque siano stati questi bisogni, in quanto tali hanno una serie
di caratteristiche che sono state date loro da madre natura.
Innanzi tutto sono “intensi”: si fanno sentire con una certa forza. Ecco perché molto spesso il
nostro comportamento è condizionato da essi. Quando ci sono, fanno di tutto per farsi sentire.
Poi sono “urgenti”: non ci lasciano in pace finche non sono stati soddisfatti. Infine sono
“irrefrenabili”: si possono contenere, ma quando trovano qualche valvola di sfogo sono
piuttosto difficili da controllare. Per questo motivo spesso agiamo in preda all'impulso, facciamo
scelte di cui poi magari ci pentiamo. Succede quando la nostra priorità non è il raggiungimento di
una meta, ma il soddisfacimento di un bisogno. Quando poi il bisogno è stato soddisfatto, forse ci
rendiamo conto che abbiamo fatto qualcosa di cui non siamo convinti.
Riprendiamo l'esempio del tecnico: forse ha cambiato azienda per avvicinarsi a casa, forse
perché non sopportava più il suo capo o forse per entrambe le cose. Ma una volta avvicinatosi a
casa e cambiato capo, sarà convinto degli altri elementi del nuovo lavoro che durante la sua scelta
ha messo in secondo piano? Magari gli è andata bene (ma non si può contare sempre sulla
fortuna), magari è caduto dalla padella alla brace, trovando altri elementi di insoddisfazione.
Lo specialista che, nell'esempio, ha agito in funzione di un desiderio, è andato verso qualcosa
e non via da qualcos'altro, e ha più probabilità di essere soddisfatto dal nuovo lavoro. A meno che
non sia stato imbrogliato e che il lavoro non consista veramente in ciò che gli era stato promesso,
lui sa che troverà già un buon motivo di soddisfazione in ciò che lo aspetta. In seguito potrà
trovare delle difficoltà, ma sarà nelle condizioni migliori per poterle valutare con oggettività,
senza cadere nella demotivazione.
Perciò parlare di “bisogno” ci fa percorrere il percorso negativo, mentre parlare di “desiderio”
ci mette su quello positivo.
Ridurre uno stato di necessità per arrivare ad uno stato di soddisfazione significa passare, se
vogliamo fare un paragone “matematico”, da -1 a zero. se invece tendiamo ad una meta passiamo
da zero a +1. C'è una bella differenza, no?
Ma non è tutto. Se riduciamo un bisogno, non è detto che automaticamente si presentino dei
desideri da raggiungere. Piuttosto è più probabile il contrario: una volta ridotto quel bisogno se ne
presenteranno altri a cui non avevamo pensato prima. Insomma, in questo caso ci troveremo nel
percorso negativo, dove un elemento negativo fa aumentare la probabilità che se ne presentino
altri.
Avendo scelto il nuovo lavoro per allontanarsi dal vecchio capo, il tecnico sarà molto attento
nel valutare quello nuovo. Ma sarà facile che vi trovi una persona senza difetti? Molto
probabilmente i difetti di quello nuovo a poco a poco si faranno agli occhi di quel tecnico sempre
più pesanti fino, nuovamente, all'insopportabilità.
Se invece raggiungiamo una meta motivata dal desiderio, saremo più che incentivati nel
volerne raggiungere un'altra che intanto avremo identificato. Sempre rimanendo nel nostro
esempio, se il tecnico ha accettato il nuovo lavoro perché avrà l'opportunità di lavorare sulle reti
di personal computer, una volta raggiunto questo traguardo se ne porrà un altro: per esempio
gestire un piccolo gruppo di tecnici. Insomma, in questo caso, quando ad un traguardo se ne
aggiungono altri, ci si trova in pieno percorso positivo.
Adesso è chiaro. Alla base dei nostri comportamenti ci sono bisogni e desideri. Ma allora cos'è
la motivazione? Quando solitamente si parla di motivazione si mischiano insieme i due concetti
di bisogno e di desiderio, si fa un po' di confusione. La motivazione si riferisce ad entrambi, ed è
la spiegazione che si dà ad una certa azione, sia che risponda ad un bisogno, sia che risponda ad
un desiderio. Nel primo caso la motivazione è la “causa” che ha spinto ad una certa azione, nel
secondo è la “ragione” per cui una certa cosa è stata fatta.
Ah, mentre noi stavamo ragionando sulle motivazioni e i due tecnici continuavano a
“parlottare” fra di loro, è arrivato il responsabile del personale ad accogliere i nuovi assunti. Ha
bussato ed è entrato nel salottino, salutando e scusandosi per il leggero ritardo. Uno dei due ha
rivolto un cenno di saluto, poi ha abbassato lo sguardo e, facendo pressione con entrambe le mani
sulle ginocchia, un po' stancamente ha cominciato ad alzarsi. L'altro intanto era già in piedi e
stava stringendo la mano al responsabile del personale, con un sorriso cordiale. Secondo voi
quale dei due è motivato dal bisogno e quale dal desiderio?
Proviamo d'ora in poi a fare attenzione alle parole che usiamo quando motiviamo ciò che
abbiamo fatto o vorremmo fare: ci muoviamo in funzione dei desideri o in funzione dei bisogni?
Il quesito è importante, soprattutto per una ragione. Sia i bisogni che i desideri muovono le
azioni.
Sono importanti entrambi. Ma mentre i bisogni possono anche portare a conseguire i risultati, essi
da soli non bastano per mantenerli. Per mantenere i risultati e renderli sempre migliori ci vuole
lo stimolo dei desideri.
Motivazione di base: indicatori di percorso
Percorso positivo :
1. tensione verso i desideri
1.
2. “motivazione” = “ragione per cui... ”
1.
3. azione = “andare verso” qualcosa Percorso negativo:
2.
1. riduzione di bisogni
2.
2. “motivazione” = “causa per cui... ”
3.
3. azione = “andare via da” qualcosa
4.
IDEE IN AZIONE N°11: il sogno
•
Prendi alcune riviste ricche di fotografie e immagini, e sfogliale.
•
Tra le tante immagini, scegli quella che maggiormente simbolizza i tuoi desideri.
•
Qualsiasi immagine va bene: i grattacieli di New York, un'isola delle Maldive, un atleta sul
podio… L'importante è che ti colpisca più delle altre, che abbia per te un grande significato emotivo.
•
Incolla l'immagine che hai scelto in una pagina del C-Book a lei dedicata.
2. Le aspirazioni
LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL LUNGO TERMINE
Segui il percorso positivo:
identifica un'idea verso cui tendere, un orientamento
che ti attira e seguine gli indicatori.
Abbandona il percorso negativo:
evita di lasciare vaghi i bisogni che hanno finora guidato
le tue azioni, identificando gli indicatori negativi.
Alice è nel paese delle meraviglie. Ad un certo punto arriva ad un bivio. Non sa che strada
prendere. Allora nota uno strano animale appollaiato tranquillamente su un albero, proprio in
mezzo al bivio. “Scusa”- domanda Alice - “mi sapresti indicare la strada giusta?” “Dove devi
andare?” domanda a sua volta l'animale. “Non lo so”, risponde Alice. “Allora non posso indicarti
la strada, se non sai dove devi andare”.
Se questa breve storiella può sembrare banale, provate a pensare a quante persone ci danno
consigli senza neanche sapere quali sono i nostri obiettivi. Ma noi stessi ce li siamo mai chiariti,
i nostri obiettivi? Eppure prendiamo un sacco di decisioni ogni giorno. Ogni giorno come Alice
scegliamo di prendere una strada anziché un'altra. Eppure è probabile che spesso non sappiamo
bene dove ci stiamo dirigendo.
Ma prima o poi arriva la domanda che solitamente cerchiamo di evitare come la peste. Stiamo
parlando della classica domanda spesso ripetuta: “Che cosa vuoi fare da grande?” Diciamolo
francamente: questo interrogatorio ci dà fastidio. Infatti se avessimo presente con chiarezza dove
vogliamo arrivare saremmo già, come dice un vecchio detto, a metà dell'opera. Quasi sempre
invece abbiamo delle idee vaghe, ma nessun punto di arrivo chiaro in testa. Così la maggior parte
delle volte evitiamo di rispondere alla domanda. Anzi, evitiamo anche di pensarci, rimandando il
problema. Non a caso uno dei momenti più difficili nel rapporto con noi stessi è quello in cui ci
mettiamo davanti allo specchio e ci chiediamo: “Che cosa voglio da me stesso, dagli altri e dalla
vita in generale?” La risposta non è per niente facile.
Però prima o poi questo argomento si deve affrontare, perché più il tempo passa meno
riusciremo ad agire con efficacia. Quanto prima comprendiamo ciò che vogliamo veramente,
tanto prima possiamo fare qualcosa di valido per ottenerlo. Più aspettiamo, più rischiamo di
compromettere l'operazione, perché perdiamo tempo prezioso illudendoci che possano arrivare il
tempo, gli eventi o qualcun altro a chiarirci le idee. Così probabilmente ci troveremo alle soglie
della pensione senza avere ancora risolto questo dilemma.
Ma perché ci comportiamo cosi?
Uno dei motivi per cui si cerca di rimandare la scelta è la paura di sbagliare nel farla. Si crede
che se per caso si sbaglia una scelta di questo genere, ci si comprometta per sempre. Questo
ragionamento è troppo drastico: nessuna scelta a lungo termine è definitiva. I tempi cambiano, e
con essi cambiano anche gli obiettivi e le opportunità.
È assurdo pensare che ad un certo punto una persona debba chiarirsi definitivamente gli
obiettivi della propria vita e mantenerli fissi. Non è possibile e neanche conveniente.
Ma allora è meglio non porseli? Neanche questo è corretto. Se non ci poniamo degli obiettivi
rischiamo di vivere alla giornata, di vagare senza una meta.
Così un punto di riferimento lo dobbiamo avere: un punto di riferimento in funzione del
quale possa valere la pena di fare una scelta anziché un'altra; un punto di riferimento che ci può
guidare quando dobbiamo prendere una decisione. Qualcosa che non sia ancora un traguardo ben
identificato, ma che si possa mettere a fuoco a poco a poco, per approssimazioni successive.
È un processo che ricorda quando si cammina nella nebbia senza sapere bene dove ci si sta
dirigendo. Però comunque si procede: l'importante è avere dei punti di riferimento. Ad esempio,
possiamo scorgere tre luci, diverse una dall'altra: una piccola bianca, una orizzontale azzurra, una
verticale gialla. Tra queste magari scegliamo la gialla, perché ci sembra quella di un bar, e ci
dirigiamo verso di lei. Non abbiamo ancora capito bene che cosa ci sia là, ma camminiamo verso
quella luce. Evitiamo le altre due, perché una sembra quella di un'abitazione e l'altra quella di un
segnale stradale. Non ci interessano, perché abbiamo deciso di cercare un posto dove possiamo
ristorarci e telefonare. Avvicinandoci alla luce scelta ci rendiamo conto che non è un bar ma un
negozio, che a quell'ora è chiuso.
Però ci siamo avvicinati ad una zona commerciale e notiamo che ci sono altre luci lì vicino. Sono
insegne luminose, ed una è quella di una pizzeria. Bene! Possiamo entrare, mangiare qualcosa e
fare la nostra telefonata.
All'inizio non avevamo ben chiaro dove volevamo arrivare e abbiamo preso un punto di
riferimento: la luce gialla. Una volta sul posto, abbiamo potuto fare meglio le nostre scelte e
puntato sulla pizzeria. Non sapevamo neanche che ci fosse una pizzeria: pensavamo di trovare un
bar. Però, una volta lì, abbiamo ridefinito le nostre esigenze in funzione della situazione trovata.
Tutto ciò è stato possibile perché ad un punto di riferimento abbiamo associato l'idea di un
obiettivo di massima: luce gialla = locale. Poco importa se non abbiamo trovato un bar: intanto ci
siamo messi nella giusta direzione evitando un'abitazione e un segnale stradale, che non ci
interessavano. Poi siamo riusciti a raggiungere lo stesso il nostro obiettivo di ristorarci e
telefonare. E ci è andata anche meglio del previsto, visto che una pizzeria è più confortevole di un
bar.
Così è anche per gli obiettivi più importanti. È inutile cercare di definirli in modo preciso: non
possiamo avere adesso la piena visibilità di ciò che accadrà in futuro. È piuttosto opportuno
identificare un obiettivo di massima e puntare verso quello. Quando ci saremo avvicinati ci sarà
più facile chiarirci le idee e trovare il vero obiettivo su cui dirigerci con sicurezza. Come nel caso
della pizzeria.
Così è importante fare una doppia operazione: identificare un'idea verso cui tendere
(nell'esempio, il locale pubblico dove ristorarsi e telefonare) e scegliere un punto di riferimento
che pensiamo possa portarci a quell'idea (la luce gialla). Avremo così la sicurezza per lo meno di
avvicinarci alla meta che abbiamo scelto. Anche se magari prima ci aspettiamo un bar, mentre poi
troviamo una pizzeria.
Ci bastano un'idea e un punto di riferimento. Semplice, no?
Adesso vediamo come è possibile applicare questo concetto alla nostra vita.
L'“idea” identifica la proprie aspirazioni, le proprie predisposizioni. Per avere un'idea è
necessario capire verso cosa si è portati, qual è la propria predisposizione. Il “punto di
riferimento” è l'obiettivo tangibile che in quel momento sembra più vicino all'idea che
dobbiamo raggiungere. Ma sia ben chiaro: possiamo anche cambiare tanto l'idea quanto il punto
di riferimento, a seconda di come la situazione cambia intorno a noi, anche se si tratterà di
progressivi aggiustamenti più che di mutamenti radicali.
Così la domanda da “un milione di dollari” va così riformulata: “Qual è l'idea che hai per il
tuo futuro e su cosa stai per ora puntando per poterla realizzare?” È una formulazione molto più
concreta del solito “Cosa vuoi fare da grande?”
Ma focalizzare l'idea per il proprio futuro non è una cosa facile. Abbiamo focalizzato meglio il
problema e lo abbiamo semplificato, ma il problema sempre rimane!
Come possiamo sapere ciò che vogliamo? Può darci aiuto chi ha studiato la motivazione
umana con particolare riferimento alle predisposizioni delle persone: ciò che qui abbiamo
chiamato l'“idea”. È stato scoperto che queste predisposizioni sono formate da tre elementi
fondamentali. Ognuno di noi li possiede tutti, in maniera maggiore o minore. Può succedere che
un elemento prevalga sugli altri, in questo caso si dice che la persona è “predisposta” verso quel
fattore particolare. Per identificare la nostra “idea”, la meta verso la quale puntare nel lungo
termine, è necessario capire come questi elementi fra loro si bilanciano, e se in noi c'è uno di essi
che prevale. Se c'è, quella è la nostra “idea”: poi dobbiamo trovare un punto di riferimento per
cominciare a dirigerci verso di essa.
Prima di svelare quali sono questi tre elementi, facciamo un piccolo esperimento che può
aiutarci a capire se in noi ce n'è uno che prevale. Cerchiamo di identificare questa idea, e quali
caratteristiche abbia.
Concentratevi su questa immagine:
c'è una persona in mezzo ad altre persone. Questa persona sta parlando e le altre l'ascoltano.
Sono tutti in piedi.
Adesso provate a leggere le tre ipotesi che seguono e scegliete quella che vi piace di più. Se
voi foste quella persona, quale sarebbe fra le tre ipotesi la spiegazione migliore della situazione
raffigurata? Pensateci bene e fate la vostra scelta.
Ipotesi numero uno.
È il membro di un team, molto amato e considerato dai suoi compagni. Il team sta
elaborando una strategia e per fare questo richiede che ogni membro possa esporre il proprio
punto di vista.
È il suo turno nell'esposizione, e tutti lo stanno ad ascoltare con interesse. Lui si sta
impegnando al massimo perché già altre volte, grazie al suo spirito di squadra, tutti hanno avuto
un certo beneficio. Anche questa volta non vuole deludere i suoi compagni: la loro
considerazione e il loro affetto è ciò a cui più tiene.
Ipotesi numero due.
È il massimo esperto nella sua materia. Si è preparato a lungo e ha investito parecchie
energie in ciò che considera un po' lo scopo della sua vita.
I risultati lo hanno ripagato, perché ora quando lo chiamano per un problema da risolvere
tutti lo ascoltano con grande attenzione: sanno di avere di fronte il migliore in assoluto per
quanto riguarda quegli argomenti.
Lui parla con entusiasmo, con convinzione, e trasmette anche a chi lo ascolta un'immagine di
alta preparazione e professionalità. I presenti lo apprezzano e lo ammirano per la sua
preparazione, ma lo invidiano anche un po' per i suoi risultati.
Ipotesi numero tre.
È il capo di un gruppo. Il suo compito è quello di coordinare gli altri, che lo ascoltano con
attenzione perché dovranno fare ciò che lui dirà loro.
È lui che decide, in base a ciò che ritiene più giusto debba essere fatto, cercando di utilizzare
al meglio le potenzialità di ognuno, perché il risultato finale è in gran parte frutto della sua
bravura nel gestire i suoi collaboratori.
A volte qualcuno può non essere d'accordo con lui ma non importa: quando ha preso una
decisione significa che ci ha pensato bene e che ritiene sia quella giusta, per cui non cambia
idea. Per questo le persone solitamente lo seguono.
Ecco, queste sono le tre idee fondamentali. Ognuna di queste rappresenta una tendenza ben
precisa, uno degli orientamenti che sono alla base delle aspirazioni di ognuno. Le avete lette
bene? Avete scelto quella che vi attira di più, quella che più delle altre realizzerebbe i vostri
desideri?
Dovete essere molto sinceri mentre fate questo ragionamento. Ricordiamoci che siamo
nell'area del rapporto con noi stessi e qui barare non è valido, ci inganneremmo da soli. Tanto più
che non ci sono risposte giuste o sbagliate.
E ora andiamo alla scoperta delle tre idee. Potete leggere prima il significato di quella che
avete scelto, ma poi tornate con attenzione anche alle altre due: ricordatevi che sono tutte presenti
in ogni individuo, e anche se generalmente ce n'è una che prevale bisogna pensare che
l'aspirazione individuale sia frutto di un mix delle tre. Identificare l'orientamento prevalente
significa capire qual è la motivazione nel lungo termine, quella più stabile nel tempo perché
rispondente a ciò per cui ci si sente predisposti.
2.1. Prima idea: l'affiliazione
L'ipotesi numero uno (ma l'ordine è puramente casuale) identifica la tendenza
all'“affiliazione”. Chi sceglie questa ipotesi è gratificato dallo stare insieme agli altri. È nel
contatto con le persone e nel rapporto con gli altri che trova la sua dimensione ideale.
Naturalmente deve essere un rapporto tra pari, dove tutti trovano soddisfazione nello stare
insieme e nel collaborare e dove tutti prestano una grande attenzione al fatto che il clima sia
sempre positivo.
Colui che tende all'affiliazione viene stimolato dal fatto di fare parte di un team. Quando si
trova all'interno di un gruppo prende forza, energia e le sue potenzialità si moltiplicano. Questo
funziona tanto meglio quanto più egli si trova a lavorare con persone che già conosce da tempo,
con le quali ha avuto modo di costruire un rapporto significativo e che magari hanno i suoi stessi
interessi, sono molto simili a lui.
Per lui sono fondamentali la stima e l'interesse da parte dei colleghi, per sentirsi pienamente
accettato e per essere “come gli altri”. Fa molta attenzione che, all'interno del gruppo, non ci sia
qualcuno che vuole prevalere o imporre la propria volontà.
La tendenza all'affiliazione è alla base del “motivo” per cui sia fanno o non si fanno
determinate azioni. Quindi è una “motivazione”. E come abbiamo visto nel precedente paragrafo,
come tutte le motivazioni può essere mossa sia da bisogni che da desideri. Vediamo quali sono. I
bisogni che chi ricerca l'affiliazione vuole soddisfare sono legati alla paura del rifiuto. Ci sono
sicuramente delle cause per cui esiste questa paura del rifiuto da parte degli altri, come ad
esempio l'avere subito ferite connesse a disattenzioni, maltrattamenti, separazioni. Qui non ci
interessa indagarle. Sapere quali sono non ci dà nessun vantaggio. Una volta anche avessimo
scoperto, con gran fatica, quali sono state le esperienze della nostra infanzia per cui siamo
cresciuti con la paura del rifiuto (ovviamente nel caso in cui noi avessimo una forte tendenza
all'affiliazione), non avremmo fatto neanche un piccolo passo avanti per migliorarci.
L'importante è invece constatare la situazione e orientare le nostre azioni in modo che siano
produttive. Avevamo detto infatti che la necessità di soddisfare dei bisogni ci porta dritto nel
sentiero negativo. Per questo dobbiamo sempre tenere presente che se ricerchiamo la compagnia
degli altri perché abbiamo paura del loro rifiuto siamo su questo percorso. E faremo fatica ad
uscirne perché, come abbiamo visto, una volta cominciato a seguire un certo percorso scattano le
reazioni circolari che tenderanno a mantenerci su quel terreno.
Per esempio, se cerchiamo la collaborazione solo per sentirci integrati, tenderemo a non dire
veramente quello che pensiamo ma quello che riteniamo possa trovare l'approvazione da parte
degli altri. E saremo gratificati se “avremo indovinato” il comportamento che incontrerà
l'approvazione degli altri e se questi saranno d'accordo con noi. Saremo invece abbattuti quando
gli altri non terranno in considerazione le nostre osservazioni. In questo caso correremo un grosso
rischio: tenderemo a cambiare idea a seconda di come si muove il gruppo.
Così in un momento sosterremo una posizione, poi quando le cose cambiano ne sosterremo
un'altra. A noi magari sembrerà di essere coerenti, perché ciò che ci interessa veramente è la
coesione del gruppo, ma agli altri potremo sembrare una banderuola che cambia parere a seconda
di come tira il vento. E quindi rischieremo di perdere progressivamente credibilità. Perdendo di
credibilità gli altri ci staranno ad ascoltare meno, quando toccherà a noi parlare. E siccome non ci
sentiremo ascoltati, saremo ancora più abbattuti. Così faremo di tutto per dire qualcosa che sia
apprezzato, cercando ancora di comunicare ciò che ci sembra condiviso da tutti. Ma così facendo
saremo ancora meno credibili e ci ascolteranno ancora meno. E così via: ecco la reazione
circolare nel percorso negativo.
Entriamo ora nel percorso positivo. Chi ricerca l'affiliazione può essere mosso anche da un
desiderio: il desiderio di protezione. Ovvero, il desiderio di fare qualcosa affinché gli altri ne
godano un beneficio, il desiderio di mettere le proprie risorse a disposizione degli altri e di trarre
beneficio dalle risorse degli altri. In altre parole, proteggere ed essere al contempo protetti. In
questo caso l'approvazione da parte degli altri viene sempre ricercata, ma per motivi molto diversi
rispetto a quelli derivanti dalla paura del rifiuto. Non si ricerca l'approvazione degli altri per
sentirsi accettati, ma per dare agli altri un beneficio, un vantaggio. Così, se questa approvazione
non arriva, pazienza. Vorrà dire che gli altri hanno ritenuto più vantaggioso non ascoltare il
nostro punto di vista, Non si può certo essere sempre ascoltati. Anzi, dobbiamo essere contenti
perché abbiamo dato a chi ci sta intorno un'opportunità in più: la nostra idea. Anche se questa
idea non è stata accettata, il solo fatto che sia stata esposta garantisce che la scelta finale è stata
compiuta su una base più ricca di elementi, a tutto vantaggio per la soluzione intrapresa.
L'importante è che il gruppo abbia potuto valutare anche il nostro punto di vista.
Se adottiamo questo meccanismo di pensiero ci troveremo nel ciclo positivo. Infatti quando
lavoreremo in gruppo sapremo stare al nostro posto, tenderemo a dare esattamente ciò di cui il
gruppo ha bisogno, se il gruppo non ha bisogno di noi ce ne staremo tranquilli, senza disperarci e
senza pensare che ci stiano rifiutando. Così quando le nostre competenze saranno necessarie
utilizzeranno volentieri la nostra collaborazione, perché sanno che saremo pronti per darla proprio
nella misura in cui è richiesta. Sanno che non ci tireremo indietro e che risponderemo subito se ci
sarà l'esigenza. Sanno che se non ci cercheranno non la prenderemo a male. Così saranno più
stimolati a cercare il nostro aiuto, perché con noi si lavorerà bene. Ecco la reazione circolare che
ci fa rimanere nel percorso positivo. Se la motivazione “affiliation” sarà forte in noi, questa è la
strada grazie alla quale potremo sentirci amati, accettati, ben voluti e con la quale potremo
consolidare sempre di più i nostri legami interpersonali.
2.2. Seconda idea: la riuscita
La seconda tendenza evidenziata è quella della riuscita, dell'“Achievement”.
Quando si punta all'achievement non si fa, come nel caso precedente, un'azione tesa al
beneficio del gruppo ma un'azione tesa al beneficio individuale (anche se queste azioni sono
sempre tese al beneficio individuale, che nell'affiliazione viene raggiunto attraverso gli altri).
Orientamento alla riuscita significa trarre soddisfazione nel fare le cose nel miglior modo
possibile. Anche in questo caso possiamo cercare i due moventi base, quello positivo e quello
negativo.
Il movente negativo risiede nella paura del fallimento. In questo caso l'impegno alla riuscita
è molto forte perché è grande il timore di fallire, per cui si intensificano tutti gli sforzi per non
fallire. È abbastanza facile capire perché la paura del fallimento ci porta sul sentiero negativo. Se
agiamo per evitare l'insuccesso saremo sempre in affanno, sempre timorosi di fare un passo falso
e concentreremo le nostre energie per evitare quel passo falso. La riuscita quindi sarà un punto
d'arrivo ad “effetto zero”, sarà semplicemente il sollievo di non avere fallito. Se siamo motivati
dalla paura del fallimento, poi, potremmo trovare rassicurazione nel fatto che magari altri vicino a
noi hanno fallito. Ci accontenteremo di una riuscita che non dipende dal nostro successo, ma
dall'insuccesso di altri. E così facendo attiveremo e accumuleremo energia negativa, che tende
alla sottrazione di valore più che alla sua produzione.
Il percorso positivo nella tendenza alla riuscita è invece caratterizzato dal desiderio di
eccellenza. Ciò significa che la motivazione a raggiungere gli obiettivi risponde alla volontà di
fare sempre meglio per autorealizzarsi, per raggiungere obiettivi sempre più interessanti.
Quando siamo mossi dal desiderio di eccellenza sappiamo che possiamo anche sbagliare, ma
sappiamo anche che solo alla fine, quando tireremo le somme del nostro lavoro, dovremo valutare
i risultati raggiunti. E quindi agiremo con entusiasmo perché sappiamo che quei risultati sono di
estrema importanza, poiché hanno la possibilità di qualificarci in una dimensione di valore.
Tendere all'eccellenza significa porsi delle sfide, non solo con gli altri ma anche con se stessi.
Significa tendere continuamente al miglioramento ed essere soddisfatti quando lo si è veramente
raggiunto. Non è importante provare, è importante riuscire. E per riuscire ci si impegna con
tenacia, puntualità, responsabilità. La ricerca dell'eccellenza libera energia positiva, perché è
tensione al risultato, è voglia di fare e di costruire.
Dagli altri si cercano informazioni e stimoli per realizzare i propri progetti e conferme del
livello di capacità che si possiede. Si cerca l'ammirazione da parte degli altri più che
l'approvazione, come invece avviene nell'“affiliazione”.
Colui che abitualmente segue questo percorso è definito un “achiever”. L'achiever può essere
riconosciuto dal fatto che ricerca sistematicamente opportunità di crescita, sia personale che di
carriera, ma soprattutto tesa allo sviluppo delle proprie capacità. Egli desidera lavorare per
obiettivi importanti, la routine e le azioni ordinarie non lo interessano. Ricerca mete sempre più
impegnative.
2.3. Terza idea: il potere
Essere orientati al potere significa tendere ad esercitare un controllo sugli altri. Chi è orientato
al potere cerca costantemente di porsi in una posizione di superiorità rispetto agli altri, per
guidarne le azioni. Tende a porsi come centro di decisione quando è necessario fare delle scelte.
Al contrario dell'orientamento all'affiliazione e all'achievement, dove la ricerca del consenso è
finalizzata nel primo al riconoscimento di affetti e nel secondo al riconoscimento di capacità, qui
la ricerca del consenso è finalizzata al riconoscimento di un ruolo: un ruolo di preminenza, un
ruolo di leader.
Anche la tendenza al potere può essere mossa da bisogni o da desideri.
Si può ricercare il potere quando si cerca di sfuggire dalla paura della dipendenza. In pratica,
quando si ha timore di dipendere da qualcun altro si tenta di tutto per ostacolare questa
eventualità e per cercare piuttosto di imporre la propria posizione. In questo caso la leadership è
ricercata più per bloccare la volontà di leadership degli altri che per affermare veramente la
nostra. È evidente come questo processo faccia parte del percorso negativo. Se avremo affermato
la leadership in questo modo, infatti, saremo soddisfatti, ma ci sembrerà di essere al punto di
arrivo quando invece saremo soltanto al punto di partenza.
Agendo così produrremo energia negativa, perché il nostro obiettivo non sarà quello di
coordinare gli altri per produrre del valore, ma piuttosto di tenere gli altri controllati e compressi
perché non possano arrivare a minacciarci. Molti capi in azienda seguono questo percorso e
naturalmente non sono dei buoni capi. Infatti non concedendo spazio ai propri collaboratori
produrranno poco valore, e dovranno inventare giustificazioni fasulle per motivare il loro operato.
Tenderanno ad appropriarsi delle idee dei collaboratori e cercheranno di venderle come proprie
idee, per non fare emergere chi ritengono li possa minacciare. Così saranno mal tollerati dai
propri collaboratori e poco stimati dai loro capi, che al primo problema reale li abbandoneranno.
Nel percorso positivo della gestione del potere c'è invece un desiderio. È il desiderio di
affermazione. Chi vuole affermarsi si impegna al massimo, magari arriva a trascurare il proprio
benessere fisico per poterlo fare, trascura i suoi affetti, intraprende azioni difficili e rischiose. La
posta in gioco è il raggiungimento di una posizione di priorità rispetto agli altri, la possibilità di
essere percepiti come coloro che decidono, di essere per gli altri degli indiscussi punti di
riferimento.
Chi ricerca il potere agisce in modo che siano gli altri a porsi in una situazione di dipendenza.
Questo avviene sia che chi tende al potere si trovi nel percorso positivo (desiderio di affermarsi),
sia che si trovi nel percorso negativo (bisogno di evitare la dipendenza). Ciò che cambia è
l'atteggiamento. Nel primo caso si produce del valore: ci si afferma per guidare gli altri e portarli
a raggiungere risultati che non sarebbero raggiunti senza la nostra guida. Nel secondo caso ci si
afferma per comprimere gli altri e per rassicurarsi sul fatto che nessuno possa mettere in
discussione le nostre posizioni.
La differenza sta nell'agire in funzione dell'entusiasmo rispetto all'agire in funzione della
paura. C'è una bella differenza, no? Di chi vi fidereste di più, di un capo entusiasta o di un capo
pauroso? secondo voi chi agisce cercando di fare anche i vostri interessi? Chi cercherà di
valorizzare le vostre capacità al meglio? Con chi riuscirete a raggiungere i migliori risultati?
Fate molta attenzione, perché nel momento in cui raggiungerete una posizione che richiede
guida da parte vostra sugli altri, i vostri collaboratori faranno esattamente questi ragionamenti. E
su questa base vi giudicheranno.
Aspirazioni: indicatori di percorso
Percorso positivo:
1.
1. Tendenza all'Affiliazione: desiderio di protezione
2.
2. Tendenza alla Riuscita: desiderio di eccellenza
3.
3. Tendenza al Potere: desiderio di affermazione
4.
Percorso negativo:
1.
1. Tendenza all'Affiliazione: bisogno di evitare il rifiuto
2.
2. Tendenza alla Riuscita: bisogno di evitare il fallimento
3.
3. Tendenza al Potere: bisogno di evitare la dipendenza
4.
IDEE IN AZIONE N°12: il triangolo delle aspirazioni
•
Disegna sul C-Book tre assi, come quelle che vedi qui sotto, ed ai loro vertici scrivi le lettere A, P,
R.
•
Ognuno di questi segmenti rappresenta una diversa tendenza: Affiliazione, Potere, Achievement.
Ogni segmento è graduato, da 0 a 10, in modo da poter indicare anche l'intensità di ogni tendenza.
•
Traccia, su ogni segmento, il punto che identifica il livello con cui tu ora possiedi quella
tendenza. Naturalmente il più alto sarà relativo alla tendenza che prevale: quella che tu avrai scelto
durante la lettura del testo. Le altre saranno meno marcate ma pur sempre presenti: ricordati che in
ognuno di noi c'è sempre un “mix”.
•
Per fare questo lavoro puoi aiutarti con il seguente schema di autovalutazione, attribuendo un
punteggio ad ogni singola tendenza dopo aver ragionato sugli elementi che la caratterizzano.
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Schema di autovalutazione delle aspirazioni
1 = minimo 10 = massimo
RIUSCITA
• Dal lavoro desidero soprattutto opportunità di crescita
• Desidero lavorare per obiettivi che siano “importanti”?
• Mi piace raggiungere risultati sempre più impegnativi?
POTERE
1 = minimo 10 = massimo
• Desidero organizzare il lavoro degli altri?
• Amo che le persone si rivolgano a me per consigli?
• Cerco di influenzare gli altri facendo prevalere le mie idee?
AFFILIAZIONE
1 = minimo 10 = massimo
• Sono stimolato dal “team” e dall’affiatamento del gruppo?
• Desidero lavorare con colleghi che conosco da tanto tempo?
• Cerco di lavorare con coloro che hanno i miei stessi interessi?
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000000000000000000000000000000000000000000000000000
•
Unisci i punti. Otterrai una figura simile a quella di questo esempio:
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•
In questo esempio c'è forte tendenza all'affiliazione, media alla riuscita e bassa al potere.
•
La figura che tu hai ottenuto rappresenta quali sono, attualmente, le tue aspirazioni.
•
Ragiona sulla tua figura e pensa a come vorresti cambiare, come vorresti diventare da qui a
tre anni.
•
Prendi una penna di colore diverso e traccia, sullo stesso disegno, un altro triangolo che
rappresenta il tipo di cambiamento che vorresti ottenere.
•
Seguendo l'esempio appena proposto, la figura potrebbe variare così:
•
In questo caso il cambiamento prevede una diminuzione dell'orientamento all'affiliazione ed un
investimento di energie finalizzato all'aumento delle tendenze alla riuscita ed al potere.
•
Perché questo esercizio possa essere utile ed efficace, è necessario svolgerlo con obiettività e
sincerità.
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3. Le aspettative
LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL MEDIO TERMINE
Segui il percorso positivo:
agisci equilibrando i soddisfattori e puntando sui motivatori, facendo una scelta di
priorità.
Abbandona il percorso negativo:
evita di confondere le due categorie, di privilegiare i soddisfattori, di puntare su tutti i
fattori indiscriminatamente.
Abbiamo appena esaminato le motivazioni nel lungo termine, ovvero gli elementi verso cui
orientiamo i nostri comportamenti per realizzare le nostre aspirazioni. Abbiamo parlato di “lungo
termine” perché sappiamo benissimo che le aspirazioni non si possono realizzare subito, bisogna
mettere in conto un po' di tempo. Abbiamo anche visto che è necessario capire quali sono gli
orientamenti verso cui si è più “portati”, i traguardi che ci attirano di più: l'affiliazione, la riuscita
o il potere. Così i nostri comportamenti devono essere funzionali al raggiungimento del traguardo
che sentiamo più adatto a noi. Per esempio, se per noi è importante la riuscita, sarà preferibile che
accettiamo un lavoro dove possiamo accrescere le nostre competenze e risolvere problemi.
Saremo più indicati probabilmente per un lavoro specialistico piuttosto che per un ruolo dove
dobbiamo coordinare delle persone, come può essere una posizione manageriale. Sceglieremo
questo secondo tipo di lavoro se abbiamo un forte orientamento al potere. Qualora invece fosse
indispensabile lavorare in team, dovremmo possedere una forte tendenza all'affiliazione.
Ecco quindi come le “idee”, gli “orientamenti” che abbiamo identificato devono servirci per
prendere decisioni su ciò che “vogliamo fare da grandi”. Dobbiamo cercare di indirizzarci verso
l'area per la quale siamo più portati, altrimenti ci esponiamo al rischio di fallire. Se infatti
sceglieremo o accetteremo una situazione non conforme alle nostre tendenze saremo demotivati o
inadatti a far fronte alle richieste della situazione stessa.
Tutto ciò per quanto riguarda le prospettive a lungo termine, quelle che sono misurate
nell'arco di anni.
Avviciniamoci ora sempre di più al presente. Facciamo un passo ancora avanti ed esaminiamo
quali sono le motivazioni nel medio termine. Il medio termine è la prospettiva temporale che
interessa le nostre azioni nell'arco di mesi. In questo arco di tempo noi agiamo non solo in
funzione delle nostre aspirazioni, ma soprattutto in funzione di precise aspettative.
Le aspettative sono il metro di paragone della nostre motivazioni nel medio termine.
Vi ricordate i due tecnici di cui parlavamo nella parte dedicata ai bisogni e dei desideri, quelli
appena assunti in azienda? La loro decisione di entrare in quell'azienda è probabilmente stata una
scelta importante per la loro vita, ragionata presumibilmente a fondo. Una valutazione del genere
deve rispondere a determinate aspirazioni, perché ha riflessi sul lungo termine. Sarà probabile
infatti che occorra un certo tempo prima che i due professionisti si adattino all'ambiente di quella
azienda, possano dare un valido contributo, possano godere dei benefici del cambiamento che
hanno scelto di fare. Sarà probabile che passerà ancora parecchio tempo prima che prendano in
considerazione un nuovo cambiamento, una nuova azienda. Sia per il tecnico che “fugge” da una
situazione poco soddisfacente, sia per quello che “corre” verso un traguardo desiderato.
Una volta che i due avranno fatto la loro scelta e saranno entrati nella nuova azienda, il gioco
non sarà più solo centrato sulle aspirazioni e sulle realizzazioni nel lungo periodo. Una volta
presa la decisione di entrare in quell'azienda e intrapresa la strada che potrà condurli ai traguardi
futuri (lavorare serenamente con altri, oppure diventare un tecnico esperto, oppure assumere la
guida di un gruppo), entrano in campo altre necessità ed altri scopi. Il gioco si fa più aderente alla
realtà presente, meno aderente a quella ipotizzata, desiderata o sognata. Entrano in campo precise
aspettative.
Per capire quali possono essere cerchiamo di immaginarci i due tecnici qualche mese dopo il
loro inserimento. Fingiamo di ascoltare il loro dialogo durante la pausa break di un corso di
formazione al quale entrambi sono stati iscritti.
Il primo tecnico dice:
“Non sono proprio soddisfatto. La cosa positiva è che l'azienda è solida, questo mi
tranquillizza. Però mi hanno messo a lavorare in un open space dove c'è parecchia confusione:
gente che va e viene, spazio che manca.... Ho provato a parlare con il mio capo ma era occupato e
allora ho lasciato perdere. Spero solo che fra un po' arrivi qualche gratificazione economica,
come un aumento di stipendio.. se mi danno soldi, sarò contento e non vorrò altro”.
Il secondo tecnico dice:
“Sono abbastanza soddisfatto. Anch'io ho trovato dei problemi che non mi sarei aspettato.
Quelli della confusione e della mancanza di spazio, per esempio. Sto mettendocela tutta per
migliorare le condizioni. Intanto però il lavoro che faccio mi piace; dopo un inizio cauto sto
cercando di affrontare situazioni sempre più difficoltose, per mettere alla prova ciò che ho
imparato. Se tutto va bene, fra poco tempo sarò probabilmente lasciato da solo nel supervisionare
la rete informatica aziendale, senza bisogno che un tecnico più esperto controlli ciò che faccio.
Vedremo... qualcuno si accorgerà dei risultati: sarei contento se arrivasse un riconoscimento,
anche simbolico.”
Riflettiamo un momento. I nostri due tecnici si sono nuovamente scambiati il loro punto di
vista, incontrandosi quasi per caso dopo qualche mese di lavoro.
La situazione aziendale e professionale che i due hanno trovato è praticamente la stessa. Il
tempo trascorso in azienda è identico. Eppure le due posizioni, ancora una volta, sono differenti.
Variano a seconda di come ognuno dei due vede la realtà, a seconda della “soggettività” di
ognuno. Naturalmente uno si trova su un certo sentiero e l'altro su quello opposto. Più
precisamente il primo si è focalizzato solo su attese che lo fanno rimanere sul sentiero negativo,
mentre il secondo ha puntato la sua attenzione su attese che lo collocano su quello positivo.
Quindi è più probabile (badate: è più probabile, non è certo) che il primo disperda valore e che il
secondo produca valore per sé e per la sua azienda.
Ma analizziamo meglio queste attese. Possiamo identificare alcune categorie nelle quali è
possibile collocare le motivazioni. Queste categorie sono due: una appartiene al percorso positivo
e una a quello negativo. Cerchiamo di analizzarle, prendendo in esame proprio ciò che hanno
detto i due tecnici.
3.1. La prima categoria: i soddisfattori
3.1.2 La sicurezza
“Non sono proprio soddisfatto. La cosa positiva è che l'azienda è solida; questo mi
tranquillizza.” Fin da questa prima affermazione comprendiamo che il fattore della sicurezza è
molto importante per questo individuo. Molto probabilmente la stessa scelta di entrare in
quell'azienda è stata fatta sulla base della solidità aziendale. Così ora riconosce che la sicurezza
che riscontra è un ottimo presupposto per una certa tranquillità di lavoro e di prospettive. Da
questo punto di vista va tutto bene.
3.1.3 L'ambiente
“Però mi hanno messo a lavorare in un open space dove c'è parecchia confusione: gente
che va e viene, spazio che manca....”
Ecco il secondo fattore su cui l'individuo sta puntando le sue attenzioni: l'ambiente. Di questo
non è molto contento. Lamenta il fatto di non essere in un ufficio tranquillo, dove potrebbe
organizzarsi e forse anche dedicarsi, non visto, a qualche piccola attività ricreativa. In ogni caso il
problema è quello della confusione e della mancanza di spazio. Il tecnico ce lo pone come uno dei
problemi principali: capiamo che le cose andrebbero nettamente meglio se l'ambiente avesse
maggiore tranquillità e più spazio a disposizione.
3.1.4 Il coinvolgimento
“Ho provato a parlare con il mio capo, ma era occupato e allora ho lasciato perdere.”
Ecco un altro motivo di insoddisfazione del nostro amico. Il coinvolgimento. Egli ha provato a
entrare in contatto con il suo capo per cercare di affrontare i problemi, ma si è tirato indietro.
Vorrebbe essere ascoltato, ma si arrende davanti alla difficoltà che incontra nel trovare un
momento di comunicazione. Non è soddisfatto, perché non riesce ad esprimere la propria
opinione.
3.1.5 Il Denaro
“Spero solo che fra un po' arrivi qualche gratificazione economica, come un aumento di
stipendio.. se mi danno soldi, sarò contento e non vorrò altro”
Ecco l'ultimo elemento su cui si concentrano le attenzioni e le attese del nostro tecnico: i soldi.
Dal modo con cui affronta questo argomento, possiamo capire che per lui è quello più importante.
Egli infatti dice molto chiaramente che è disposto a soprassedere su tutti gli altri, se riceverà un
aumento di stipendio.
3.2. La dinamica dei soddisfattori
I quattro fattori sopra citati sono quelli che si celano dietro le attese del primo tecnico. Essi
sono contenuti nella prima delle due categorie che stiamo prendendo in esame. La prima
categoria è quella dei “soddisfattori”. Abbiamo detto “soddisfattori”, e non “motivatori”. C'è una
certa differenza. Questi fattori infatti non motivano, cioè non forniscono l'energia positiva che
serve per migliorare i nostri risultati; sono necessari, ma ci possono portare al massimo ad uno
stato di “non insoddisfazione”. Quando li avremo raggiunti arriveremo ad un “livello zero”, ad
un falso punto di arrivo. In altre parole, sentiremo il bisogno di puntare verso il raggiungimento
di questi elementi quando mancano; quando invece sono presenti, noi non ci accorgiamo più di
loro. È come se ci abituassimo rapidamente a loro.
Possiamo infatti considerare la sicurezza del posto di lavoro un elemento importante, ma
rimanere in un'azienda solo per la sua solidità ci può dare l'energia per creare risultati brillanti?
La stessa domanda può essere fatta per quanto riguarda l'ambiente, il coinvolgimento.. e il
denaro. Sì, il denaro. È una illusione pensare che più saremo pagati, più saremo soddisfatti. Se
avremo un buon stipendio saremo forse più tranquilli dal punto di vista economico: ci potremo
permettere la macchina nuova o una vacanza in più. Ma dovremo lo stesso passare otto ore della
nostra giornata sul posto di lavoro, e i soldi lì non ci servono per produrre energia positiva.
L'entusiasmo non si può comprare. Pur pagati bene, se non punteremo su qualcosa d'altro non
saremo ancora contenti.
Questi quattro fattori sono dei falsi motivatori. Sono falsi perché spesso vengono confusi con
i veri motivatori, quelli che producono “voglia di fare”.
Cerchiamo di capirne il motivo studiandoli con più attenzione.
La sicurezza, prima di tutto. Cercare la sicurezza significa cercare situazioni di stabilità, dove
ci si possa sentire al riparo in caso di imprevisti e di difficoltà. È giusto cercare la sicurezza: se la
nostra situazione è precaria probabilmente saremo costantemente in preda ad un senso di
provvisorietà, di agitazione interiore. Ma è sbagliato tendere a una sicurezza totale. Questa non
può garantirla nessuno. Sono molti gli esempi di grandi aziende che sembravano incrollabili e che
ad un certo punto hanno cominciato a vacillare, hanno dovuto fare i conti con esigenze di mercato
impreviste e tali da cambiare completamente le carte in tavola. E sono così arrivate a prendere
decisioni drastiche: ridurre il personale licenziando migliaia di persone o, nel peggiore dei casi,
chiudere e lasciare a casa tutti. La sicurezza, inoltre, quando c'è si paga. Un'azienda solida, con un
nome ben noto, che offre certezza e stabilità professionale, molto probabilmente avrà retribuzioni
mediamente più basse rispetto ad un'azienda nuova, dinamica, che affronta un mercato in
espansione, ma dove le prospettive di carriera sono più limitate e dove da un momento all'altro si
può risentire di una congiuntura negativa.
Consideriamo poi l'ambiente: intendiamo anzitutto l'ambiente fisico, dallo spazio a
disposizione al colore delle pareti. Le condizioni ambientali devono essere tali da non costituire
un problema. Se lavoriamo in uno spazio angusto, chiuso e poco areato probabilmente soffriremo.
È giusto cercare un miglioramento migliorare e bisogna cercare le strade possibili per ottenerlo
Ma sarebbe sbagliato pensare che risolto il problema, poi tutto debba andare automaticamente
meglio. Non è così. Poco dopo essere arrivati in un ufficio luminoso e tutto per noi, ci saremmo
dimenticati delle sofferenze passate e ci staremmo già lamentando della mancanza di qualcosa
d'altro. L'ambiente, come buon soddisfattore, cessa di interessarci quando ci ha soddisfatto.
La soddisfazione arriva ad un certo livello e poi si ferma: oltre non può andare. Avete mai
visto un dirigente che si dichiara “energizzato” dal lavorare in un ufficio ben arredato? Magari
voi che siete in un open space vorreste averne uno, ma lui che ci lavora abitualmente lo considera
un fatto assolutamente normale, un punto di partenza e non un punto di arrivo. Lo soddisfa, ma
non lo motiva. Se è, ad esempio, un direttore commerciale, sa che non raggiungerà i suoi risultati
di vendita grazie al fatto che possiede un bell'ufficio.
Per ambiente non si intende solo l'ambiente fisico, ma anche quello umano. È preferibile
lavorare con colleghi simpatici e cordiali piuttosto che con colleghi scontrosi o aggressivi e infidi.
Ma sarebbe un errore pensare che quanto migliori saranno i rapporti in ufficio, tanto migliori
saranno le prestazioni. Spesso anzi si verifica il caso contrario: l'eccesso di disponibilità reciproca
e l'assenza di competizione fanno venire meno gli stimoli la miglioramento.
Per quanto riguarda il coinvolgimento, quasi tutte le persone di solito sono scontente del
proprio livello di coinvolgimento, quando lavorano in azienda. Così cercano di essere coinvolte
tentando di carpire informazioni in tutti i modi e su tutto ciò che è possibile: dalle scelte
aziendali ai fatti personali dei colleghi. Ma aumentare la nostra conoscenza su queste cose può
solo togliere la nostra preoccupazione di sentirci esclusi, non inseriti all'interno di quelli che
“contano”. È inoltre illusorio pensare che l'aumento delle occasioni di contatto con gli altri, pur
stimolante, possa generare energia positiva oltre un certo limite.
Infine, il lato economico. Possiamo sentirci spinti all'azione per il guadagno, ma anche qui
solo fino ad un certo punto, non oltre.
Il lato economico è importante, certo. Se guadagnamo poco rispetto allo sforzo che ci è
richiesto, dopo un po' cesseremo di impegnarci in quello sforzo. In altre parole, se non vedremo
un ritorno economico dal nostro lavoro, probabilmente saremo demotivati. Ma non dobbiamo
pensare che la nostra energia aumenti solo con l'aumentare del denaro percepito. Chi pensa questo
è destinato a rimanere infelice, perché non raggiungerà mai un livello economico che possa
ritenere sufficiente. Sarà sempre attento a guardare ciò che guadagnano gli altri per confrontarsi
con essi, e troverà sempre qualcuno che prende più soldi.
L'unico modo per liberarsi dal dilemma del denaro è seguire due semplici regole. La prima
regola indica che il denaro non deve essere un fine, ma un mezzo. È il premio per un lavoro
svolto bene, per la soddisfazione che deriva dall'impegno. Non è il fine a cui tendono gli sforzi.
La seconda regola suggerisce che il livello di denaro a cui tendere è quello che risponde ad un
confronto con le proprie personali esigenze. Dobbiamo cercare di guadagnare per poter soddisfare
i nostri bisogni e realizzare progetti precisi, non per accumulare il più possibile.
3.3. La seconda categoria: i motivatori
Passiamo ora all'esplorazione della seconda categoria, quella che appartiene al percorso
positivo. Abbiamo detto che il secondo tecnico che dialoga fa riferimento a questa categoria.
Cerchiamo allora di scoprirla attraverso le sue stesse parole.
“Sono abbastanza soddisfatto. Anch'io ho trovato dei problemi che non mi sarei
aspettato. Quello della mancanza di spazio e della confusione, per esempio. Sto
mettendocela tutta per migliorare la situazione.”
Stessa azienda, stessi problemi. Il secondo tecnico si trova d'accordo con il primo: l'ambiente
ostacola il buon svolgimento del lavoro; l'atteggiamento però differisce. Il problema c'è, la sua
soluzione non sarà facile, ma il secondo tecnico, a differenza del primo, si impegna per fare in
modo di poterlo risolvere. Non può fare di più, non è nell'ambito delle sue possibilità eliminarlo.
Però, se da una parte non smette di fare qualcosa per risolverlo, dall'altra è cosciente che deve in
qualche modo soprassedere, perché fermandosi di fronte a questo ostacolo non può raggiungere
obiettivi per lui più importanti. Quindi probabilmente farà in modo di conviverci. L'ambiente per
questo secondo tecnico è “un” fattore importante, non “il” fattore importante. Della sicurezza
aziendale, altro fattore di non insoddisfazione, egli non parla nemmeno. La dà per scontata. Non
rientra nei suoi interessi. Lui è interessato ad altre cose. Vediamo quali sono.
3.3.1. Il contenuto del lavoro
“ Intanto però il lavoro che faccio mi piace”
Ecco qual è il primo elemento importante per il nostro tecnico. Per lui le condizioni ambientali
sono sopportabili perché riesce a dedicarsi ad una attività che incontra il suo interesse. Sa che
potrebbe rendere di più e stare più tranquillo, se lavorasse in condizioni più favorevoli, ma sa
anche che difficilmente si realizzano condizioni ideali. Lui punta su ciò che ritiene più
importante: fare qualcosa che risponda ai suoi interessi e ai suoi obiettivi professionali. Questa è
la sua priorità. Le altre cose vengono dopo, compreso l'ambiente. Meglio un bel lavoro in un open
space affollato che un brutto lavoro in un ufficio elegante e riservato.
3.3.2. La sfida
“Dopo un inizio cauto sto cercando di affrontare situazioni sempre più difficoltose, per
mettere alla prova ciò che ho imparato.”
Ecco il suo secondo elemento di motivazione: la sfida. Il tecnico è incentivato dalle situazioni
che mettono alla prova le sue capacità. Cerca di porsi dei traguardi da superare, affrontando prove
di complessità crescente. Se deve svolgere un lavoro semplice, per quanto possa piacergli, sarà
solo parzialmente motivato. Così si impegna nelle difficoltà dei problemi da risolvere, in modo da
dover mettere in campo delle capacità sempre nuove.
3.3.3. L'autonomia
“Se tutto va bene, fra poco tempo sarò probabilmente lasciato da solo nel supervisionare
la rete informatica aziendale, senza bisogno che un tecnico più esperto controlli ciò che
faccio.”
Il terzo elemento che interessa al nostro amico è l'autonomia. Egli tende a non dipendere da
altri, vorrebbe arrivare a potersi organizzare il lavoro come vuole lui. Cerca di dare un contributo
personale a ciò che fa, cerca di limitarsi a portare dei miglioramenti. Se deve seguire regole e
procedure, la sua motivazione cala.
Sa che sarà cresciuto nel campo professionale solo quando avrà piena responsabilità sulla sua
area di lavoro. Quando l'azienda si potrà fidare a lasciarlo da solo, quando gli altri faranno
riferimento a lui per avere delle indicazioni su problemi da risolvere e lui avrà autonomia nelle
scelte senza dover chiedere il permesso ad altri, allora si sentirà professionalmente completo.
3.3.4. Il riconoscimento
“Vedremo... qualcuno si accorgerà dei risultati: sarei contento se arrivasse un
riconoscimento, anche simbolico”
Quarto elemento di motivazione: il riconoscimento. Il nostro amico ci tiene molto che
qualcuno, magari in una posizione di importanza in azienda, si accorga di lui, ma è consapevole
che devono essere i risultati a parlare: se non ci sono risultati, è inutile pensare di ricevere
gratificazioni.
È certo che se avrà raggiunto un buon livello di competenze e capacità professionali e se
conseguirà buoni risultati, potrà pensare di avere dei ritorni.
Sta attento a creare e a dare, prima di pensare a ricevere. Inoltre non punta solo all'incentivo
economico, ma all'incentivo in quanto tale. Anzi, ci sono certi riconoscimenti che non sono
monetizzabili, ma per lui più importanti: ad esempio l'attestazione di stima o la possibilità di
partecipare a momenti di incontro riservati, professionali o formativi.
3.4. La dinamica dei motivatori
Ecco dunque gli altri quattro fattori che possono essere veramente chiamati “motivatori”,
quelli che liberano energie positive. Essi funzionano al meglio quando anche gli altri quattro, i
soddisfattori, hanno raggiunto un livello di equilibrio.
Non importa che i soddisfattori siano completamente realizzati, è sufficiente che l'individuo
non riceva da essi problemi che possano distogliere la sua attenzione dai motivatori. Perciò non si
può aspettare ad essere completamente soddisfatti prima di cominciare ad essere motivati. Si sarà
un po' soddisfatti e un po' no: l'importante è che non ci sia un fattore che dia grossi problemi.
Prendiamo, ad esempio, in considerazione la sicurezza. Non saremo mai del tutto sicuri della
stabilità della nostra situazione: l'azienda in cui lavoriamo potrebbe sempre fallire. Se l'azienda ha
una certa stabilità, noi smetteremo di pensare al fatto che potremmo anche perdere il posto di
lavoro e ci dedicheremo a pensieri più produttivi. Ma se la situazione è precaria, se sappiamo che
entro un mese l'azienda chiuderà, allora il fattore sicurezza diventerà per noi di primaria
importanza e ci dedicheremo alla ricerca di una situazione alternativa che ci possa portare un
certo equilibrio. Quando, poi, questo equilibrio sarà raggiunto, ricercheremo qualcosa di più
stimolante, che non potremo trovare nei soddisfattori ma nei motivatori.
I motivatori fanno in modo che l'individuo produca energia. Non hanno un punto di
saturazione: non raggiungono un livello oltre il quale non riescono più a motivare. Chi punta
all'autonomia e la ottiene, ad esempio, sarà sempre più motivato se il lavoro darà sempre
maggiori spazi di autonomia e di responsabilità.
Ora svolgiamo una rapida rassegna dei quattro motivatori, così da riconoscerli meglio.
Valorizzare il contenuto del lavoro significa ricercare in esso quelle attività che consentono
di sviluppare le proprie competenze. Significa trovare attività sempre varie che siano consone con
le proprie aspirazioni, che permettano di metterle in pratica e al contempo di aumentare il proprio
patrimonio personale di competenze, conoscenze e capacità. Il tipo di lavoro che facciamo ci
accompagna per tutta la giornata; se non lo apprezziamo non possiamo pensare che ci siano, fuori
da esso, altri fattori tali da compensare questa insoddisfazione. Saremmo illusi, e ci renderemmo
conto di essere costantemente insoddisfatti e infelici.
Affrontare le sfide vuol dire cercare situazioni che impegnano al massimo le proprie abilità.
Anche se dure e difficili, non spaventano le condizioni di lavoro, anzi costituiscono uno stimolo
per mettersi alla prova.
Ricercare l'autonomia significa cercare di assumersi responsabilità. Essere autonomi infatti
vuol dire avere la possibilità di prendere decisioni da soli, ma vuol dire anche rispondere in prima
persona delle decisioni prese. Se gli effetti di queste scelte sono positivi, tanto meglio. Il peggio
viene quando essi sono negativi. Per questo non tutti cercano l'autonomia e la responsabilità:
alcuni preferiscono dipendere da qualcun altro, che sarà chiamato a rispondere se le decisioni
prese si riveleranno sbagliate.
Il riconoscimento è il premio che è giusto aspettarsi dopo essersi impegnati a fondo. Non ci
sono solo riconoscimenti in denaro. Colui che tende al riconoscimento vuole sentirsi importante:
quindi sarà motivato principalmente dal fatto di poter acquisire elementi che lo faranno sentire
tale. Per esempio, possono essere simboli di status che altri non possono avere, oppure la
possibilità di essere considerato come appartenente ad una categoria particolare, il cui accesso
non a tutti è consentito. Per il tecnico potrebbe essere il riconoscimento dell'appartenenza,
all'interno di quell'azienda multinazionale, al gruppo più esperti al mondo in una determinata
tecnologia.
In ogni caso, il riconoscimento deve seguire al raggiungimento del risultato. Ha effetto sulla
motivazione, se legato ad un impegno che ha portato ad un risultato, altrimenti non incentiva
assolutamente nulla. Se invece il premio viene associato direttamente all'azione fatta per
raggiungerlo, si viene stimolati a operare ancora meglio per avere un altro premio.
Il riconoscimento deve non necessariamente giungere dall'esterno: può essere un fatto
personale, individuale. Se abbiamo ottenuto veramente un livello effettivo di autonomia,
possiamo anche gratificarci da soli quando sappiamo di avere raggiunto un risultato eccellente.
3.5. Come agire con le aspettative
Quando si agisce sulle proprie aspettative bisogna seguire alcune semplici regole. Queste
regole tendono ad evitare gli errori in cui è più facile cadere.
3.5.1. Errore numero uno: inseguire i soddisfattori
È l'errore che commette il primo tecnico del nostro esempio e che lo porta dritto sul percorso
negativo. Egli non si rende conto che considera motivatori quegli elementi che invece sono
soltanto semplici soddisfattori. Fare confusione tra le due categorie induce a inseguire falsi
obiettivi. Questi obiettivi li consideriamo falsi perché, una volta raggiunti, improvvisamente
“spariscono”, nel senso che perdono la loro importanza: non stimolano ad agire ulteriormente.
Per evitare questo errore è necessario prima di tutto prendere coscienza della differenza che
esiste fra le due categorie. Poi, in secondo luogo, è necessario agire in modo diverso a seconda
della categoria: puntare ad una situazione di equilibrio per la prima, per poi concentrarsi con
forza sulla seconda.
3.5.2. Errore numero due: puntare su tutti i fattori
Dobbiamo essere realisti: non possiamo pretendere di avere tutto. Non si può pensare di
trovare un lavoro sotto casa e con colleghi piacevoli (ambiente), in un'azienda solida (sicurezza),
dove ci stanno ad ascoltare (coinvolgimento), dove siamo pagati bene (soldi), dove possiamo
imparare divertendoci (contenuto) e risolvendo problemi complessi (sfida), con possibilità di
carriera (autonomia) e con gratificazioni di ogni tipo (riconoscimento). Una situazione di questo
genere è praticamente impossibile da trovare. Se cerchiamo di avere tutto e il metro con cui
misuriamo la nostra soddisfazione è quanto la nostra situazione reale si discosta da questo tutto,
allora saremo per sempre malcontenti.
Dobbiamo piuttosto selezionare attentamente i fattori su cui puntare e fare scelte precise per
ottenere risultati proprio dove abbiamo scelto di indirizzare i nostri sforzi.
Se, ad esempio, pensiamo che sia fondamentale migliorare le nostre competenze professionali,
saremo disposti ad accettare un lavoro che non ci porta alcuna crescita di tipo economico, ma ci
offre una grossa opportunità di miglioramento in termini di esperienza. In questo caso
privilegeremo il fattore “contenuto” rispetto al fattore “soldi”. Viceversa, se decidiamo che la
nostra priorità risiede nel fattore economico, sceglieremo un lavoro che ci farà guadagnare
parecchi soldi, anche se sarà scomodo dal punto di vista logistico e non utilizzerà appieno le
nostre competenze. Così facendo dunque privilegeremo il fattore “soldi” rispetto ai fattori
“ambiente” e “contenuto”.
3.5.3. Errore numero tre: generalizzare
Un aspetto fondamentale delle aspettative è che queste sono individuali. Esse variano da
persona a persona, in misura talvolta piuttosto consistente. Spesso però tendiamo a dare per
scontato che anche gli altri siano mossi dalle nostre stesse motivazioni. Questo è un errore tanto
più grossolano da parte di chi ha responsabilità su altre persone.
Capire quali sono le aspettative dei collaboratori è un compito fondamentale per un capo.
Eppure i dirigenti in genere dedicano pochissimo tempo all'individuazione dei fattori di
soddisfazione e di motivazione delle persone con le quali lavorano.
Per esempio, un manager può essere motivato dalla responsabilità. E magari affida un ruolo di
riferimento ad un individuo per premiarlo, senza rendersi conto che l'autonomia mette in crisi
quel collaboratore, che forse non si sente pronto per assumersi responsabilità e sta puntando
ancora a sviluppare adeguate competenze professionali. In questo caso il capo considera il fattore
“autonomia” quando invece doveva tenere presente il fattore “contenuto”. Ancora, il capo può
cadere i errore al contrario, ovvero pensare che i collaboratori non vogliano prendersi
responsabilità, ma ricerchino la sicurezza. Così affida loro compiti ripetitivi e piatti, mentre essi
ricercano situazioni più stimolanti. In questo caso punta sul fattore “sicurezza” invece di puntare
sui fattori “contenuto” e “sfida”.
La generalizzazione errata non viene fatta solo nei confronti di categorie di individui, ma
anche in riferimento ad uno stesso individuo.
Ciò accade quando si identifica un'attesa in una persona e si pensa che quella persona debba
avere sempre la stessa attesa. Magari uno è entrato in un'azienda nel momento in cui ricercava
una certa sicurezza, forse perché proveniente da un'esperienza fallimentare e con oggettivi
problemi di autosostentamento. È ovvio che in una situazione del genere la scelta viene fatta in
funzione della sicurezza del lavoro. Ma quando questo individuo avrà raggiunto la sua
tranquillità, la sua motivazione cambierà. Magari vorrà fare cose nuove, essere coinvolto in
gruppi di lavoro... Se il capo non si accorge che le sue attese sono cambiate, rischia di pensare che
solo con l'assunzione in azienda quell'individuo debba essere motivato “a vita”, senza prendere in
considerazione la possibilità di mettere a frutto le sue abilità in altri modi. In questo caso il capo
si fissa sul fattore “sicurezza” mentre invece l'attesa del collaboratore è rivolta verso il fattore
“coinvolgimento”.
Aspettative: indicatori di percorso
Percorso positivo:
Ritenere più importanti i “motivatori”:
contenuto del lavoro, sfida, autonomia, riconoscimento
Percorso negativo:
Ritenere più importanti i “soddisfattori”: sicurezza, ambiente, coinvolgimento, soldi
IDEE IN AZIONE N°13: la mappa delle aspettative
•
Che cosa ti aspetti di ottenere dalla tua attività? Prova a mettere a fuoco il tipo e l'intensità delle
tue aspettative, cercando di delineare la scelta delle priorità.
•
Prova ad attribuire un punteggio ai fattori che troverai qui di seguito, da 1 (importanza minima)
a 10 (importanza massima).
Il livello di soddisfazione
•
Cominciando con i soddisfattori, potrai effettuare un'autoanalisi del tuo livello di soddisfazione. Per
poter meglio evidenziare la scelta di priorità introduciamo una semplice regola: non ci possono essere
due fattori con lo stesso punteggio
DENARO
1 = minimo 10 = massimo
• Attribuisco importanza alle ricompense economiche?
• Cerco le occasioni per guadagnare di più?
1.
• Do un significato economico a ciò che faccio?
2.
SICUREZZA
1 = minimo 10 = massimo
• Cerco un lavoro soprattutto “sicuro”?
• Valorizzo in particolare la “solidità” dell’Azienda?
• Amo la regolarità e le prospettive a lungo termine?
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COINVOLGIMENTO
1 = minimo
10 = massimo
• Cerco di fare sentire la mia presenza?
• Mi aspetto di essere informato sulle attività aziendali?
1. • Sono particolarmente gratificato dal vedere le mie idee
messe in pratica?
2. AMBIENTE
1 = minimo 10 = massimo
• Desidero che il luogo di lavoro favorisca anche i miei
hobby e svaghi?
• Desidero una località di lavoro che soddisfi anche le mie
esigenze di vita?
• Ricerco un ambiente piacevole e un orario regolare?
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Il livello di motivazione
Continuiamo con i motivatori. Ricordati di attribuire ad ogni fattore un punteggio diverso da ogni altro,
per evidenziare le priorità.
1 = minimo
10 = massimo
CONTENUTO DEL LAVORO
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• Cerco di svolgere attività che sviluppino le mie competenze?
• Rifuggo dai lavori ripetitivi e di routine?
• Amo occuparmi di cose varie, differenti tra loro? 1 = minimo 10 = massimo
AUTONOMIA
• Ricerco sul lavoro la massima autonomia?
• Cerco di evitare di essere indirizzato o guidato dagli altri?
• Mi sento responsabile di ciò che faccio?
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1 = minimo
10 = massimo
RICONOSCIMENTO
• Desidero che il mio lavoro sia considerato importante?
• Ricerco le occasioni di prestigio (es: contatti importanti, ecc.)?
• Amo i particolari che “fanno status”?
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1 = minimo
10 = massimo
SFIDA
• Ricerco situazioni che impegnino le mie abilità al massimo?
• Sono stimolato da impegni duri e difficili?
• Mi sforzo di svolgere compiti che richiedono impegno crescente?
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000000000000000000000000000000000000000000000000000
•
Qual è il tuo livello di soddisfazione per ciò che fai? Quale invece il tuo livello di motivazione a fare
meglio e di più? Quali sono i fattori di soddisfazione carenti? Ricordati che se c'è qualche fattore di
soddisfazione molto carente, ci sarà un impedimento all'espressione di quelli di motivazione..
102
4. Le opportunità
LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL BREVE TERMINE
Segui il percorso positivo:
sii obiettivo nel valutare gli elementi della situazione in cui ti trovi e cogli le opportunità
che questa ti può offrire.
Abbandona il percorso negativo:
evita che un solo aspetto negativo della situazione “contagi” anche tutti gli altri,
togliendoti obiettività di giudizio e impedendoti di individuare e sfruttare al meglio le
opportunità.
Ormai conosciamo abbastanza bene i nostri due tecnici. Abbiamo esaminato le loro
motivazioni a lungo termine, chiamandole “aspirazioni”. Abbiamo poi preso in considerazione le
loro motivazioni a medio termine, che abbiamo chiamato “aspettative”. Ora non rimane altro che
compiere un ultimo passo per esaminarne le motivazioni a breve termine.
I due casualmente si incontrano ad un anno di distanza dal loro inserimento. Le cose non
sembrano essere andate molto bene, né per uno né per l'altro. Ma ascoltiamo ciò che si dicono.
Le parole del primo tecnico:
“Sono molto deluso. Non si è verificato nulla di quanto mi avevano esposto durante il
colloquio di assunzione. Non ho risolto nessuno dei problemi che ti avevo evidenziato qualche
tempo fa, quando ci siamo visti per quel corso di formazione. Ora penso solo a portare a casa lo
stipendio e sto cercando un altro lavoro per togliermi di qui il più in fretta possibile, sto solo
perdendo tempo”.
Le parole del secondo tecnico:
“Ti capisco… anch'io devo dire che mi aspettavo qualcosa di più. All'inizio era tutto molto
interessante, ma dopo sono entrato nella routine, si sono esauriti gli stimoli… Sento che le mie
potenzialità non vengono utilizzate; ne ho anche parlato con il mio capo ma mi ha confermato che
non c'è nulla da fare. Così probabilmente anch'io mi guarderò intorno. Intanto però sfrutto
l'occasione di operare in autonomia sulla rete aziendale e di addestrare un collega più giovane.
Così posso approfondire le mie conoscenze tecniche ed iniziare ad affrontare problemi di
coordinamento di altre risorse…”
Rieccoci di nuovo alle prese con i due percorsi. Manco a dirlo il primotecnico è nel percorso
negativo. È deluso, e questo possiamo comprenderlo: non è riuscito a vedere realizzarsi nessuna
delle sue aspettative. Ma dalle sue parole comprendiamo qualcosa di più: lui ha rinunciato, in
maniera definitiva a ricavare qualcosa di buono dalla situazione in cui si trova. Vede tutto in
chiave negativa, come se l'esperienza finora fatta fosse tutta da buttare. Ormai non presta più
alcuna energia al lavoro, pensa solo a cercarsi un'altra occupazione: in altre parole cerca di ancora
di “andare via”. Ricordate che “andare via da” significa essere spinti da bisogni e quindi seguire il
percorso negativo?
Ora passiamo al secondo tecnico. Anch'egli è piuttosto deluso, ma vede le cose in maniera del
tutto differente. Il secondo sa cogliere ciò che di positivo la situazione può offrirgli. Anche se il
bilancio non è favorevole, anche se probabilmente, a meno che le cose non volgeranno al meglio,
lui cambierà azienda, anche se ci sono seri motivi di malcontento, la sua mente non è
completamente offuscata dalla negatività. Piuttosto cerca di cogliere tutto ciò che la situazione
può presentare di utile: nel suo caso approfondire la sua competenza tecnica e cominciare a
sviluppare alcune abilità gestionali.
In altre parole, il secondo è capace di cogliere le opportunità.
4.1. Regole per cogliere le opportunità
Per cogliere le opportunità valgono solo alcune semplici regole di base.
4.1.1. Prima regola: agire in tempo reale.
L'opportunità non sarebbe tale se si potesse rimandare la scelta di poterla cogliere.
L'opportunità passa e va. Se l'abbiamo colta, bene. Altrimenti non ritorna. E se ci sembra che
ritorni, vuol dire che non era una vera opportunità.
Può apparire un po' paradossale, ma l'importanza di un'opportunità è inversamente
proporzionale alla sua ripetibilità. In parole semplici, le opportunità grosse si verificano solo una
volta. Però ce ne sono anche di piccole che vale la pena cogliere.
Quindi, occhi aperti! Non appena si presenta un'occasione, cerchiamo di agire in maniera
rapida. Il secondo tecnico non rimanda: se può prendere qualcosa ora, prende e basta. Il
vantaggio, anche se piccolo, è immediato. E domani potrebbe essere troppo tardi.
4.1.2. Seconda regola: mente libera.
Per cogliere l'opportunità bisogna innanzitutto vederla. Se non la vedi, non la puoi certamente
cogliere. Ma si percepisce un'opportunità solo quando si ha la mente libera e, per quanto
possibile, positiva. I peggiori nemici dell'opportunità sono il malumore ed il pensiero negativo.
Pensiamo al primo tecnico: è così deluso ed arrabbiato che non riesce a vedere nulla di buono.
È così che si perdono grosse opportunità. Ricordiamoci di mantenere l'obiettività in tutte le
situazioni.
4.1.3. Terza regola: non curarsi dei vantaggi degli altri
Viviamo in un mondo pieno di interdipendenze. Così è probabile che se facciamo qualcosa di
buono per noi, anche altri ne goderanno alcuni benefici. È un dato di fatto ineliminabile.
Se pensiamo di trovare opportunità che diano vantaggi solo a noi, dobbiamo sapere che si
verificheranno molto raramente. Così, se non vogliamo dare la soddisfazione ad altri di avere
qualche vantaggio, ci precluderemo il raggiungimento di mete importanti.
Pensiamo al secondo tecnico: nonostante sia arrabbiato con l'azienda, comunque cerca di
svolgere al meglio il suo lavoro perché ciò dà beneficio soprattutto a se stessi.
Il primo invece per non offrire vantaggi ad un'azienda che non lo merita danneggia prima di
tutto se stesso.
4.2. La dinamica delle opportunità
Abbiamo detto che saper cogliere un'opportunità significa agire rapidamente. Ci serve dunque
sapere come la motivazione agisce in tempo reale. Teniamo presente che la motivazione a fare
qualcosa segue una formula piuttosto semplice, la seguente:
Motivazione = Aspettativa X Valore
Questa formula indica che la motivazione cresce a seconda di quanto crescono aspettativa e
valore, e si abbassa quando scende anche un solo di questi due elementi. Ne basta uno per farla
scendere: se uno degli elementi della moltiplicazione è zero, il risultato sarà zero.
Ora cerchiamo di capire il suo significato. “Aspettativa” è il livello a cui si tende per riuscire a
fare una determinata cosa. “Valore” è l'importanza che si attribuisce a quella determinata cosa.
La nostra motivazione sarà alta, se potremo fare qualcosa che giudichiamo molto importante,
ma anche realizzabile. Uno scrittore è motivato nello scrivere un libro perché ritiene che il libro
sia un'opera importante e, poiché sa scrivere, per lui è anche realizzabile. Quindi valore e
aspettativa sono entrambi alti, e la motivazione sarà alta. Ma una persona comune, anche se
ritiene il libro una meta importante, probabilmente sa di non essere capace di raggiungere il
livello di uno scrittore. Quindi il valore è alto, ma l'aspettativa sarà bassa. Così uno dei due
elementi fa abbassare anche il risultato finale: la motivazione in tal modo sarà bassa.
Capito il gioco? Proviamo a sintetizzare:
Alto valore e alta aspettativa Æ Alta motivazione
Se una cosa mi interessa molto e giudico possibile realizzarla, sarò motivato nel cercare di
ottenerla.
Alto valore e bassa aspettativa Æ Bassa motivazione
Se una cosa mi interessa molto, ma penso che ci siano poche possibilità di realizzarla, sarò
poco motivato nel cercare di ottenerla.
Alta aspettativa e basso valore Æ Bassa motivazione
Se giudico fattibile realizzare una certa cosa, ma mi interessa poco ottenerla, sarò poco
motivato.
Bassa aspettativa e basso valore Æ Bassa motivazione
Tanto meno sarò motivato a perseguire qualcosa che, oltre ad interessarmi poco, giudicherò
anche poco realizzabile.
Cogliere opportunità significa essere motivati a fare qualsiasi cosa possa procurarci del valore
e ci faccia avvicinare ai nostri obiettivi o alle nostre aspirazioni.
Per potere cogliere le opportunità è dunque necessario tenere presenti due metodi:
Primo metodo: agire sull'aspettativa
Soprattutto in funzione dei cambiamenti è opportuno rivedere le proprie attese e cercare in
ciascun momento di individuare “cose che si possono realizzare”.
Qualsiasi cosa che in linea di principio possiamo fare è una possibile opportunità.
Secondo metodo: agire sul valore
Dobbiamo allenarci a scoprire il potenziale valore di ogni situazione. Possiamo fare questo
domandandoci continuamente: “Che cosa di buono posso ottenere in questa circostanza?” “Come
posso utilizzarla per avvicinarmi ai miei obiettivi?” “Ci sono in questa occasione dei vantaggi che
io non riesco a vedere?”
Ci stupiremo nel constatare come ogni volta che, pur in modo scettico, ci porremo quest'ultima
domanda, la risposta sarà “sì”.
Ritorniamo ai nostri due tecnici. Ora è chiaro perché il secondo sa cogliere le opportunità:
agisce tempestivamente, non perde la sua obiettività, non si preoccupa se il suo comportamento
produce vantaggi anche a chi non lo merita. Seguendo queste prime tre regole getta le basi per le
successive due: cercando più situazioni possibili in cui aumentare la propria motivazione scopre
cose anche banali che si possono fare (azione sull'aspettativa) di cui riconosce un'utilità per se
stesso (azione sul valore).
Molto spesso ci lamentiamo del fatto che la vita non ci offre opportunità. Sbagliato! Siamo noi
che non riusciamo a vederle, perché non mettiamo in gioco un atteggiamento di ricerca continua
a scoprire, nella situazione in cui ci troviamo, qualsiasi azione realizzabile ed in grado di produrre
del valore. Tendiamo a commettere l'errore di considerare “banali” attività che invece, se
osservate meglio, sono molto importanti.
Qualche esempio? Preparare una presentazione di cui non vedo l'utilità e che percepisco come
una perdita di tempo può comunque permettermi di affinare le mie capacità di parlare in pubblico.
Partecipare ad un gruppo di lavoro su un tema che non è di mio interesse può comunque
permettermi di conoscere nuove persone e realtà diverse dalla mia. Dover usare uno strumento
diverso da quello abituale può essere una scocciatura, ma mi permette di acquisire un'abilità in
più. Affrontare una situazione in cui sappiamo che qualcuno si opporrà a noi, come ad esempio
un cliente aggressivo, può non essere piacevole ma permette di sviluppare migliori capacità di
relazione.
Allenarsi a scoprire opportunità è un po’ come prepararsi a scoprire monete d'oro nascoste,
ma che esistono e che, se vengono raccolte, possono tutte insieme costruire un tesoro.
Opportunità: indicatori di percorso
Percorso positivo:
1.
1. Agire in tempo reale
2.
2. Tenere la mente libera
1.
3. Accettare che anche altri traggano vantaggi
2.
4. Individuare ogni possibile spazio d'azione
5. Attribuire valore anche ad attività apparentemente banali
Percorso negativo:
1. Rimandare e rimanere inattivi 2. Lasciare che un elemento negativo provochi un “corto-
circuito” mentale 3. Evitare di procurarsi un vantaggio perché “anche altri ci guadagnano”
4. Focalizzarsi su ciò che si è sempre fatto 5. Definire “banali” e “inutili” certe attività e
non prenderle neanche in considerazione
IDEE IN AZIONE N°14: a caccia di opportunità
•
Questo esercizio ha l'obiettivo di esercitarti a cogliere le opportunità da qualsiasi situazione.
Dovresti dunque provare a metterlo in atto, anche solo mentalmente, in qualsiasi situazione ti possa
trovare.
•
Pensa all'attività che stai svolgendo in questi giorni.
•
Scrivi al centro di una pagina del C-Book gli scopi per cui la stai svolgendo, i risultati che si
attende chi ti ha commissionato il lavoro.
•
Scrivi, intorno agli scopi, tutti i possibili vantaggi, che puoi ottenere svolgendo quella attività e
collegali con un trattino agli scopi. Otterrai una specie di figura “a raggi”, dove ogni opportunità è
collegata, mediante un raggio, al nucleo centrale degli scopi.
•
Cerca di trovare tutte, ma proprio tutte le opportunità: anche le più nascoste e le più banali.
•
Le avevi tutte presenti prima di iniziare questo esercizio? Non attribuisci all'attività che stai
svolgendo un valore maggiore rispetto a prima?
La tensione verso le opportunità
•
Come hai già fatto per aspirazioni ed attese, prova ad effettuare una autovalutazione della tua
tensione verso le opportunità.
OPPORTUNITA’
1 = minimo 10 = massimo
• Sono flessibile, pronto a rivedere le mie attese
a fronte di cambiamenti?
• So cogliere gli aspetti di vantaggio delle situazioni?
• Ritaglio aree di iniziativa personale?
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•
Sei abituato a cogliere le opportunità? Vorresti migliorare? Fissa il livello di miglioramento che
vorresti raggiungere, oltre a quello che descrive la tua attuale posizione. Riuscirai a migliorarti tanto
più metterai in pratica l'esercizio “a caccia di opportunità”, sforzandoti di cercare, in qualsiasi
situazione, tutti i vantaggi che ti può dare.
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Minuti / ore / giorni / settimane / mesi / anni / decenni
Fig. 1 – aspirazioni, attese e opportunità in funzione della prospettiva nel tempo e del legame con la realtà.