ElÅttra
di Eurìpde
traduzione di Ettore Romagnoli
PERSONAGGI:
AUTURGO
ElÅttra
ORESTE
Un VECCHIO
Un MESSAGGERO
ClitemnÅstra
Diòscuri
Pílade, personaggio muto
CORO di fanciulle
Campagna, sui confini dell'Argólide. La modestissima casa di
Auturgo, contadino miceneo. Vicino scorre l'ìnaco, Sono le
ultime ore della notte.
(Esce dalla casupola Auturgo)
AUTURGO:
O d'Argo antica terra, e voi, dell'ìnaco
acque fluenti, onde partí con mille
navi, recando guerra al suol di Troia,
AgamÅnnone re! Qui, spento Príamo
dell'ilíaco suol signore, e l'inclita
cittÄ… presa di DÄ…rdano, tornò
di nuovo ad Argo, e molte sovra i culmini
dei templi consacrò spoglie di barbari.
La fortuna colÄ… dunque gli arrise;
e in patria, invece, perí, per la frode
di ClitemnÅstra, e per la man d'Egisto,
di Tieste figliuolo. Egli morí,
l'antico scettro abbandonò di TÄ…ntalo,
e regna Egisto in questa terra, e sposa
tiene con sé la sposa del defunto,
di Tíndaro la figlia. Allor che il Sire
a Troia navigò, lasciò due figli,
Oreste, il maschio, ed il femmineo fiore
d'ElÅttra. Oreste, mentre giÄ… piombava
su lui la man d'Egisto, per ucciderlo,
l'aio antico del padre lo rapí,
a Strofio lo recò, per allevarlo,
nella terra di Fòcide. Restò
nella casa paterna ElÅttra; e quando
giunse per lei l'adolescenza florida,
quanti eran primi nella terra d'Ellade,
la richiesero sposa. Egisto, invece,
per timore che un figlio essa ad alcuno
di quei possenti generar potesse,
vendicatore dell'Atríde, a niuno
mai la concesse, e la trattenne in casa.
Pure, da timor grande, anche cosí,
egli era invaso, che ad alcun di furto
potesse figli generare; e morte
darle decise: la salvò la madre,
sebben crudele, dalle man' d'Egisto:
ch'ella un pretesto per lo sposo ucciso
aveva pure; ma odïosa rendersi
temea, se i figli trucidasse. E allora,
Egisto tese questa trama: il figlio
d'AgamÅnnone, ch'ito era fuggiasco
da questa terra, molto oro promise,
chi l'uccidesse; e diede ElÅttra in moglie
a me, che nacqui, niuno può contenderlo,
da padri micenÅi, di stirpe illustri,
ma di sostanze poveretti; e allora
la nobiltÄ… va in fumo. Affin che fosse
poco il timor, la diede a un uom da poco.
Ché, se sposata un uom d'alto lignaggio
l'avesse, certo ridestato avrebbe
lo scempio, ora sopito, d'AgamÅnnone,
la vendetta colpito avrebbe Egisto.
Ma quest'uomo non mai, può dirlo Cípride,
macchiò d'ElÅttra il letto: ella Å ancor pura.
Ebbi la figlia di Signori grandi;
ma mi vergognerei s'io l'oltraggiassi,
ché degno io non ne sono. E per Oreste
piango, per lui che dicon mio cognato
se mai, tornando, le infelici nozze
della sorella, o misero, vedrÄ….
E chi stolto mi giudica, perché
una fanciulla ho in casa, e non la tocco,
sappia che falso Å il metro ond'ei misura
la mia saggezza, e che lo stolto Å lui.
(Esce dalla casa ElÅttra. Indossa povere vesti e porta
sulla testa una brocca per attingere acqua)
ElÅttra:
O negra notte, o de le stelle d'oro
nutrice, all'ombra tua questa che siede
brocca sul capo a me, debbo alle fonti
fluvïali recare. A ciò ridotta
la miseria non m'ha: bensí mostrare
bramo agli Dei quanto m'offende Egisto,
lanciare nell'immenso Återe l'Å‚lulo
io voglio al padre mio: ché la TindÄ…ride
maledetta, mia madre, via da casa
per compiacer lo sposo, mi scacciò.
Or ch'altri figli a Egisto ha procreati,
stima che siam di troppo Oreste ed io.
AUTURGO:
Ecco, per me travagli e peni, o misera,
tu cresciuta fra gli agi: io ben ti dissi
che tu te ne astenessi; eppur lo fai.
ElÅttra:
Al par dei Numi, amico mio, ti stimo
ché mi trovo fra i mali, e non m'offendi.
Å gran sorte fra gli uomini, un tal medico
quale tu sei per me, trovar dei mali.
Ed io, sebbene tu chiesto non l'hai,
per quanto posso, alleggerir ti devo
delle fatiche, sí che men ti pesino,
partecipare i tuoi travagli. Assai
tu lavori pei campi: spetta a me
la cura della casa: a chi lavora,
piace, tornando, trovar tutto in ordine.
AUTURGO:
Se poi t'aggrada, va': tanto, la fonte
lungi non Å da questa casa. Ai campi
i bovi io spingo alla prim'alba, e il seme
gitto nei solchi: ché per quanto i Numi
in sommo della bocca abbia, un poltrone
che non lavori, non guadagna il pane.
(Si allontanano. Quasi subito entrano Oreste e Pílade)
ORESTE:
Pílade, te fra tutti quanti gli uomini
io stimo fido e caro ospite mio.
Solo tu, fra gli amici, a questo Oreste
riguardo avesti, in tal condizïone
qual Å la mia: ché m'aggravò d'orrendi
soprusi Egisto: egli, e con lui la madre
mia maledetta, al padre mio die' morte.
Pel responso del Nume, al suolo d'Argo
giungo, e niuno lo sa, per dar ricambio
di morte a chi m'uccise il padre. Andato
son questa notte alla sua tomba, e lagrime
versai su la sua tomba, e la primizia
d'un ricciolo gli offersi, e d'un agnello
sgozzato, il sangue su la fiamma effusi;
ed ai signori ch'hanno qui l'impero
restai nascosto. Entro le mura il piede
inoltrare non vo': sosto ai confini,
a una duplice mÅta avendo l'occhio:
potere, ove qualcun mi scorga, sśbito
passare in altra terra; e far ricerca
di mia sorella, ch'ora vive, dicono,
con uno sposo, e non Å piÅ› fanciulla,
sí ch'io seco mi trovi, e dell'eccidio
partecipe la renda, e a punto sappia
quanto avvien nella reggia. Ora, poiché
il suo candido viso Aurora leva,
lunge il passo volgiam da questo tramite.
Forse qualche arator, qualche fantesca
incontreremo, a cui chieder si possa
se in questi luoghi abita mia sorella.
Ma una donna, un'ancella appunto io vedo.
Rase ha le chiome, e sopra il capo reca
una brocca per l'acqua. Interroghiamola,
stiamo: da lei forse potrem raccogliere
qualche parola che all'intento giovi
onde venimmo a questo suolo, o Pílade.
(Si fanno da parte)
(Entra ElÅttra, cantando)
ElÅttra: Strofe prima
L'orma affretta, ch'Å tempo, del piede,
entra in casa, entra in casa, al tuo pianto.
AhimÅ, ahime!
Io son d'AgamÅnnone figlia,
a luce mi die' ClitemnÅstra,
l'odïosa figliuola di Tíndaro.
Me chiamano i miei cittadini
ElÅttra la misera.
AhimÅ, ahi, che gravi travagli,
che vita odïosa e la mia!
O padre, tu giaci nell'Ade:
dalla sposa e da Egisto sgozzato,
tu giaci, AgamÅnnone.
Su, leva leva la tua funesta
canzone, l'Å‚lulo solito desta.
Antistrofe prima
L'orma affretta, ch'Å tempo, del piede,
entra in casa, entra in casa, al tuo pianto.
AhimÅ, ahimÅ!
Fratello tapino, in qual casa,
in quale cittÄ… sarai servo,
poi che tu nella reggia dei padri
lasciasti, al destino acerbissimo,
la suora tua misera?
Deh, giungi a salvarmi da questi
travagli! E tu, Giove, tu, Giove,
fa' sí che lo scempio egli vendichi
efferato del padre. Oh, qui spingi
l'errante suo piede!
Su, leva, leva la tua funesta
canzone, l'Å‚lulo solito desta.
Strofe seconda
GiÅ› questa brocca dal capo deponi,
ché i lai notturni per mio padre intoni
al sorger dell'Aurora.
D'Ade la querimonia,
d' Ade l'inno funereo,
o padre, a te sotto la terra vola:
io lo ripeto ognora,
giorno per giorno, solcando con l'unghia
la tenera gola,
le man' picchiando alla rasa mia testa,
padre mio, per la tua fine funesta.
Ahi, ahi, la fronte lacera!
Come lunghessi i vortici
d'un fiume, il cigno chiama con le querule
armoniche melodi
il padre suo carissimo
che d'una rete giacque
nei frodolenti nodi,
cosí lagrimo anche io
pel tuo misero fato, o padre mio,
Antistrofe seconda
che del tuo sangue facesti vermiglio
l'ultimo bagno, il fatale giaciglio.
AhimÅ misera, ahimÅ!
Della bipenne o furia
amara, o amara insidia
al ritorno da Troia! Oh, non ghirlande
la sposa offerse a te,
non dïadema; ma al duplice taglio,
con onta nefanda,
essa t'espose del ferro d'Egisto;
e accoglie, compagno del talamo, il tristo.
Ahi, ahi, la fronte lacera!
Come lunghessi i vortici
d'un fiume, il cigno chiama con le querule
armoniche melodi
il padre suo carissimo
che d'una rete giacque
nei frodolenti nodi,
cosí lagrimo anch'io
pel tuo misero fato, o padre mio.
(Entra il Coro, composto di fanciulle d'Argo)
CORO: Strofe
O figlia d'AgamÅnnone,
al tuo tugurio questa schiera d'amiche or viene.
Un uomo giunse, un uomo solito il latte a mungere
sui monti di Micene:
reca l'annunzio che ad offrire vittime
s'appresta la cittÄ…,
come tre giorni volgano;
e al tempio d'Era ogni fanciulla andrÄ….
ElÅttra:
Amiche, non a fulgide
feste, né a vezzi d'oro
volge le penne l'anima
mia, sventurata, né dove io, fra i vortici
dei balli, il piede lanci, delle vergini
argive in mezzo al coro.
Passo la notte in lagrime,
di lagrime, ahi tapina, il dí m'abbevero.
Vedi le vesti lacere,
se son quali alla figlia converrebbero
d'AgamÅnnone re,
ad Ilio, che memoria
serba del padre mio che l'abbatté.
ORO: Antistrofe
Grande Å la Dea: rincòrati.
Da me gradisci e indossa l'istorïato manto,
ed i monili d'oro che le tue grazie accrescano.
Vincere col tuo pianto
speri i nemici, senza ai Numi rendere
onore? Oh, non cosí;
ma, preci offrendo ai Superi,
vedrai, fanciulla, piÅ› felici dí.
ElÅttra:
Nessun dei Numi ai gemiti
dell'infelice bada,
né ricorda le vittime
che il padre un giorno offriva. Il padre, misera
me, piÅ› non vive; ed erra, chi vive, esule
per estranea contrada,
e alla mensa dei fÄ…muli
siede: ed il padre suo tanto fu celebre!
Ed io, l'alma struggendomi,
vivo tra queste ripide
balze, lontan dalla paterna reggia,
in sí povero tetto.
E la mia madre giubila,
sposa d'altrui, nell'omicida letto.
CORO:
Di molti mali la sorella d'Elena
cagion fu per la tua casa e per l'Ellade.
(Si avanzano Oreste e Pílade)
ElÅttra (Vede i due giovani):
Dai lagni, amiche, ahimÅ, debbo desistere.
Presso alla casa, presso al focolare
questi stranieri erano ascosi, e balzano
or dall'agguato. Con la fuga, via,
tu pel sentiero, ed io sotto il mio tetto,
scampo cerchiam da questa gente trista.
ORESTE:
Resta. Il mio braccio non temere, o misera!
ElÅttra:
Te ne scongiuro, Apollo, non uccidermi.
ORESTE:
Altri uccider vorrei, di te piÅ› infesti.
ElÅttra:
Parti, non mi toccar: qual n'hai diritto?
ORESTE:
Giusto diritto n'ho, quanto altri mai.
ElÅttra:
E in arme presso al tetto mio m'agguati?
ORESTE:
Resta, odi, e presto dirai com'io dico.
ElÅttra:
Resto: in tua mano son, ché sei piÅ› forte.
ORESTE:
Nuove a recarti del fratello io giungo.
ElÅttra:
O caro, o caro! Å vivo dunque? Å morto?
ORESTE:
Vive: annunziar prima ti voglio il buono.
ElÅttra:
Sii tu felice per sí fausto annunzio!
ORESTE:
Tale augurio per me, per te si compia.
ElÅttra:
Misero! E dove, in tristo esilio, vive?
ORESTE:
Non sempre in un sol luogo: erra, e si strugge.
ElÅttra:
Giorno per giorno il pan forse gli manca?
ORESTE:
No; ma d'ogni potere Å privo un esule.
ElÅttra:
E qual messaggio suo vieni a recarmi?
ORESTE:
Chiede se tu sei viva, e come vivi.
ElÅttra:
Vedi prima il mio corpo, adusto e magro.
ORESTE:
Dai cordogli distrutto: io vedo e piango.
ElÅttra:
E raso il capo, a foggia degli Sciti.
ORESTE:
T'ambasciano il fratello e il padre ucciso?
ElÅttra:
E quale cosa Å d'essi a me piÅ› cara?
ORESTE:
E al fratello non credi esser tu cara?
ElÅttra:
Amico ei m'Å, remoto e non vicino.
ORESTE:
Perché dalla cittÄ… lungi, qui vivi?
ElÅttra:
Nozze funeste, o stranïero, io strinsi.
ORESTE:
Misero Oreste! - Å MicenÅo lo sposo?
ElÅttra:
Non quegli a cui volea mio padre darmi.
ORESTE:
Parla, ch'io sappia, e a tuo fratello dica.
ElÅttra:
Nella sua casa qui vivo in disparte.
ORESTE:
D'un bovaro la casa Å, d'un bifolco.
ElÅttra:
Povero Å, sí; ma generoso e pio.
ORESTE:
Questa sua pïetÄ… come dimostra?
ElÅttra:
Mai non ardí toccare il mio giaciglio.
ORESTE:
Per qualche sacro voto? Oppur ti sprezza?
ElÅttra:
Ai miei parenti onta recar non osa.
ORESTE:
Tali nozze egli ottenne, e non ne gode?
ElÅttra:
Chi mi die', pensa, non ne avea diritto.
ORESTE:
Teme d'Oreste la vendetta, intendo.
ElÅttra:
Certo, la teme; ma per giunta Å probo.
ORESTE:
Nobil cuore! Convien che si remuneri.
ElÅttra:
Se in patria tornerÄ… chi adesso Å lungi.
ORESTE:
E tua madre, tua madre, l'ha permesso?
ElÅttra:
Gli sposi, e non i figli aman le donne.
ORESTE:
E che sperò da tale oltraggio, Egisto?
ElÅttra:
Che, sposa a lui, gli generassi un debole.
ORESTE:
Perché figliuoli non avessi vindici?
ElÅttra:
Questo voleva: il fio possa pagarmene.
ORESTE:
E lo sa, che fanciulla ancor tu sei?
ElÅttra:
Mantenemmo il segreto: ei non lo sa.
ORESTE:
E sono amiche tue queste che ascoltano?
ElÅttra:
Certo: i tuoi detti, i miei terranno ascosi.
ORESTE:
Che far potrebbe, se giungesse, Oreste?
ElÅttra:
Onta Å chiederlo. E che? Non siamo al colmo?
ORESTE:
Come potrebbe gli assassini uccidere?
ElÅttra:
Osando ciò che quelli osâr sul padre.
ORESTE:
E oseresti con lui la madre uccidere?
ElÅttra:
Sí, con la scure onde fu spento il padre.
ORESTE:
Questo gli devo dir? Sei tu ben ferma?
ElÅttra:
Ch'io sgozzi, sveni mia madre; e poi muoia.
ORESTE:
Deh,
se fosse qui vicino, a udirti, Oreste!
ElÅttra:
Gli occhi miei non lo riconoscerebbero.
ORESTE:
S'intende: foste separati parvoli.
ElÅttra:
Solo un potrebbe degli amici miei.
ORESTE:
Quei che, si dice, lo scampò da morte?
ElÅttra:
L'aio del padre mio, vecchio cadente.
ORESTE:
Ed il tuo padre ucciso ebbe sepolcro?
ElÅttra:
E quale! Lungi dalla reggia, a spregio.
ORESTE:
AhimÅ, che dici! Oh come udir le pene
anche d'estranei, morde il cuor degli uomini!
Tuttavia, parla, ch'io sappia, e al fratello
tuo riferisca queste nuove, ingrate
ma necessarie. A chi non sa, compagno
non Å cordoglio, ma solo a chi sa.
Vero Å che troppo chiare aver le idee
anche ai saggi talora apporta biasimo.
CORO:
E nutro anch'io la stessa brama: ch'io
vivo dalla cittÄ… lungi, ed ignoro
ciò che lí avviene, ed or vorrei saperlo.
ElÅttra:
Parlerò, se conviene; e ad un amico
narrar conviene le sciagure orrende
di me, del padre mio. Ma, stranïero,
poi che m'incíti a favellar, ti prego,
d'entrambi a Oreste annunzia i mali. E primo
di che vesti son cinta, e come sordido
Å tutto quanto mi circonda, e in che
tugurio, io nata in una reggia, or vivo,
la spola usando, a tessermi da me
le vesti, se non voglio esserne priva
e andare ignuda; e da me stessa attingere
debbo l'acqua del fiume. E feste sacre
non ci sono per me piÅ›, non piÅ› danze.
E le donne schivar debbo, ché vergine
sono, e bandir di CÄ…store il ricordo,
del mio parente, a cui promessa fui,
pria che fra i Numi egli ascendesse. E in trono
la madre mia sopra le frigie spoglie
siede, ed al soglio suo vicine stanno
le schiave d'Asia che predò mio padre,
che manti idÅi con fibbie d'oro stringono.
E nella reggia, di mio padre il negro
sangue marcisce ancora; e chi l'uccise
sale sul carro ove salí mio padre,
lo scettro stringe ond'ei guidava gli EllÅni,
nelle mani omicide, e va superbo.
E senza onor la tomba d'AgamÅnnone
mai libagione non riceve, mai
ramoscello di mirto; e la sua pira
d'ogni ornamento Å priva. Ed il consorte
di mia madre, l'illustre, come dicono,
l'affogato di vino, la calpesta,
e pietre avventa sul marmoreo tumulo,
e contro noi cosí parlare ardisce:
«Oreste, il figlio tuo, dov'Å? Davvero
difende bene il tuo sepolcro!. Parla
cosí, contro l'assente. Ora, tu reca
queste novelle a Oreste, io te ne supplico.
Lo invitan molti, ed io, dei molti interprete:
le mani, il labbro, il cuore mio lo invocano,
il capo raso, e quei che gli die' vita.
Quale onta! Il padre i Frigi sterminò,
e il figlio non saprÄ…, giovine, e d'alta
nascita, un solo, uomo contr'uomo, uccidere?
CORO:
Ecco giunge anche lui, dico il tuo sposo:
ha compiuto il lavoro, e a casa torna.
(Entra Auturgo)
AUTURGO:
Ehi lÄ…! Chi son questi foresti presso
all'uscio mio? Per che ragioni battono
a queste porte rustiche? Bisogno
avrebbero di me? Ma non conviene
ad una donna favellar con giovani.
ElÅttra:
Non sospettare, o mio diletto: quanto
dicevano saprai. Questi foresti
un messaggio d'Oreste a me recavano. -
Di ciò che disse, ospiti, voi, scusatelo.
AUTURGO:
Che dicon? Vive? Ancor vede la luce?
ElÅttra:
Dicon che vive; e veritieri sembrano.
AUTURGO:
Del padre i mali, i mali tuoi, rammemora?
ElÅttra:
Speranza n'ho; ma che può fare un esule?
AUTURGO:
E d'Oreste un messaggio a noi recarono?
ElÅttra:
Di mie sciagure ad informarsi vennero.
AUTURGO:
Ne vedon parte, e tu parte puoi dirgliele.
ElÅttra:
Le sanno: nulla piÅ› v'Å ch'essi ignorino.
AUTURGO:
Quand'Å cosí, da un pezzo esser dovevano
schiuse ad essi le porte. Entrate! In cambio
delle fauste novelle, avrete ospizio
quale offrir può la casa mia. Portate
dentro i bagagli, o servi. E voi parola
non aggiungete. Vi manda un amico,
e siete amici. Poverello nacqui;
ma non parrÄ… ch'io sia di cuore ignobile.
ORESTE:
Å questo l'uomo, per gli Dei, che teco,
per non voler che sia macchiato Oreste,
l'inganno ordisce delle infinte nozze?
ElÅttra:
Sposo detto Å costui di me tapina.
ORESTE:
AhimÅ!
Fissa norma non c'Å che chiaro sceveri
degli uomini il valore; e alle loro indoli
niun ordine presiede. Io vidi giÄ…
un uom da nulla nascere d'un padre
nobile, e onesto un figlio di malvagi,
e gretteria nell'animo d'un ricco,
e generositÄ… nel cuor d'un povero.
A qual criterio prestar mente, allora,
per dar giusto giudizio? Alla ricchezza?
Ti volgeresti ad un ben tristo giudice!
Forse al non posseder nulla? Ma ínsito
nella miseria Å un morbo, ed il bisogno
Å maestro di male. O devo all'armi
badare? Solo per veder la lancia,
giurar corrai che chi l'impugna Å un prode?
Tutti gli eventi regge il caso, e al caso
conviene abbandonarli. In Argo principe
non e quest'uomo, di casato illustre
non mena vanto, eppur, nato di popolo,
nobil cuore dimostra. Ed ora, senno
farete voi, che andate errando, pieni
di pregiudizi? E l'onestÄ… degli uomini
dai lor costumi giudicar vorrete,
dalla condotta loro? Alle cittÄ…,
alle magioni, son presidio gli uomini
come costui; ma i corpi forti senza
cervello, servono a far mostra in piazza.
Né vale, a sostener l'urto nemico,
il braccio esercitato piÅ› del debole:
dal cuor dipende anche il valor, dall'indole. -
Dunque, si accetti l'ospitalitÄ….
Ben degna essa Å del figlio d'AgamÅnnone,
per cui veniamo, or qui presente e assente.
Entriamo, o servi, in questa casa. Un ospite
povero, a me diletto e piÅ› d'un ricco,
se di buon cuore; e le accoglienze debbo
lodare di costui. - Certo vorrei
che tuo fratello in prospera fortuna
m'accogliesse nel suo prospero tetto;
ma pur verrÄ…: non ho fede nell'arte
dei profeti mortali; ma gli oracoli
del Nume ambiguo, crollo non conoscono.
(Oreste, Pílade e i loro servi entrano nella casa di Auturgo)
CORO:
PiÅ› di pria la speranza il cuor mi scalda,
o ElÅttra. Tarda la Fortuna giunse,
ma salda, forse, or qui si pianterÄ….
ElÅttra:
O poveretto, l'indigenza sai
della tua casa, e inviti ospiti tanto
da piÅ› di te?
AUTURGO:
E perché no? Se sono
di nobil cuore, come sembra, forse
non gradiranno a un modo il poco e il molto?
ElÅttra:
Or poi che certo, nelle tue strettezze,
fatto Å lo sbaglio, récati dal vecchio
aio del padre mio, che ai greggi bada,
poi che scacciato fu dalla cittÄ…,
del fiume TÄ…nao su le ripe, dove
segna i confini fra l'Argiva terra
e il suol di Sparta, pregalo che passi
dalla sua casa, alcuna vettovaglia
per gli ospiti procacci, e venga qui.
Lieto sarÄ…, renderÄ… grazie ai Numi,
quando egli udrÄ… che vivo Å quei che un giorno
salvò bambino. Da mia madre certo
nulla otterrai, dalla paterna casa.
Triste novella, se la trista udisse
che Oreste Å vivo, recheremmo a lei.
AUTURGO:
Se tu lo brami, l'ambasciata al vecchio
io recherò. Tu entra svelta, e appresta
quello che c'Å. Molto di quanto occorre
ad un banchetto, sa trovare, quando
vuole, una donna. E in casa, poi, c'Å roba
per sazïare, almeno un giorno, gli ospiti.
In questi casi, se ci penso, vedo
che la ricchezza Å certo indispensabile
per largheggiar con gli ospiti, e dai morbi
sollevar, con le spese, un corpo infermo.
Ma quanto occorre a nutricare un uomo
giorno per giorno, Å poco; e tanto basta
per sazïare un ricco, e tanto un povero.
(ElÅttra entra in casa. Auturgo si allontana)
CORO: Strofe prima
Verso la Tròade, o celebri navi, salpaste un giorno,
coi remi innumerabili,
segnando alle NerÅidi delle carole il numero,
mentre il delfin, del flauto
vago, balzava intorno
alle prore cerulee.
Ei guidava fra l'onde
il campion velocissimo
nell'impeto dei pie', figlio di TÅtide,
insiem con AgamÅnnone,
a Troia, del SimÅta in su le sponde.
Antistrofe prima
Le NerÅidi, lasciate le coste dell'EubÅa,
le belle armi recavano
cui die' la tempra Efesto su l'oro dell'incudine;
e sul Pelio cercavano,
per l'estrema vallÅa
dell'Ossa, ove han le OrÅadi
i refugi segreti.
Il giovine cercavano
che il padre, di corsier' maestro, PÅleo,
crescea, luce de l'Ellade,
degli Atrídi il campion, figlio di Teti.
Strofe seconda
Un giorno, udii da un uom che giunto d'Ilio
al porto era di Nauplia,
che su lo scudo miro
tuo, figliuolo di TÅtide,
erano queste insegne, a spaventacolo
dei Frigi, impresse in giro.
Attorno attorno al margine,
PersÅo sul mare vola,
con l'alato calzar, che della Gòrgone
regge la testa, recisa alla gola.
Con lui, fanciullo agreste, Erme s'appaia,
di Giove messagger, figlio di Maia.
Antistrofe seconda
Nel mezzo, sopra corsïeri aligeri,
il disco fulgidissimo
del sol vibra i suoi dardi,
e degli astri l'Återee
danze, l'Íadi e le PlÅiadi, che d'Ettore
sbigottiscan gli sguardi.
E sopra l'elmetto aureo,
fra gli artigli, la Sfinge,
stretta dei carmi suoi reca la vittima.
E su l'usbergo che il suo fianco stringe,
la lïonessa avventasi, che mira
di PirÅne il puledro, e fiamme spira.
Epodo
Poi, sopra l'asta omicida fremevano quattro corsieri,
e negra sui dorsi volava la polvere.
Al signore di questi guerrieri
gli amici tuoi segnarono
la morte, o TindÄ…ride,
tristissima putta.
Per questo, a te morte gli UrÄ…nidi
daranno. Oh vederti potessi
trafitta nella strozza,
tutta di sangue sozza!
(Giunge carico di provviste il vecchio servo di AgamÅnnone)
VECCHIO:
Dov'Å, dov'Å la giovinetta mia
veneranda signora, d'AgamÅnnone
che un giorno io stesso nutricai, la figlia?
Com'Å l'accesso alla sua casa ripido,
per farlo a piedi un vecchio tutto grinze,
quale sono io! Ma, tuttavia, bisogna
il curvo dorso e il tremolo ginocchio
trascinar dagli amici.
(ElÅttra esce)
O figlia mia,
son qui: ti trovo proprio sulla soglia.
Questo agnello ti reco or ora nato,
scelto dalla mia greggia, e questi serti,
e questo vecchio balsamo di Bacco,
di fragranza perfetta: Å poco; eppure
basta una coppa in questo vin piÅ› debole,
a renderlo soave. Intanto io voglio
con questo lembo dei miei panni tergere
le ciglia mie, che molli son di lagrime.
ElÅttra:
Perché, buon vecchio, hai lagrimosi gli occhi?
Dopo sí lungo tempo, i mali miei
forse ripensi? Oppur d'Oreste gemi
il triste esilio? O il padre mio, che pargolo
fra le tue braccia nutricavi un giorno,
e per te, pei tuoi cari, invano fu?
VECCHIO:
Invano fu; ma non di ciò mi cruccio.
Egli Å che or ora, alla sua tomba innanzi
passai, mi prosternai, pianto versai,
ché la trovai deserta. E l'otre schiusi
che recavo ai foresti, e sopra il tumulo
vino effusi, posai rami di mirto.
Ed ecco, su la pira un negro agnello
sgozzato, e sangue or ora effuso, e riccioli
scorgo, recisi da una chioma bionda.
E, stupito, pensai, figlia, chi mai
osato avesse avvicinarsi al tumulo.
Niun degli Argivi, certo. Il tuo fratello
sicuramente, venne qui di furto,
e del padre onorò la tomba misera.
Questi capelli alla tua chioma appressa:
vedi se questa e il riccio hanno il medesimo
colore: i figli d'un sol padre, in genere,
in piÅ› parti del corpo sono simili.
ElÅttra:
Degne non son le tue parole, o vecchio,
d'un uom di senno, se tu pensi che,
per timore d'Egisto, a questo suolo
di furto giunga il mio fratello prode.
E poi, come potrebbe essere simile
alle mie chiome un suo ricciolo? Questo
crebbe nelle palestre, in capo a un nobile
garzon: femmineo quello, sotto il pettine.
Possibile non Å: troverai molti
ch'han ricci, o vecchio, del colore identico,
ma non sono perciò del sangue stesso.
VECCHIO:
Del suo calzar muovi su l'orme, e vedi
se del tuo piede ha la misura, o figlia.
ElÅttra:
Dei pie' le impronte come vuoi che restino
in un suolo di roccia? E pur ci fossero,
mai fratello e sorella aver potrebbero
uguale il piede. Qui stravince l'uomo.
VECCHIO:
E non potrai, se qui giungesse Oreste,
riconoscere il manto ond'era cinto
il dí ch'io lo salvai? Tu lo tessesti.
ElÅttra:
Non sai che quando Oreste esule andò
ero bambina? Ed anche avessi giÄ…
tessuto panni, e come dunque Oreste,
ch'era allora fanciullo, indosserebbe
lo stesso manto? A meno che non crescano
i panni insieme al corpo. No. La cosa
andò cosí: quel riccio lo depose
per pïetÄ…, sopra la tomba, un qualche
vïatore. Se pur, da questa terra
egli non ebbe indagatori...
VECCHIO:
E dove
sono i foresti? Io vorrei pur vederli,
notizie a lor di tuo fratello chiedere.
ElÅttra:
Eccoli: a pie' veloce escon di casa.
VECCHIO:
Nobili certo; ma non Å tutt'oro
quel che riluce: molti sono nobili
e tristi. Eppure,
(Volgendosi ai due giovani)
benvenuti gli ospiti!
ORESTE:
Salute o vecchio! - E questo antico rudere
d'uomo, di dove mai ti giunge, ElÅttra?
(Appena veduto Oreste, il vecchio rimane colpito. Poi durante
le battute seguenti, non ristÄ… dal guardarlo, girandogli anche
intorno, per esaminarlo bene da ogni parte)
ElÅttra:
Å questi l'aio che allevò mio padre.
ORESTE:
Che dici? Quei che pose in salvo Oreste?
ElÅttra:
Vive grazie a costui, se pure Å vivo.
ORESTE:
Ehi lí!
Perché mi guarda? A chi gli rassomiglio?
Pare che scruti il bollo dell'argento.
ElÅttra:
Forse ammira d'Oreste il coetaneo.
ORESTE:
L'amico. Ma perché mi gira attorno.
ElÅttra:
Ospite, anch'io lo guardo, e mi stupisco.
VECCHIO:
O ElÅttra, o figlia, dai Celesti implora...
ElÅttra:
Che cosa? Un bene prossimo o lontano?
VECCHIO:
Il tesoro ottener che un Dio ti mostra.
ElÅttra:
L'imploro sí; ma che vuoi dire, o vecchio?
VECCHIO:
L'uomo a te piÅ› diletto in costui mira!
ElÅttra:
Diventi folle? Å un pezzo ch'io lo temo.
VECCHIO:
Guardo il fratello tuo: perciò son pazzo?
ElÅttra:
Che inattese parole esprimi, o vecchio?
VECCHIO:
Che Oreste vedo, il figlio d'AgamÅnnone.
ElÅttra:
E quale segno hai scòrto, in cui mi fidi?
VECCHIO:
Questa piaga sul ciglio. Un giorno, mentre
nella casa paterna una cerbiatta
meco inseguiva, cadde, e si ferí.
ElÅttra:
Che dici? Å vero, il segno Å assai visibile.
VECCHIO:
E indugi ad abbracciar chi piÅ› t'Å caro?
ElÅttra:
O vecchio, no! Convinta m'ha la prova
che tu m'hai data. - Alfin, dopo sí lungo
tempo, tu mi sei presso!
ORESTE:
E a me tu presso.
ElÅttra:
Mai non l'avrei creduto.
ORESTE:
Ed io neppure.
ElÅttra:
Sei quello?
ORESTE:
L'alleato unico tuo.
ElÅttra:
............................
ORESTE:
Se la rete ch'or tendo io potrò stringere.
ElÅttra:
N'ho fede: ai Numi piÅ› non crederei,
se l'ingiustizia soverchiasse il giusto.
CORO:
Sei giunto, o giorno sí a lungo atteso,
sei giunto alfine, brilli, fai rutilo
splendere il fuoco per Argo acceso,
che andava errando
dalla paterna magione in bando.
Un Nume, un Nume, cara, la nostra
vittoria or mostra.
Leva le palme, leva la voce, preghiere ai Superi
volgi, perché
d'Argo con prospera sorte
il tuo fratello varchi le porte.
ORESTE:
E cosí sia: di questi abbracci io godo.
Ma tu giungi in buon punto, o vecchio. Dimmi
come al sicario di mio padre posso
infliggere la pena, ed a mia madre,
che d'empie nozze Å stretta a lui? Mi resta
qualche fedele amico in Argo, ancora?
Oppure tutto, al par della fortuna,
lí rovinò? Con chi posso incontrarmi?
E di notte o di giorno? E quale tramite
contro i nemici miei batter dovrò?
VECCHIO:
Nessun amico t'Å rimasto, o figlio,
nella sciagura. Å raro assai trovare
chi beni e mali insiem con noi partecipi.
Odimi or tu: spariti sino all'ultimo
sono gli amici tuoi, quando neppure
lasciasti ad essi la speranza; e solo
col tuo braccio potrai, con la fortuna,
recuperar l'avita reggia ed Argo.
ORESTE:
Che devo far, per giungere a tal mÅta?
VECCHIO:
Ad Egisto dar morte, ed a tua madre.
ORESTE:
Per tal trionfo io giungo qui. Ma come?
VECCHIO:
Varcar non puoi, pur lo volessi, i muri.
ORESTE:
Dalla guardia difeso Å di lancieri?
VECCHIO:
L'hai detto: egli ti teme, e mal riposa.
ORESTE:
E allora, tu dammi un consiglio, o vecchio.
VECCHIO:
M'Å venuta un'idea. Prestami orecchio.
ORESTE:
Possa tu parlar bene, io bene intenderti.
VECCHIO:
Veduto ho, mentre io qui venivo, Egisto.
ORESTE:
Intendo bene che vuoi dire. E dove?
VECCHIO:
Nei campi, dove quei cavalli pascono.
ORESTE:
A far che? Disperavo, e adesso spero.
VECCHIO:
Offerte appresta, parvemi, alle Ninfe.
ORESTE:
Per un pargolo nato, o ancor da nascere?
VECCHIO:
Sta per sgozzare un bove: altro non so.
ORESTE:
Con quanta gente? O solo egli coi servi?
VECCHIO:
D'Argo non v'era alcun: solo i domestici.
ORESTE:
Fra questi c'Å chi possa riconoscermi?
VECCHIO:
Son tutti servi che mai non t'han visto.
ORESTE:
E se vincessi, dalla mia starebbero?
VECCHIO:
Å tale, buon per te, dei servi l'indole.
ORESTE:
E come avvicinarmi a lui potrei?
VECCHIO:
Passa dinanzi a lui mentre ei sacrifica.
ORESTE:
Costeggiano la via, dunque, i suoi campi?
VECCHIO:
Ti vorrÄ… commensale al suo banchetto.
ORESTE:
Iddio lo voglia: commensale amaro!
VECCHIO:
Tu, secondo gli eventi, il resto avvisa.
ORESTE:
Tu dici bene. E mia madre, dov'Å?
VECCHIO:
In Argo; ma verrÄ… seco al banchetto.
ORESTE:
E perché con lo sposo insiem non venne?
VECCHIO:
Tardò. Temea dei cittadini il biasimo.
ORESTE:
Alla cittÄ… si sente invisa: intendo.
VECCHIO:
Appunto: odio riscote l'empia femmina.
ORESTE:
E come a un tempo l'uno e l'altra uccidere?
ElÅttra:
Di mia madre l'eccidio io compierò.
ORESTE:
Fortuna aiuto mi darÄ… per l'altro.
ElÅttra:
Due siamo: aiuto essa ad entrambi presti.
ORESTE:
Cosí sia. Come ucciderai la madre?
ElÅttra:
O vecchio, va da ClitemnÅstra, e dille
cosí: che a luce un pargoletto ho dato.
VECCHIO:
Che da un pezzo hai sgravato, o poco fa?
ElÅttra:
Che ai dí sono in cui pura Å la puerpera.
VECCHIO:
E in che ti giova questo, per ucciderla?
ElÅttra:
VerrÄ…, se mi saprÄ… fresca di parto.
VECCHIO:
E perché? Pensi che di te le importi?
ElÅttra:
Sino a pianger la sorte del mio pargolo.
VECCHIO:
E sia. La mia dimanda io ti rinnovo.
ElÅttra:
Se viene qui, di certo ella Å perduta.
VECCHIO:
Poniam ch'io l'abbia alle tue soglie addotta.
ElÅttra:
Presto saran per lei porte d'Averno.
VECCHIO:
Possa vedere tanto, e poi morire!
ElÅttra:
Ma prima d'ogni cosa, Oreste guida.
VECCHIO:
A guidarti io son pronto, e di buon grado.
ORESTE:
Giove padre, terror dei miei nemici...
ElÅttra:
abbi pietÄ…, ché di pietÄ… siam degni,
VECCHIO:
pietÄ… dei figli che da te discesero.
ORESTE:
Era, Dea degli altari di Micene...
ElÅttra:
fa' che vinciamo, se chiediamo il giusto,
VECCHIO:
che vendichino il padre a lor concedi.
ORESTE:
Padre, per empia man sotterra sceso,
ElÅttra:
diva Terra, su cui le palme batto,
VECCHIO:
questi figli diletti aiuta aiuta.
ORESTE:
Vieni, e reca alleato ogni defunto,
ElÅttra:
quanti i Frigi con te vinsero in guerra,
VECCHIO:
e quanti gli assassini empî aborriscono.
ORESTE:
M'ascolti, o tu che la mia madre uccise?
VECCHIO:
Sí, tutto ode tuo padre. Ora si vada.
ElÅttra:
E questo aggiungo: morir deve Egisto.
Ché, se tu poi soccomberai trafitto
da mortal colpo, morta anch'io sarò,
non creder ch'io piÅ› viva: entro il mio fegato
la spada a doppio taglio immergerò.
Rientro in casa e la preparo. E se
novella udrò di te fausta, la casa
tutta sarÄ… di gioia un grido: un Å‚lulo
di pianto, se morrai. Sappilo certo.
ORESTE:
Lo so certo.
ElÅttra:
Uomo adesso esser tu devi.
(Oreste parte col vecchio)
Amiche, adesso voi di quest'agone
segnalatemi i gridi. Io veglierò,
stringendo nella man pronta la spada.
Mai non sarÄ… che dai nemici vinta
ai loro oltraggi il corpo mio conceda.
(Rientra in casa)
CORO: Strofe prima
Å fama, e omai canizie
la copre antica: un dí,
Pan, dei monti custode,
che spira entro compagini ai calami
la soave melode,
alla madre rapí
dai monti d'Argo un riccioluto agnello,
che avea tutt'oro il vello.
E gridava l'araldo dai marmorei gradini:
«Correte, o cittadini,
correte tutti all'assemblea, vedete
il prodigio, il segnacolo
della felicitÄ… dei nostri príncipi!
E suonavan le case d'Atreo di danze liete.
Antistrofe prima
Le porte son degli aurei
santuarî dischiuse:
per tutta Argo scintilla
sopra gli altari il fuoco; e la bellissima
voce del flauto squilla,
ministro delle Muse;
e il vello d'oro suona in ogni canto,
onde Tieste ha vanto.
Avea questi in furtivo letto d'AtrÅo suasa
la moglie, e alla sua casa
addotto aveva il magico tesoro.
Onde, tornato al popolo
adunato, annunciò che in casa propria
esso aveva il cornigero agno dal vello d'oro.
Strofe seconda
Allora Giove i lucidi
sentier' degli astri, allora
mutò del sole il rutilo
vampo, ed il riso della bianca Aurora.
Quello alle plaghe esperie
la fiammëa sviò divina corsa;
mosser l'umide nubi, incontro all'Orsa;
e, priva di rugiada,
arida fu d'Ammone la contrada,
senza cader di Giove
le bellissime piove.
Antistrofe seconda
Narrano - e a ciò che narrano
di questo, io credo poco -
che il sol gli ardenti tramiti
sviò dell'aureo foco:
perché d'un uom giustizia
fosse, tutta patí l'umana prole.
Lucro le paurose umane fole
recan dei Numi ai riti.
Tu non pensasti a ciò, donna, d'arditi
eroi sorella, e a morte
ponesti il tuo consorte.
(Arriva da lungi un alto frastuono)
CORIFEA:
Ehi lÄ…, ehi lÄ…!
Udiste un grido, o vana illusïone
fu questa, amiche? Sotterraneo tuono
sembra di Giove. PiÅ› distinto sorge,
ecco, il rumor. Signora, ElÅttra, accorri!
(ElÅttra esce dalla casa)
ElÅttra:
Che avviene, amiche? A che punto Å l'agone?
CORO:
So questo solo: odo di morte un Å‚lulo.
ElÅttra:
L'ho udito anch'io, sebben lontana fossi.
CORO:
Certo: da lungi arriva, eppur distinto.
ElÅttra:
Å d'un argivo o degli amici miei?
CORO:
Non so: di gridi Å un'armonia confusa.
ElÅttra:
Di morir tu m'annunci. E che piÅ› indugio?
CORO:
Aspetta: il tuo destin piÅ› chiaro attendi.
ElÅttra:
No! Siamo vinti. Dove son gli araldi?
CORO:
Verranno: Å dura impresa un re trafiggere!
(Entra correndo un messaggero)
MESSAGGERO:
Vittorïose di Micene vergini,
il trionfo d'Oreste a tutti annunzio
gli amici: Å spento Egisto, d'AgamÅnnone
l'assassino: agli Dei grazie si rendano.
ElÅttra:
Chi sei tu? Puoi provar che dici il vero?
MESSAGGERO:
Non mi ravvisi? Un servo io son d'Oreste.
ElÅttra:
Non ti conobbi pel terrore. Adesso
ben ti conosco. Che m'annunzi? Å spento
l'odïoso uccisor del padre mio?
MESSAGGERO:
Å spento: se tu vuoi, posso ripeterlo.
ElÅttra:
O Numi, e tu, Giustizia onnipossente,
sei giunta alfine! Ma saper desidero
in che modo, con che trama di strage
Oreste il figlio di Tieste uccise.
MESSAGGERO:
Poiché dalla tua casa il pie' volgemmo,
via per la strada che di carri suona
movemmo al luogo ov'era di Micene
l'inclito re. Nei suoi giardini stava
irrigui d'acque, e i ramicelli teneri
recideva d'un mirto, a farne un serto
per la sua fronte. E ci vide, e gridò:
«Salute a voi. Chi siete, forestieri?
donde venite? di che terra figli?
Ed Oreste rispose: «Siamo TÅssali,
e per offrire un sacrificio a Giove
siam diretti all'AlfÅo. Quand'ebbe udito,
rispose Egisto: «Vi conviene adesso
presso me rimanere, e commensali
essere alla mia mensa: un bove immolo
oggi alle Ninfe. Partirete all'alba,
dimani, e in tempo giungerete ancora.
Entriamo in casa - e ci prendea per mano,
mentre cosí diceva, e ci guidava -
rifiutar non potete. E quando in casa
poi fummo, disse: «Ai forestieri il bagno,
quanto prima si può, qualcuno appresti,
ché intorno all'ara star devono, presso
l'acqua lustrale. E gli rispose Oreste:
«Ci siamo or or nei vortici d'un fiume
purificati in limpidi lavacri.
Pur, se prendere parte al sacrificio
coi cittadini devono i foresti,
non rifiutiamo, siamo pronti, Egisto.
Restò cosí questo discorso a mezzo.
E i servi suoi deposero le cuspidi,
del signore difesa; e tutti all'opera
volser le mani. Ed il bacino alcuni
recarono pel sangue, altri i canestri,
accendevano il fuoco altri, e caldaie
ponevan sulla fiamma: era la casa
tutta un frastuono. E i grani d'orzo prese
il drudo di tua madre, e li cosparse
sull'ara, e disse: «O Ninfe delle rocce,
fate ch'io spesso sacrifizi offrirvi
possa, e con me la sposa mia, di Tíndaro
la figlia; e a noi la sorte ognor propizia
volga, come ora volge, e acerba ai miei
nemici. - Oreste egli intendeva, e te.
Ma volse ai Numi il mio padrone, senza
profferire parola, il voto opposto:
di rïavere la paterna casa.
Egisto allora dal canestro prese
un coltello diritto, e della vittima
recise i crini, e con la destra sopra
la sacra fiamma li depose: quindi
il torello sgozzò, che sollevato
aveano i servi su le spalle, e disse
al tuo fratello: «Dicon che fra i TÅssali
Å pregio grande, se qualcuno un toro
scuoia con maestria, doma un puledro.
Un ferro impugna, stranïero, e mostra
che degni sono di tal fama i TÅssali.
E una dorica spada Oreste impugna
di salda tempra, da le spalle sfibbia
e via gitta il mantello, e sceglie Pílade
solo assistente al suo lavoro, e via
manda i famigli; e del torello il piede
stretto, distese il braccio, a nudo pose
le carni bianche, e la pelle scoiò
in men che dello stadio ambi percorre
col suo cavallo un corridore i bracci,
ed il fianco gli aperse. Egisto i visceri
nelle man' prese, e li osservò. Ma il fegato
era privo d'un lobo; e della bile
i canali eran pieni e le vescicole
d'escrescenze maligne. E scuro in volto
si fece allora; ed Oreste gli chiese:
«Perché t'abbatti? - «O stranïero, temo
un'insidia di fuori: un uomo vive,
il piÅ› nemico fra i mortali, il figlio
d'AgamÅnnone, infesto alla mia casa.
E l'altro disse: «D'un fuggiasco temi
dunque l'insidia, tu che sei signore
della cittÄ…? Ma su, ch'ora vogliamo
le frattaglie gustar. Datemi, invece
del coltello di Doria, uno di Ftia,
che gli fenda lo sterno. Ebbe il coltello
e tagliò. Prese Egisto anche quei visceri,
e li andava osservando ad uno ad uno.
Or, mentre stava a capo giÅ›, levandosi
sul sommo degli alści, il tuo fratello
lo colpí nella nuca, e la colonna
vertebrale gli franse. E tutto il corpo
fu tutto un sussultare; e in mezzo al sangue,
con agonia di doglia urli levava.
A quella vista, sśbito i famigli
misero mano all'armi, per combattere
in tanti, contro due. Stettero fermi
contro loro, da prodi, Oreste e Pílade,
le loro armi vibrando. E Oreste disse:
«Come nemico ad Argo e ai miei seguaci,
no ch'io non giunsi: chi mio padre uccise
a punir giunsi: Oreste io son, quel misero.
Ora non m'uccidete, o di mio padre
famigli antichi. E quelli, come udirono,
alzarono le lame; e un vecchio servo
lo riconobbe; e a tuo fratello sśbito,
con grida di vittoria e di trionfo,
ghirlandaron la fronte. Or giunge ei stesso,
e un capo reca a te, non della Gòrgone,
bensí dell'odio tuo, d'Egisto. Sangue,
di sangue usura, il morto ebbe in compenso.
CORO:
Lancia il piede alla danza, o diletta,
spicca un salto, con grazia, nell'Återe,
agilissima, al par di cervetta.
Tuo fratello trionfa: Å piÅ› nobile
il suo serto di quel che su l'onda
dell'Alfeo si guadagna: il tuo cantico
di vittoria ai miei balli risponda.
ElÅttra:
O luce, e raggio che dai quattro vibri
destrïeri del Sole, o Terra, o Notte
che velavi il mio sguardo, e adesso libero
attorno spazia, quando Egisto Å morto,
l'uccisore del padre! Or, quante gioie
chiude la casa, che le chiome adornino,
amiche, prenderò: ghirlande al capo
vô del fratel vittorïoso cingerne.
(Entra in casa)
CORO:
Da tua man le ghirlande profuse
siano dunque al suo crin: danze intreccia
la mia schiera diletta alle Muse.
Quei che re prediletti giÄ… furono,
riavranno il poter: fu giustizia
che uccidessero gli empî. Coi flauti
or si levi clamor di letizia.
(Intrecciano danze gioiose)
(Torna ElÅttra; e quasi nello stesso punto arrivano Oreste
e Pílade, seguíti da servi che portano il cadavere di Egisto)
ElÅttra:
O vincitore, o figlio di chi vinse
nella guerra di Troia, Oreste, accetta
questa ghirlanda che i tuoi crini avvolga.
Trionfatore dell'inutil gara
dei sei stadî non giungi, anzi uccidesti
chi me, chi te privò del padre, Egisto.
E tu, compagno suo, Pílade, alunno
del piÅ› pio fra i mortali, il serto accogli
dalla mia mano: parte ugual ti spetta
di questo agone. Oh, siate ognor felici!
ORESTE:
Primi di tal fortuna operatori
reputa i Numi, ElÅttra; e dopo, loda
me, degli Dei ministro e della Sorte.
A fatti e non a ciance Egisto uccisi;
e perché possa ognun chiaro vederlo,
il corpo stesso a te portai. Tu ponilo,
se ti piace cosí, preda alle fiere,
o, confitto in un pal, pasto agli uccelli
figli dell'aria; ch'Å tuo servo adesso
colui che giÄ… chiamato era Signore.
ElÅttra:
Scrupolo mi trattiene; eppur vorrei...
ORESTE:
Che? Parla! Sei d'ogni timore libera.
ElÅttra:
Se un morto oltraggio, posso averne biasimo.
ORESTE:
Niun v'Å che possa fartene rimprovero.
ElÅttra:
Maldicente e maligna Å la cittÄ….
ORESTE:
L'odio che ci divide Å senza legge,
senza pietÄ…: parla, se vuoi, sorella.
ElÅttra (Volge la parola al cadavere di Egisto):
E sia. Ma quali delle ingiurie debbo
dirti in principio, quali in fine, e quali
nel mezzo del discorso? Eppure, ogni alba
mormoravo fra me - dimenticato
mai non l'ho - quello che t'avrei pur detto
a faccia a faccia, ove un dí fossi libera
dagli antichi terrori. Ora ci siamo:
le contumelie, che da vivo dirti
voluto avrei, riceverai da morto.
Tu m'hai distrutta, ed orfana del padre
me rendesti e costui, che fatto ingiuria
non t'avevamo, e turpemente sposo
fosti a mia madre, e uccidesti lo sposo
suo, che guidati aveva in Frigia gli EllÅni,
e tu non c'eri. E a tal follia giungesti
poi, che, sposata mia madre, credesti
che non sarebbe una compagna trista
per te, mentre insozzato avevi il letto
pur di mio padre. Oh, sappia, chi sedusse
l'altrui consorte nei furtivi amplessi,
ed a sposarla Å poi costretto: povero
lui, se s'illude, che serbi con lui
quell'onestÄ… che non serbò con l'altro.
Miserrima era la tua vita, e tu
non la credevi misera. Sapevi
che un empia sposa era la tua: mia madre
sapeva che il suo sposo era un sacrilego:
entrambi tristi, dissimulavate
essa la tua tristizia, e tu la sua.
E correva per tutta Argo una voce:
«La moglie Å l'uomo, e il marito la donna.
E che vergogna, che la donna in casa
sia padrona, e non l'uomo; e che disgusto,
quando i figli in cittÄ… vedo che prendono
il nome della madre, e non del padre.
Ma giÄ…, chi stringe un matrimonio troppo
al disopra di lui, troppo fastoso,
nessun parla di lui, ma della moglie.
Ma l'ignoranza tua qui fu piÅ› illusa:
tu presumevi d'essere qualcuno
per le tue gran ricchezze; e le ricchezze
durano un tempo assai breve. Il carattere
e non giÄ… le ricchezze, Å un bene stabile,
che mai non t'abbandona, e i mali supera.
Ma le ricchezze d'empio acquisto, in mano
degli stolti, per breve ora fioriscono,
e vanno in fumo. Delle donne taccio,
ché non convien parlarne, ad una vergine;
ma chiari enimmi pur dirò. Sfrontato
eri, ché della reggia eri signore,
e approfittavi della tua beltÄ….
Oh, mai beltÄ… lo sposo mio non abbia
di fanciulla, bensí viril costume:
son d'un tal uomo i figli a Marte uniti:
i belli sono sol fregio alle danze.
Vanne in malora: infin s'Å visto che
nulla intendevi, ed hai pagato il fio.
E niun malvagio, allor ch'Ä… superato
il primo braccio dello stadio, immagini
d'avere vinta la Giustizia, innanzi
che non abbia la mÅta ancor toccata,
e non sia giunto della vita al termine.
CORIFEA:
Orrendi i suoi delitti, orrenda fu
la pena: gran potere ha la Giustizia.
ORESTE:
Su, famigli, recar dentro la salma
e celarla nell'ombra occorre: quando
giunga mia madre, scorgere il cadavere
non deve, pria che spenta ella procomba.
ElÅttra:
Taci, a un altro discorso ora volgiamoci.
(Si vede ClitemnÅstra giunger da lontano su un cocchio)
ORESTE:
Che vedo? Aiuti da Micene giungono.
ElÅttra:
No, ma la madre che mi generò.
ORESTE:
Fulgido il cocchio, e fulgide le vesti.
ElÅttra:
In bell'arnese entro le reti piomba.
ORESTE:
Che far dobbiam di nostra madre? Ucciderla?
ElÅttra:
PietÄ… ti vince, nel veder la madre?
ORESTE:
AhimÅ!
Mi generò, mi nutrí! Come ucciderla?
ElÅttra:
Com'ella uccise mio padre, tuo padre.
ORESTE:
Febo, quanto fu stolto il tuo responso...
ElÅttra:
E chi savio sarÄ…, se stolto Å Febo?
ORESTE:
che uccidessi la madre! E come Å lecito?
ElÅttra:
E danno avrai quando il tuo padre vendichi?
ORESTE:
Matricida sarò, quand'ero puro!
ElÅttra:
Empio sarai, se tuo padre non vendichi.
ORESTE:
A mia madre scontar dovrò la pena.
ElÅttra:
E a chi la sconterai, se il padre oblii?
ORESTE:
Non forse il Dio, ma parlò tristo un DÅmone.
ElÅttra:
Dal tripode d'Apollo? Io non lo credo.
ORESTE:
Fede io non ho che sia savio responso.
ElÅttra:
Non esser fiacco, non codardo: muovi
e tendi a lei la stessa frode ond'essa
lo sposo trucidò, per man d'Egisto.
ORESTE:
Entro: l'impresa Å orribile, ed orribile
Å ch'io la compia; ma se i Numi vogliono,
sia: ma per me non Å che amaritudine.
(Entra in casa)
(Sopra un cocchio giunge ClitemnÅstra, magnificamente vestita.
La segue uno stuolo di schiave troiane)
CORO:
O Signora che d'Argo hai l'impero,
o figlia di Tíndaro,
o sorella dei due valorosi
figliuoli di Giove, che vivono
fra le stelle, nell'Åtra di fiamma,
ed hanno virtÅ› salutari,
fra la romba del mare, per gli uomini,
salute! Io ti venero al pari
degli Dei, per la grande opulenza,
per la prospera sorte. La tua
fortuna, convien che tu sappia
custodire. O regina, salute.
ClitemnÅstra:
Discendete, o Troiane, e a me porgete
la man, sí ch'io dal cocchio a terra scenda.
Son delle frigie spoglie i templi adorni:
io queste donne, elette nella Tròade,
della figlia perduta ebbi in compenso:
Å piccol dono, eppur la casa adorna.
ElÅttra:
E dunque, io non potrò, poiché bandita
fui dalla casa di mio padre, e vivo
come una schiava in questa casa misera,
toccare, o madre, la tua man beata?
ClitemnÅstra:
Le mie schiave ho: per me non affannarti.
ElÅttra:
E che? Non m'hai da casa mia bandita,
come schiava di guerra? A sacco fu
posta la casa: al par di queste, ch'orfane
rimasero del padre, io fui prigione.
ClitemnÅstra:
Tali i disegni di tuo padre furono,
ch'egli tramò contro chi non doveva,
contro i piÅ› cari suoi. Dirò, sebbene
quando una donna ha mala fama, tutto
ciò ch'ella dice, sa d'amaro, come
avviene a me, pur non a dritto. I fatti
saper bisogna; e quando io meritato
abbia l'odio, sarÄ… giusto odïarmi.
Ma se questo non Å, perché tant'odio?
Tíndaro, il padre mio, mi diede al padre
tuo, non perché ponesse a morte me,
né la mia figlia. E quello, col pretesto
delle nozze d'Achille, Ifigenía
fece venire dalla casa ad Ä„ulide,
l'intoppo delle navi. Å qui, distesa
sopra la pira la fanciulla, il candido
fior delle guance ne mieté. Ché s'egli,
per tener lungi dalla patria il sacco,
per giovare alla casa, o per salvezza
degli altri figli, uccisa una ne avesse
a vantaggio di molti, a lui concedere
perdono si potea. Ma no. Perché
Elena fu lasciva, e Menelao
punir non seppe la sua moglie adultera,
morte diede per questo alla mia figlia.
Ma, sebbene oltraggiata, io non per questo
sarei feroce divenuta, e morte
non avrei dato al mio consorte. Ma,
tornò recando una fanciulla, invasa
MÅnade, e al letto suo l'ebbe compagna;
e due spose eravam sotto un sol tetto.
Lascive son le donne, io non lo nego;
ma quando Å pur cosí, se mai lo sposo
rompe la fede e il talamo dispregia,
ciò ch'egli fa vuol far la sposa, e prendere
un altro amante. E poi, tutto lo scandalo
scoppia su noi, né mala fama lucrano
gli uomini, ch'han la colpa. Or dimmi, se
di furto Menelao rapito avessero,
dalla sua casa, avrei dovuto uccidere
Oreste io forse, per salvar lo sposo
di mia sorella, Menelao? Tuo padre
sopportato l'avrebbe? E morte ei dunque
non meritò, quando i miei figli uccise,
ma tollerarlo io devo? Io sí, l'uccisi.
E lÄ… mi volsi ove soltanto schiuso
un tramite vedevo: ai suoi nemici:
ché degli amici di tuo padre, aiuto
chi mai dato m'avrebbe a quell'eccidio?
Ora parla, se vuoi, liberamente:
prova che a torto fu tuo padre ucciso.
CORIFEA:
Giusti argomenti adduci, e insieme turpi.
Una moglie assennata, in tutto cedere
deve allo sposo; e le idee d'una femmina
che ciò non crede, io non le so discutere.
ElÅttra:
Ricorda, o madre, quanto in fin dicesti:
tu m'hai concessa libera parola.
ClitemnÅstra:
Né mi disdico, e lo ripeto, o figlia.
ElÅttra:
Vedi che, udendo, poi vorrai punirmi.
ClitemnÅstra:
No; voglio ai sensi tuoi dolcezza opporre.
ElÅttra:
Sia, parlerò. Del mio discorso tale
sarÄ… l'esordio: oh, se piÅ› onesto l'animo
tuo fosse stato, o madre mia! Ché lode
di bellezza avevate Elena e tu,
a buon diritto; ma la mente futile
d'entrambe le sorelle era, e di CÄ…store
non degna. Quella si lasciò rapire
di suo buon grado, e andò in rovina; tu,
al tuo sposo che primo era fra gli EllÅni,
morte infliggesti; ed il pretesto fu
che l'uccidevi a vendicar la figlia.
Però, quello ch'io so, non tutti sanno.
Pria che deciso il sacrificio fosse
della tua figlia, quando appena uscito
era lo sposo dal palagio, tu
allo specchio dinanzi, i biondi riccioli
della chioma aggiustavi; ed una femmina
che quando lungi Å suo marito, cura
la sua bellezza, scrivila nel numero
delle malvage. E che bisogno ha mai
di parer bella fuor di casa, quando
non pensa a male? E per le donne ellÅne
io solo questo so: quando ai Troiani
arrideva fortuna, era una festa
per te: quando perdevano, aggrottavi
il sopracciglio: che il tuo sposo d'Ilio
piÅ› non tornasse, tu bramavi. Eppure,
quali opportunitÄ… non ti s'offrivano
di rimanere onesta! Oh, ma d'Egisto
era da men lo sposo tuo, che gli EllÅni
aveano eletto loro duce. Ed era
cagione a te d'acquistare alta fama
la colpa onde fu rea la tua sorella
Elena: il vizio, col suo triste aspetto,
mette in rilievo la virtÅ› dei buoni.
- Il padre, dici tu, la figlia uccise.
Ma io, ma il fratel mio, che torto dunque
t'abbiamo fatto? E perché, quando ucciso
lo sposo avesti, a noi la casa avita
non consegnasti, e l'altrui ben recasti
al drudo tuo, per conquistare a prezzo
le nuove nozze? Ed esule il tuo sposo
per l'esilio d'Oreste ora non va,
morto non Å, per espiar la morte
mia: ché, se morta Å pur la mia sorella,
ei due volte, sebben viva, m'uccise.
E se l'eccidio vendicar l'eccidio
deve per giusta legge, Oreste, il tuo
figliuolo, ed io, per vendicare il padre
dovremo uccider te: se fu giustizia
la tua, sarÄ… giustizia anche la nostra.
Oh, stolto l'uomo che, prezzando troppo
ricchezza e nobiltÄ…, sposa una trista
femmina: meglio delle illustri nozze
giova una moglie onesta avere in casa.
CORIFEA:
Gli uomini a caso scelgono le mogli:
uno ha prospera sorte, ed uno avversa.
ClitemnÅstra:
Del padre amica, o figlia mia, per indole
tu sei. Cosí succede. Alcuni tengono
dall'uomo, ed altri amano piÅ› la madre.
Ma ti perdóno. Lieta esser di come
ti comporti con me, non posso, o figlia.
Ma cosí, senza bagno, e in vesti misere,
figlia ti trovo, quando sei puerpera,
fresca di parto. Oh me misera, quanto
male avvisata fui! Troppo oltre il segno
mi spinse l'ira contro il mio consorte.
ElÅttra:
Tardi tu gemi, quando non c'Å farmaco.
Ma perché dall'esilio il figlio tuo
tu non richiami, che fuggiasco vive?
ClitemnÅstra:
Temo. A me piÅ› che a lui provvedo; e in furia
Å per l'eccidio di suo padre, narrano.
ElÅttra:
Come il tuo sposo Å contro noi, si dice.
ClitemnÅstra:
Å l'umor suo. Non sei tu pure acerba?
ElÅttra:
Perché soffro. Ma l'ira io deporrò.
ClitemnÅstra:
E anch'ei crudo con te piÅ› non sarÄ….
ElÅttra:
Gran cuore sí. Ma nei miei tetti vive.
ClitemnÅstra:
Lo vedi? A nuove liti esca tu porgi.
ElÅttra:
Taccio. Come temer lo debbo, il temo.
ClitemnÅstra:
Basta. Ma di', perché m'hai qui chiamata?
ElÅttra:
Notizia del mio parto avesti, io credo.
Della decima luna il sacrificio
offri pel bimbo, com'Å l'uso: io pratica
non sono, ché finor non ebbi pargoli.
ClitemnÅstra:
Di chi raccolse il bimbo Šquesto il cómpito.
ElÅttra:
Sola il parto affrontai, partorii sola.
ClitemnÅstra:
Tanto priva d'amici Å la tua casa?
ElÅttra:
Nessuno vuole per amici i poveri.
ClitemnÅstra:
Allora vado, e il rito ai Numi celebro
per i giorni compiuti. E quando a te
questa grazia avrò resa, ai campi muovo,
dove alle Ninfe il mio sposo offre vittime.
Su, nei presepî questo carro, o servi,
alle greppie recate; e quando tempo
vi parrÄ… che compiuto abbia il mio rito,
tornate: compiacer debbo il mio sposo.
(I servi si allontanano col carro)
ElÅttra:
Entra nella mia povera capanna;
e bada, ché la volta affumicata
non imbratti il tuo peplo. Il sacrifizio
ai DÅmoni offrirai ch'essi pur chiedono.
(ClitemnÅstra entra)
Pronto Å il canestro, e affilato il coltello
che sgozzò il toro, presso cui cadrai
tu pur colpita: anche in Averno sposa
sarai dell'uom che concubina t'ebbe
pur nella vita. Io tale grazia a te,
tu darai tal compenso al padre mio.
(Entra anch'essa)
CORO: Strofe
Col male il male si pÅrmuta: spirano
contrarî venti su questa progenie.
Allora cadde nel bagno il mio principe,
e i marmorei vestigi e i penetrali
della reggia echeggiarono, quando il sire gridò:
«O donna infame, giungo dopo dieci novali
alla mia casa, e quivi per mano tua morrò!
Antistrofe
Ora, colpisce Giustizia la femmina
che ruppe fede al suo letto, che al misero
sposo, che in patria, che ai muri ciclopici
erti al ciel, dopo lunga ora pervenne,
con un'arma affilata, di sua mano die' morte.
Tu scellerata, in pugno brandisti la bipenne!
Checché patito avessi, era pur tuo consorte!
Epodo
Al par di lionessa, che pasce fra montani
folti querceti, essa lo fece a brani.
(Dall'interno della capanna si levano altissime grida)
ClitemnÅstra:
In nome degli Dei, non uccidete
la madre, o figli!
CORO:
Entro il tugurio odi suonare gemiti?
ClitemnÅstra:
AhimÅ, ahimÅ!
CORO:
Levo anch'io grida: ché i figli l'uccidono.
Giustizia il Nume, come venne il dí
fatal, partisce: il mal che soffri Å orribile
e orribile lo sposo male da te soffrí.
Vedi, costoro dal tugurio giÄ…
escono, intrisi della nuova strage
della lor madre, ostentano il trofeo.
Onde il misero nome ognora avranno.
Dei TantÄ…lidi al mondo non c'Å piÅ›
sventurato lignaggio, e mai non fu.
(Rientrano Oreste, ElÅttra e Pílade. Si apre la porta della
capanna, e l'enciclema porta avanti i corpi spenti di Egisto
e di ClitemnÅstra)
ORESTE: Strofe prima
O Terra, o Giove, che tutte l'opere
scorgi degli uomini, questi cruenti
scempî esecrandi mirate: giacciono
al suolo questi due corpi spenti,
e li colpiva la mia man, vindice
dei miei tormenti.
.................................
.................................
ElÅttra:
Lagrimevoli troppo! E mia, diletto,
fu la colpa: per questa madre ond'io nacqui parvola,
fuoco m'ardea nel petto.
CORO:
O madre, assai fu misera
tua sorte! Orrendo, e piÅ›
che orrendo, fu lo scempio
dei figli; e giusto esempio
espiare lo sposo anch'esso fu.
ORESTE: Antistrofe prima
Niun la giustizia pur vede, o Apòlline,
dei tuoi responsi: ben manifesti
sono i cordogli che infliggi: all'Ellade
di sangue un'orrida legge ponesti.
A quale or posso cittÄ… rivolgermi?
Mia madre uccisi: qual uomo pio
leverÄ… gli occhi sul volto mio?
ElÅttra:
AhimÅ, ahimÅ, a quale danza, a quale
imenÅo potrò volgermi? Qual vorrÄ… sposo accogliermi
nel letto nuzïale?
CORO:
Di nuovo, ecco, il tuo spirito
muta: col vento va.
Pia ti dimostri adesso;
ma pia non fosti: il tuo fratel perplesso
era; e la tua parola indotto l'ha.
ORESTE: Strofe seconda
Vedesti come al peplo mio la misera
s'afferrò, mentre l'uccidevo, come
il seno ella mostrò, mentre precipite
cadeva, ond'ebbi vita? Io, per le chiome...
CORO:
Soffristi, assai lo so,
allor che udisti della madre l'Å‚lulo
che in grembo ti portò.
ORESTE: Antistrofe seconda
La mano al mento mio protese, e il misero
grido mandò: «Ti supplico, figliuolo!,
e la mano tendeva alla mia guancia,
sí che di man mi cadde il ferro al suolo.
CORO:
Misero! E come il ciglio
fissar potesti sopra lei, che l'anima
spirava? Eri suo figlio!
ORESTE: Strofe terza
Il manto stesi sopra gli occhi miei,
e l'eccidio compiei,
cacciando il ferro alla mia madre in gola.
ElÅttra:
Io con la mia parola
l'esortai, stesi anch'io la mano al brando.
CORO:
Orrido scempio, e su ogni altro nefando.
ORESTE: Antistrofe terza
Copri col manto il corpo senza vita,
componi la ferita. -
Ahi, gli assassini tuoi portasti in grembo!
ElÅttra:
Ti copra questo lembo,
madre cara e non cara!
CORIFEO:
Della tua casa ecco la fine amara!
(Al disopra della casa appaiono i Diòscuri)
CORIFEA:
Oh, vedete che immagini apparvero
in vetta alla casa, di DÅmoni,
o d'urÄ…nidi Numi! Ché quella
la via de' mortali non Å!
Perché dunque si mostran visibili
all'occhio mortale?
UNO DEI Diòscuri:
D'AgamÅnnone figlio, odi. Ti chiamano
i due fratelli di tua madre, i gÅmini
figli di Giove: CÄ…store e Polluce.
Salvato or or da un'orrida tempesta
nel mare un legno, siam venuti in Argo,
poiché l'eccidio della madre tua,
della nostra sorella, abbiam veduto.
Giusta la morte fu; ma non fu giusta
l'opera tua: Febo, sí, Febo - taccio
ché mio signore egli Å - sebbene saggio,
non die' saggio responso. E rassegnarsi
certo conviene; ma tu devi compiere
quanto per te la Parca e Giove impongono.
DÄ… sposa ElÅttra a Pílade, che seco
l'adduca in patria; ed Argo lascia tu,
ché calpestare il suolo non t'Å lecito
ove alla madre desti morte. Orribili
l'Erinni, Dee visi di cagne, a fuga
t'incalzeranno; e, folle errando, andrai.
Quando in Atene sarai giunto, stringiti
di Palla al santo simulacro. Il clipeo
con l'effigie gorgonia a te sul capo
protenderÄ…, le scaccerÄ… sgomente,
ché con l'orride serpi a te non possano
avvicinarsi piÅ›. Di Marte il poggio
Å qui, dove gli DÅi prima sederono,
d'un misfatto di sangue a dar giudizio,
quando Are diede ad Alirrotio morte,
figlio del Dio del mare, a far vendetta
della sua figlia vïolata. Å qui
santissimo il suffragio ed infallibile,
che proviene da un Nume; e qui tu devi
la sentenza affrontar del tuo misfatto.
Ti salverÄ… la paritÄ… dei voti
dalla pena di morte: il Nume ambiguo
che t'imponeva la materna strage
ne assumerÄ… la colpa. E pel futuro
questa legge varrÄ…, che i voti pari
prosciolto sempre l'accusato mandino.
Ma dal corruccio queste Dee terribili
colpite, al poggio presso, in fondo a un baratro
sprofonderanno; e avrÄ… sede un oracolo
qui pei mortali, santo e venerabile.
E tu d'Arcadia una cittÄ… dovrai
sopra i rivi d'Alfeo per sede avere,
di LicÅo presso al tempio; e nome avrÄ…
quella cittÄ… da te: questo a te dico.
Alla salma d'Egisto, i cittadini
d'Argo daran sepolcro; ed a tua madre
darÄ… sepolcro Menelao, che giunse
solo or, dal dí che Troia prese, a Nauplia,
ed Elena con lui. Vien dalla reggia
di Pròtëo costei, vien dall'Egitto,
e mai tra i Frigi non andò. Ma volle
Giove che risse, che sterminio fossero
fra i mortali, e un'immagine plasmò
pari ad Elena, e ad Ilio la mandò.
E la vergine sposa adduca Pílade
dalla terra d'Acaia alla sua patria;
e quei che tuo cognato Å sol di nome,
alla Fòcide adduca, e copia molta
di ricchezza gli dia. Tu sopra il giogo
dell'Istmo il pie' sospingi, e al tempio récati
di CÅcrope felice. E alfine libero
da queste pene, avrai prospera vita.
CORIFEA:
O figliuoli di Giove, Å concesso
rivolgere a voi la parola?
IL Diòscuro:
Å concesso; voi lorde non siete
di questo assassinio.
ORESTE:
O TindÄ…ridi,
anche a me favellare Å concesso?
IL Diòscuro:
Anche a te: questa impresa omicida
la imputo ad Apollo.
ORESTE:
Come mai, Numi essendo, e fratelli
dell'estinta, lontan dalla casa
non teneste le Parche?
IL Diòscuro:
La forza
del Destino sospinse gli eventi,
e di Febo il men saggio responso.
ElÅttra:
Ma qual Febo, ma quali responsi
della madre assassina me resero?
IL Diòscuro:
Fu comune lo scempio, e comune
il destino; la colpa dei padri
su entrambi pesò.
ORESTE:
O sorella, poiché dopo tanto
t'ho visto, rimango
dei tuoi balsami subito privo,
e ti lascio, e tu devi lasciarmi.
IL Diòscuro:
Uno sposo una casa possiede:
altro male costei non patisce
che d'Argo lasciar la cittÄ….
ElÅttra:
E qual cosa e piÅ› degna di lagrime,
che lasciar della patria i confini?
ORESTE:
Ed io lascio la casa dei padri,
ed affido ad estraneo suffragio
il giudizio del mio matricidio.
IL Diòscuro:
Fa' cuore: di PÄ…llade
la cittÄ… troverai pïetosa.
ElÅttra:
Al mio seno il tuo seno avvicina,
fratello diletto,
ché lungi dai tetti paterni
l'Erinni cruente
della madre ci tengon divisi.
ORESTE:
Su via, stringiti a me: scorra, come
sul sepolcro d'un morto, il tuo pianto.
IL Diòscuro:
AhimÅ, ahi, tu pronunci parole
dolorose anche ai Numi che l'odono:
ché nel cuor mio, nel cuor degli UrÄ…nidi,
c'Å pietÄ… pei tapini mortali.
ORESTE:
PiÅ› veder non ti debbo.
ElÅttra:
Vicina
al tuo sguardo mai piÅ› non sarò.
ORESTE:
Per me sono questi gli estremi
tuoi detti.
ElÅttra:
Salute,
o mia patria! Salute, o compagne.
ORESTE:
Parti giÄ…, fedelissimo cuore?
ElÅttra:
Vado; e molle Å di pianto il mio ciglio.
ORESTE (A Pílade):
Parti lieto; ed ElÅttra tua sposa,
o Pílade, sia.
(ElÅttra e Pílade partono)
IL Diòscuro:
Delle nozze pensiero egli avrÄ….
(Appaiono da lontano le Erinni)
Ma tu fuggi ad Atene: da queste
cagne fuggi: ché il piede terribile
su te spingono: han negra la pelle,
per mani hanno serpi, di spasimi
dolorosi e la loro pastura! -
(Oreste fugge)
Sopra il mar di Sicilia in gran fretta
noi moviamo, a salvare le prore
ch'ivi inoltrano. I piani dell'Återe
trascorrendo, agl'iniqui soccorso
rifiutiamo; ma quanti hanno cara
la pietÄ…, la giustizia, noi sciolti
rimandiamo dai duri travagli,
li salviamo. Perciò d'ingiustizia
nessuno si macchi,
né navighi insieme a spergiuri.
Questo dico ai mortali, io Celeste.
(I Diòscuri spariscono)
CORO:
Siate lieti. Il mortal che può vivere
in letizia, né colpo lo fiacca
del destino, puoi dirlo felice.