Mariusz Czajkowski, ATTO SOTTO SEGRETO
APOSTOLICUM ROMANAE ROTAE TRIBUNAL
Coram
R.P.D. Josepho Puccia, Ponente
ROMANA
Nullitatis Matrimonii: Prel. N.S.
(ROSSI - NERI)
Prot. 12345
Il voto del Difensore del vincolo
(can. 1432; art. 56, §§ 1 - 2 Inst. "Dignitas Connubii")
Il 5.8.2000 il sig. Mario Rossi e la sig.ra Franca Neri si sposavano a Roma. Nonostante la nascita di una figlia (15.8.2001), nel gennaio 2004 seguiva la separazione di fatto e quella legale.
Desiderosa di riprendere la propria libertà di stato, il 5.5.2004 la sig.ra Neri si rivolgeva al tribunale ecclesiastico del Vicariato chiedendo la dichiarazione di nullità del suo matrimonio per incapacità di entrambi dovuta ad immaturità.
Espletata l'istruttoria e legittimamente dichiarata assente la parte convenuta che aveva scritto di non essere interessata alla causa e di rimettersi alla giustizia del tribunale, il 15.6.2006 veniva emanata sentenza negativa.
Appellata la decisione al tribunale superiore, qui, in sede di interrogatorio la sig.ra Neri dichiarava che il vero motivo per cui il matrimonio era fallito e per il quale lei chiedeva la dichiarazione di nullità era l'incapacità del marito dovuta a pedofilia ed incesto perpetrato ai danni della figlia minore.
Il giudice raccoglieva questa dichiarazione in un foglio a parte firmato da lui e dalla attrice. Ritenendo poi che questo fosse un argomento estremamente delicato, di fatto, senza alcun decreto, non lo pubblicava, ma lo lasciava nella posizione.
Il 20.12.2006 veniva emanata sentenza affermativa per incapacità dell'uomo dovuta “a gravi disturbi nella sfera sessuale”.
DIRITTO
Il can. 1598, § l (similmente l'art. 230 Instr. "Dignitas Connubii"), stabilisce che nelle cause riguardanti il bene pubblico, per evitare gravissimi pericoli, il giudice può stabilire che un qualche atto non sia posto a conoscenza di alcuno, "cauto tamen ut jus defensionis semper integrum maneat".
E' prevista l'eccezione di non pubblicare qualche atto, quando il giudice lo decida, ma sotto tre condizioni precise: che si tratti di cause riguardanti il bene pubblico, che la pubblicazione dell'atto in questione possa recare pericoli gravissimi, e che rimanga integro il diritto alla difesa. Ciò vuol dire che la pena di nullità stabilita come regola non si attua nell'ipotesi dei pericoli gravissimi che a discrezione del giudice si possa verificare. Si tratta di una facoltà di segreto che il giudice non è tenuto ad usare, anzi che può solo usare nel caso di pericoli gravissimi.
La norma, ponendo come condizione il mantenimento integro del diritto alla difesa mette al riparo da una prassi abusiva della facoltà del segreto e non autorizza a privilegiare le preoccupazioni istituzionali. Ciononostante in queste ipotesi si apre la porta alla poca responsabilità nelle dichiarazioni, testimonianze e via dicendo, e soprattutto, all'impunibilità di chi le realizza. Quando si agisce secondo verità non sembra molto fondato il timore. Meno gravi sono da ritenere gli ipotetici fastidi nei rapporti sociali di cui possano essere oggetto i dichiaranti.
L'obbligo di lasciare integro il diritto alla difesa non sarebbe adempiuto con la sola motivazione del decreto che impedisce l'esame di un atto, poiché tale motivazione si limiterebbe ad indicare i pericoli derivanti dalla pubblicazione. La sostanza che interessa al riguardo è la portata di tale atto agli effetti della decisione. Se senza tale atto, la decisione della causa si muovesse in un'altra direzione, il giudice non dovrebbe usare la facoltà del segreto, perché sarebbe un pericolo maggiormente grave e espressamente contrario alla legge impedire la difesa della parte. Questa è la soluzione offerta anche dalla dottrina più tradizionale.
Se teniamo conto dell'obbligo del giudice di decidere secondo coscienza formata "ex actis et probatis", la soluzione dottrinale deve essere più radicale. Indipendentemente dalla portata dell'atto in questione per la decisione della causa, la facoltà del segreto è incompatibile con la formula "ex actis et probatis", dato che la pubblicazione è un mezzo per concludere l'istruttoria. Poiché il diritto alla difesa deve rimanere comunque integro, l'atto segreto non può costituire elemento essenziale per l'accertamento dei fatti in contraddittorio e la successiva decisione.
La recente normativa non prevede più l'ipotesi di atti posti sotto segreto "nemini manifestandum”. L'atto in questione deve esser posto a conoscenza del patrono (con l'obbligo di non comunicarlo alla parte) e, ove la parte ne fosse sfornita, dovrebbe esserle nominato d'ufficio un difensore.
Ed è questa la soluzione presentata dalla nuova normativa, che, all'art. 157 § 2 dell'Istruzione "Dignitas Connubii", stabilisce: "Non si ammettono prove sotto segreto, se non per grave motivo, e assicurando agli avvocati delle parti il diritto di averne comunicazione" (si veda anche l'art. 234 dell'Istruzione "Dignitas Connubii"). Sarà poi compito di questi ultimi valutare se, per proteggere la segretezza della fonte, sia possibile aliunde verificare la veridicità delle affermazioni contenute nell'atto sotto segreto, nella piena tutela del diritto di difesa della parte; ove ciò non sia possibile senza informare la parte del contenuto dell'atto sotto segreto (ed eventualmente del suo autore), il patrono non potrà accettare che quell'atto rimanga tale; di conseguenza, o il giudice dovrà pubblicarlo (con le cautele che reputi opportune, ad es. senza consegnare copia dell'atto, neppure al patrono), previo consenso di chi chiese che l'atto fosse posto sotto segreto, oppure lo dovrà espungere dagli atti della causa. Se il giudice quindi decide di non pubblicare un atto egli stesso dovrebbe ignorarlo al momento della decisione.
Sebbene la legge non lo dica espressamente, deve trattarsi di un atto importante ai fini della decisione della causa. Sarebbe assurdo infatti porre in essere tutte le cautele previste dalla legge e comunque comprimere il diritto fondamentale della parte (quello alla difesa) per accludere agli atti qualcosa che non sia veramente importante al fine della decisione della causa.
Se i documenti "non sono presentati in forma legittima, non devono esser ammessi".
La testimonianza deve essere sottoscritta da chi l'ha resa, dal giudice e dal notaio (can. 1569 § 2) e , in forza dell'art. 175 § 2 della Inst. "Dignitas Connubii", anche dal Difensore del Vincolo, dal Promotore di Giustizia e dai patroni qualora siano stati presenti.
Dal tenere della nuova normativa sembra doversi dedurre che mentre la firma del Difensore è necessariamente richiesta, come quella del giudice e del notaio, quella dei patroni è eventuale. Con la conseguenza che, se il Difensore del Vincolo è legittimamente assente, quanto prima deve "vistare" le deposizioni.
La testimonianza di un solo teste per sé non fa piena fede, a meno che si tratti di teste qualificato che deponga su cose fatte in ragione del proprio ufficio oppure se le circostanze di persone e di cose lo impongano (can. 1573; art 202), e non potrebbe essere diversamente, atteso che, in particolari condizioni, anche la sola dichiarazione della parte può fare piena prova.
FATTO
Nel nostro caso non erano posti sotto segreto tutti o la gran parte degli atti di causa, ma solo una dichiarazione della sig.ra Neri nella quale dichiarava che il vero motivo per cui il matrimonio era fallito e per il quale lei chiedeva la dichiarazione di nullità era l'incapacità del marito dovuta a pedofilia ed incesto perpetrato ai danni della figlia minore.
E' vero che questo si evidenzia come un argomento estremamente delicato e che si tratti di una ragione riguardante il bene pubblico, ma rimane il dubbio di come può rimanere integro il diritto alla difesa.
Studiando il caso è difficile trovare giustificazione per porre quest'atto sotto segreto nell'esercizio di un diritto della parte attrice. Si può pensare che la parte cerchi di perpetrare un'ingiustizia contro di cui il sig. Mario Rossi non si può legittimamente difendere.
Secondo me il giudice che ha posto sotto segreto quest'atto, non solo non ha emanato il decreto motivante, previsto dalla legge in questo caso, ma ha fatto questo anche con poca prudenza, affinché il diritto di difesa del convenuto rimanesse integro.
Come sappiamo, non si prevede più, nella recente normativa, l'ipotesi di atti posti sotto segreto "nemini manifestandum". Perché il convenuto era stato dichiarato assente, il giudice poteva nominare un difensore d'ufficio ed a lui presentare quest'atto. Ed è questa la soluzione presentata dalla nuova normativa, che, l'art. 157 § 2 dell'Istruzione "Dignitas Connubii", stabilisce: "Non si ammettono prove sotto segreto, se non per grave motivo, e assicurando agli avvocati delle parti il diritto di averne comunicazione" (si veda anche l'art. 234 dell'Istruzione "Dignitas Connubii").
Sarebbe poi compito del difensore valutare se si può proteggere la segretezza della fonte o meno senza fare alla parte convenuta qualche domanda, almeno generiche in materia. E poi possibile verificare la veridicità delle affermazioni contenute nell'atto sotto segreto, nella piena tutela del diritto di difesa della parte convenuta.
Il patrono potrebbe non accettare che quell'atto rimanga segreto e di conseguenza, o il giudice dovrà pubblicarlo (con le cautele che reputi opportune, ad es. senza consegnare copia dell'atto, neppure al patrono), previo consenso di chi chiese che l'atto fosse posto sotto segreto, oppure lo dovrà espungere dagli atti della causa.
La sostanza che a noi interessa di più a riguardo, è la portata di quest'atto agli effetti della decisione. È evidente che senza questa dichiarazione dell'attrice, la decisione della causa si muovesse in un'altra direzione. Come tale atto, il giudice non dovrebbe usare la facoltà del segreto, perché questo era maggiormente grave e espressamente contrario al diritto di difesa della parte. E poiché il diritto alla difesa deve rimanere integro, quest'atto segregato non può costituire elemento essenziale per la successiva decisione.
Inoltre bisogna sempre prendere in considerazione che se i documenti non sono presentati in forma legittima, non devono esser ammessi. Nel nostro caso il giudice raccoglieva questa dichiarazione in un foglio a parte firmato soltanto da lui e dall'attrice. La testimonianza deve essere sottoscritta dal giudice e dal notaio (can. 1569 § 2) e, in forza dell'art. 175 § 2 della Inst. "Dignitas Connubii", anche dal Difensore del Vincolo. Se il Difensore del Vincolo è legittimamente assente, quanto prima deve "vistare" le deposizioni.
Rimane pure la questione: come per i giudici di 2° istanza questa dichiarazione della parte attrice ha fatto piena fede quando in alcun modo non hanno verificato quest'accusa?
Tutto ciò premesso, il sottoscritto Difensore del vincolo eccepisce la validità della sentenza di secondo grado per lesione del diritto di difesa della parte convenuta e per poggiare questa sentenza sull'atto illegittimo.
Con osservanza
(D. Francesco Russo - Difensore del vincolo)
Roma, il 10 febbraio 2007.
Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2001, pp. 466-467.
Ibid. p. 468.
Cfr. S. VILLEGGIANTE, Il diritto alla difesa delle parti nel processo matrimoniale canonico, Roma 1984, pp. 42 ss.
Ibid., p. 471; R. GENUIN, Giusta, grave e gravissima causa nel diritto processuale canonico, Roma 1996.
Cfr. C. GULLO, A. GULLO, Prassi processuale nelle cause canoniche di nullità del matrimonio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, p. 229.
Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale…, pp. 468-469.
Ibid., pp. 229-230
C. DE DIEGO LORA, Estudios de derecho procesal canonico, Pamplona 1990., p. 1121)
Cfr. C. GULLO, A. GULLO, Prassi processuale…, p. 194.
Ibid., p. 195.