GEORGES SIMENON.
LA TRAPPOLA DI MAIGRET.
La corporatura pesante, lo sguardo distante o assorto, secondo le circostanze, i denti ostinatamente serrati sul cannello della pipa: ecco il commissario Maigret, personaggio da romanzo e al tempo stesso eroe di una leggenda ormai nota in tutto il mondo, quella del geniale e tenace segugio del Quai des Orfèvres, la sede della polizia parigina.
Maigret, questa volta, deve risolvere un problema delicato: ben cinque donne sono state uccise nel quartiere di Montmartre, senza un chiaro movente e senza che il colpevole abbia lasciato la minima traccia del suo passaggio. Si tratta evidentemente dell'opera di un folle, e Maigret è costretto ad analizzare le mosse, a ricostruire mentalmente la psicologia tortuosa dell'individuo al quale dà la caccia, intuendone le motivazioni piú recondite, prevedendone il comportamento; basterà fargli compiere un passo falso, pensa il commissario, perché l'assassino possa essere identificato e, finalmente, assicurato alla giustizia.
Si tratta di un affascinante gioco psicologico, ma Maigret non può dedicarvisi con la calma che la situazione richiederebbe: infatti, l'opinione pubblica è sconvolta, e la paura che il maniaco di Montmartre possa mietere nuove vittime ingigantisce di giorno in giorno. Serrato da presso dal tempo, Maigret escogita e fa scattare una trappola ingegnosa, che dovrebbe stroncare una volta per tutte la micidiale attività del criminale senza volto.
La trappola di Maigret è un romanzo d'atmosfera, carico di suspense, quale solo ce lo può offrire Georges Simenon, la cui arte sottile e raffinata fa partecipare il lettore, momento per momento, alla caccia mortale
CAPITOLO 1
Dalle tre e mezzo in poi, Maigret cominciò a sollevare di tanto in tanto la testa per guardare l'ora. Alle quattro meno dieci, siglò l'ultima pagina dei suoi appunti, spinse indietro la poltrona, si passò il fazzoletto sul viso, esitò tra le cinque pipe che si trovavano nel portacenere e che aveva già usate senza darsi poi la pena di vuotarle. Con il piede aveva premuto un campanello sotto la scrivania e adesso qualcuno bussava alla porta. Mentre si tergeva il sudore con un fazzoletto tutto spiegato, Maigret grugní: « Avanti! »
Era l'ispettore Janvier che, come il commissario, si era tolto la giacca.
« Fa' battere a macchina questa roba. Appena pronta, la voglio per la firma. »
Era il 4 agosto. Le finestre spalancate non davano il minimo sollievo, anzi dall'esterno penetrava un'aria calda che sembrava esalare dall'asfalto molle, dalle pietre roventi, dalla Senna stessa.
Maigret si alzo come se compisse uno sforzo, si scelse una pipa che riempí con cura dopo averla ripulita, e si avvicinò a una finestra.
Mentre se ne stava immobile per alcuni minuti, tirando robuste boccate di fumo, vide fermarsi un tassí. Ne scesero tre uomini. La piú familiare delle tre figure era quella di Lognon; visto da lontano, l'ispettore del XVIII distretto appariva ancora piú piccolo e magro di quanto non fosse in realtà.
Maigret aprí la porta che dava nell'ufficio degli ispettori.
« Il Barone è nel corridoio? »
« Da circa mezz'ora, capo. »
« Nessun altro giornalista ? »
« Due minuti fa è arrivato Rougin. »
« Fotografi ? »
« Uno solo. »
Tutto si svolgeva secondo le previsioni. Maigret, con passo pesante e l'aria preoccupata, rientrò nel suo ufficio. Dieci minuti piú tardi, nel lungo corridoio della Polizia Giudiziaria si svolgeva una scena divenuta ormai familiare. Lognon e un altro ispettore del XVIII, un còrso che si chiamava Alfonsi, salivano adagio la scala tenendo tra loro un uomo che sembrava a disagio e si celava il viso con il cappello .
Il Barone e il suo collega Jean Rougin si precipitarono, mentre il fotografo già puntava l'obiettivo sul gruppetto.
« Chi è ? »
Se due ispettori portavano al Quai des Orfèvres uno sconosciuto che cercava di nascondersi il volto, non poteva esserci che una spiegazione .
« E per Maigret ? »
Lognon, senza rispondere, si diresse verso la porta di Maigret, e bussò leggermente. I tre personaggi sparirono all'interno, e la porta fu r ichiusa.
« L'hai preso bene? » domandò Rougin al fotografo.
« Sí, a parte il fatto che aveva la faccia nascosta dal cappello. »
« Sempre cosí. Manda subito la foto al giornale e torna qui ad aspettare. »
Poco dopo Alfonsi riapparve nel corridoio.
« Chi è? » gli domandarono. « Un nuovo indiziato? »
« Domandatelo al commissario Maigret » si schermí l'ispettore, imbarazzato .
« Immagino che se fosse l'assassino lo avreste ammanettato, no? »
Alfonsi s'allontanò, con l'aria desolata di chi vorrebbe dire di piú; nel corridoio tornò la calma.
Alle sei, il cameriere della birreria Dauphine portò un vassoio carico di bicchieri. Quando si faceva portare in ufficio un vassoio di birre, Maigret prevedeva di aver da fare per parecchio.
Poco dopo Maigret uscí dall'ufficio, sempre senza giacca e, con aria molto affaccendata, si diresse verso l'ufficio del capo.
Era un nuovo indizio: la Polizia Giudiziaria si preparava a vivere una delle sue serate importanti e i due cronisti pensarono a certi interrogatori che s'erano a volte protratti anche per piú di ventiquattro ore, senza che nessuno fosse mai riuscito a scoprire quel che avveniva di là dalle porte sbarrate.
Maigret rimase dal capo per circa mezz'ora, poi tornò nel suo ufficio allontanando i cronisti con un gesto annoiato.
L'andirivieni si intensificava sempre piú. Janvier era uscito in gran fretta ed era sparito all'interno di un'automobile della P. G. per tornare poco dopo. Lucas andava e veniva, indaffarato, la fronte imperlata di sudore. Lapointe faceva sporadiche apparizioni, cosí pure Torrence, Mauvoisin, nuovo del servizio, e altri ancora che i cronisti cercavano di trattenere mentre passavano, senza però riuscire a cavarne la minima indiscrezione.
Di lí a poco giunse la Maguy, la giovane cronista di un quotidiano del mattino, che appariva tanto fresca da far dubitare che il termometro avesse segnato trentasei gradi all'ombra per tutta la giornata.
« Quanti sono là dentro? » s'informò, indicando la porta di Maigret.
« Cinque o sei. E impossibile contarli. Entra ed esce gente di continuo. Hanno l'aria di alternarsi nell'interrogatorio. »
« Riescono a farlo cantare? »
« In ogni caso, quel tizio comincerà a vederla brutta. »
Alle sette e mezzo, i cinque rappresentanti della stampa che si trovavano nel corridoio videro venire su il cameriere della birreria Dauphine con un altro vassoio carico di bicchieri di birra e di panini.
Ormai era chiaro: qualcosa di grosso bolliva in pentola. A uno a uno, i cronisti si trasferirono in un piccolo ufficio in fondo al corridoio, per telefonare ai loroiornali.
Alle otto e mezzo, Maigret aprí la porta dell'ufficio, con l'aria esausta e i capelli incollati sulla fronte. Diede un'occhiata al corridoio, parve sul punto di avvicinarsi ai giornalisti, poi ci ripensò, e la porta si richiuse dietro di lui.
« A quanto pare la faccenda si fa spessa. »
« Te l'avevo detto che saremmo stati in ballo tutta notte. Ci facciamo una partita a carte? »
Alle undici, finalmente, si udí un po' di tramestio dietro la porta di Maigret. Lucas uscí per primo, e fece passare lo sconosciuto che si teneva sempre il cappello davanti al viso. Lognon faceva da retroguardia. Tutti e tre si diressero verso la scala che collegava la Polizia Giudiziaria con le celle della Souricière.
I fotografi si diedero da fare, muovendosi disordinatamente. RapidiJqash illuminarono il corridoio. Dopo alcuni istanti, tutti si precipitarono verso l'ufficio di Maigret, che appariva simile a un campo di battaglia. Sparsi qua e là, c'erano bicchieri, mozziconi di sigarette, fogli di carta strappati, e nell'aria s'avvertiva l'odore stantio del fumo.
« Ha intenzione di darci qualche informazione, commissario? »
Maigret li osservò con gli occhi gonfi che aveva sempre in circostanze del genere e che sembravano non riconoscere nessuno.
« Qualche informazione? » ripeté.
« Chi è ? Un teste ? »
« Non ho nulla da dire. »
« C'è un nesso con l'assassino? »
Il commissario parve riprendere vita, e si scusò con bonarietà « Signori, sono desolato di non potervi rispondere ma, in tutta franchezza, non ho proprio nessuna dichiarazione da fare. »
« Ha intenzione di vedere il giudice Coméliau? »
« Non stasera. »
« Torna a casa? »
« Che ora è ? »
« Le undici e mezzo. »
« Allora vuol dire che la birreria Dauphine è ancora aperta, e che potrò andar lí a mangiare un boccone. »
Li videro allontanarsi tutti e tre, Maigret, Janvier e Lapointe.
Alcuni giornalisti li seguirono fino in birreria dove bevvero qualcosa al banco, mentre i tre uomini sedevano a un tavolino nella seconda sala e facevano le loro ordinazioni al cameriere, stanchi, preoccupati.
Poco dopo, Lognon venne a raggiungere i suoi colleghi. Conversavano a bassa voce ed era impossibile udire ciò che dicevano, o intuire qualcosa dal movimento delle labbra.
« Tagliamo la corda? Ti riaccompagno a casa, Maguy? »
« No. Al giornale. »
Non appena la porta si richiuse alle spalle dei giornalisti, Maigret si rilassò. Un largo sorriso allegro e giovanile gli salí alle labbra.
« Ecco fatto! » sospirò.
Janvier disse:
« Sembra che ci siano cascati, eh? »
« Altro che ! »
« E se si accorgono che li abbiamo giocati? »
«on devono accorgersi di nulla. »
Era mezzanotte e mezzo quando si separarono. I tavolini dei caffè all'aperto e le strade erano ancora pieni di gente che si godeva la lieve frescura della notte.
« Prende l'autobus ? »
Maigret fece segno di no. Preferiva rincasare a piedi e, a mano a mano che procedeva, la sua eccitazione svaní, un'espressione piú grave gli si diffuse in volto. Piú di una volta gli accadde di passare accanto a qualche donna sola che camminava rasente i muri delle case e ogni volta tutte trasalirono, pronte a fuggire di corsa al minimo gesto o a invocare aiuto.
Negli ultimi sei mesi, cinque donne che camminavano di Parigi erano state vittime dello stesso assassino.
Fatto strano, i cinque crimini erano stati commessi in distretto, il diciottesimo, a Montmartre, e non solo in un unico distretto, ma entro un perimetro molto circoscritto.
I nomi delle vittime, delle vie in cui le aggressioni erano state compiute, le ore, erano elementi divenuti familiari ai lettori dei giornali e, per Maigret, costituivano una vera ossessione. Conosceva a memoria il quadro della situazione.
2 febbraio. Avenue Rachel, a due passi dal boulevard de Clichy e dalle sue luci. Arlette Dutour, ventotto anni, passeggiatrice, domiciliata in una camera ammobiliata di rue d'Amsterdam.
Due coltellate nella schiena, una delle quali aveva provocato la morte quasi istantanea. Lacerazione metodica degli indumenti e alcune lacerazioni superficiali sul corpo. Nessuna traccia di violenza.
Non le erano stati sottratti né i gioielli, di poco valore, né la borsetta, che conteneva una certa somma di denaro.
3 marzo. Rue Lepic, poco oltre il Moulin de la Galeíte. Otto e un quarto di sera. Joséphine Simmer, nata a Mulhouse, levatrice, quarantatreenne Abitava in rue Lamarck e rincasava dopo avere assistito una partoriente in cima alla Butte.
Una sola coltellata nella schiena che aveva raggiunto il cuore.
Lacerazione degli indumenti e lacerazioni superficiali sul corpo. La sua borsa professionale era stata rinvenuta accanto a lei, sul marciapiede .
17 aprile. Rue Étex, ai margini del cimitero di Montmartre, ore nove e tre minuti, sempre di sera. Monique Juteaux, sarta, anni ventiquattro, abitante con la madre in boulevard des Batignolles.
Tornava dalla casa di un'amica. Tre coltellate. Lacerazioni. Niente furto .
18 giugno. Tra le nove e venti e le nove e mezzo. Rue Durantin, sempre nella stessa zona. Marie Bernard vedova cinquantaduenne impiegata alle poste, abitante con la figlia e il genero. Due coltellate. Lacerazioni. La seconda coltellata aveva reciso la carotide.
Niente furto.
21 luglio. L'ultimo delitto in ordine di tempo. Georgette Lecoin, sposata, madre di due bambini, trentun anni di età, abitante in rue Lepic, non lontano dal luogo in cui era stato commesso il secondo omicidio. Uno dei suoi due bambini era ammalato. La donna percorreva rue Tholozé alla ricerca di una farmacia aperta ed era stata uccisa verso le nove e quarantacinque, quasi di fronte a una sala da ballo popolare. Una sola coltellata. Lacerazioni.
Era una sequenza raccapricciante e monotona. Le forze di polizia del quartiere di Montmartre erano state aumentate. Lognon, come del resto i suoi colleghi, avevano rimandato le ferie a data imprecisata. Le strade erano pattugliate. Un gran numero di agenti erano stati appostati in tutti i punti strategici. Come, del resto, già erano appostati in occasione del secondo, terzo, quarto e quinto omicidio.
« Stanco? » domandò la signora Maigret, aprendo la porta delI'appartamento nel momento preciso in cui suo marito metteva piede sul pianerottolo.
« Ha fatto caldo. »
« Poco fa ho sentito alla radio che oggi c'è stato movimento al Quai des Orfèvres. Pare sia in rapporto con i delitti del diciottesimo distretto. Avete una pista ? »
«on ne so niente. »
Lei non insistette e, dopo un po', dormivano entrambi con la finestra spalancata.
Il mattino seguente Maigret arrivò in ufficio alle nove, senza avere avuto il tempo di leggere i giornali. Mentre si accingeva a dare una scorsa ai titoli, squillò il telefono.
aturalmente, si trattava di Coméliau, il giudice incaricato delI'istruttoria dei cinque omicidi di Montmartre.
« E tutto vero? »
« A che cosa si riferisce, signor giudice»
« A quello che scrivono i giornali stamattina. »
« Non li ho ancora visti. »
« Ha effettuato un arresto? »
« No, che io sappia. »
« Forse sarebbe meglio che lei venisse subito nel mio ufficio. »
« Volentieri, signor giudice. »
Nel corridoio, alcuni giudici istruttori e alcuni gendarmi salutarono il commissario.
« Entri. Legga. »
Il commissario evidentemente si aspettava tutta la scena, con un Coméliau nervoso e aggressivo che riusciva a contenere a stento l'indignazione che gli faceva fremere i baffetti.
Uno dei giornali aveva questo titolo:
L'ASSASSINO E' FINALM MENTE NELLE MANI DELLA POLIZIA ?
E un altro:
IL QUAI DES ORFEVRES IN AGITAZIONE
SI TRATTA DEL MANIACO DI MONTMARTRE ?
« Le faccio notare, commissario, che ieri mi trovavo qui, nel mio ufficio, a meno di duecento metri dal suo e, comunque, raggiungibile comodamente per telefono. Quando un fatto dell'importanza di... »
Alzando la testa, il commissario mormorò:
« Non si è verificato nessun fatto ».
Troppo infervorato per potersi fermare di punto in bianco, Coméliau batté seccamente la mano sui giornali.
« E questi? Non vorrà dirmi che son tutte invenzioni dei giornalisti ? »
« Illazioni. »
« In altre parole, non è successo niente di niente ed è solo nella fantasia di quei signori che lei ha interrogato uno sconosciuto per oltre sei ore, e l'ha successivamente spedito alla Souricière e... »
« Io non ho interrogato nessuno, signor giudice. »
Coméliau lo guardò con l'espressione di chi non capisce piú niente.
« Farebbe meglio a spiegarsi, affinché io possa fornire a mia volta le dovute spiegazioni al procuratore generale, che mi ha telefonato stamane, appena arrivato in ufficio. »
« Ieri pomeriggio è effettivamente venuto a trovarmi un tale, in compagnia di due ispettori. Abbiamo chiacchierato... »
« Per sei ore? »
« Il tempo passa in fretta. »
« Chi è costui? »
« Un simpatico ragazzo, un certo Pierre Mazet, che ha già lavorato con me una decina di anni fa. In seguito, afflitto da non so piú quale dispiacere amoroso aveva fatto domanda per essere trasferito nell'Africa Equatoriale. Adesso, però, ha dovuto lasciare l'Africa a causa delle febbri, e i medici gli proibiscono di tornarci. Avevo bisogno di un uomo con un viso sconosciuto sia al pubblico sia alla stampa. Capisce ? »
« Non troppo. »
« Non ho fatto nessuna dichiarazione ai giornalisti. Non ho pronunciato una sola parola atta a far credere che questa visita avesse qualche rapporto con i delitti di Montmartre. Ho ripetuto che non avevo niente da dire, come effettivamente non ho niente da dire. »
« Risultato... » incalzò il giudice, indicando di nuovo i titoli dei giornali.
« Il risultato, appunto, che vorrei conseguire. »
« Cosa spera che accada? »
Maigret, dopo aver acceso con aria pensosa la pipa che s'era spenta da qualche istante, prese a parlare lentamente:
« Io non so ancora niente, signor giudice. Ho solo creduto che forse valeva la pena di fare un tentativo ».
Coméliau non si raccapezzava piú e fissava la pipa di Maigret, alla quale non era mai riuscito ad abituarsi. Il commissario era l'unico, infatti, che si prendeva la libertà di fumare nel suo ufficio, e il giudice considerava la cosa come una specie di sfida.
« S'accomodi » invitò infine, a malincuore.
E prima di sedersi a sua volta, andò ad aprire la finestra.
CAPITOLO 2
La sera del venerdí precedente, Maigret e sua moglie s'erano avviati tranquillamente verso la rue Picpus. La tradizione delle cene mensili in casa del dottor Pardon continuava ma, da un anno circa, con una leggera variante Pardon aveva preso l'abitudine di invitare, oltre ai Maigret, I'uno o l'altro dei suoi colleghi, e capitava spesso che il commissario si trovasse seduto a tavola di fronte a un illustre primario o a un insigne docente.
Sulle prime, il commissario non si era reso conto che tutti avevano già sentito parlare di lui ed erano quindi curiosi di conoscerlo di persona. Non ci voleva molto perché tutti si sentissero a loro agio con Maigret e trovassero motivi di comune interesse, e in alcuni casi le conversazioni del dopocena, favorite da un ottimo liquore,
nell'accogliente salotto dei Pardon, con le finestre quasi sempre aperte sulla via piena d'animazione, s'erano prolungate fino a notte tarda .
Forse Pardon aveva intenzionalmente prestabilito l'incontro di quella sera, con riferimento all'assassino di Montmartre che da mesi preoccupava l'opinione pubblica. Quando Maigret e la moglie erano arrivati, una coppia si trovava già nel salotto davanti a un vassoio di aperitivi: un uomo massiccio, con la corporatura di un contadino, i capelli grigi e fitti tagliati a spazzola su un viso rubizzo, e una donnabruna di vivacità eccezionale.
« I miei amici Maigret... Ia signora Tissot... il professor Tissot... »
aveva detto Pardon, facendo le presentazioni.
Era il famoso Tissot, direttore della clinica psichiatrica di SainteAnne, in rue Cabanis. Sebbene il professore fosse chiamato spesso a testimoniare come perito nelle aule dei tribunali, Maigret non aveva mai avuto l'occasione di conoscerlo: adesso scopriva un tipo di psichiatra umano e gioviale, quale non aveva mai conosciuto.
Non tardarono a mettersi a tavola. Come già era accaduto in precedenza con gli altri illustri ospiti di Pardon, anche Tissot cominciò a osservare il commissario, con brevi rapide occhiate, come se ogni sguardo aggiungesse un tocco all'immagine ch'egli si andava formando. Soltanto quando tutti tornarono in salotto e le signore si furono riunite in un angolo, il professore attaccò a bruciapelo:
« La sua responsabilità non le fa un po' paura? »
Maigret capí subito.
« Si riferisce agli omicidi di Montmartre, vero? »
Quella storia costituiva realmente per Maigret uno dei problemi piú angosciosi della sua carriera. Non si trattava di scoprire l'autore di un crimine. Era un problema di sicurezza. Cinque donne erano morte e nulla induceva a credere che la serie fosse chiusa. Maigret fu certo di comprendere bene ciò che Tissot voleva dire riferendosi alla sua responsabilità. Da lui o, piú precisamente, dal modo in cui egli avrebbe considerato il problema, sarebbe dipesa la sorte di un certo numero di donne.
«on vorrei affatto trovarmi al suo posto » aveva soggiunto Tissot, « con l'opinione pubblica sgomenta, i giornali incuranti di rassicurarla, le autorità che reclamano misure contraddittorie. E' esatto il quadro ? »
« Perfetto. »
« Immagino che lei abbia notato le caratteristiche dei diversi crimini. Posso chiederle, in tutta confidenza, che cosa l'ha maggiormente colpita ? »
« Il tipo delle vittime » rispose Maigret senza esitare. « Lei m'ha chiesto la caratteristica principale, vero Ma vi sono molti particolari. »
« L'ora, forse? » domandò Tissot.
Traspariva il suo desiderio di mostrare che conosceva il caso, che l'aveva studiato anche lui sotto tutti gli aspetti. La cena gli aveva acceso il volto.
Adesso fu Maigret a sorridere, perché la cosa era quasi patetica.
« Esattamente. Il primo omicidio è stato compiuto alle otto di sera nel mese di febbraio. Era dunque buio. L'omicidio del 3 marzo è stato compiuto un quarto d'ora piú tardi, e cosí via con gli altri, per finire, in luglio, a qualche minuto prima delle dieci. E' chiaro che l'assassino attende l'oscurità per agire. »
« Le date »
« Le avrò studiate una ventina di volte. Ho tentato tutti i sistemi, tutte le possibilità, come se dovessi trovare la chiave d'un linguaggio cifrato. E il plenilunio è stato naturalmente il primo argomento tirato in campo. »
« La gente annette molta importanza alla luna, quando si tratta di atti altrimenti inesplicabili. »
« Lei ci crede ? »
« Come medico, no. Come uomo, non so. »
« In ogni caso l'ipotesi non regge, perché solo due delitti su cinque sono stati commessi in serate di plenilunio. Ho dunque cercato altrove. Il giorno della settimana, per esempio: c'è gente che si ubriaca tutti i sabati. E uno solo dei delitti è avvenuto di sabato. Bisogna tener presente, poi, che in certe professioni il giorno del riposo settimanale non cade di domenica ma in giorno feriale. »
Aveva l'impressione che Tissot avesse già considerato come lui queste differenti ipotesi.
« Il quartiere » continuò Maigret, « è la prima costante, diciamo cosí, che ci ha colpito. E evidente che l'assassino lo conosce nei meandri piú riposti. Ed è proprio grazie a questa sua conoscenza del quartiere che non solo continua a sfuggirci, ma non c'è neanche nessuno che l'abbia mai visto. »
« I giornali hanno accennato ad alcuni testimoni che sarebbero riusciti a scorgerlo. »
« Abbiamo ascoltato tutti. L'inquilina del primo piano, in avenue Rachel, per esempio, sostiene che si tratti d'un uomo alto, magro, vestito con un impermeabile giallastro e con un cappello di feltro abbassato sugli occhi. Le dico subito che questa è la tipica descrizione che ricorre abitualmente in casi del genere e di cui noi diffidiamo sempre. E poi, quando abbiamo controllato abbiamo scoperto che dalla finestra da cui la donna afferma di essersi affacciata è impossibile vedere il punto indicato. La testimonianza del ragazzino è piú seria, ma tanto vaga da riuscire inutilizzabile. Si tratta del caso della rue Durantin. Ricorda»
Tissot annuí.
« In breve, l'uomo conosce il quartiere a menadito, e siccome tutti credono che egli vi abiti, si è originata un'atmosfera particolarmente angosciosa. Ognuno osserva il propio vicino con diffidenza. Abbiamo ricevuto centinaia di lettere che ci segnalavano lo strano comportamento di persone normalissime. Abbiamo allora considerato l'ipotesi d'un uomo che non abita nel quartiere, ma che ci viene per lavoro. »
« E' una bella impresa. »
« Che ci fa sprecare migliaia di ore. E non le parlo delle ricerche fatte nei nostri archivi di tutti i criminali, di tutti i maniaci. Anche voi, come gli altri ospedali, avrete ricevuto un questionario a proposito dei degenti dimessi in questi ultimi anni. »
« 1 miei collaboratori hanno risposto. »
« 11 medesimo questionario è stato inviato ai ed esteri, come pure ai medici curanti. »
« Lei ha parlato anche di un'altra costante. »
« Ha visto le fotografie delle vittime sui giornali, non so se lei abbia anche avuto la curiosità di confrontarle tra loro. »
Ancora una volta, Tissot annuí.
« Queste donne sono tutte di origine diversa, a cominciare dalle zone di provenienza. Quanto poi alla condizione professionale, non c'è nulla che le colleghi: una prostituta, una levatrice, una sarta, un'impiegata postale e una madre di famiglia. Abbiamo stabilito che non si conoscevano e che, molto probabilmente, non si erano mai incontrate. Siamo andati ancora piú lontano. Cosí abbiamo controllato che non frequentassero la stessa chiesa, per esempio, o non avessero lo stesso macellaio, oppure lo stesso medico o lo stesso dentista. Quando le parlo di migliaia di ore... »
« E tutto questo senza approdare a nulla? »
« Appunto. Del resto non speravo neppure di ottenere qualcosa da queste ricerche, ma non abbiamo il diritto di tralasciare anche la minima possibilità. »
« Allora, I'assassino sceglierebbe le proprie vittime a caso, secondo l'opportunità del momento? »
Maigret era persuaso che il professor Tissot non ne fosse affatto convinto, e che fosse giunto alla sua stessa conclusione.
« No, niente affatto. Queste donne, come le ho detto, a ben osservare le fotografie hanno qualcosa in comune: la corpulenza. Se non guardiamo i loro visi, e ci limitiamo a esaminarne la figura fisica si noterà che tutte e cinque sono abbastanza piccole e rotondette, forti di vita e di fianchi, Monique Juteaucompresa, che pure era la piú giovane delle cinque. »
Pardon e il professore si scambiarono un'occhiata, e Pardon aveva l'aria di dire:
"Ci avrei scommesso! Non gli era sfuggito!"
Tissot sorrideva.
« I miei complimenti, caro commissario. Mi accorgo che non ho niente da insegnarle. »
Durante tutto questo tempo erano rimasti in piedi. Il dottor Pardon propose di andare a sedersi in un angolo, accanto alla finestra. La pioggia cadeva continua, tanto leggera che le goccioline sembravano formare sul selciato uno strato di vernice scura.
La signora Pardon s'era avvicinata ai tre con la bottiglia dell'armagnac.
« Proseguite pure, signori. Noi, intanto, siamo occupate a scambiarci ricette di cucina. »
« Sa, professore » aveva ripreso Maigret, « qual è la domanda che piú mi turba, quella che, a parer mio, una volta risolta ci darebbe modo di mettere le mani sull'assassino ? »
« Mi dica, l'ascolto. »
« Quest'uomo ha vissuto per venti, trenta anni, o piú, senza commettere delitti. Ora, nel giro di sei mesi, ecco che ha già ucciso in cinque diverse riprese. La mia domanda verte sulla determinazione iniziale: perché il 2 febbraio, tutt'a un tratto, costui ha smesso di essere un innocuo cittadino e si è trasformato in un pericoloso maniaco Lei, che è uno scienziato, saprebbe trovare una spiegazione ? »
Le ultime parole avevano fatto sorridere Tissot.
« Di solito a noi scienziati vengono attribuite conoscenze che non abbiamo Tuttavia, voglio provare a risponderle, non soltanto per ciò che si rlferisce al trauma iniziale, ma anche per quanto riguarda il caso in generale.
« Di fronte a una serie di delitti come quelli di cui ci stiamo occupando, la prima, normale reazione è quella di affermare che si tratta d'un pazzo. Il che è esatto, grosso modo. Uccidere cinque donne senza ragione apparente e poi iacerarne gli indumenti non ha nulla in comune con il comportamento dell'uomo normale come noi ce lo immaginiamo. Ora, nella maggior parte dei casi, noi psichiatri non ne sappiamo molto piú dei profani sulla responsabilità dei criminali. In tanto la psichiatria è scienza in quanto vi è processo traumatico, tumore, alterazione anor male di una tal ghiandola o di una tal funzione. In questi casi, noi possiamo dichiarare che un individuo è sano o malato, responsabile o irresponsabile dei propri atti. Ma questi sono i casi piú rari, e la maggior parte di tali individui si trova già ricoverata. Perché gli altri, come probabilmente avviene per il nostro uomo, agiscono in modo differente dai loro simili ?
Mi sono passati per le mani vari alienati, o semialienati, per usare un'espressione poco scientifica, resisi responsabili di atti criminali, e in materia di costanti, secondo l'espressione che lei ha usato poco fa ce n'è una particolare che ho quasi sempre accertata in loro: un bisogno consapevole o inconsapevole di affermarsi. Capisce che cosa intendo dire »
Maigret annuí.
« Quasi tutti, a torto o a ragione, sono stati per anni e anni considerati da parenti e amici dei buoni a nulla, degli esseri mediocri o ritardati e ne sono stati umiliati. Può darsi che queste mie asserzioni non siano troppo ortodosse, ma son convinto che la maggior parte dei crimini definiti inspiegabili, e soprattutto dei crimini ripetuti, slano una manifestazione d'orgoglio. »
« Il che concorda con una delle mie osservazioni » mormorò Maigret. « Se i criminali non provassero prima o poi il bisogno di vantarsi, ce ne sarebbero molti di meno in prigione. Sa dove puntiamo subito quando dobbiamo trovare l'autore d'un delitto scabroso Nell'ambiente delle prostitute. E gli uomini, con le prostitute, parlano, convinti di poterlo fare impunemente. Non ce n'è una, in tutta Parigi, che non sia stata interrogata, in questi ultimi mesi. »
« E con quale risultato? »
« Nessuno. »
« Allora è ancora peggio. »
« Vuol dire che, continuando a tener tutto dentro di sé, l'assassino ricomincerà fatalmente? »
« Piú o meno. Gli individui di questo genere sono mossi dal bisogno inconscio di farsi scoprire, sintomo anche questo d'una particolare í`orma d'orgoglio. Non sopportano l'idea che le persone che li circondano continuino a considerarli come esseri ordinari. Ciò non significa che facciano apposta per farsi arrestare ma, molto spesso, a mano a mano che compiono i loro delitti, diventano sempre meno prudenti, e hanno quasi l'aria di sfidare la polizia, di sfidare il destino. Alcuni di loro mi hanno confessato d'aver provato sollievo quando finalmente erano stati arrestati. »
« E se arrestassimo qualcun altro » aveva mormorato Maigret, quasi parlando tra sé, « al posto del nostro assassino, come per usurpare quello che lui considera un suo vanto personale... »
« Credo proprio » aveva risposto Tissot, « che il suo uomo cadrebbe preda di un sentimento di frustrazione. »
« Rimane da sapere come reagirebbe. E anche quando reagirebbe. Conosco due casi di criminali che hanno scritto ai giornali per protestare contro l'arresto di innocenti. »
« Quegli individui scrivono spesso ai giornali, spinti da quello che io chiamo il loro esibizionismo » disse Tissot.
« E chiaro, però, che il nostro uomo potrà scegliere un'altra soluzione. Commettere, cioè, un altro delitto subito dopo l'arresto di un sedicente colpevole! »
Si erano separati sul marciapiede.
< Ho idea che questo caso mi farà finire una volta di piú come perito in corte d'assise » disse Tissot.
« Sempre che io riesca a mettere le mani sul colpevole. »
« Ne sono profondamente convinto. »
Quando s'erano stretti la mano, Maigret aveva avuto l'impressione che fosse nata un'amicizia.
Forse prima di addormentarsi, o forse il mattino dopo al risveglio, Maigret aveva preso la decisione. E per caso quel giorno era capitato nel suo ufficio Pierre Mazet, il suo vecchio ispettore che non vedeva ormai da otto anni. Avevano pranzato in un ristorante della nle Saint-Antoine e il commissario aveva spiegato a Mazet che cosa desiderasse da lui.
Quanto alla stampa, poi, la commedia aveva avuto pieno successo, e tutti i giornali riferivano la notiziai'un arresto sensazionale Maigret continuava a ripetere al giudice Coméliau:
« I cronisti hanno assistito a certi andirivieni e hanno tratto le loro conclusioni. Né da parte mia né dai miei collaboratori vi sono state dichiarazioni. Al contrario, abbiamo negato ».
Era raro vedere un sorriso, sia pure ironico, sul viso del giudice
« E se stasera o domani si verificherà un nuovo omicidio, perché la gente abbandonerà ogni precauzione, fidandosi di questo falso arresto ? »
« Tutti gli uomini disponibili dei nostri servizi e del commissariato del XVIII sorveglieranno strettamente il quartiere. Ma ho preso anche un'altra precauzione. Sono stato dal prefetto di polizia e gli ho chiesto di poter utilizzare come volontarie un certo numero di donne appartenenti alla polizia municipale. »
In genere, questo corpo ausiliario si occupava solo dei minori e della proshtuzlone.
« Tra le volontarie ho scelto quelle piú vicine al tipo fisico delle cinque vittime. Fingeranno di essere donne del quartiere che si spostano da un punto all'altro, e alcune di esse porteranno anche un pacco o una sporta. »
« Insomma, lei tende una trappola. »
« Tutte le ausiliarie che ho scelte sono esperte di judo. »
Coméliau, però, appariva ancora un po' riluttante.
« Come lei ben sa, commissario, queste son cose che non mi vanno affatto a genio. »
E Maigret, con disarmante candore:
« Neanche a me, signor giudice! »
E in effetti era cosí.
Ma non bisognava cercare, in tutti i modi, di far cessare una volta per tutte le uccisioni?
« Ufficialmente io non ne sono al corrente, vero? » disse il giudice, riaccompagnando il visitatore alla porta.
« Lei non sa nulla di nulla. »
E Maigret avrebbe preferito che fosse davvero cosí.
CAPITOLO 3
IL BARONE, Rougin e quattro o cinque altri cronisti trascorsero buona parte della giornata nel corridoio del Quai des Orfèvres.
Era gente che la sapeva fin troppo lunga in materia, e nelle faccende della polizia aveva un'esperienza pari a quella del piú navigato ispettore. Eppure, nessuno ebbe il minimo sentore dell'operazione che si sviluppava quasi sotto i loro occhi, della gigantesca manovra che era cominciata fin dalle prime ore del giorno, ancor prima che Maigret si recasse nell'ufficio del giudice Coméliau.
Per esempio, ispettori appartenenti a distretti lontani erano usciti
di casa con indumenti diversi da quelli abituali, e alcuni s'erano portati addirittura una valigia. Nel settore in cui erano stati commessi i cinque omicidi, i tassí si fermavano davanti agli alberghi e ne scendevano persone che i bagagli qualificavano come provinciali di passaggio, e che chiedevano una camera su strada.
Capitava di rado che si dovessero prendere simili precauzioni. Ma nessuno sapeva niente dell'omicida. Maigret avrebbe giurato che si trattava di un uomo sposato, dalla vita regolare, un operaio, un impiegato, un piccolo commerciante o un uomo d'affari importante.
Poteva trattarsi di chiunque. Poteva anche essere uno dei proprietari degli alberghi che gli agenti invadevano, e proprio per questo era impossibile agire come il solito, presentarsi e dire:
« Polizia! Mi dia una camera, e... non una parola ad anima viva ! »
Perfino gli agenti che invadevano il quartiere di Montmartre ignoravano ancora lo scopo dell'operazione in corso.
« Secondo lei l'assassino è una persona intelligente? » aveva domandato Maigret al professor Tissot.
« Come la maggior parte di questi individui. Per esempio, deve essere capace, per istinto, di saper recitare in modo superlativo.
Poniamo che sia sposato: quando rincasa dopo uno dei suoi delitti è obbligato a riassumere l'aspetto normale, per non parlare del sangue freddo che deve avere di continuo. Se è scapolo, deve ugualmente avere rapporti con un certo numero di persone, per lo meno l'affittacamere o la portinaia, la donna di servizio, che so io? Il giorno dopo va in ufficio, in laboratorio, e c'è fatalmente qualcuno che gli parla dell'assassino di Montmartre. E nonostante ciò, in sei mesi, nessuno lo ha mai sospettato. »
Da queste considerazioni era nata una domanda che turbava il commissario:
« Gradirei il suo parere su un punto ben preciso. Lei ha appena detto che l'assassino si comporta per la maggior parte del tempo come un uomo normale, e quindi anche il suo modo di pensare dev'essere piú o meno da uomo normale, vero? »
« E probabile. »
« Per cinque volte è uscito dalla sua normalità per uccidere. In quale momento si verifica il raptus e nasce l'impulso ad uccidere? Quando l'assassino cessa di comportarsi come tale? La molla scatta in lui in un momento qualsiasi oppure nell'istante in cui, passando per una via deserta, scorge una possibile vittima? »
La risposta era d'importanza capitale perché se il reptus si scatenava al momento d'uccidere, I'uomo doveva necessariamente vivere nel quartiere di Montmartre o nei dintorni, e doveva comunque venirci di sera per necessità professionali o per altre ragioni. In caso contrario, probabilmente si spostava da una qualsiasi località esterna e doveva aver scelto le vie comprese tra place Clichv e rue Lamarck fino a rue des Abbesses per ragioni note a lui soltánto.
Tissot aveva riflettuto a lungo prima di prendere la parola.
« E evidente che non posso stabilire una diagnosi come se avessi davanti a me il paziente... Secondo me, però, vi è un momento in cui egli si mette in caccia, come una belva. I suoi movimenti non sono piú gli stessi. l utti i suoi sensi sono all'erta. E in grado di percepire il minimo rumore, il minimo fremito, l'odore piú vago. Da quell'istante fiuta i pericoli e li evita. »
« Lei non ha elementi, immagino, per formulare un'ipotesi su ciò che fa scattare la molla?»
« N~o. Può essere un ricordo, la vista d'una passante nella folla l odore d'un determinato profumo. O forse anche la vista d'un coltello o di un indumento di un certo colore. Vi siete preoccupati del colore degli indumenti portati dalle vittime? »
« Si trattava di colori diversi, quasi tutti tanto neutri da passare inosservati di notte. »
Quando Maigret rientrò nel proprio ufficio dopo aver lasciato Coméliau, si tolse la giacca e la cravatta, e si sbottonò il colletto della camicia. Poi andò ad aprire la porta dell'ufficio degli ispettori.
« Niente di nuovo, Janvier? Nessuna lettera anonima»
« Solo lettere di gente che denuncia i vicini. »
« Ea' controllare. E fammi venire qui Mazet. »
Uscito Janvier, Maigret teleíònò al commissariato del diciottesimo distretto.
« L'ispettore Lognon, per favore... Pronto! Lognon... Niente di nuovo lí ? »
« Un tale che mi ha seguito stamattina. Adesso è fermo di fronte al commissariato. Mi pare un giornalista. »
«E agli controllare i documenti e vieni qui fra un tre quarti d'ora. »
Quando nel corridoio riapparve Pierre Mazet fra due ispettori il cappello sempre davanti al viso, si ripeté la scena del giorno prima.
I í`otografi si misero all'opera, i giornalisti lanciarono domande che però rimasero senza risposta. Poi la porta dell'ufficio di Maigret si richiuse alle spalle dei tre uomini.
Intanto l'operazione continuava silenziosa nelle tranquille vie di Montmartre, dove la maggior parte delle botteghe erano chiuse.
Piú di quattrocento persone avevano un compito prec1so da svolgere: oltre a coloro che erano di vedetta negli alberghi, v'erano quelli che andavano a collocarsi in punti prestabiliti alle stazioni della metropolitana, alle fermate degli autobus, nei piccoli bistrots e nei ristoranti aperti tutta la notte.
Venti agenti, scelti tra quelli solitamente addetti a servizi interni, avevano noleggiato automobili con le quali sostare a tempo debito in punti strategici. Affinché tutto ciò non avesse l'aria di un'invasione, l'operazione procedeva a tappe.
Anche le ausiliarie della polizia ricevevano per telefono le loro istruzioni minuziose e, come in un quartier generale, erano state stese piante topografiche su cui era segnata la posizione di ciascuno.
Lognon giunse nell'ufficio di Maigret.
« Il tuo uomo t'ha seguito? » domandò il commissario.
« Sí. E nel corridoio. E proprio un giornalista. »
Un primo giornale uscí con la notizia verso mezzogiorno. Ripeteva le informazioni di quelli del mattino. I giornali del pomeriggio non pubblicavano alcuna dichiarazione dell'assassino, il quale non sembrava affatto intenzionato a rivolgersi alla stampa.
« Vado a riposarmi un attimo, ragazzi. Stasera avrò bisogno di essere fresco e in forma » disse Maigret.
Attraversò il locale degli ispettori, entrò in un piccolo ufficio deserto dove si accomodò in una poltrona. Pochi minuti dopo era già assopito .
Verso le tre, rimandò Mazet alla Souricière e ordinò a Janvier e a Lucas di riposare anche loro, a turno. Quanto a Lapointe, vestito con una tuta blu, girava per le vie di Montmartre alla guida d'un furgoncino triciclo. Il berretto sulle ventitré, la sigaretta appiccicata al labbro inferiore, sembrava un diciottenne, e ogni tanto si fermava in qualche bistrot per un calice di bianco con acqua minerale e per telefonare al quartier generale.
A mano a mano che il tempo passava, tutti cominciavano a innervosirsi e persino Maigret perdeva un poco della propria sicurezza.
ulla lasciava presagire che quella sera sarebbe accaduto qualcosa. Anche se l'uomo decideva di effettuare una nuova aggressione per affermarsi, questa avrebbe potuto verificarsi la sera successiva, o quella dopo ancora, o persino otto o dieci giorni dopo, e sarebbe stato impossibile tenere mobilitati per tanto tempo effettivi cosí numerosi.
Sarebbe stato buio pieno solo verso le nove e mezzo. La luna, ormai in fase calante, non sarebbe stata troppo luminosa, e molto probabilmente sarebbe stata velata da nuvole di calore. Tutti questi particolari avevano la loro importanza...
Alle sei, accompagnato da Janvier, Lognon e Mauvoisin, Maigret andò a prendere l'aperitivo alla birreria Dauphine.
Alle sette, tornò a casa e cenò, la finestra aperta sul boulevard Richard-Lenoir, calmo come non mai in quel periodo dell'anno.
« Sei tutto sudato! » osservò la signora Maigret, guardandogli la camicia. « Se esci, sarà meglio che ti cambi. »
« Esco, infatti. »
« Rientrerai tardi ? »
« Molto probabile. »
« E una volta chiuso questo caso, credi sempre che potremo prenderci un po' di vacanza?»
Durante l'inverno era stato in discussione un soggiorno in Bretagna, a Beuzek-Conq, vicino a Concarneau ma, come tutti gli altri anni, le vacanze erano poi state rimandate di mese in mese.
« Speriamo! » sospirò Maigret.
La rinunzia avrebbe significato infatti che il suo piano era fallito, che l'assassino era riuscito a passare fra le maglie della rete o non aveva comunque reagito secondo le previsioni sue e di Tissot. E, di conseguenza, avrebbe significato l'impazienza dell'opinione pubblica e della stampa, il sarcasmo o l'ira del giudice Coméliau, con conseguenti interpellanze alla Camera e spiegazioni da fornirsi in alto loco.
E soprattutto altre donne sarebbero morte, donne piccole e rotondette, con l'aspetto di brave massaie che vanno a fare quattro passi o una visita, la sera, per le strade del loro quartiere.
Finito di cenare, Maigret si attardò a fumare la pipa, indeciso se versarsi un bicchierino di prunella, avvicinandosi di tanto in tanto alla finestra, alla quale finí poi per affacciarsi.
La signora Maigret non lo disturbò. Solo quando lui cercò la propria giacca, gli portò una camicia pulita e lo aiutò a infilarsela.
Poi, nonostante la cura con cui egli cercò di dissimulare l'atto, lo vide aprire un cassetto e prendere la sua pistola automatica, che si fece scivolare in tasca.
Il fatto era abbastanza insolito. Maigret non desiderava uccidere.
Però aveva ugualmente ordinato ai suoi collaboratori di essere armati e di proteggere le donne a ogni costo.
Non tornò al Quai des Orfèvres. Alle nove giunse sull'angolo del boulevard Voltaire dove un'automobile, che aveva l'aria di una di quelle vetture che i turisti noleggiano a giornate, lo aspettava con un uomo al volante. Era un agente del commissariato del XVIII, che indossava un'uniforme di autista.
« Andiamo, capo ? »
Maigret prese posto sul sedile posteriore, già immerso nella penombra. Durante il tragitto non aprí bocca e si limitò, in place Clichy, a brontolare:
« Procedi piano per rue Caulaincourt, come se cercassi di leggere i numeri delle case. »
Nelle zone attorno ai boulevards, le strade erano molto animate e quasi a ogni finestra, c'era gente affacciata a prendere il fresco. Anche i tavolini dei caffè piú piccoli erano affollati, e la maggior parte dei ristoranti servivano i clienti all'aperto. Sembrava impossibile riuscire a commettere un delitto in simili condizioni, eppure la situazione non era stata molto diversa quando Georgette Lecoin, I'ultima vittima, era stata uccisa sul marciapiede illuminato dall'insegna rossa al neon di una sala da ballo distante meno di cinquanta metri. Per chi conosceva il quartiere a fondo esistevano cento viuzze deserte in cui compiere quasi senza rischio un'aggressione.
Due minuti. Era stato calcolato che all'omicida non occorrevano piú di due minuti. Che cosa lo spingeva, dopo aver commesso il crimine, a lacerare gli indumenti della vittima ? Il corpo non lo toccava.
Lacerava il tessuto con coltellate violente, preso da una sorta di furore, come un bambino s'accanisce su una bambola o calpesta un balocco.
Maigret fremeva di rabbia per la propria impotenza. Per lui era come una sfida personale. Avrebbe voluto trovarsi a faccia a faccia con l'uomo, guardarlo fisso negli occhi per ordinargli:
"E adesso, parla..."
Doveva sapere. L'attesa lo angosciava, gli impediva di concentrarsi a fondo su certi particolari materiali.
Dopo il primo delitto, l'uomo aveva progressivamente ritardato l'ora delle successive aggressioni, dalle otto era passato alle dieci meno un quarto. Ma adesso che le giornate avevano cominciato ad accorciarsi e il buio scendeva prima?
Da un momento all'altro poteva echeggiare il grido d'un passante che si fosse imbattuto in un corpo steso sul marciapiede. In questo modo, erano state scoperte quasi tutte le vittime.
Dopo aver superato rue Lamarck, I'auto s'era addentrata in un settore, in cui fino a quel momento, non era mai successo nulla.
« Ha visto, capo ? »
« Che cosa ? »
« Quell'ubriaco, vicino al lampione a gas. »
« Chi è ? »
« Uno dei miei colleghi, Dutilleux. Gli piace moltissimo travestirsi, soprattutto da ubriaco. »
Alle dieci meno un quarto non era ancora accaduto nulla. Era ormai passata l'ora in cui era stato commesso l'ultimo delitto. Ciò significava che l'uomo badava piú all'ora che all'oscurità? Oppure il finto arresto non lo aveva affatto inquietato? Chissà. L'uomo che Maigret stava braccando nelle vie di Montmartre poteva essere in vacanza su una spiaggia del Calvados o in campagna, ospite presso qualche pensione familiare.
Lo scoraggiamento si stava impadronendo di lui: d'un tratto, tutti i suoi sforzi gli parvero vani, quasi ridicoli. Su che cosa era basata tutta questa operazione? Su nulla. Su una specie di intuizione che aveva avuto dopo una buona cena, mentre chiacchierava con il professor Tissot. E se l'uomo non fosse stato affatto spinto dall'orgoglio, dal bisogno di affermarsi
Stava arrovellandosi troppo. S'era troppo lambiccato sul problema.
Non ci credeva piú, finiva quasi per dubitare dell'esistenza reale delI'assassino.
« Dove andiamo, capo ? »
« Dove vuoi. »
Lo stupore che si dipinse negli occhi dell'uomo rivolto verso di lui gli diede coscienza del proprio scoraggiamento e se ne vergognò.
Non aveva i] diritto di abbandonarsi alla sfiducia davanti ai suoi collaboratori .
« Imbocca rue Lepic e percorrila tutta. »
Davanti al Mo1llin de la Galette guardò il punto esatto del marciapiede in cui era stato ritrovato il corpo della levatrice Joséphine Simmer.
Quella era dunque la realtà. Erano stati commessi cinque omicidi.
E l'assassino era sempre in libertà, forse pronto a colpire ancora.
Quella donna sulla quarantina che camminava in direzione opposta alla loro, tenendo un barboncino al guinzaglio, non era forse un'ausiliaria? E ce n'erano delle altre, sparse nella strada lí intorno, che in quello stesso momento rischiavano la vita. Erano volontarie.
Ma questo non diminuiva affatto la sua responsabilità per aver assegnato loro quel compito. E toccava a lui proteggerle.
Erano stati eseguiti tutti i suoi ordini ? Nel pomeriggio, sulla carta, il piano gli era sembrato perfetto. Ogni settore considerato pericoloso era sorvegliato. Le ausiliarie erano all'erta. Gli agenti erano di vedetta, pronti a intervenire.
Erano stati messi sotto controllo tutti gli angoli? Sarebbero stati tutti in guardia, senza allentare la sorveglianza neppure per un minuto ?
Dopo lo scoraggiamento, adesso si impadroniva di lui l'angoscia e, se fosse stato ancora possibile, avrebbe quasi preferito dare l'ordine di sospendere tutto.
« Dirigiti verso place Constantin-Pecqueur » disse all'autista.
Alcune coppie procedevano adagio sui marciapiedi, tenendosi a braccetto, e Maigret ne scorse una in un angolo, proprio sotto un lampione a gas, bocca contro bocca, gli occhi chiusi.
In place Constantin-Pecqueur due caffè erano ancora aperti.
« Che ora è? »
« Le dieci e dieci. Anzi, le dieci e nove. »
« Zitto... »
Tesero l'orecchio, ebbero l'impressione di udire passi di gente che correva. Prima dei passi s'era udito qualcos'altro, un colpo di fischietto, forse due. Era difficile stabilire la provenienza esatta di quei suoni.
Una vetturetta della Polizia Giudiziaria li sfiorò, puntando veloce verso l'avenue Junot.
« Seguila! »
Altre automobili in sosta, che qualche minuto prima sembravano vuote, s'erano avviate, convergendo tutte nella stessa direzione, e due nuovi colpi di fischietto lacerarono l'aria, piú vicini, questa volta, perché l'auto di Maigret aveva già percorso piú di cinquecento metri.
Si udirono voci di uomini e di donne. Qualcuno correva su un marciapiede e un'altra figura scendeva a rotta di collo gli scalini di pietra .
Finalmente era accaduto qualcosa.
CAPITOLO 4
LA CONFUSIONE era tale, nelle vie male illuminate, che in un primo momento fu impossibile capire che cosa accadesse. Maigret, il cui autista s'era lanciato a tutta velocità giú per le viuzze in pendio, non si raccapezzava piú bene. L'andirivieni continuo del traffico aumentava la confusione.
« Di là! » gridava qualcuno. « L'ho visto passare... »
A Maigret, adesso, premeva una cosa sola: sapere se l'assassino era riuscito nel suo intento, se era morta un'altra donna. Quando finalmente scorse una decina di persone raggruppate nell'ombra d'un marciapiede, vicino a place du Tertre, guardò subito e con ansia al suolo.
Qualcuno, emergendo dall'oscurità, gli si avvicinò mentre scendeva dall'auto.
« E lei, capo ? »
I raggi d'una torcia elettrica lo frugarono in viso.
« Non è ferita. »
Gli ci vollero alcuni istanti prima di riconoscere colui che gli stava rivolgendo la parola, sebbene si trattasse di un ispettore suo subalterno.
« Che è successo ? »
« Con precisione, non so. L'uomo è riuscito a scappare. Lo stanno inseguendo e mi stupirei che ci sfuggisse, con tutto il quartiere in stato d'assedio. »
Maigret riuscí finalmente ad avvicinarsi al centro di tutta quelI'agitazione, dove si trovò davanti a una donna con un abito azzurro che stava ancora respirando con ritmo affannoso. Aveva un vago sorriso, il sorriso tremante di chi l'ha scampata bella.
Riconobbe Maigret.
« Mi spiace di non essere riuscita a trattenerlo » disse. « M'è rimasto in mano uno dei bottoni della sua giacca. »
Lo tese al commissario: un minuscolo oggetto liscio e scuro, con un po' di filo ancora attaccato e, forse, anche un lembo di tessuto.
« L'ha assalita? »
« Mentre passavo davanti a quel vicolo. Stavo all'erta. Quando ho scorto quell'andito, ho avuto una strana sensazione e ho dovuto fare quasi uno sforzo per proseguire con lo stesso passo. »
A Maigret parve di riconoscere l'azzurro di quell'abito. Non era la stessa ragazza che aveva scorta poco prima sotto un lampione, appiccicata a un uomo, bocca contro bocca?
« M'ha lasciata superare l'angolo e, proprio in quell'attimo, ho avvertito un movimento, come uno spostamento d'aria alle mie spalle. Una mano ha cercato di afferrarmi alla gola e, non so come, mi è riuscita una presa di judo. »
La notizia dell'aggressione doveva essersi diffusa per place du Tertre, e la maggior parte dei nottambuli abbandonava i tavolini coperti dalle tovaglie a riquadri rossi, i lampioncini alla veneziana, le caraffe del vino rosato, per precipitarsi nella stessa direzione. Un furgone della polizia risaliva rue Caulaincourt, tentando di convogliare la folla. Una volta di piú l'assassino aveva avuto un colpo di genio: agire, cioè, a meno di cento metri da una specie di fiera, sicuro che appena fosse stato dato l'allarme la folla avrebbe seminato il caos.
« Salga nella mia macchina » disse Maigret alla ragazza.
Aveva riconosciuto in lei una delle ausiliarie piú giovani e lo turbava il fatto di averla scorta poco prima tra le braccia di un uomo.
« Come si chiama? »
« Marthe Jusserand. »
La giovane aveva press'a poco la stessa corporatura delle cinque precedenti vittime, solo che lei era tutta muscoli.
« Alla Polizia Giudiziaria! » ordinò Maigret al suo autista.
Era meglio trovarsi nel punto cui sarebbero inevitabilmente affluite tutte le informazioni, anziché rimanere nel mezzo di quella agitazione disordinata.
« Ha avuto paura? » domandò alla donna, appena si furono immessi nel traffico normale.
« Non sul momento, ma subito dopo. Credevo addirittura che le gambe mi mancassero. »
« L'ha visto? »
« Per un attimo il suo viso è stato vicinissimo al mio, ma non so se saprei riconoscerlo. Porta un completo scuro. Ha i capelli castanochiari e sembra abbastanza giovane. Giurerei che ha gli occhi azzurri o grigi. »
« Secondo lei, che età ha? »
« Non so. Ero troppo sconvolta. Sapevo benissimo quel che dovevo fare in caso di aggressione, ma quando sono stata assalita ho dimenticato tutto. Ho pensato soltanto al coltello che aveva in mano. M'era riuscita una presa d'avambraccio e probabilmente devo avergli fatto molto male. Sono stata per tre anni insegnante di cultura fisica prima di fare il concorso per entrare nella polizia. Sono molto forte, sa ? »
« E riuscito a svincolarsi? »
« Ancora mi domando come. Ho afferrato qualcosa, e un attimo dopo mi è rimasto tra le dita soltanto questo bottone della giacca.
E stata una cosa rapidissima. Anche se a me, ovviamente, è sembrata eterna. »
Al Quai des Orfèvres trovarono Lucas e Torrence. Maigret li interrogò con un'occhiata, ed essi risposero, I'uno dopo l'altro, con una smorfia. L'uomo non era ancora stato agguantato.
« Quanto è alto? » domandò Maigret alla ragazza.
« Poco piú di me. »
« Magro ? »
« Comunque non grasso. »
« Ha l'aria di un vagabondo, d'un operaio, d'un impiegato? »
« Ho l'impressione che, incontrandolo per strada in tutt'altra occasione, non lo noterei affatto. Quel che si dice un tipo per bene.
Aveva un anello al dito! »
« Un anello o una fede? »
« Un momento... »
La ragazza chiuse gli occhi e parve assumere la posizione che aveva al momento della lotta.
« Durante la presa di judo ho avuto la sua mano vicina al viso... Un anello sarebbe stato piú grosso... Era certamente una fede... »
« Capelli lunghi, corti ? »
« Non corti. Glieli rivedo sopra un orecchio nel momento in cui aveva la testa china. »
« Prendi nota di tutto, Lucas? »
« Sí, capo. »
« Trasmetti la segnalazione ovunque, comprese le stazioni. » Poi, rivolto alla ragazza: « Venga nel mio ufficio ».
Si tolse meccanicamente la giacca, sebbene la notte fosse abbastanza fresca.
« S'accomodi. Prima che l'uomo l'aggredisse non aveva fatto un altro incontro? »
Nonostante i suoi muscoli di sportiva, la ragazza aveva conservato una carnagione liscia e delicata. Un fiotto di sangue le imporporò le gote e le orecchie.
« Tanto peggio per me se ho sbagliato. Sono fidanzata. »
« Cosa fa il suo fidanzato? »
« L'ultimo anno di legge. Anche lui ha intenzione di entrare nella polizia... »
Non come aveva cominciato Maigret, dal basso, dalla gavetta, ma attraverso regolari concorsi.
« L'ha visto questa sera? »
La ragazza era a disagio, e cercava di scoprire con brevi occhiate se Maigret fosse irritato.
« Adesso le dirò tutta la verità, signor commissario. E tanto peggio se ho sbagliato. Ci avevano raccomandato, ecco, di comportarci con la massima naturalezza, come una ragazza qualsiasi che si trovi fuori di casa di sera. Ora, in questi casi, è normale vedere due innamorati che si baciano e poi si separano per andarsene ognuno per conto proprio. Io avevo fissato l'appuntamento con il mio fidanzato alle dieci. Contavamo sul fatto che prima di quell'ora sarebbe successo qualcosa. Non rischiavo quindi nulla se per le dieci stabilivo un programma diverso. Ho fatto male? »
Maigret preferí non rispondere. Era sempre lo stesso dilemma fra la disciplina e lo spirito d'iniziativa. Lui stesso, del resto, non aveva piú volte infranto le regole della disciplina, quella sera e durante i giorni precedenti ?
« Stia calma. Si accomodi qui alla mia scrivania e mi metta per iscritto quel che è successo questa sera, sforzandosi di ricordare anche i minimi particolari, anche quelli che non le sembrano importanti.
Quando avrà terminato mi chiami. »
Tornò nell'ufficio in cui Lucas e Torrence continuavano a sbrigare le varie telefonate.
A Montmartre, intanto, erano stati circondati dapprima tre isolati, poi quattro, poi un quartiere intero. Alberghi e pensioni erano stati ispezionati, gli ospiti svegliati per il controllo dei documenti. Era
molto probabile che l'assassino fosse passato attraverso le maglie della rete fin dai primi minuti, quando place du Tertre aveva scaricato tutto il suo contingente di curiosi. Esisteva anche un'altra posiibilità: che l'assassino, cioè, abitasse vicino al luogo in cui aveva tentato la sua ultima aggressione, e che quindi fosse semplicemente rincasato come un qualsiasi passante.
Maigret giocherellava meccanicamente con il bottone che Marthe Jusserand gli aveva consegnato, un bottone comune, d'un grigio scuro appena venato di blu. Non recava alcun marchio. Gli era rimasto attaccato un po' del cotone del sarto e a quel filo aderivano ancora alcuni frammenti della lana del vestito.
« Telefona a Moers al laboratorio e digli di venire subito » ordinò a Lucas.
Sapeva per esperienza che perdere anche un'ora in una certa fase dell'inchiesta poteva rappresentare settimane di vantaggio per il crimmale.
« Lognon vuol parlarle, capo. E a Montmartre, in un caffè. »
« Pronto ! Lognon ? »
« Sí, capo. La caccia continua. Hanno circondato buona parte del quartiere. Ma io sono quasi certo di aver visto l'uomo scendere di corsa la scalinata della place Constantin-Pecqueur. Correvo anch'io, il più svelto possiblle, ma a un certo punto quello è sparito nel buio come se fosse stato inghiottito dal muro. Ho perlustrato ogni metro dei dintorni. E per tutto il tempo ho avuto l'impressione che non fosse lontano, e che seguisse con gli occhi ogni mio movimento. »
« E tutto ? »
« C'è ancora un fatto: un uomo è entrato verso quell'ora in un bar di rue Caulaincourt dove alcuni avventori giocavano a carte. E' entrato nella cabina telefonica. Ha parlato, poi è uscito come era venuto, senza dire una parola. E per questo che l'hanno notato. »
« Nient'altro ? »
« E biondo, abbastanza giovane, magro ed era senza cappello. »
« Il vestito ? »
« Scuro. Secondo me, deve aver telefonato a qualcuno che è andato poi a prelevarlo in macchina in un punto determinato. Non abbiamo pensato di fermare le macchine con piú di una persona a bordo. »
In realtà, il fatto che un maniaco di tal sorta agisse insieme con un complice avrebbe costituito un esempio senza precedenti negli annali criminali. Forse era una pura coincidenza. Chiunque poteva entrare in un bar per fare una telefonata senza avere né la voglia né il tempo di bere anche qualcosa.
La circostanza, tuttavia, turbava Maigret. Pensava alla fede di cui gli aveva parlato la giovane ausiliaria. Forse l'uomo, per superare il cordone di polizia che lo circondava, aveva avuto la faccia tosta di rivolgersi alla moglie ? E in tal caso, che spiegazione le aveva fornita ?
Il mattino dopo, la donna avrebbe letto sui giornali il resoconto dei fatti di Montmartre.
Marthe Jusserand portò la propria relazione. Maigret lesse frettolosamente le due cartelle, non vi trovò alcun elemento nuovo e, solo quando la ragazza si volse per riprendere la borsetta, s'accorse che la coltellata le aveva lacerato il vestito sulla schiena. Quel particolare materializzò bruscamente il pericolo cui l'aveva esposta insieme con tutte le altre ausiliarie.
« Vada pure a dormire. Darò ordine che la riaccompagnino a casa. »
« E inutile, signor commissario. Jean sarà sicuramente qui sotto.
M'ha vista salire in macchina con lei. Deve aver certo immaginato che venivamo qui. »
Maigret le tese la mano e poté solo mormorarle:
« Come vuole, ragazza mia, le faccio tanti auguri per Jean. La ringrazio, e mi scuso per le emozioni che le ho procurato. Beninteso, la stampa deve continuare a ignorare tutto della trappola che avevamo tesa. Il suo nome non sarà fatto ».
La riaccompagnò galantemente fino alle scale e tornò verso i suoi ispettori .
Moers fece il suo ingresso alcuni minuti piú tardi. Quando il commissario gli tese il bottone, Moers se lo fece girare e rigirare tra le dita.
« Vuole che salga al laboratorio per esaminarlo? »
« T'accompagno. »
Era quasi per scaramanzia. Le telefonate si susseguivano. A ogni squillo, Maigret aveva un sussulto involontario nella speranza che quella fosse la volta buona. Forse, chissà, se lui si allontanava, l'atteso miracolo poteva anche verificarsi e qualcuno gli avrebbe finalmente annunciato l'avvenuta cattura dell'assassino.
Al laboratorio, Moers accese le lampade e, prima di osservare al microscopio il filo e i frammenti di lana, sottopose gli uni e gli altri a un'analisi preliminare che eseguí con l'aiuto di una lente, di pinze e di tutta una serie di altri strumenti delicati.
« Suppongo che le interessi sapere dov'è stato confezionato il vestito da cui è stato strappato questo bottone, no? »
« Voglio sapere tutto il possibile. »
« Innanzi tutto, il bottone è di ottima qualità. Non è di quelli usati per gli abiti fatti in serie. Non sarà difficile scoprire dove è stato fabbricato, perché le fabbriche di bottoni non sono molte. Quasi tutte hanno gli uffici in rue des Petits-Champs, praticamente a contatto di gomito con le ditte di tessuti all'ingrosso »
« Identico a quello di cui si servono tutti i sarti. La stoffa m'interessa di piú. Come può vedere, la trama è d'un grigio piuttosto comune, a cui s'intreccia un filo blu chiaro che le conferisce una nota caratteristica. Giurerei che si tratti d'una stoffa inglese. Ora, queste importazioni passano per le mani d'un limitato numero di mediatori di cui posso fornirle l'elenco. »
Moers possedeva ogni sorta di elenchi, annuari e cataloghi, grazie ai quali poteva rapidamente stabilire la provenienza d'un oggetto.
Improvvisamente, Maigret fu stanco. La tensione degli ultimi giorni e delle ultime ore l'aveva abbandonato ed egli si sentiva adesso privo di energie, disgustato di tutto e in preda al pessimismo.
Il mattino dopo avrebbe dovuto affrontare il giudice Coméliau e i giornalisti che l'avrebbero tempestato di domande imbarazzanti.
Che cosa avrebbe raccontato?
Quando scese alla Polizia Giudiziaria, s'accorse che lo scontro con i giornalisti sarebbe avvenuto subito. Anche se il Barone mancava erano presenti altri tre cronisti, fra i quali, Rougin.
« Ci riceve nel suo ufficio, commissario? »
Con un'alzata di spalle, Maigret li fece entrare.
« Il suo prigioniero è scappato? »
Era inevitabile che gli parlassero dell'uomo di cui s'era servito per inscenare la commedia, e la cosa diventava molto imbarazzante adesso che gli avvenimenti erano precipitati.
« Non è scappato nessuno. »
« L'ha rimesso in libertà ? »
« Non ho rimesso in libertà nessuno. »
« Eppure stanotte l'assassino ha tentato una nuova aggressione, non è vero? »
« Una giovane donna è stata assalita per strada, non lontano da place du Tertre, ma se l'è cavata con un po' di paura soltanto. Non è stata ferita. »
« Non è piú qui? »
Si guardavano attorno, diffidenti. A Montmartre dovevano averli informati che la donna era salita sulla macchina del commissario.
« Come si chiama? »
« Il suo nome non ha nessuna importanza. »
« Vuol tenerlo segreto ? »
« Diciamo che è inutile pubblicarlo. »
« Perché mai ? E sposata ? Si trovava dove non avrebbe dovuto ? »
« Potrebbe anche essere una spiegazione. »
« La giovane ha visto l'aggressore? »
« Quanto basta perché io possa farvene una descrizione. »
Maigret passò a descrivere l'assassino, sia pure sommariamente, ma non fece parola del bottone strappato alla giacca. Era di cattivo umore e gli dispiaceva trattarli cosí. Facevano il loro mestiere, come lui faceva il suo. Sapeva di irritarli con le sue risposte e ancor piú con i suoi silenzi.
« Sono stanco, signori. »
« Torna a casa? »
« Appena me ne avrete dato il permesso. »
« Intende rilasciare l'uomo che l'ispettore Lognon le ha condotto ier l'altro e che lei ha interrogato due volte? »
Bisognava trovare una risposta.
« Quell'uomo non era un sospetto, ma un testimone di cui, per alcune ragioni, non è possibile rivelare l'identità. »
« Quando siamo arrivati qui, lei era al laboratorio. E lecito dedurne che l'assassino ha lasciato qualcosa dietro di sé, magari tra le mani della vittima? »
« Sarebbe preferibile, nell'interesse dell'inchiesta, non trarre conclusioni. Signori, sono a pezzi e vi chiedo il permesso di ritirarmi. Tra ventiquattr'ore probabilmente avrò qualcosa da comunicarvi. »
Era l'una e mezzo del mattino. Andò a stringere la mano di Lucas e di Torrence.
« Sempre niente ? »
Bastava guardarli per capire che la domanda era inutile.
CAPITOLO 5
QUEL MATTINO al Quai des Orfèvres tutti erano estenuati. Alcuni, come Maigret, avevano dormito tre o quattro ore. Altri erano ancora impegnati a setacciare il quartiere di Montmartre.
« Dormito bene, signor commissario? »
Era un Rougin piú vivace del solito quello che interpelleva Maigret nel corridoio. Sul suo giornale spiccava ¨an titolo, a grandi caratteri:
L'ASSASSINO SFUGGE ALLA TRAPPOLA TESA DALLA POLIZIA
"Probabilmente il nostro buon amico, commissario Maigret, non ci contraddirà se affermiamo che l'arresto misterioso effettuato l'altro ieri era solo una finta destinata ad attirare l'assassino di Montmartre in una trappola..."
Rougin era andato piú lontano. Nel cuor della notte aveva svegliato un noto psichiatra per porgli piú o meno le stesse domande che il commissario aveva rivolto al professor Tissot.
"E probabile che la polizia, ferendolo nella vanità, abbia voluto spingerlo a infierire una volta di piú..."
« Sei sempre qui, tu ? » brontolò Maigret, scorgendo Lucas. « Nulla, naturalmente ? »
Lucas si limitò a un movimento delle spalle.
« Chiamami Janvier, Lapointe e due o tre altri. »
Maigret aprí la finestra e la richiuse quasi subito, poiché l'aria all'esterno era piú irrespirabile di quella dell'ufficio. Un velo grigiastro s'era a poco a poco steso sopra la città.
« Filate subito in rue des Petits-Champs, ragazzi » disse agli ispettori. « Eccovi una lista di indirizzi. Alcuni di voi si occupino del bottone, gli altri della stoffa. »
Spiegò loro quel che Moers gli aveva detto a proposito dei grossisti e degli importatori.
« Può darsi che stavolta ci tocchi un po' di fortuna. Tenetemi informato. »
Almanaccava sull'assassino che nella sua mente cominciava a uscire dal vago, adesso che era stato intravisto da una persona almeno.
Lo immaginava ancora giovane, biondo, probabilmente malinconico e amaro. Portava una fede, quindi aveva una moglie. Maigret avrebbe scommesso che era di buona famiglia, abituato a una vita comoda.
Senza aspettare di essere convocato da Coméliau, si recò spontaneamente nel suo ufficio, dove trovò il giudice occupato a leggere i giornali.
« L'avevo avvertita, commissario. Non può proprio dire che mi sia mostrato entusiasta del suo progetto. »
« I miei uomini hanno in mano un indizio concreto, che porterà senz'altro qualche sviluppo. Può darsi che sia questione di settimane, oppure solo di ore. »
Bastarono meno di due ore. Lapointe aveva cominciato le indagini da alcuni uffici di rue des Petits-Champs, con le pareti coperte di bottoni di ogni sorta: il campionario completo dei diversi tipi prodotti dall'azienda nel corso di tutta la sua attività. Dopo essersi qualificato come ispettore della Polizia Giudiziaria, Lapointe domando:
« E possibile accertare la provenienza di questo bottone? »
L'impiegato lo esaminò e rispose senza esitazione:
« E della ditta Mullerbach, di Colmar. »
« Mullerbach ha uffici a Parigi? »
« In questo stesso palazzo, due piani sopra. »
Tutto lo stabile era infatti occupato da commercianti di bottoni.
Mullerbach era però solo un nome, ormai, e la ditta apparteneva al figlio di un genero dell'ultimo Mullerbach. Costui ricevette con molta cortesia i poliziotti nel suo ufficio, girò e rigirò il bottone tra le dita, poi domandò:
« Che cosa desiderate sapere, esattamente? »
« Lei ha un elenco dei sarti a cui ha venduto questo modello? »
Il proprietario premette un campanello, spiegando:
« Come forse saprete, i fabbricanti di tessuti cambiano ogni anno i toni e anche la trama di gran parte dei loro prodotti. Prima di mettere in vendita le novità, però, ci mandano un certo numero di campioni affinché noi possiamo fabbricare i bottoni adatti. Questi sono venduti direttamente ai sarti... »
Nell'ufficio entrò un giovanotto accaldato.
« Signor Jeanfils, vuole cercarmi la serie di questo bottone e portarmi l'elenco dei sarti che ne hanno acquistati? »
Meno di dieci minuti dopo, il signor Jeanfils rientrava, e deponeva sulla scrivania il bottone e un elenco dattiloscritto d'una quarantina di sarti.
« Che facciamo, adesso? » domandò Broncard a Lapointe, quando tornarono in strada.
« Sai dove è entrato Janvier? »
« Sí. In quel grosso edificio, o meglio, negli uffici in fondo al cortile. »
« Resta ad aspettarlo. »
Per parte sua, invece, Lapointe entrò in un piccolo bar con il pavimento coperto di segatura, ordinò un bianchino e si chiuse nella cabina telefonica. Maigret era ancora dal giudice Coméliau, e lí infatti riuscí a raggiungerlo.
« Quaranta sarti in tutto » spiegò. « Ventotto dei quali a Parigi.
Comincio il giro ? »
« Tienti per te quattro o cinque nomi » consigliò Maigret. « Gli altri dettali a Lucas che manderà alcuni uomini. »
Era ancora occupato a dettare, quando entrarono nel bistrot Janvier, Broncard e un altro ispettore. Avevano l'aria soddisfatta.
Janvier si avvicinò e socchiuse la porta a vetri della cabina telefonica.
« Non chiudere la comunicazione. Devo parlargli anch'io. »
« Non è il capo. E Lucas. »
Janvier prese il ricevitore.
« Sei tu, vecchio mio ? Di' al capo che tutto va a gonfie vele. Siamo cascati bene. Una fortuna che quel tipo porti abiti di stoffa inglese. Finora l'hanno ordinata solo una decina di sarti In breve possiamo sperare in una soluzione rapida, a meno che il completo non venga direttamente dall'Inghilterra, ma è improbabile. »
Si separarono, una volta usciti dal locale, ciascuno provvisto di due o tre nomi scritti su un pezzo di carta. Era come una lotteria.
Uno dei quattro sarebbe riuscito, forse quella stessa mattina, a ottenere il nome che era stato cercato invano per sei mesi Fu il piccolo Lapointe a far centro. Il secondo indirizzo da controllare corrispondeva a un sarto polacco che abitava al terzo piano d'una casa di rue Vaneau. Lapointe lo trovò seduto al suo banco di lavoro: era un uomo minuto con un paio di occhiali cerchiati di metallo .
« Riconosce questa stoffa ? »
Janvier ne aveva prelevati parecchi campioni per i colleghi « Certo. Perché? Vuol farsi un vestito? »
« Vorrei il nome del cliente al quale ne ha già confezionato uno. »
« E stato nello scorso autunno. »
«Di chi si tratta?»
« Del signor Moncin, Marcel Moncin. Una persona veramente ammodo, che si serve da me già da parecchi anni. »
Lapointe, tremante, osava appena crederlo. Il miracolo si stava verificando. L'uomo che tutte le forze di polizia braccavano invano da mesi acquistava di colpo un nome: e quindi un indirizzo, uno stato clvile, grazie ai quali tra breve si sarebbe inevitabilmente materializzato .
« Abita da queste parti »
« Non lontano da qui, in boulevard Saint-Germain. E una persona gentilissima. »
« Ha il suo indirizzo? »
Il piccolo sarto sfogliò le pagine d'un quaderno sul quale erano scritb a matita nomi e indirizzi, seguiti da cifre: il prezzo dei vestiti, indubbiamente.
« Duecentoventotto bis. »
« Sa se è sposato? »
« Sua moglie l'accompagna sempre, quando viene per scegliere. »
« E giovane ? »
« Direi sulla trentina. E molto distinta, una vera signora. »
Lapointe non riusciva a controllare il fremito che s'era impadronito di lui. Ormai vicinissimo alla mèta, temeva il verificarsi di un intoppo improvviso che rimettesse tutto in gioco.
Dimenticò di domandare la professione di Marcel Moncin, scese a rotta di collo le scale e si precipitò verso il boulevard Saint-Germain, dove rimase a osservare, affascinato, lo stabile contrassegnato dal numero 228 bis. In realtà lo stile dell'edificio, che aveva i balconi in ferro battuto, non presentava nulla di diverso rispetto agli altri palazzi che si affacciavano sul boulevard. Il portone si apriva su un andito color nocciola, in fondo al quale si scorgeva la gabbia d'un ascensore e, a destra, una portineria.
Lapointe provava l'impulso quasi doloroso di entrare, di informarsi, di salire all'appartamento di Moncin, di farla finita - lui solo - con l'assassino. Sapeva però di non avere il diritto di agire in quel modo.
Proprio di fronte all'ingresso della metropolitana era di servizio un agente e Lapointe lo interpellò, dopo essersi fatto riconoscere.
« Vuol sorvegliare quella casa mentre io telefono al Quai des Orfèvres? Se dovesse uscirne un uomo sulla trentina, smilzo, biondo, veda di trattenerlo in qualche modo. »
« Chi è? »
« Si chiama Marcel Moncin. »
« Che ha fatto? »
Lapointe preferí non specificare. Pochi attimi dopo si trovava in una cabina telefonica.
« Il Quai? Mi passi irnmediatamente il commissario Maigret. »
Era in un tale stato di agitazione febbrile che balbettava.
« E lei, capo? Lapointe... Sí. Ho trovato... Come? Sí... Il nome, l'indirizzo... Sono di fronte a casa sua... »
Gli venne a un tratto l'idea che con la stessa stoffa potevano esser stati confezionati anche altri vestiti e che questo forse non era quello buono.
«Janvier ha telefonato? Cosa ha detto?»
Erano stati rintracciati i proprietari di tre vestiti, ma le segnalazioni non corrispondevano alla descrizione fornita da Marthe Jusserand.
« Le telefono dal boulevard Saint-Germain... Ho messo un agente di guardia davanti al portone... Sí... L'attendo... Un momento... Guardo il nome del locale... »
Uscí dalla cabina, lesse,-alla rovescia, il nome scritto a lettere smaltate sulla vetrina.
« Caffè Solferino... »
Maigret gli aveva raccomandato di rimanere sul posto. Meno di un quarto d'ora dopo, mentre aspettava in piedi accanto al banco e dinanzi a un altro bianchino, scorse alcune piccole automobili della polizia che si fermavano in punti diversi.
Da una di queste scese Maigret in persona, che a Lapointe parve piú imponente del solito. Forse il commissario era nervoso quanto lui? Comunque, la sua faccia era impassibile e soltanto quelli che lo conoscevano bene potevano intuirlo dalla sua aria accigliata.
Maigret tracannò una birra, poi disse:
« Andiamo. »
Durante quei pochi minuti gli uomini si erano distribuiti in punti strategici. Due agenti erano saliti fino all'ultimo piano dell'edificio.
Altri erano fermi sul marciapiede e sull'angolo della strada, senza contare un'autoradio ferma lí vicino. Sarebbe stata senza dubbio inutile. E raro, infatti, che criminali di questo tipo si difendano con le armi.
I due uomini entrarono nella portineria. Era una portineria pretenziosa, con un salottino e la cucina separati da una tenda di velluto rosso. La portinaia, una donna sulla cinquantina, si mostrò calma e sorridente.
« Desiderano ? »
« Il signor Moncin, per favore. »
« Secondo piano, a sinistra. »
« Anche la signora Moncin è in casa ? »
« E tornata dalla spesa circa mezz'ora fa. »
Maigret corse involontariamente con il pensiero alla conversazione con il professor Tissot. La casa era tranquilla, comoda, e quel suo aspetto vecchiotto, quel suo stile metà Ottocento, le davano un'aria rassicurante. L'ascensore, con la sua maniglia di ottone lustro, li attendeva, ma essi preferirono salire a piedi su]la spessa passatoia cremisi.
Quasi tutti gli zerbini, davanti alle porte di legno scuro, recavano una o due iniziali in rosso; tutti i pulsanti dei campanelli erano lucidi, non trapelava nulla di quello che avveniva negli appartamenti, nessun odore di cucina invadeva la tromba delle scale. Al secondo piano, sulla sinistra, una targa di ottone recava la scritta in caratteri moderni, stilizzati:
MARCEL MONCIN
Arredatore
Il commissario tese la mano e schiacciò il pulsante del campanello.
Dopo alcuni istanti che parvero interminabili, finalmente la porta si aprí: una cameriera in grembiule bianco, che aveva meno di una ventina d'anni, li osservò stupita.
« Il signor Moncin è in casa? »
La ragazza sembrò imbarazzata, balbettò:
« Se vogliono attendere un momento, vado a chiedere alla signora... »
Non ebbe bisogno di allontanarsi. Una donna ancora giovane, con addosso una vestaglia che s'era probabilmente infilata al rientro dalla spesa per avere meno caldo, comparve in fondo al corridoio.
Si avvicinò, guardando fisso Maigret come se la sua faccia le ricordasse qualcuno.
« Desiderano? » domandò, cercando di capire il motivo di quella visita.
« Suo marito è in casa? »
« Sí. Ma dorme. »
« Sono costretto a pregarla di svegliarlo. Polizia Giudiziaria. »
« Il commissario Maigret, vero? Mi sembrava infatti di averla riconosciuta... »
Maigret, che era avanzato insensibilmente, si trovava adesso dentro l'anticamera.
« La prego di svegliare suo marito. Immagino che sia rientrato tardi, stanotte, non è cosí? »
La signora Moncin arrossí leggermente.
« Che cosa vuol dire? »
« Ha l'abitudine di dormire sempre fin dopo le undici del mattino ? »
La donna sorrise.
« Gli capita spesso. Gli piace lavorare di sera, talvolta anche fino a tarda notte. E un artista. »
« Ieri sera non è uscito ? »
« Che io sappia, no. Se vogliono attendere in salotto, vado ad avvertirlo. »
Aveva aperto la porta a vetri di un salotto che, pur senza nulla di eccessivo, risultava di una modernità insospettata per quel vecchio palazzo, e Maigret pensò che avrebbe potuto vivere anche lui in un ambiente del genere. Solo i quadri appesi alle pareti, del tutto incomprensibili per lui, non gli garbavano.
Lapointe stava ritto di guardia davanti alla porta d'ingresso.
Precauzione superflua, in fondo, perché ormai tutte le uscite erano ben sorvegliate.
La signora Moncin rimase assente solo un paio di minuti e tornò: nel frattempo s'era ravviata i capelli. « Viene subito. Marcel ha uno strano pudore, per il quale a volte lo prendo anche in giro: detesta farsi vedere in vestaglia. »
« Avete camere separate? »
Sebbene apparisse leggermente urtata dalla domanda, la signora Moncin rispose con semplicità:
« Come tante altre coppie, no? »
Maigret si sforzava di stabilire se la donna sapeva qualcosa o se stava davvcro domandandosi che rapporto poteva esistere tra la polizia e suo marito.
« Suo marito lavora qui? »
« Sí. »
Andò ad aprire una porta laterale che immetteva in uno studio vastissimo. Vi erano alcuni tavoli da disegno, rotoli di carta e certi strani modellini di compensato o di filo di ferro che facevano pensare a scenari teatrali.
« Lavora molto ? »
« Troppo, per la sua salute. Non è mai stato robusto. In questo periodo dovremmo già essere in montagna come gli altri anni, ma lui ha accettato un lavoro che ci impedirà di andare un po' in vacanza. »
Maigret aveva raramente visto una donna tanto padrona di sé.
Con i giornali pieni di storie del mostro di Montmartre, e sapendo che proprio Maigret dirigeva le indagini, non avrebbe dovuto spaventarsi vedendo il commissario capitarle a casa per un'inchiesta?
La signora Moncin, invece, si limitava a osservarlo, come curiosa di vedere da vicino un uomo cosí celebre.
« Vado a vedere se è pronto. »
Maigret, accomodato in una poltrona, si riempí lentamente la pipa, poi l'accese. Quando si riaprí la porta da cui era uscita la signora Moncin, al posto della signora comparve un giovanotto. S'era messo un completo da casa color nocciola sul quale risaltavano il biondo dei capelli, la delicatezza della carnagione, l'azzurro degli occhi.
« Vi prego di scusarmi, signori, per l'attesa... »
Gli aleggiava sulle labbra un sorriso che aveva qualcosa di fragile e d'infantile.
« Mia moglie è venuta a svegliarmi e m'ha detto... »
Lei non era rientrata. Forse stava ascoltando dietro la porta che suo marito aveva richiusa?
« ... Ho lavorato molto, in questi ultimi tempi, all'arredamento di una villa che un mio amico s'è fatto costruire sulla costa normanna... »
Si tolse di tasca un fazzoletto di batista e se lo passò sulla fronte, sulle labbra, imperlate di sudore.
« Fa ancora piú caldo di ieri, vero? E perfettamente inutile aprire le finestre. Speriamo che venga un temporale. »
« Le chiedo scusa » cominciò Maigret, « ma dovrò farle alcune domande indiscrete. Mi interesserebbe vedere il vestito che lei indossava ieri. »
La richiesta parve sorprenderlo, senza tuttavia spaventarlo. Sgranò un poco gli occhi, contrasse le labbra. Parve dire: "Ma che idea stramba ! "
Poi, dirigendosi verso la porta:
« Permette un momento ? »
Restò assente non piú di mezzo minuto e, quando tornò, teneva sul braccio un completo grigio perfettamente stirato.
« Lo portava ieri ? »
« Fino a dopo cena. Poi mi sono cambiato e ho messo quest'abito da casa prima di mettermi a lavorare. Lavoro soprattutto di notte. »
« Non è uscito dopo le otto di sera? »
« Sono rimasto nel mio studio fino alle due e mezzo di mattina, e questo spiega perché dormivo ancora quando siete arrivati. Ho bisogno di dormire molto, come tutti i nervosi. »
Sembrava cercare la loro approvazione, facendo pensare piú a uno studente che a un uomo di oltre trent'anni. Da vicino, tuttavia, il suo volto mostrava un certo logorio. La sua carne appariva stranamente appassita, ma ciò gli conferiva un certo fascino, cosí come avviene per le donne di mezz'età.
« Posso chiederle di mostrarmi tutto il suo guardaroba? »
Si irrigidí e forse fu sul punto di protestare.
« Se le fa piacere. Per di qui, prego... »
Se la moglie stava origliando dietro la porta, ebbe il tempo di allontanarsene: infatti la videro in fondo al corridoio intenta a parlare con la cameriera in una cucina luminosa e moderna.
Moncin spinse un'altra porta, quella d'una camera da letto, tappezzata colore avana chiaro, in mezzo alla quale era collocato un divano letto disfatto. Poi fece scivolare le porte scorrevoli d'un armadio a muro che occupava tutta una parete. Nello scomparto di destra si trovavano appesi sei vestiti, tutti perfettamente stirati.
V'erano anche tre soprabiti, uno smoking e un frac.
Nessun vestito era di una stoffa uguale a quella del campione che il commissario stava tendendo al padrone di casa.
«L'autunno scorso, il suo sarto le ha consegnato un vestito di questa stoffa. Che fine ha fatto?»
Moncin parve riflettere.
« Ricordo » disse alla fine. « Sulla piattaforma dell'autobus qualcuno me l'ha bruciato con la sigaretta. »
« L'ha fatto riparare ? »
« No. Ho orrore degli oggetti rovinati. Già da bambino buttavo via un balocco anche se aveva soltanto un graffio. »
«Allora, I'ha buttato via?»
« No. L'ho regalato. Me lo sono messo sul braccio, una sera che ero uscito a passeggio lungo la Senna, e l'ho regalato a un vagabondo. »
« Molto tempo fa ? »
« L'altro ieri. »
Nello scomparto di sinistra dell'armadio a muro stavano allineate, sugli appositi bastoni, una dozzina di paia di scarpe e, nel mezzo, alcuni cassetti contenevano camicie, biancheria intima, pigiama e fazzoletti, il tutto in ordine perfetto.
« Dove sono le scarpe che portava ieri sera? »
Non si turbò.
« Non portavo scarpe ma le pantofole che ho adesso ai piedi, perché ieri sera sono rimasto nel mio studio. »
« Vuole chiamare la cameriera? Possiamo anche tornare in salotto. »
« Odile! » chiamò lui in direzione della cucina. « Venga un momento. Il commissario Maigret desidera farle qualche domanda. La prego di rispondergli. »
La ragazza non doveva aver lasciato la campagna da molto tempo, a giudicare dalla carnagione vellutata che aveva serbata. Nemmeno lei appariva turbata, era solo imbarazzata di trovarsi in presenza di un personaggio ufficiale di cui parlavano i giornali.
« Lei dorme nell'appartamento? »
« No, signore. La mia camera è al sesto piano, dove dormono gli altri domestici del palazzo.»
« E' salita tardi, ieri sera? »
« Verso le nove, subito dopo aver lavato i piatti. »
« Dove si trovava il signor Moncin in quel momento? »
« Nel suo studio. »
« Com'era vestito? »
« Come adesso. »
« Ne è sicura ? »
« Sicurissima. »
« Quando si è accorta che mancava il suo vestito a righine blu? »
« A dir la verità io non mi occupo dei vestiti del signore. E molto... molto originale a questo riguardo. »
Era stata sul punto di dire "maniaco".
« Vuol dire che se li stira da sé? »
« Sí. »
« Quando serve a tavola, per esempio, ha mai sentito parlare di una bruciatura fatta sul risvolto? »
La ragazza guardò il padrone come per chiedergli consiglio.
« Non so » balbettò. « No... non ascolto quel che dicono a tavola... Parlano quasi sempre di cose che io non capisco... »
« Può andare. »
Marcel Moncin attendeva, calmo, sorridente.
« La prego di avere la cortesia di vestirsi e di seguirmi al Quai des Orfèvres. L'ispettore l'accompagnerà in camera sua. Intanto io farò quattro chiacchiere con sua moglie. Mi dispiace molto, signor Moncin, ma mi è impossibile agire diversamente. »
« Posso sapere per quale motivo... »
« No. Non ora. Appena saremo nel mio ufficio. »
E Maigret, dalla porta del corridoio, rivolgendosi alla signora Moncin che si trovava ancora nella cucina:
« Vuol venire, signora ? »
CAPITOLO 6
E' QUELLO BUONO, stavolta? » aveva domandato con aria canzonatoria Rougin, mentre il commissario e Lapointe attraversavano il corridoio del Quai des Orfèvres con il loro prigioniero.
Maigret aveva solo accennato una pausa, girando lentamente la testa e lasciando pesare lo sguardo sul cronista. Questi aveva tossicchiato, e gli stessi fotografi s'erano mostrati meno accaniti.
Quando fu nel suo ufficio, Maigret riempí due pipe dopo aver fatto cenno a Lapointe di stenografare il colloquio. Certi virtuosi del pianoforte si siedono cosí, esitanti, regolano il sedile, toccano il piano qua e là come per propiziarselo.
« Sieda, signor Moncin. Si tolga pure la giacca. »
« Grazie. Sono abituato a tenerla addosso. »
Effettivamente, in maniche di camicia doveva essere un magro spettacolo.
« E sposato da molto tempo, signor Moncin? »
« Dodici anni. »
« Posso chiederle quanti anni ha? »
« Ho trentadue anni. Mi sono sposato a venti. »
Vi fu un silenzio abbastanza lungo durante il quale il commissario si fissò le mani che aveva posato sulla scrivania.
« Lei è architetto ? »
« Arredatore » precisò Moncin. « Non sono autorizzato a stendere il progetto d'un edificio mancando di una vera laurea in architettura. »
« E che titolo possiede ? »
Aveva osservato un certo rossore sul viso dell'interlocutore.
« Ho cominciato a studiare pittura a diciassette anni. »
« Aveva già la maturità? »
« No. Da ragazzo volevo fare l'artista. I quadri che ha visti nel nostro salotto sono opera mia. »
Maigret non era riuscito a capirne il significato, eppure ne era rimasto turbato per quel che avevano di morboso.
« Insomma, lei non ha la laurea in architettura e, se ho ben capito, chiunque può fregiarsi del titolo di arredatore. »
« In altre parole, lei vuol farmi capire che sono un fallito? » Un sorriso gli comparve sulle labbra. « Ne ha tutto il diritto. Non è il primo a dirmelo. »
« Ha una vasta clientela? »
« Preferisco pochi clienti che abbiano fiducia in me e mi diano carta bianca, anziché avere molti clienti cui debba fare concessioni. »
Maigret si accese l'altra pipa, dopo aver vuotato la prima. Raramente un interrogatorio era cominciato in modo tanto vago.
« Nato a Parigi ? »
« Sí. »
« In che quartiere? »
Moncin ebbe un'esitazione.
« All'angolo tra rue Caulaincourt e rue de Maistre. »
Cioè proprio al centro del settore in cui si erano verificati i cinque omicidi e il tentativo della sera precedente.
« Vi ha abitato molto tempo? »
« Fino a quando mi sono sposato. »
« Ha ancora i genitori ? »
« Solo mia madre, che abita ancora nello stesso palazzo, quello in cui sono nato. »
« E in buoni rapporti con lei? »
« Mia madre e io ci siamo sempre capiti molto bene. »
« E suo padre che faceva, signor Moncin? »
Anche questa volta vi fu un'esitazione.
« Il macellaio. E morto quando io avevo quattordici anni. »
« Sua madre ha rivenduto il negozio? »
« L'ha rivenduto ma ha conservato lo stabile, tenendo per sé un appartamento al quarto piano »
Qualcuno batté un colpo discreto alla porta. Maigret si diresse all'ufficio degli ispettori, e ne tornò in compagnia di quattro uomini che avevano press'a poco l'età, la corporatura e l'aspetto di Moncin.
Erano impiegati della Prefettura che l'ispettore Torrence aveva mobilitato in tutta fretta.
« Vuole alzarsi, signor Moncin, e andare a mettersi accanto a quei signori contro il muro? »
L'uomo obbedí in silenzio, vi fu una breve attesa e alla fine qualcuno bussò di nuovo alla porta.
« Avanti! » gridò il commissario.
Sulla soglia apparve Marthe Jusserand, assai stupita di trovare tanta gente nell'ufficio: guardò prima Maigret, poi gli uomini allineati, e, quando i suoi occhi si arrestarono su Moncin, aggrottò
le sopracciglia.
Tutti trattenevano il respiro. La ragazza era impallidita, perché aveva capito di colpo la responsabilità che pesava sulle sue spalle.
Parve sul punto di scoppiare a piangere per una crisi di nervi.
« Non abbia fretta » le consigliò il commissario con voce incoraggiante.
« E lui, vero? » mormorò la ragazza.
«Deve saperlo lei meglio di chiunque altro perché lei è stata l'unica persona che l'abbia visto.»
« Vorrei vederlo di profilo. »
« Si metta di profilo, signor Moncin. »
L'uomo obbedí, senza che sul suo volto si notasse un sol fremito.
« Ne sono quasi certa. Non era vestito allo stesso modo. Neanche gli occhi avevano la stessa espressione... »
« Questa sera, signorina Jusserand, vi condurremo entrambi nel punto in cui lei ha visto il suo assalitore, nelle medesime condizioni di luce di ieri sera, e forse lui sarà anche vestito allo stesso modo. »
Alcuni ispettori perlustravano i lungosenna e tutti i luoghi in cui a Parigi si dànno convegno vagabondi e mendicanti, alla ricerca della giacca priva del bottone.
« Non ha piú bisogno di me adesso? »
« No. La ringrazio. Quanto a lei, signor Moncin, si rimetta pure seduto. Una sigaretta? »
« Grazie. Non fumo. »
Maigret lo affidò alla custodia di Lapointe al quale raccomandò di rispondere solo in modo evasivo a eventuali domande del prigioniero.
Nell'ufficio degli ispettori, il commissario incontrò Lognon.
« Vorrei che passassi nel mio ufficio a dare un'occhiata al tipo che è insieme con Lapointe. »
Lognon lavorava al commissariato del XVIII distretto da ventidue anni, e abitava a cinquecento metri dalla casa in cui era nato Moncin.
« Son certo di averlo già visto » disse l'ispettore, le sopracciglia aggrottate. « Ma dove ? »
« Suo padre faceva il macellaio in rue Caulaincourt. La madre abita ancora nello stesso stabile. Vieni con me. »
Salirono su una delle vetturette della Polizia Giudiziaria, con cui un agente li portò fino a Montmartre.
« Continuo a pensarci » disse Lognon. « Son certo di conoscerlo.
Giurerei addirittura che tra me e lui vi è già stato qualcosa... »
« Forse gli hai fatto una contrawenzione? »
« Non è roba del genere. Mi verrà in mente. »
La macelleria era abbastanza importante, con tre o quattro commessi e una cassiera grassoccia. L'edificio, per quanto pulito e ben conservato, era tuttavia di classe assai inferiore a quella del boulevard Saint-Germain. La tromba delle scale era piú stretta, e cosí le porte; e sui gradini non correva la passatoia; sulle porte, i biglietti da visita sostituivano le targhe di ottone.
La donna che venne ad aprire era piú giovane di quanto Maigret avrebbe immaginato ed era magrissima, tanto nervosa da avere qualche tic.
« Desiderano ? »
« Commissario Maigret della Polizia Giudiziaria. »
« Vuole parlare proprio con me ? »
Quanto suo figlio era biondo, tanto era bruna lei, con due occhi piccoli e brillanti e un po' di peluria sul labbro superiore.
« Entrino. Stavo rigovernando. »
L'appartamento però era in ordine. Le stanze erano piccole. I mobili risalivano al tempo del matrimonio della proprietaria.
« Lei ha visto suo figlio, ieri sera? »
Bastò questa dornanda a farla inalberare.
« Che cosa vuole la polizia da mio figlio? »
« La prego di rispondere alla mia domanda. »
« Perché avrei dovuto vederlo ? »
« Verrà pure a trovarla qualche volta, no? »
« Spesso. »
« Con sua moglie? »
« Non vedo in che modo queste cose possano interessarla. »
La donna non li invitava ad accomodarsi e se ne restava in piedi.
Sulle pareti vi erano fotografie di Marcel Moncin a tutte le età, e anche qualche semplice quadretto che lui doveva aver dipinto da ragazzo.
« Suo figlio è venuto qui ieri sera? »
« Non ha l'abitudine di venire a trovarmi di notte. Vuole spiegarmi, sí o no, che cosa significano tutte queste domande? L'avverto che non intendo rispondere piú. Sono in casa mia, e sono libera di tacere. »
« Signora Moncin, mi spiace informarla che suo figlio è sospettato di aver commesso cinque omicidi nel corso degli ultimi mesi. »
La donna gli si mise di fronte, pronta a balzargli agli occhi.
« Che cosa sta dicendo? »
« Abbiamo buone ragioni per credere che sia lui l'individuo che assale le donne agli angoli delle vie di Montmartre e che la notte scorsa ha fallito un nuovo colpo. »
La donna cominciò a tremare e Maigret ebbe la sensazione, senza una ragione precisa, che stesse recitando la commedia.
« Ha il coraggio di accusare il mio Marcel!... Non è vero, è innocente, innocente come... »
Si volse a guardare le fotografie di suo figlio bambino e, le dita serrate, continuò:
« Ma lo guardi! Lo guardi bene e le passerà il coraggio di tirar fuori simili mostruosità... »
« Suo figlio non è venuto qui durante le ultime ventiquattro ore ? »
Lei ripeté con forza:
« No! No! E no! »
« Quando l'ha visto per l'ultima volta? »
« Non lo so. »
« Non ricorda le sue visite? »
« No. »
« Mi dica un po', signora Moncin, da ragazzo, suo figlio ha avuto qualche grave malattia ? »
« Niente di piú grave del morbillo e di una bronchite. Che cosa cerca di farmi ammettere ? Che è pazzo ? »
« Quando si è sposato, lei era d'accordo? »
« Sí. Sono stata una bella bestia. Sono proprio io che... »
« E lei che ha combinato il matrimonio? »
« Poco importa, ormai. »
« E adesso non è piú in buoni rapporti con sua nuora? »
« Che cosa può interessare a lei? Si tratta della vita privata di mio figlio, e non può interessare a nessuno. Se quella donna... »
« Se quella donna... »
« Niente. Ha arrestato Marcel ? »
« Si trova nel mio ufficio, al Quai des Orfèvres. »
« Ha intenzione di metterlo in prigione? »
« E probabile. La ragazza che ha aggredito ieri sera l'ha riconosciuto. »
« Mente. Voglio vederlo, e voglio vedere anche lei, voglio dirle... »
Era la quarta o la quinta frase che lasciava cosí in sospeso. Aveva gli occhi lustri o per la febbre o per la collera.
« Mi aspetti un momento. Vengo con lei. »
Maigret e Lognon si guardarono. Nessuno l'aveva invitata.
« L'avverto che l'ispettore resterà qui per perquisire l'appartamento.»
Senza rispondere, ma sempre borbottando parole inafferrabili, si diresse alla porta ordinando a Maigret:
« Andiamo ! »
E, dal pianerottolo, a Lognon:
« Quanto a lei, badi bene di non rompermi niente e di non mettermi disordine negli armadi!...»
Per tutto il tragitto in automobile, la donna continuò a parlare tra sé, a mezza voce.
« Ah, no!... non finirà cosí... ricorrerò in alto... Andrò dal ministro, dal presidente della Repubblica se sarà necessario... Quanto ai giornali, dovranno ben pubblicare quel che dirò loro e... »
Nel corridoio della Polizia Giudiziaria scorse i fotografi e, quando essi le puntarono addosso gli obiettivi, li investí risolutamente, ben decisa a strappare ]oro di mano gli apparecchi. Dovettero battere in ritirata.
Poi si trovò d'improvviso nell'ufficio di Maigret dove, a parte Lapointe, vi era solo suo figlio. Si fermò e lo guardò, sollevata, avviluppandolo in uno sguardo protettivo.
« Non temere, Marcel. Sono qui. »
Moncin si alzò e rivolse a Maigret un'occhiata carica di rimprovero.
« Che cosa ti stanno facendo? Non ti avranno picchiato, eh? »
« No, mamma. »
« Son pazzi! Ma andrò dal migliore avvocato di Parigi. Spenderò tutto quel che ho, se sarà necessario. Venderò la casa. Andrò a chiedere la carità per le strade. »
« Calmati, mamma. »
Sembrava scusarsi con i poliziotti per l'atteggiamento della madre.
« Yvonne sa che sei vivo?
La cercava con gli occhi. Come mai, in un momento simile, sua nuora non era al fianco del marito ?
« Lo sa, mamma. »
« Se vuole sedersi, signora... »
« Non ho bisogno di sedermi. Voglio una cosa sola: che mi rendiate mio figlio. Vedremo un po' se avranno il coraggio di trattenerti, Marcel. Vi avverto che non mi lascerò mettere nel sacco da voi. »
« Sieda, la prego, e risponda a qualche domanda. »
« A nessuna domanda! »
S'avvicinò decisa al figlio e lo baciò sulle guance.
« Non temere, Marcel. Ci penserò io, a te. Avrai presto mie notizie. »
Dopo aver lanciato un'occhiata micidiale a Maigret, s'avviò alla porta con aria risoluta. Maigret fece cenno a Lapointe di lasciarla passare e poi, dal corridoio, la udirono gridare chissà che ai giornalisti.« A quanto pare sua madre le vuole molto bene. »
« Ha solo me. »
« Era molto legata a suo padre? »
Il giovane aprí la bocca per rispondere, ma preferí non dir nulla, e al commissario parve di comprendere.
« Che tipo d'uomo era, suo padre? »
Nuova esitazione.
« Sua madre non era felice con lui? »
Allora, con un rancore sordo nella voce, Moncin rispose:
« Era un macellaio ».
« Lei ne provava vergogna? »
« La prego, signor commissario, non mi faccia domande del genere. So benissimo dove lei vuol parare e le dico che si sbaglia su tutta la linea. Ha visto in che stato ha messo mia madre. E, magari, in questo momento i suoi uomini stanno sottoponendo anche mia moglie al medesimo trattamento, vero ? Mi interroghi pure finché vuole, ma lasci tranquille quelle povere donne. »
Maigret attirò Lapointe sulla soglia della porta che era rimasta socchiusa.
« Comincia a interrogarlo, con qualche breve affondo, senza però esaurire l'argomento. Riparlagli del vestito; chiedigli che cosa stesse facendo nel momento in cui veniva compiuto ognuno dei cinque omicidi di Montmartre. Cerca di sapere se vedeva sua madre in giorni prestabiliti, magari di sera, e il perché di questa guerra tra le due donne... »
Quanto a lui, andò a mangiare un boccone da solo, alla birreria Dauphine. Era stanco, malinconico, pur senza una precisa ragione.
Si sentiva vicinissimo alla mèta. Gli avvenimenti si erano sviluppati con una rapidità insperata. Prima di tutto, aveva bisogno di comprendere. E facile capire un uomo che ha rubato, che ha ucciso per non essere preso, per gelosia o in un accesso di collera o, ancora, per assicurarsi un'eredità. Questi delitti, di normale amministrazione a volte gli davano filo da torcere, ma non lo sconvolgevano mai.
"Imbecilli!" era solito brontolare.
Maigret infatti riteneva che se i criminali fossero intelligenti non avrebbero bisogno di uccidere. Comunque, riusciva sempre a mettersi nei loro panni. Ma, di fronte a un tipo come Marcel Moncin, si sentiva come uno alle prime armi. Moncin uccideva senza alcuna ragione apparente per gli altri. Si rendeva conto che dal momento stesso in cui sua moglie lo aveva svegliato per comunicargli che c'era la polizia in salotto, lui era ormai un uomo spacciato? Quali sono le reazioni di un uomo simile? Soffriva? Tra una crisi e l'altra, provava forse odio o vergogna per sé stesso o per i propri istinti? Oppure, al contrario, nutriva una certa soddisfazione nel sentirsi diverso dagli altri, e questa sua diversità, la interpretava come superiorità ?
Maigret bevve il caffè, s'accese una pipa e uscí nell'aria calda, immobile, imprigionata tra il selciato e il cielo basso color ardesia.
Nell'ufficio degli ispettori stava seduto un mendicante, il berretto tra le mani e, addosso, la famosa giacca di Marcel Moncin.
« Dove avete trovato quest'uomo? » chiese Maigret ai suoi uomini.
« Sul lungosenna, vicino al ponte di Austerlitz. »
« Ha trovato la giacca sulla sponda del fiume, stamattina alle sei. »
« E i calzoni? »
« C'erano anche quelli. Lui era con un altro. Cosí si sono divisi il vestito. Non abbiamo ancora pescato quello che ha preso i pantaloni, ma è questione di poco. »
Maigret si chinò, vide effettivamente, sul risvolto, il buco prodotto dalla brace di una sigaretta.
« Toglitela. »
Maigret tese la giacca a Torrence.
« Portala a Moers, al laboratorio. Credo sia possibile stabilire se una bruciatura su un tessuto sia recente o no. Digli che è questione di quarantotto ore. Se il risvolto è stato bruciato la notte scorsa o stamattina... »
Indicò il proprio ufficio.
« A che punto sono, là dentro? »
« Lapointe s'è fatto mandar su birra e panini. »
« Per due ? »
« I panini, sí. L'altro ha preferito acqua minerale. »
Maigret spinse la porta. Lapointe, seduto al suo posto, chino sopra alcuni fogli sui quali prendeva appunti, studiava intanto una nuova domanda da porre a Moncin.
« Hai fatto male ad aprire la finestra. Cosí entra solo aria calda. »
Andò a chiuderla. Moncin lo seguí con uno sguardo di rimprovero, come un animale torturato da ragazzi e nell'impossibilità di difendersi.
« Novità ? » domandò Maigret.
« L'avvocato Rivière ha telefonato per annunciare che assumeva la difesa. L'ho pregato di rivolgersi al giudice istruttore. »
« Hai fatto bene. E poi? »
« Janvier ha telefonato dal boulevard Saint-Germain. Nello studio vi sono parecchi raschietti di vari tipi ma tutti adatti, comunque, a servire da arma per delitti come quelli di Montmartre. Ha trovato anche un coltello a serramanico, con la lama lunga non piú di otto centimetri. »
Il dottor Paul, il medico legale che aveva praticato le autopsie, aveva parlato molto dell'arma, che l'aveva lasciato perplesso. Di solito, delitti del genere sono commessi con coltelli da macellaio abbastanza grossi, o con pugnali.
« A giudicare dalla forma e dalla profondità delle ferite, sarei tentato di dire che è stato usato un comune temperino » aveva detto il dottore. « A parer mio, l'arma non è pericolosa di per sé. Quel che la rende mortale è l'abilità con cui viene usata. »
« Abbiamo ritrovato la sua giacca, signor Moncin. »
Moncin aprí la bocca ma non emise alcun suono. Che cosa avrebbe voluto domandare ?
« Ha mangiato bene ? »
Sul vassoio che si trovava ancora lí, era rimasto un mezzo panino al prosciutto. La bottiglia dell'acqua minerale era vuota.
« Stanco ? »
Moncin abbozzò un sorriso di rassegnazione Tutto, in lui, era a mezzo tono. Aveva serbato, dell'adolescenza, qualcosa di timido e di gentile difficile a descriversi. Ancora un giorno e, quasi certamente, sarebbe finito nelle mani degli psichiatri.
« Prendo il tuo posto » disse Maigret a Lapointe. « Resta in attesa di là. Avvertimi se Moers scopre qualcosa di nuovo. »
Quando la porta fu richiusa, Maigret si tolse la giacca, si lasciò cadere sulla poltrona e appoggiò i gomiti sulla scrivania. Per circa cinque minuti, tenne lo sguardo su Marcel Moncin, che aveva girato la testa e fissava la finestra.
« Lei è molto infelice? » mormorò infine, quasi a malincuore.
L'uomo trasalí, evitò di guardarlo, indugiò un attimo prima di rispondere:
« Perché dovrei essere infelice? ».
« Quando s'è reso conto di non essere come gli altri? »
Vi fu un fremito sul viso dell'arredatore, che tuttavia riuscí a rispondere con un certo sarcasmo:
« Lei non mi trova come gli altri? »
« Quando era ancora adolescente... sapeva già? »
In quel momento, Maigret ebbe la sensazione che se avesse trovato le parole giuste, sarebbe caduta la barriera fra lui e l'uomo che sedeva rigido dall'altra parte della scrivania. Da qualche secondo la tensione era notevolmente scemata e c'era mancato poco perché gli occhi di Marcel Moncin si riempissero di lacrime.
« Saprà certo di non rischiare né la ghigliottina né la prigione, vero ?»
Forse Maigret aveva sbagliato tattica ? Aveva scelto una frase infelice ? Il suo interlocutore era tornato padrone di sé, assolutamente calmo in apparenza.
« Non rischio niente, perché sono innocente. Non ho piú nulla da dirle. Non le risponderò piú. »
Non era una dichiarazione a vuoto. Era chiaro che l'uomo aveva preso una decisione e intendeva attenervisi.
« Come vuole » sospirò il commissario, schiacciando il pulsante del campanello.
CAPITOLO 7
MAIGRET commise un errore. Un altro, al suo posto, l'avrebbe evitato? Questa domanda, se la sarebbe posta spesse volte in seguito, senza mai riuscire, beninteso, a rispondere in modo soddisfacente.
Dovevano essere circa le tre e mezzo, quando salí al laboratorio e Moers gli disse:
« La bruciatura nella giacca non risale a piú di dodici ore fa ».
« Ne sei sicuro? »
« Sicurissimo. Comunque ho intenzione di compiere alcuni esperimenti. Imrnagino mi sia permesso di bruciare la giacca in altri punti, per esempio dietro, sull'orlo interno, no? Queste bruciature di prova potranno servire se il caso finirà in corte d'assise. »
Maigret annuí e ridiscese. Nel cortile della Polizia Giudiziaria salí su un'automobile e si fece portare in boulevard Saint-Germain.
Venne ad aprirgli la stessa cameriera del mattino.
« Il suo collega è in salotto » gli comunicò la ragazza.
Parlava di Janvier che, tutto solo, stava riordinando gli appunti presi nel corso della perquisizione. I due uomini erano molto stanchi.
« Dov' è la moglie ? »
« M'ha chiesto il permesso di andare a stendersi sul letto. »
« Non l'hai interrogata ? »
« Non mi aveva detto nulla in proposito. Ho chiacchierato con la cameriera. Non sono neanche sei mesi che è qui. La coppia riceveva poco, e usciva ancor meno. Non sembra che i Moncin abbiano amici intimi Ogni tanto vanno a passare la fine di settimana dai suoceri che hanno una villa a Triel. »
« Che tipi sono? »
« Il padre era farmacista in place Clichy, ma ormai s'è già ritirato da qualche anno dalla professione. »
Janvier mostrò a Maigret la fotografia di un gruppo in un giardino. Erano riconoscibili Moncin, sua moglie, un uomo dalla barbetta sale e pepe e anche una donna molto robusta che sorrideva beata, la mano posata su un cofano di un'automobile. C'era una scatola piena di fotografie, soprattutto della signora Moncin, e una la mostrava nel giorno della sua prima comunione, mentre un'altra era l'immancabile ritratto della coppia il giorno delle nozze.
« Alcune lettere d'affari, non molte. Sembra che Moncin non abbia piú di una dozzina di clienti. Qualche fattura. Da quel che ho potuto vedere, pare che le paghino solo quando i fornitori hanno già sollecitato tre o quattro volte. »
La signora Moncin, che forse aveva udito entrare il commissario, apparve nel riquadro della porta, il viso piú tirato che al mattino.
«Non l'ha rilasciato?» domandò.
« Non prima che ci abbia fornito una ragionevole spiegazione su certe strane coincidenze. »
Lei si limitò ad alzare le spalle.
«Un giorno si accorgerà di questo suo errore e allora rimpiangerà il male che gli sta facendo.»
« Lo ama ? »
« E' mio marito. »
Ciò significava che l'amava oppure che, essendo la moglie, si sentiva in dovere di restargli al fianco?
« Lei si renderà conto, immagino, che anche se suo marito è colpevole, come ho buone ragioni di credere, non rischia né la ghigliottina né i lavori forzati. L'uomo che ha ucciso cinque donne per strada e poi si è divertito a lacerarne le vesti è un malato. Quando non è in crisi può trarre in inganno. E trae certamente in inganno, se finora nessuno ha mai badato ai suoi atteggiamenti. Mi ascolta ? »
« L'ascolto. »
« Cinque donne sono morte, e finché l'assassino resterà libero, altre vite saranno in pericolo. Si rende conto che se lui finora ha aggredito solo donne per la strada, domani potrebbe anche attaccare le persone che gli vivono vicino? Non ha paura?»
« No. »
« Non ha l'impressione di essere stata esposta per mesi, forse per anni, a un pericolo mortale? »
« No. »
Era scoraggiante. Il suo non era nemmeno un atteggiamento di sfida. Restava calma, quasi serena.
« Ha visto mia suocera? Che le ha detto? »
« Ha protestato. Posso chiederle come mai c'è della ruggine tra voi due ? »
« Preferirei non parlare di queste cose. Sono fatti che non hanno nessuna importanza. »
Che altro fare?
« Possiamo andare, Janvier. »
« Non ha intenzione di rilasciare mio marito? »
« No. »
Dopo averli accompagnati all'ingresso, la donna chiuse l'uscio alle loro spalle.
Verso le otto alcune gocce di pioggia s'erano schiacciate sui selciati, e tutti avevano sperato nel temporale ma, se temporale c'era stato, doveva essere scoppiato piú a levante, dove il cielo era ancora di un nero minaccioso. Non attesero l'ora esattamente corrispondente a quella in cui era avvenuta l'aggressione della sera precedente, poiché fin dalle nove le strade risultarono buie e identica l'illuminazione.
Maigret uscí da solo, per lo scalone, chiacchierando con i cronisti.
Lucas e Janvier finsero di condurre Moncin alla Souricière, stavolta ammanettato, ma quando arrivarono nel cortile lo fecero salire su un'automobile.
Si ritrovarono tutti sull'angolo della rue Norvins dove aspettava Marthe Jusserand, in compagnia del fidanzato.
Bastarono pochi minuti. Moncin fu condotto nel punto preciso in cui la ragazza era stata aggredita. Gli avevano fatto indossare la giacca bruciata.
« Non c'erano altre luci? »
L'ausiliaria si guardò intorno, scosse la testa. « No. Era esattamente come adesso. »
« Ora cerchi di vederlo nella stessa prospettiva in cui l'è apparso ieri sera. »
La giovane donna si chinò variamente, fece spostare Moncin in due o tre punti diversi.
« Lo riconosce ? »
Marthe Jusserand appariva molto turbata e, dopo aver lanciato un'occhiata al fidanzato, mormorò:
« Sono certa che sia lui ».
Una seconda occhiata parve chiedere scusa a Moncin, che attendeva pressoché indifferente.
« Lo riconosce formalmente? »
La donna fece cenno di sí con la testa ma, svuotata a un tratto del coraggio che l'aveva sostenuta fino a quel momento, scoppiò in singhiozzi.
« Non ho piú bisogno di lei, questa sera. La ringrazio » le disse Maigret, sospingendola verso il fidanzato. « Ha udito, signor Moncin ? »
« Sí. »
« Non ha nulla da dire ? »
« Nulla. »
« Portatelo via, ragazzi. »
« Buona nottc, capo. »
« Buona notte a voi. »
Maigret salí su una vettura.
« A casa mia, in boulevard Richard-Lenoir. »
Si fece lasciare, invece, nei pressi di square d'Anvers, dove entrò in una birreria a bere un mezzo boccale. Per ciò che lo riguardava, il suo compito era praticamente esaurito. La mattina seguente, il giudice Coméliau avrebbe voluto interrogare Moncin e l'avrebbe successivamente rinviato agli specialisti per una perizia mentale.
Perché Maigret non era soddisfatto? Professionalmente aveva fatto tutto ciò che doveva. Tuttavia, c'era ancora qualcosa che gli sfuggiva.
Lo "choc" non era ancora avvenuto. Lui non aveva avuto mai, nemmeno per un momento, la sensazione di un contatto umano con l'arredatore.
Anche l'atteggiamento della signora Moncin lo turbava molto.
Con lei avrebbe tentato di nuovo.
« Mi sembri proprio a terra » osservò la signora Maigret. « E' davvero chiusa tutta la faccenda ? »
« In un certo senso, sí. »
Entrò in camera da letto, cominciò a spogliarsi.
« Spero che domani potrai dormire un po' di piú. »
Lo sperava anche lui. Piú che stanco, era demoralizzato. Caduta la tensione dell'inchiesta, si ritrovava a un tratto in una sorta di vuoto .
Si rigirò piú volte prima di addormentarsi. Non aveva piú nozione del tempo, né di null'altro, neppure del luogo in cui si trovava, quando squillò il telefono.
« Pronto !... »
« E lei signor commissario? Qui è Lognon... Mi dispiace disturbarla, ma... C'è stato un nuovo delitto... Una donna... A coltellate... Le vesti sono state lacerate... »
La signora Maigret aveva acceso la luce. Vide il marito mettersi a sedere e poi stropicciarsi gli occhi.
« Ma ne siete sicuri?... Pronto! Lognon, che ora è? »
« Mezzanotte e dieci. »
« Quando è successo ? »
« Circa tre quarti d'ora fa. »
« Vengo subito... »
« Un'altra? » domandò la moglie.
Lui fece cenno di sí.
« Chiamami la Polizia Giudiziaria, mentre comincio a vestirmi. »
« Pronto!... Polizia Giudiziaria?... Attenda, le passo il commissario Maigret. »
« Sei tu, Mauvoisin? » brontolò Maigret. « Lognon t'ha già informato? Moncin è alla Souricière ?... Mi mandi qui subito qualcuno che venga a prendermi?... A casa mia, sí... »
In macchina, Maigret tenne lo sguardo fisso innanzi a sé e quando scese, accanto a un gruppo d'una ventina di persone, in un punto illuminato di rue de Maistre, fece sbattere la portiera dietro le spalle.
Lognon gli venne incontro con l'espressione di uno che dia l'annunzio d'un lutto in famiglia.
« Ero di servizio quando mi hanno dato l'allarme per telefono.
Sono accorso subito. »
Una figura femminile giaceva stesa sul marciapiede, quasi contro il muro, e un rivolo di sangue aveva disegnato una linea a zigzag, scura, già rappresa.
« Morta? »
Qualcuno s'avvicinò, un medico del quartiere, Maigret lo capí in seguito.
«Ho contato almeno sei coltellate » disse. « Ho potuto compiere solo un esame superficiale.»
« Tutte nella schiena ? »
« No. Quattro almeno nel petto. Un'altra nella gola, e sembra sia stata inferta dopo le altre, probabilmente quando la vittima era già caduta. Vi sono poi ferite meno profonde sugli avambracci e sulle mani. »
Maigret aggrottò le sopracciglia.
« E stata identificata? » domandò indicando il corpo.
« Aveva la carta d'identità in borsetta. Jeanine Laurent, diciannove anni, domestica tuttofare presso la famiglia Durandeau, rue de Clignancourt. »
Maigret preferí non guardarla. La piccola cameriera s'era certamente messa il vestito migliore, in tulle blu cielo. Senza dubbio era andata a ba]lare. Portava scarpe dai tacchi altissimi e una le si era sfilata dal piede.
« Chi ha dato l'allarme? »
« Io, signor commissario. »
Era un agente ciclista che, paziente, attendeva di essere interrogato.
« Mentre facevo il giro di perlustrazione con il mio collega, a un tratto sul marciapiede di sinistra... »
Non aveva visto nulla. Quando si era chinato sulla vittima, il corpo era ancora caldo e il sangue sgorgava ancora dalle ferite.
In quel momento, giunse una macchina che si arrestò con uno stridore di freni, e ne balzò fuori Rougin, i capelli in disordine.
« Allora, commissario ? »
« Chi l'ha avvertita? »
Maigret era irritato, aggressivo.
« Qualcuno per strada... C'è ancora chi crede nell'utilità della stampa... Allora, neanche stavolta il suo uomo era quello giusto? »
Senza badare oltre al commissario, si precipitò verso il marciapiede, seguito dal fotografo e, mentre questi scattava, interrogò i curiosi lí intorno.
« Occupati del resto » borbottò Maigret, rivolgendosi a Lognon.
Risah in macchina, la testa bassa, l'aria di chi sta rimuginando pensieri agri.
« Dirigiti verso place Blanche » disse all'autista.
In place Blanche trovarono le luci ancora accese alle terrazze dei caffè. Maigret entrò in un bar, ordinò un mezzo boccale di birra, fumò almeno tre pipe, senza muoversi. Gli ci volle un po' di tempo per calmarsi. Il suo primo impulso era stato di precipitarsi alla Souricière, entrare nella cella di Marcel Moncin e scuoterlo fino a quando si fosse deciso a parlare.
"Confessa, farabutto, che sei tu..."
Ne aveva la certezza quasi dolorosa. Era impossibile che si fosse ingannato su tutta la linea. E adesso non era piú un sentimento di pietà e neppure di curiosità, quello che provava per lo sfuggente arredatore. Era collera. Sapeva di aver commesso un errore e sapeva anche che adesso era troppo tardi per rimediarvi. Una ragazza era morta, una ragazza di campagna che, come altre migliaia di sue colleghe ogni anno, era venuta a tentar la sorte a Parigi e dopo avere passato la giornata chiusa in una cucina era andata a ballare.
Troppo tardi, ormai, anche per verificare l'idea che gli era venuta.
A quest'ora non avrebbe trovato nulla.
Maigret immaginava la reazione del giudice Coméliau, la sua telefonata imperiosa non appena avesse aperto il giornale.
Con passo pesante si diresse verso l'interno della birreria e telefonò a sua moglie.
« Sei tu? » esclamò la signora Maigret, stupita.
« Voglio solo avvisarti che non rientrerò affatto, stanotte. »
Senza una precisa ragione. Non aveva nulla da fare al momento, però provava il bisogno di ritrovarsi nell'atmosfera familiare del Quai des Orfèvres, nel suo ufficio, con qualcuno dei suoi uomini.
« Quant'è, cameriere ? »
Pagò, si diresse verso la vetturetta.
« Al Quai ! »
Ritrovò Mauvoisin con un paio di colleghi, uno dei quali mangiava una salsiccia annaffiandola con vino rosso.
« Telefona a Janvier e a Lapointe. Di' loro che si trovino qui alle cinque e mezzo di mattina. »
Per un'ora circa, solo nel suo ufficio, si lesse e rilesse i verbali degli interrogatori, in particolare quello della madre di Moncin e quello della moglie. Quindi si buttò nella sua poltrona e, la camicia sbottonata sul petto, parve assopirsi.
I vetri sbiadirono, il cielo si fece grigio, e alla fine spuntò il sole.
Quando la porta si aprí, Mauvoisin entrò portando una tazza di caffè.
« Che ora è? »
« Le cinque e venticinque. »
« Sono venuti ? »
«Janvier. Quanto a Lapointe... »
« Eccomi, capo » squillò la voce di quest'ultimo.
Erano rasati entrambi.
« Entrate. »
Avrebbe commesso un secondo errore se non si fosse messo in contatto con il giudice Coméliau? In tal caso, se ne assumeva la responsabilità.
« Tu, Janvier, va' in rue Caulaincourt. Portati un collega. Voglio qui la vecchia. Protesterà. Consegnale quest'ordine di comparizione. »
Gli tese un foglio che aveva appena firmato.
« Quanto a te, Lapointe, andrai a cercarmi la signora Moncin, in boulevard Saint-Germain. »
« Anche a me dà un ordine di comparizione? »
« Sí. Metterete le due donne assieme in una stessa stanza, qui, e baderete poi di chiuderne a chiave la porta. Dopo venite ad avvertirmi. »
Uscirono entrambi, e Maigret aprí il proprio armadio a muro.
Vi teneva sempre il necessario per radersi. Si fece la barba e si tagliò anche leggermente sopra il labbro.
Fuori, qualche autobus attraversava il ponte Saint-Michel quasi deserto e, proprio di fianco a questo, stava fermo un pescatore con la lenza.
Poco piú tardi, Janvier entrò nell'ufficio con l'espressione di chi abbia portato a termine un compito poco gradevole.
« Ecco fatto! Ma ce n'è voluta! »
Dieci minuti dopo, giunse Lapointe.
« Le abbiamo messe insieme » disse.
« Son volate scintille ? »
« Si sono scambiate una sola occhiata e poi basta, come se non si conoscessero. »
Janvier esitò, azzardò una domanda.
« Che facciamo, adesso ? »
« Al momento, niente. Tu mettiti nell'ufficio vicino, accanto alla porta di comunicazione. Se si decidono a parlare, cerca di ascoltare quel che dicono. »
« Altrimenti ? »
Il commissario allargò le braccia in un gesto vago, che forse significava: "Speriamo in Dio!".
CAPITOLO 8
ALLE NOVE, nell'angusto ufficio in cui erano chiuse, le due donne non avevano ancora scambiato una sola parola. Sedute su due sedie dallo schienale diritto, stavano immobili, come nella sala d'attesa d'un medico o di un dentista ma senza il diversivo di una rivista da sfogliare. Maigret non aveva considerato che, in ogni caso, una delle due doveva ignorare il delitto della notte.
« Bisogna far portare nell'ufficio qualche giornale e metterli sulla scrivania come se si trattasse di una regolare norma di servizio, facendo però in modo che le due donne possano scorgerne i grossi titoli. »
Coméliau aveva già telefonato due volte, la prima da casa, dove probabilmente aveva letto il giornale mentre consumava la colazione, la seconda dal Palazzo di Giustizia.
« Rispondigli che sono stato già visto qui e che mi state cercando. »
Una questione importante era intanto stata risolta da alcuni ispettori che il commissario aveva inviati in missione di primissima mattina. Per quanto concerneva la madre di Moncin, costei poteva entrare nell'edificio di rue Caulaincourt e anche uscirne in qualsiasi ora senza essere vista da nessuno, si coricava al massimo verso le dieci e mezzo.
In boulevard Saint-Germain, invece, i Moncin non disponevano di una chiave. La portinaia restava su fin quasi alle undici. Mentre, al mattino, apriva il portone verso le cinque e mezzo per trascinare sul marciapiede i bidoni della spazzatura. A volte nusciva a tornarsene a letto per un'ora ancora.
La sera precedente, la signora Moncin era potuta uscire e rientrare dopo mezzanotte, senza che la portinaia ricordasse di averle aperto ?
L'ispettore, che era stato nell'edificio del boulevard Saint-Germain, riteneva di sí.
« Naturalmente » spiegò a Maigret, « la portinaia sostiene il contrario. Gli inquilini non sono della stessa opinione. Da quando è rimasta vedova, la donna ha preso l'abitudine di bere, la sera, un paio almeno di bicchierini di non so piú quale liquore dei Pirenei.
Certe sere è necessario suonare due o tre volte per farsi aprire la porta e quando poi quella apre è in un tale stato di sonnolenza da non sentire nemmeno il nome che l'inquilino dice in fretta passando. »
Giunsero altre notizie. Si apprese che Marcel Moncin e sua moglie si conoscevano fin dall'infanzia e che, dopo il matrimonio, la giovane coppia aveva abitato per diversi mesi in un appartamento che la signora Moncin aveva messo a disposizione del figlio e della nuora nello stabile di rue Caulaincourt, sullo stesso piano del suo.
Alle nove e mezzo, Maigret decise:
« Andate a prendere Moncin alla Souricière ».
Dal suo posto d'ascolto, Janvier aveva udito alzarsi una delle due donne, poi il fruscio delle pagine d'un giornale. Non sapeva di quale delle due si trattasse. Non s'era udita nemmeno una parola.
Moncin entrò senza dire nulla, guardò il commissario che si limitò a salutare con un cenno impercettibile della testa, e attese d'essere invitato a sedere. Non aveva avuto la possibilità di radersi e la sua barba chiara gli alterava leggermente i tratti regolari del volto; cosí, aveva qualcosa di flaccido.
« L'hanno informata di quello che è successo ieri sera? »
« Nessuno mi ha rivolto la parola » rispose Moncin, quasi con una nota di rimprovero.
Maigret gli tese il giornale che forniva il resoconto piú minuzioso degli avvenimenti della rue de Maistre. Mentre il prigioniero leggeva, il commissario non lo lasciò con gli occhi, e fu certo di non ingannarsi:
la prima reazione di Moncin era stata di contrarietà. Aveva aggrottato le sopracciglia, stupito, seccato.
NONOSTANTE L'ARRESTO DELL'ARREDATORE
NUOVA VITTIMA A MONTMARTRE
« Come vede » disse Maigret, « qualcuno cerca di salvarla. E tanto peggio se il tentativo deve costare la vita a una povera ragazza appena arrivata a Parigi! »
Non era passato un sorriso furtivo sulle labbra di Moncin?
« Le due donne sono qui... » proseguí Maigret a fior di labbra, fingendo di non guardarlo. « Tra poco le faremo entrare, e cosí potrete spiegarvi. »
Le pupille blu di Moncin divennero piú fisse, strinse le mascelle, lanciò al commissario una rapida occhiata di rimprovero. Contemporaneamente il sudore gli salí alla fronte e gli imperlò il labbro superiore.
« Lei sa, vero, quale delle due ha stupidamente deciso di salvarla ? »
« Non ho nulla da rispondere. »
« Voglio dirle quel che penso di lei. Lei è stato un bambino come gli altri, quanto meno in apparenza. Il figlio di un macellaio. La umiliava essere figlio d'un macellaio? »
Non aveva bisogno della risposta.
« Ne era umiliata anche sua madre, che vedeva in lei una specie di aristocratico. Non so a che rassomigliasse quel brav'uomo di suo padre. Fra tutte le fotografie tanto devotamente conservate da sua madre, non ne ho trovata una sola di lui. Se ne vergogna, è chiaro.
Al contrario, lei è stato sempre fotografato fin dalla prima infanzia in ogni atteggiamento possibile e, a sei anni, ha ricevuto un abito da marchese, fatto su misura, per un ballo in maschera. Lei ama sua madre, signor Moncin? »
L'altro continuò a tacere.
« E non ha finito col pesarle l'esser coccolato assiduamente, sempre trattato come un essere delicato, bisognoso di cure costanti? Avrebbe potuto ribellarsi, come hanno fatto tanti nelle sue stesse condizioni. Ma lei non si è ribellato perché è pigro e perché ha un orgoglio smisurato. Qualunque cosa le capitasse, sua madre era sempre lí pronta. Cosí lei poteva permettersi tutto. Solo che c'era un prezzo da pagare: la sottomissione. Lei non aveva il diritto di diventare un uomo come tutti gli altri. Nel timore che cominciasse ad avere qualche avventura, sua madre le ha fatto prender moglie a vent'anni.
Considerava Yvonne solo una giovane pollastrella, malleabile e docile ai suoi voleri e per questo vi aveva sistemati entrambi sul suo stesso pianerottolo. Ma la giovane pollastrella doveva rivelarsi invece una donna non meno possessiva della suocera. Fra le due è cominciata una guerra in cui sappiamo che lei, posta del gioco, era di continuo sballottato dall'una all'altra. Sua moglie ha vinto la prima mano, perché è riuscita a trasferirsi nell'appartamento di boulevard Saint-Germain, dove le ha offerto nuove prospettive, nuove amicizie. E a questo punto lei non ha cominciato a provare anche contro Yvonne le stesse ribellioni che aveva già nutrito nei confronti di sua madre? L'una e l'altra, Moncin, le impedivano di essere un uomo! »
Il prigioniero gli lanciò uno sguardo carico di rancore, poi abbassò gli occhi verso il tappeto.
« Perlomeno, era ciò che lei si sforzava di credere. Pur sapendo, in fondo, che non era vero. Lei non aveva il coraggio di essere un uomo. Aveva bisogno di loro, delle loro cure, della loro ammirazione della loro indulgenza. Ed è proprio questo che l'umiliava. »
Maigret andò a piantarsi davanti alla finestra per riprendere fiato e s'asciugò la fronte con il fazzoletto, i nervi tesi come quelli d'un attore che incarni il proprio personaggio allo spasimo.
« Lei non mi risponderà, e so anche perché: sarebbe troppo penoso per il suo amor proprio. Questa viltà, questo compromesso continuo nel quale ha vissuto, sono troppo dolorosi.
« Quante volte le sarà venuta la voglia di ucciderle! Non parlo delle povere donne sconosciute incontrate per strada. Parlo di sua madre e di sua moglie. Sarei pronto a scommettere che, già da ragazzo, qualche volta le è passata per la testa l'idea di uccidere sua madre per liberarsene. E che lo stesso le è capitato in seguito con Yvonne.
In quale momento, perché e sotto l'urto di quale umiliazione piú violenta delle altre, è scattato il meccanismo? Solo lei potrebbe rispondere a questa domanda, e non ne sono neppure sicuro. Comunque sia, a un certo punto dentro di lei è nato questo proposito di affermazione. Per soddisfare il suo orgoglio era necessario un gesto di cui parlassero tutti, che le desse la sensazione di librarsi alto sopra la folla. Le è venuta l'idea di uccidere le due donne ? Era pericoloso.
Le indagini si sarebbero indirizzate automaticamente dalla sua parte, e non le sarebbe rimasto nessuno che la sostenesse, la lusingasse, la incoraggiasse. Lei comunque odiava le donne dominatrici. E contro donne scelte a caso, per la strada, lei ha vibrato i suoi colpi.
« Le ha dato sollievo, Moncin, scoprire di essere un uomo capace di uccidere? Le ha dato il senso della sua superiorità sugli altri uomini? »
Lo guardava negli occhi, con durezza.
« Siccome l'omicidio è sempre stato considerato il piú grave delitto, vi sono individui convinti che per uccidere vi sia bisogno di un coraggio eccezionale. Ma lei è un criminale borghese, signor Moncin, un criminale delicato, un criminale che ha bisogno delle proprie comodità e di tante piccole cure. Lei ha paura delle percosse, della sofferenza fisica. Se la colpissi in faccia con un manrovescio, lei crollerebbe e molto probabilmente, per paura di un secondo colpo preferirebbe confessare. »
Maigret doveva apparire terribile, acceso come era dalla collera che a mano a mano si era impadronita di lui, perché Moncin, tutto raccolto su sé stesso, era divenuto terreo.
« Non abbia paura. Non la colpirò. Lei s'è dimostrato intelligente.
Ha scelto un quartiere di cui conosceva i minimi recessi. Ha scelto un'arma silenziosa eppure un'arma che nell'atto stesso del colpire le procurava un appagamento fisico. Lei colpiva ma questo non le bastava: dopo, come un ragazzaccio, doveva ancora accanirsi sulla vittima. Non la violentava, perché ne è incapace, perché non è mai stato veramente un uomo. »
Moncin rialzò bruscamente la testa, fissò Maigret, le mascelle serrate, quasi stesse per saltargli addosso.
« Vede, signor Moncin, io mi ricorderò di lei finché vivrò perché, in tutta la mia carriera, mai un caso m'ha turbato quanto questo, mai ha impegnato tanta parte di me. Dopo il suo arresto, ieri, né sua madre né sua moglie la credevano davvero innocente. E una delle due ha deciso di salvarla. Adesso sono qui, dalle prime ore di stamattina, chiuse l'una di fronte all'altra dentro un ufficio, senza avere mai aperto bocca. Quella che è innocente sa che l'altra non lo è e mi domando se nell'intimo, segretamente, non la invidi. La guerra che si fanno da anni non deve forse decidere a quale delle due lei apparterrà in definitiva? E salvarla non e forse il mezzo migliore per assicurarsi questo possesso? »
Andò ad aprire la porta dell'ufficio degli ispettori.
« Fate venire le due donne. »
Doveva farla finita.
« Entrino pure, signore. Janvier... rimani e prendi nota. »
La tensione interna traspariva solo per una certa vibrazione della voce, per la calma esagerata cli certi gesti, come quello con cui tese una sedia a ciascuna delle due. La madre, che aveva rifiutato di sedere, si diresse verso di lui, la bocca aperta.
« Taccia! Non adesso! » le intimò seccamente Maigret.
Yvonne Moncin, invece, s'era seduta piú saggiamente sul margine d'una sedia, come una giovane signora in visita. Aveva rivolto al marito uno sguardo molto breve, e adesso fissava il commissario.
« Non voglio cercare di ingannarvi » disse Maigret, « facendovi credere che Moncin ha confessato. Ma, che lo ammetta o no, egli ha ucciso per cinque volte, e voi lo sapete, perché entrambe conoscete i suoi punti deboli meglio di chiunque altro. Prima o poi i fatti saranno stabiliti. E prima o poi egli finirà in prigione o in manicomio. Una di voi due ha creduto che un nuovo omicidio avrebbe potuto sviare i sospetti. Costei, pur a suo modo, l'ha amato al punto da... »
Lo sguardo che la signora Moncin lanciò alla nuora non gli sfuggí.
Mai, ne era certo, aveva letto in occhi umani un tale odio.
Quanto a Yvonne non s'era mossa. Sembrava sempre ipnotizzata da Maigret, che seguiva in ogni espressione del volto.
« Mi rimane da dirvi una cosa ancora. Quasi certamente, Moncin salverà la testa. Vi sono le premesse perché lui sia rinchiuso in manicomio per il resto dei suoi giorni. »
Le labbra dell'uomo ebbero un fremito. A che pensava in quel preciso momento ? Doveva avere una paura atroce della ghigliottina, e paura anche della prigione. Ma adesso, non stava forse evocando certe scene di manicomio quali son viste dall'immaginazione popolare? Maigret fu certo che se gli avessero promesso una camera personale, un'infermiera, e il diritto a cure raffinate e all'attenzione di qualche professore illustre, Moncin non avrebbe esitato a parlare.
« Quanto alla donna, la cosa è diversa. Da sei mesi Parigi vive nel terrore, e la gente non perdona mai il terrore che ha dovuto subire. I giurati saranno parigini, padri, mariti e donne che avrebbero potuto cadere sotto il coltello di Moncin all'angolo di qualche strada. Nessuna eccezione di pazzia, in questo caso. E la donna che pagherà. Una di voi due, per salvare un uomo, per non perdere, piú esattamente, ciò che considerava il proprio bene, s'è giocata la testa. »
« Non rimpiangerò certo di morire per mio figlio » scattò a un tratto la signora Moncin, scandendo le parole. « E il mio bambino.
Non m'importa di quel che ha fatto, né delle donnacce che la sera passeggiano per le strade di Montmartre. »
« Lei ha ucciso Jeanine Laurent? »
« Non so come si chiamava. »
« Lei ha commesso, la notte scorsa, l'omicidio di rue de Maistre? »
La donna esitò, guardò il figlio e, alla fine, disse:
« Sí. »
«In tal caso, è in grado di precisare il colore dell'abito della vittima ?»
Maigret aveva chiesto alla stampa di non pubblicare quel particolare.
« Io... Era troppo buio perché... »
« Ma come! Saprà benissimo che l'aggressione è avvenuta a meno di cinque metri da un lampione a gas... »
« Non ci ho fatto caso. »
« Però, quando ha lacerato il tessuto... »
Il delitto era stato commesso a oltre cinquanta metri dal lampione piú vicino.
Allora, nel silenzio, risuonò calma la voce di Yvonne Moncin che, con il tono di una scolaretta in aula, affermò:
« Il vestito era blu ».
Sorrideva, sempre immobile, poi si girò verso la suocera alla quale rivolse uno sguardo di sfida.
Non era lei infatti che, nella sua mente almeno, vinceva la partita?
« Effettivamente era blu » sospirò Maigret, allentando finalmente la tensione nervosa.
E il sollievo fu cosí improvviso, cosí violento, che gli occhi gli si inumidirono, forse lacrime di fatica.
« Concludi tu, Janvier » mormorò alzandosi e prendendo una pipa a casaccio dalla scrivania.
La madre era crollata, invecchiata a un tratto di dieci anni, quasi le avessero strappato la sua unica ragione di vita.
Maigret non ebbe uno sguardo per Marcel Moncin, che aveva lasciato ricadere la testa sul petto. Attraversò il folto gruppo dei giornalisti e dei fotografi che l'assalí nel corridoio, e si precipitò verso la piccola porta a vetri che dava accesso al Palazzo di Giustizia.
Si trattenne appena un quarto d'ora presso il giudice Coméliau.
Quando tornò, spinse la porta dell'ufficio degli ispettori, e tutti gli sguardi si concentrarono su di lui.
« E' finita, ragazzi... »
Esitò, rivolse un'occhiata circolare a tutti i suoi collaboratori,
ebbe per loro un sorriso stanco e confessò:
« Io vado a dormire ».
Dormí fino alle sei del pomeriggio, la finestra aperta sui rumori di Parigi, e quando, finalmente, comparve nella sala da pranzo, gli occhi ancora gonfi di sonno, annunciò a sua moglie:
« Stasera andiamo al cinema... »
A braccetto, cosí come facevano sempre.
La signora Maigret non gli fece domande. Intuiva confusamente che lui tornava da lontano, che aveva bisogno di riabituarsi alla vita di tutti i giorni, di sentirsi nuovamente in mezzo a persone che gli facessero ritrovare la fiducia nel prossimo.
GEORGES SIMENON
GEORGES SIMENON è nato a Liegi, in Belgio, il 13 febbraio 1903. La sua, era una famiglia di artigiani e di piccoli commercianti, il padre faceva l'agente assicuratore, la madre teneva una pensione familiare per studenti stranieri. Simenon, costretto ad abbandonare gli studi a causa di una grave malattia del padre, cominciò a lavorare a sedici anni, come commesso in una libreria. Questo suo impiego, tuttavia, durò solo un mese, l'autore stabilí infatti di dedicarsi al giornalismo: entrato come cronista presso La Cazzetta di Liegi, si vide ben presto affidare una rubrica quotidiana. Nel 1922, Simenon pensò di trasferirsi a Parigi, e lí, con diversi pseudonimi, pubblicò romanzi popolari e centinaia di racconti in giornali e periodici.
La figura ormai leggendaria del commissario Maigret nacque nel 1929, in un porto olandese, dove Simenon soggiornava a bordo della sua imbarcazione da diporto. Al fortunato personaggio, che riscosse subito un enorme successo, l'autore dedica da allora almeno uno dei cinque o sei romanzi che scrive ogni anno.
La lista delle opere di Simenon è troppo lunga per poterla citare: basti dire che i suoi romanzi sono a tutt'oggi ben 198, la maggior parte dei quali tradotti in 41 lingue diverse e pubblicati in 31 Paesi. Ben 46 sono i libri che hanno ispirato altrettanti soggetti cinematografici; altri, ancor piú numerosi, sono stati adattati per la radio e per la televisione dei principali Paesi del mondo.
Dopo aver abitato a lungo a Parigi, e poi in varie regioni della Francia, Simenon si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha vissuto per dieci anni.
Ora è tornato in Europa, e si è stabilito in Svizzera, insieme con la moglie e i quattro figli.
FINE.