Donare la vita Sr Marta WIECKA


DONARE LA VITA...

Marta Wiecka

Figlia della Carità”

Sr Anna Brzęk FdC

Introduzione

Nell'agosto 1993, con un gruppo di Figlie della Carità, sono stata per la prima volta sulla tomba di Suor Marta Wiecka a Sniatyn.

I segni della grande venerazione popolare per questa Suora hanno provocato in noi un'immensa emozione che, a poco a poco, è diventata un invito a far conoscere le notizie ricevute sulla vita di questa eccezionale Figlia della Carità.

Nelle successive conversazioni con i devoti di suor Marta, ci veniva ripetuta spesso la richiesta: “Vorremmo conoscere meglio la vita e l'attività della nostra Mammina, specialmente quella del periodo precedente al suo soggiorno a Sniatyn”.

Il presente libro, intitolato “Donare la vita …” è una prova modesta di aderire a queste attese. Essa si basa sulla documentazione accumulata per molti anni dal sacerdote Jan Wiecki, fratello di suor Marta, e poi collezionata, ordinata ed elaborata dal padre Izydor Borkiewicz OFM Conv. La sua elaborazione s'intitola: “Nella preoccupazione per il corpo e le anime dei sofferenti”. Desidero esprimere tutta la mia gratitudine al padre Izydor per il permesso di attingere al suo elaborato originale.

Prendendo in considerazione la venerazione popolare per suor Marta Wiecka, che dura da più di novant'anni, e rispondendo alle numerose richieste dei suoi devoti, è cominciato il processo di beatificazione.

La vita di Suor Marta Wiecka è davvero straordinaria. Aveva un carisma particolare per portare le anime a Dio. Nessun malato della sua sezione ospedaliera è morto senza riconciliarsi con Dio. A trent'anni di età ha donato la sua vita per salvare quella di un giovane padre di famiglia. Lui era infermiere nello stesso ospedale e Suor Marta l'ha sostituito nella disinfezione di una camera dopo la degenza di una persona malata di tifo. Infettandosi di questa malattia, è morta qualche giorno dopo.

Da quel giorno i suoi devoti non finiscono di pregare sul suo sepolcro per ottenere grazie per sua intercessione.

Cordialmente chiediamo che, per ogni notizia che riguarda le grazie ricevute per intercessione della sorella Marta Wiecka, ci si rivolga alle

Figlie della Carità

Ul. Warszawska 8

31-155 Cracovia - Polonia

www.szarytki.pl

www.martawiecka.pl

1. La Mammina

Sniatyn è una cittadina, oggi sul terreno dell' Ucraina, collocata fra Kolomyja e Czerniowce. Che cosa può esserci qui di così interessante che, in questa serena mattina dell'estate 1990, ha chiamato un piccolo gruppo di Polacchi i quali si fermano e si guardano intorno con grande curiosità? Stanno cercando una tomba costruita nell'anno 1904.

Forse questi Polacchi sono soltanto un piccolo gruppo di utopisti. Qui tutto è stato distrutto dai comunisti, anche la chiesa parrocchiale cambiata in autofficina. Infatti, dentro si riparavano le macchine e i trattori dei colcos. Sono restati soltanto i muri esterni, ma dietro la chiesa non è rimasto proprio niente.

I volonterosi e cordiali abitanti di Sniatyn dirigono però i turisti verso il cimitero. Forse la tomba che cercano si trova qui.

Sulle facce dei visitatori Polacchi si dipinge una strana tensione. Entrano nel primo viale del cimitero e, d'impulso, si mettono a sinistra perché lì c'è un'alta croce. Affrettano il passo … sì, è qui. Una targa toglie ogni dubbio: “Figlia della Carità - Marta Anna Maria Szrama de Wiecka dal Wietca della Prussia occidentale …. Sulla croce sono fissati tanti fazzoletti ucraini ricamati; sotto bruciano le candele, la cera gocciola sulla tomba; ci sono tanti fiori. A Sniatyn si ricordano dunque di lei. Il piccolo gruppo di Polacchi si mette in ginocchio. Il silenzio è interrotto soltanto dal leggero fruscio delle foglie mosse dal vento e anche dalla preghiera: Ave o Maria , O Maria concepita senza peccato, Requiem aeternam

“Potevate dirci subito che cercavate la nostra Mammina, cioè la piccola monaca; chiunque vi avrebbe detto dove si trovava. Noi non sapevamo che cercavate lei”.

Una donna, con un grande fazzoletto sul capo, parlando con l'accento dell'est, una volta in una stentata lingua polacca e un'altra volta in ucraino, tiene nella mano tre pere mature: “Mangiate per la salute e pregate per mio figlio. E' morto qualche settimana fa. Il suo sepolcro è qui vicino”.

Nel cimitero, accanto alle tombe, vediamo piccoli tavolini fatti di semplici assi. In ogni luogo predomina il colore azzurro.

“Noi non dimentichiamo i nostri morti, ci dice la donna. Mettiamo il cibo sulle tavole o sulle tombe. Chi lo mangerà, certamente pregherà per l'anima del defunto”.

Quando vedo questi costumi, mi viene in mente la grande opera della letteratura polacca “Mendicanti” di Adamo Mickiewicz, che parla appunto di queste tradizioni.

Ehi, la terra feconda è piena di humus! Proprio qua sono cresciuti magnifici uomini il cui cuore sentiva la nostalgia di Dio.

“Io non sono cattolica, dice la donna, sono ortodossa, però conosco la Mammina. Tutti la conoscono qui: cattolici, ortodossi e bizantino-ucraini. Lei aiuta tutti. Sì, la sorella Marta aiuta tutti”.

Intorno ai Polacchi si è radunato a poco a poco un gruppetto di persone, soprattutto di donne anziane, con i tipici fazzoletti sulla testa. Da tanto tempo non avevano avuto occasione di parlare con qualcuno che arrivava da così lontano.

“Mio figlio, dice una di loro, pur essendo innocente, era stato condannato. Ho fatto quattro chilometri in ginocchio per arrivare fin qui, dalla Mammina, perché salvasse mio figlio e l'ha salvato”.

“Là c'è l'ospedale dove lavorava la nostra Mammina. Ogni giorno i medici e le infermiere vengono qua, sulla sua tomba, pregano e le raccomandano i problemi più difficili”.

“Noi non conoscevamo personalmente la Mammina, ma i nostri genitori ci raccontavano sempre qualcosa di lei e ci hanno insegnato a pregare sulla sua tomba”.

“Di chi è questa cappellina”? chiede uno dei Polacchi, indicando con la mano sinistra la statua di un santo.

“Questo è Padre Giovanni. Lui e Mammina hanno sempre tantissime candele perché tutti e due ci aiutano di più”.

Il gruppetto si avvicina alla cappellina del Santo; alcuni guardano dentro. Lì ci sono i quadri religiosi ornati coi fazzoletti ucraini e le candele che bruciano. Le donne fanno tre volte il segno della croce.

San Giovanni Nepomuceno, ecco, è il santo che le donne anziane chiamano “Padre Giovanni”. Suor Marta voleva essere sepolta vicino alla sua cappellina. E così è avvenuto.

I Polacchi a poco a poco si salutano con le cordiali donne. Prima di andare via distribuiscono le Medaglie Miracolose con l'immagine della Madonna Immacolata. Le mani, che portano ben visibili i segni della fatica quotidiana, si tendono. Da tanto tempo nessuno ha distribuito oggetti religiosi. Le donne vorrebbero ancora i rosari e i libretti di preghiera, perché alcune di loro parlano e leggono in polacco. La più anziana tira fuori dalla borsa un libretto di preghiere copiato a mano e lo mostra ai visitatori. “Mia mamma mi ha regalato questo libretto quando è tornata dalla Siberia. Lei era stata mandata là dai Sovietici soltanto perché in casa nostra hanno trovato il quadro della Madonna e anche perché noi siamo Polacchi. Proprio in Siberia lei ha scritto a memoria tutte queste preghiere”.

Ci mostra alcune vecchie cartoline coperte da uno strano scritto. Quante sofferenze, quanta fede e quale fiducia si nasconde in queste pagine!

Le donne salutano gli sconosciuti con le parole: “Dio sarà con voi” ed altre, in corretta lingua polacca, aggiungono: “Rimanete con Dio”.

2. La memorabile giornata

A casa Wiecki c'è uno straordinario movimento. Questa gelida giornata, 12 gennaio 1874, per sempre s'iscriverà nella memoria di Paolina Wiecka: ha partorito la terza figlia. Questa nascita produce una grande gioia in tutta la famiglia. Subito si discute sul tema del battesimo. Non si può permettere che, nel caso che la bimba si ammali, muoia con l'anima pagana. La cerimonia del battesimo si svolge sei giorni dopo, nella chiesa di Szczodrow. Alla bambina vengono imposti i nomi di Marta Anna. Padrini sono i suoi nonni: Francesco Kamrowski, il proprietario fondiario, da Gontowo, e Barbara Nelkow Kamrowska.

La mamma di Marta, Paolina, era molto giovane quando si era sposata nel 1869 con Marcello Wiecki. Aveva appena 19 anni. Subito dopo le nozze si era incaricata di tantissimi impegni. Uno di questi, forse il più oneroso, era l'amministrazione del patrimonio fondiario poiché suo marito Marcello aveva una grande proprietà, circa 200 ettari. Di solito gli sposi lavoravano insieme, però spesso accadeva che Marcello la lasciava da sola perché, oltre che del proprio patrimonio, si occupava di governare come presidente, il patrimonio nobile a Nowy Wiec.

Oltre a questo, Marcello era un famoso attivista sociale. Era anche fortemente impegnato nella cura della chiesa collegiale a Skarszewo. Il parroco, grato per così tanta benevolenza della famiglia Wiecki, aveva riservato loro i primi banchi nella chiesa parrocchiale e in quella figliale. Paolina Wiecka non si preoccupava degli onori, però, nel profondo dell'anima, era molto soddisfatta di suo marito, anche se ogni tanto il peso delle mansioni domestiche diventava per lei veramente opprimente.

Più che dell'amministrazione era preoccupata per la buona educazione dei suoi bambini.

Poiché era una cattolica molto devota e brava, e insieme una polacca dal cuore grande e dallo spirito vivace, incontrava in questo compito numerose difficoltà.

Il periodo storico in cui vivevano non era facile per la Polonia che in quegli anni aveva perso l'indipendenza e non si trovava più sulle carte politiche di Europa. Gli occupanti, Austria, Russia e Prussia, non soltanto occupavano le terre polacche, non soltanto spogliavano i terreni polacchi dei beni materiali, ma si adoperavano anche a soffocare ogni genere di azioni e di sentimenti patriottici.

Per sfortuna, il paesino di Nowy Wiec si trovava sotto l'occupazione prussiana e proprio qui, nella Pomerania del mar Baltico, i cattolici polacchi soffrivano tante persecuzioni. Gli occupanti, sapendo che la Chiesa era il baluardo dello spirito polacco, combattevano questa fede. Il governo prussiano tendeva a snazionalizzare i polacchi.

Negli uffici statali era obbligatoria la lingua tedesca. Anche il culto nelle chiese si doveva svolgere in questa lingua. Fra tante famiglie germanizzate e protestanti che si erano trasferite su questi terreni dalla Prussia, la famiglia Wiecki e altre famiglie polacche erano come isole nell' oceano.

Paolina si rendeva conto di tutte queste cose e sapeva bene che soltanto una fede profonda e la saldezza dello spirito polacco, conservato con cura nelle famiglie, potevano diventare un fermento per la resistenza contro l'invasione germanica.

Con grande gioia, dunque, prende informazioni dai giornali che arrivano da una città non molto lontana, da Pelplin, dove c'è il ginnasio vescovile polacco: il Collegium Marianum. Con impazienza aspetta i numeri del “Pellegrino”, la rivista pubblicata dal prete Szczepan Keller in lingua polacca, dalla quale conosce anche i suoi diritti e i suoi doveri riguardo alla Chiesa, alla Polonia, alla propria cultura e alla propria lingua.

In questi tempi difficili Paolina si rivolge sempre alla Provvidenza Divina e le affida le sorti della patria e dei suoi bambini. Spesso prega in chiesa a Nowa Cerkiew, oppure a Piaseczno, fissando lo sguardo sul volto della Madonna. Decide che, con il suo aiuto, educherà i figli affinché diventino bravi cattolici e saggi polacchi.

Questo non era soltanto un buon desiderio, ma lei riusciva a metterlo in pratica. Per prima cosa, destina a casa una stanza per la preghiera comune dei famigliari. Vi pone un piccolo altare che dedica alla Madonna e, ogni giorno, quando l'orologio suona le otto di sera, Paolina raduna tutta la famiglia, spesso anche i suoi vicini, per recitare il rosario.

Come una buona madre si cura dei bambini e parla con loro soltanto in polacco, volendo educarli bene in questa lingua. Fa conoscere loro la ricchezza della cultura polacca, i costumi e le tradizioni. Ci sono momenti in cui si sente forte e piena di fede sognando un futuro favorevole per la patria e per i suoi bambini, però, qualche volta, si spaventa pure. Allora sta più a lungo inginocchiata davanti al volto della Madre Divina e prega con zelo.

3. Incontro con Gesù e con San Giovanni Nepomuceno

Salve scuola! Soddisfatta Marta è ritornata dalla scuola. Da una parte è molto orgogliosa che da qualche tempo è una vera alunna, ma dall' altra parte è irritata dalla lingua tedesca che deve parlare a scuola. Come può conoscere questa lingua quando a casa sua si parla sempre in polacco? A scuola le regole su questo punto sono molto drastiche. E, prima di tutto, Marta non può opporsi a queste norme perché i genitori le ripetono che si devono onorare gli insegnanti, e poi che un pezzettino di sapere in più non fa male a nessuno. Per fortuna a scuola lei ha tante amiche; tra di loro la più grande amica è Anna Grochowska. Durante gli intervalli le ragazze circondano Marta perché è sempre allegra ed ha sempre nuove idee. Ci si può fidare di lei; sa condividere con le amiche il pane che porta da casa, spiegare i compiti più difficili, raccontare storie molto interessanti. Marta ne conosce tante.

Spesso racconta quello che ha imparato durante gli incontri domenicali in famiglia. Per nessuno è un segreto che, la domenica sera, la famiglia Wiecki si riunisce in una stanza più grande. A Marta piacciono molto questi incontri, soprattutto perché i suoi genitori sono sempre presenti. La camera è accogliente e calda. La mamma inizia di solito con la domanda: di che cosa ha parlato oggi il parroco durante la Messa? I bambini rispondono più o meno bene, ma poi s'avvicina il momento che Marta aspetta con grande impazienza. La mamma prende la Sacra Scrittura, la vita dei santi o qualche altro libro interessante e tutti ascoltano con grande attenzione. Quante storie viene a sapere Marta durante questi incontri! In primo luogo impara che tutto il mondo è stato creato dall' ottimo e amante Signore Dio e che Egli è presente in ogni luogo, intravede il bene e il male commesso dagli uomini; per il bene ricompensa con il paradiso e per il male punisce con l'inferno.

Marta conosce anche che Dio ha dato ad ogni uomo un Angelo Custode perché tutti si comportino bene. Questa notizia le sembra particolarmente importante per condividerla con la sua amica Anna Grochowska perché, sentendo questo, certamente finirà con l'avere un po' di soggezione.

Durante questi incontri Marta viene anche a sapere che ha due mamme, una sulla terra e l'altra, Maria, in cielo. Questa deve essere proprio la verità, perché una volta la mamma le ha raccontato che, quando aveva due anni, si era seriamente ammalata. Marta era dimagrita molto e i medici avevano perso ogni speranza per la sua guarigione. Però la mamma pregava la Madonna di Piaseczno e questa aveva guarito Marta. Dunque Maria è la nostra vera Madre. Marta riflette su questo profondamente.

Ritornando da scuola, già da qualche giorno la bambina osserva la sua mamma. Ha l'impressione che sia stanca, con il volto sbiancato e triste. Niente di strano perché ogni giorno Paola deve affrontare tanti problemi. Deve alzarsi anche durante la notte per occuparsi dei bimbi. Marta decide di aiutarla. Con altre due sorelle, Francesca e Barbara, cerca di sostituire la mamma nei lavori più pesanti, specialmente nella cura dei fratelli più piccoli. Dopo qualche tempo risulta che, delle tre, solo Marta ha una vera pazienza e talento pedagogico. I bimbi cominciano a chiamarla “la seconda mamma”. Barbara e Francesca non si sono meritate questo titolo.

La catechesi in polacco

La vita della famiglia Wiecki passa tranquillamente. In questa quasi monotonia arrivano avvenimenti festivi come i battesimi, gli onomastici, le piccole conquiste operate dai bambini.

Lo stesso succede adesso, proprio oggi, quando Marta arriva a casa; dalla porta grida con gioia:

“Mamma, oggi don Marian Dabrowski fa le iscrizioni dei bambini per il catechismo. Insegnerà due volte la settimana, anche in polacco. Io mi sono già iscritta”!

„Va bene, tesoro. Ma dove insegnerà”?

“In chiesa, a Skarszewy”.

“Dio mio, a undici chilometri da qui; speriamo che il babbo ti accompagnerà”.

“Ma no, mamma, vado da sola”.

Infatti, due volte alla settimana, Marta si sveglia alle 5.00 di mattina per arrivare alla messa delle 7.00; poi ci sono le bellissime lezioni del catechismo.

Don Marian Dabrowski, affascinato da Cristo e dal suo Vangelo, con facilità si mette in sintonia con i bambini. Marta assorbe ogni sua parola. Però il prete ha un problema con questa piccola, appassionata alunna, poiché le sue domande non finiscono mai. Siccome nella classe non c'è soltanto Marta, fa con lei un patto: resterà dopo le lezioni e potrà fare tutte le domande che vorrà. Don Marian riconosce presto che Marta è una bambina straordinaria e non può lasciarla da sola. Diventa quindi il suo accompagnatore nella crescita spirituale.

Cavaliere di Cristo

Marta non sarebbe più lei, se non avesse già affascinato le sue amiche in queste interessanti cose spirituali. Finora le bambine venivano soltanto per le lezioni di catechismo, ancora assonnate, ma non partecipavano alla Messa.

“Ascoltatemi, ho un'idea …”!

“Che hai inventato di nuovo”? chiede Anna.

“Sicuramente, noi faremo qualcosa di nuovo; però vi dico subito che io non la voglio” dichiara Monica guardando le altre ragazze.

“Questo sarà qualcosa di magnifico! Sarà un vero campionato con un grande premio finale”.

“Davvero”? Le ragazzine si risvegliano all' improvviso. “E in che cosa consiste”?

“A questa gara possono partecipare soltanto persone col carattere forte e decise a vincere, nonostante le difficoltà”.

Nell'animo delle bambine si sveglia il desiderio di meritare il nome di “forte”.

“Va bene, d'accordo. Dicci dunque di che cosa si tratta”.

“Allora, quelle che prenderanno parte al campionato, due volte alla settimana dovranno alzarsi la mattina alle 5.00. In chiesa, durante la Messa, non potranno dormire, sbadigliare e neanche avere la faccia scontenta; dovranno poi ricordare con esattezza che cosa ha detto il prete”.

“Va bene, e la ricompensa”?

“Designazione del titolo di cavaliere” grida Marta. “Chi vincerà, porterà la speciale medaglia del Cavaliere di Cristo”.

“E chi sceglierà questi cavalieri”? chiedono le ragazzine.

“O il mio babbo o il prete; questo si vedrà” risponde Marta.

“D'accordo …”. Le bambine sentono una forza nuova, come se avessero assunto un'importante missione da adempiere, come se già fossero sicure di avere accesso alla piacevole “combriccola”.

Un'importante scoperta

Dopo un certo tempo, durante una lezione di catechismo, il prete Don Marian racconta ai suoi allievi la vita di San Giovanni Nepomuceno. Lui è molto devoto di questo santo; era un prete e ha donato la sua vita come martire per non tradire il segreto della confessione. San Giovanni non temeva la severità del re ceco, Waclaw IV, il quale aveva comandato di metterlo in prigione, torturarlo, e poi, ancora semi-vivo, gettarlo nel fiume Weltawa a Praga.

La figura di San Giovanni Nepomuceno si iscrive molto profondamente nella memoria e nel cuore dei bambini.

Fra poco, proprio per questo, i membri della “combriccola”, sentendosi obbligati allo zelo più grande della religiosità, accorrono da Marta, gridando:

“Hai sentito? Da tuo cugino Dionisio abbiamo saputo che in soffitta c'è una statua di San Giovanni Nepomuceno”.

“Chi ve l'ha detto”?

“Dionisio. Noi eravamo là. Tuo cugino non ha cura di lui. Nepomuceno è tutto impolverato, anzi è premuto in un sacco”.

“Andiamo”! ordina Marta.

Il cugino Dionisio Wiecki, sorpreso per l'improvvisa invasione delle zelanti cristiane, senza opporre alcuna resistenza consegna la statua. Non è davvero in buone condizioni.

“Bambine, che cosa portate là di nuovo”? dice un po' stanca la voce della signora Paolina Wiecka.

“Mamma, ti preghiamo di spostarti dalla porta e di fare un po' di posto sulla panchina” dice Marta.

La sorpresa signora Wiecka fa tutto quello di cui l' hanno pregata. Affannate, le ragazzine, con grande sollecitudine, mettono sulla panca la statua di San Giovanni Nepomuceno. Arriva anche il signor Marceli Wiecki, incuriosito dall'improvviso movimento. Cominciano i lunghi e febbrili progetti in seguito ai quali, i genitori di Marta dovrebbero accordarsi sul restauro della statua. Viene affidata ad un artista del posto.

Ce n'era bisogno perché, come affermano tutte le bambine, San Giovanni era stato troppo a lungo dimenticato e abbandonato. Il cugino Dionisio l' aveva premuto pure dentro un sacco di frumento. Adesso volevano collocarlo in un luogo visibile, perché fosse venerato non soltanto dalle persone di casa Wiecki, ma anche dagli altri abitanti di Nowy Wiec. Tutti s'accordano sulla proposta di Marta che vuole che la statua di San Giovanni Nepomuceno sia collocata vicino alla strada principale del paese.

Poco tempo dopo, quando il restauro della statua sta per finire, le giovanissime devote del santo invitano il parroco Don Otton Reiske e altri numerosi ospiti per la benedizione. Il Parroco benedice solennemente la statua che verrà posta sull'alto zoccolo vicino alla strada maestra. Le bambine la rivestiranno con splendide corone di fiori.

L'incontro con Gesù

Era passato un anno, durante il quale si era potuto dimostrare che la maggioranza delle amichette di Marta avevano un carattere forte e restavano nelle loro “cavalleresche” decisioni: si alzavano alle 5.00 di mattina. Sebbene qualcuna non riuscisse a trattenere qualche sbadiglio durante la Messa, lo faceva discretamente; tutte ricordavano anche che cosa aveva detto Don Mariam. Insieme giungono alla conclusione che il premio, così generosamente conquistato, sarà quello di ricevere il Signore Gesù nei loro cuori. Egli già sa quanto sforzo hanno messo per accoglierlo bene.

Si avvicina il 3 ottobre 1886. Le allieve e gli allievi di don Mariano, con grande devozione, e anche con un certo timore, particolarmente quelli che vanno dal parroco, si preparano per fare la prima confessione.

Il giorno della prima Comunione è per tutti una festa grande e veramente gioiosa. Per la prima volta i bambini ospitano nei loro cuori l'amatissimo Gesù. Marta incomincia da questo momento un nuovo periodo della sua vita. Prega più che in qualsiasi altro momento. Succede perfino che la mamma, pensando che stia con le amiche, la cerchi. Marta, incurante del tempo, della pioggia o della neve, sta davanti alla statua di San Giovanni Nepomuceno e prega.

Sempre più vive dell'Eucaristia, ricevendo la Comunione ogni domenica e tutte le feste. Gesù gradualmente inizia ad occupare un posto privilegiato nel suo cuore.

4. Gesù mi chiama

Per Marta cominciano i laboriosi giorni, anzi gli anni. La mamma, sempre più cede nella salute e dunque lei, la seconda mamma, come la chiamano i fratelli, ha tanto da fare. Non perde niente però delle sue devozioni e della sua allegria.

Per sei anni si incontra spesso con don Mariano, il quale le dà concreti consigli e indicazioni riguardo alla vita spirituale. Spesso, tra i più semplici lavori, Marta pensa a Gesù. A volte vuole liberarsi da questi pensieri che, invece, ritornano sempre. Scrive dunque a don Mariano una lettera dicendogli che si sente chiamata da Gesù e che desidera diventare suora. Poiché ha solo 15 anni, chiede sinceramente che la presenti lui alle Figlie della Carità a Chelmno. Don Mariano pensa però che Marta è veramente troppo giovane e la consiglia di aspettare un po'.

La partenza di Giovanni

Intanto, all'improvviso, il fratello minore di Marta, Giovanni, un giorno annuncia che desidera diventare prete. La signora Paola passa dalla gioia alle lacrime, perché si rende conto che deve affidare il suo amatissimo Giovanni al Collegio Mariano a Pelplin. Questa è l'unica strada per arrivare poi al seminario maggiore. La separazione sembra dunque inevitabile. Paola e Marcello non possono opporsi alla vocazione sacerdotale del proprio figlio. Questo è un grande onore e un dono.

Velocemente s'avvicina il giorno in cui Giovanni saluta i suoi famigliari. I fratelli e le sorelle lo abbracciano, gli danno gli ultimi consigli, asciugano le lacrime; la più piccola, Melania, piangendo, gli regala la sua più bella molletta per i capelli.

Poi Giovanni, accompagnato dal padre e da Marta, va a Pelplin. Qui però incontrano un ostacolo inaspettato. Il rettore del Collegio, Giovanni Sieg, annuncia loro che il convitto è già pieno e che non c'è nessuna possibilità di prendere un altro ragazzo.

Giovanni è impallidito e la timidezza gli ha tolto la voce. Anche il padre non ha il coraggio di fare qualche proposta. Soltanto Marta, “cavaliere”, riesce a prendere in mano la cosa. Malgrado il severo aspetto del rettore, con grande convinzione parla con lui dicendo che, quando il Signore Dio ha dato a qualcuno la vocazione sacerdotale, nessun prete, neanche il rettore, può porre ostacoli a questo progetto. Sorpreso da tale franchezza in una ragazza di soli sedici anni e, insieme, pieno di ammirazione per la sua determinazione, il rettore accoglie Giovanni in Seminario.

La prova successiva

La prima vittoria aveva incoraggiato Marta per affrontare altre difficoltà. Dopo il ritorno a casa, senza più l'aiuto del prete Dabrowski, Marta, da sola, scrive una lettera alle Figlie della Carità a Chelmno, chiedendo il permesso di entrare nella loro Congregazione. Abbastanza a lungo aspetta la risposta; finalmente un giorno sente una voce:

“Una lettera da Chelmno per la signorina Marta”.

Meno male che a casa, in quel momento non sono presenti i genitori; i fratelli più piccoli sono troppo occupati in un gioco, perché la lettera da Chelmno susciti in loro il minimo interesse.

Marta, emozionata, cerca un angolo tranquillo della casa e in fretta apre la busta. Velocemente legge la lettera. La suora Visitatrice di Chelmno ha scritto che, se Marta desidera conoscere la Congregazione, può andare da loro durante le feste di Natale. Le Suore la invitano.

Marta è felice. Condivide questa notizia col parroco, ma per ora non ha il coraggio di dire questo ai genitori e ai fratelli. Non si rende conto del fatto che la Visitatrice l'ha invitata nel periodo di Natale, perché ha uno scopo particolare. Vuole convincersi della verità della sua vocazione. Se Marta riesce a lasciare i famigliari durante il Natale, questo è un forte segno del suo amore verso Cristo sopra tutte le cose.

Il Natale del 1890 si avvicina velocemente. Un giorno Marta prende il coraggio per informare i genitori e i fratelli del suo progetto. Quando ha finito, vede che le mani del babbo hanno iniziato a tremare. Sente pure la voce della mamma: “Se vuoi, puoi andare. Se Gesù ti chiama, nessuno di noi può metterti ostacoli”.

Arriva il giorno della partenza. La signora Wiecka rimane a lungo sulla porta di casa, si asciuga le lacrime e guarda come, a poco a poco, la slitta tirata dai cavalli scompaia dalla strada.

“Come vivrà queste feste Marta”? pensa.

Il soggiorno di Marta a casa delle Suore passa velocemente. Tutto la interessa: le bianche cornette, la comune preghiera, il mangiare con le Suore. Quanta gioia vede sulle loro facce! Nel cuore sente una grande pace e prova la certezza che questo è il luogo che Dio ha scelto per lei.

La suora Visitatrice, con discreta attenzione, la osserva. A poco a poco si convince che Marta è certamente un buon “materiale” per diventare Figlia della Carità. Le norme della Congregazione non permettono però di accettare persone così giovani. Subito dopo Natale dice dunque a Marta che deve aspettare ancora due anni; dopo questo periodo le Suore l' accetteranno tra loro con la massima gioia.

Con tristezza Marta ritorna a casa. La sua faccia si schiarisce soltanto, quando finalmente, nell' ultima tappa del viaggio vede da lontano la figura di San Giovanni Nepomuceno e la casa famigliare.

“Mamma, Marta ritorna col cestino”! La schiera dei bambini ha fatto quasi cadere la signora Wiecka, correndo incontro alla loro amata sorella. I saluti e i racconti non hanno fine.

Durante i giorni e i mesi successivi Marta non smette di pensare alla sua vita nella Congregazione. Tra le occupazioni giornaliere domestiche, spesso parla nel suo cuore con Gesù. Gli offre tutte le sue attività; prega ancora più a lungo e s'adopera per essere buona con tutti.

La decisione definitiva

Si avvicina la primavera del 1892. Sbocciano i primi fiori e dal giardino si sente il canto allegro di Turdus merula. Un giorno, a casa di Wiecki, bussa Monica Gdaniec, una delle amiche di Marta e “cavaliera” di Cristo.

“Sai, Marta, dice Monica: voglio diventare Figlia della Carità. Ho scritto alle Suore a Chelmno, però mi hanno risposto che non mi possono accettare perché hanno poco posto e troppe candidate”.

Per lungo tempo restano insieme sulla veranda e parlano con grande passione. Infine Marta decide che sarebbe meglio per loro entrare insieme in comunità. A nome suo e di Monica scrive dunque un'altra lettera alle Figlie della Carità della provincia di Cracovia chiedendo di essere accolte tra di loro. Cracovia è certamente molto lontana, ma in due sarà più facile andare.

Di nuovo è arrivato il tempo d'aspettare. Quando infine ricevono la risposta positiva, pensano la stessa cosa: fare al più presto le valigie e partire.

Stavolta il commiato è ancora più solenne di quando Marta partiva per la prima volta. I genitori si rendono conto che probabilmente non vedranno più la loro figlia.

In una bellissima mattinata, il 23 aprile, il parroco, Don Otto Reiske, celebra la Messa nella chiesa parrocchiale per Marta, perché Dio la benedica nella nuova fase della sua vita e perché possa perseverare nella vocazione fino alla morte. Alla Messa partecipa tutta la famiglia e i parenti che sono arrivati a Nowy Wiec per salutare Marta. Dopo la Comunione, Marta, con un atto speciale, si mette sotto la protezione della Madonna.

Lunedì, 24 aprile. Marta per lungo tempo si ferma davanti alla statua di San Giovanni Nepomuceno. Ha detto ai famigliari che, proprio per sua intercessione, aveva ottenuto la grazia della vocazione. Guarda ancora un po' l'interno di casa sua e poi parte per la stazione, accompagnata dal babbo, dalla sorella Barbara e dal cugino Giuseppe Wiecki. La mamma, come al solito, sta sulla porta di casa; agitando un fazzoletto bianco, saluta quelli che partono. Soltanto Dio sa che cosa sente nel suo cuore.

Quanti figli ha salutato già per sempre? Dei tredici figli, tre sono già morti; Giovanni è entrato in seminario e adesso Marta, la sua amatissima figlia. Ogni addio ha in sé qualcosa da morire. Però, nel profondo dell'anima, tra tante esperienze, non dubita mai dell' infinito amore di Dio.

Quando Marta e Monica salgono sul treno, Giuseppe, vedendo la pace e la felicità sul volto delle ragazze, dice alla sorella:

“Se tu diventerai suora, io sarò prete”.

Il treno parte precisamente alle 16.00. Negli occhi di Monica e di Marta per lungo tempo si consoliderà nella memoria il quadro delle persone che stavano sul binario, in lacrime.

I desideri si realizzano

Il 26 aprile 1892, Marta Wiecka e Monica Gdaniec bussano alla porta della Casa Provinciale della Figlie della Carità a Cracovia, via Varsaviese n. 8. Passano la prima porta e poi sentono una voce:

“Le signorine da…. ?” Allo sportello appare la faccia di una Suora anziana, coperta dalle ali della tipica “cornetta”.

Le due ragzze traggono dal cestino la lettera nella quale la Suora Visitatrice aveva scritto loro che potevano presentarsi alla Casa Provinciale.

“Mie care, benissimo; entrate per un momento in Cappella e io nel frattempo cercherò una sorella che si occupi di voi. La valigia e il cestino lasciateli qui in portineria. Avete fame? Fra un momento vi porterò qualcosa da mangiare”.

Le due signorine diciottenni entrano nella Cappella. Che cosa rimarrà nella loro memoria di questo primo incontro? Il discreto silenzio, la vista della bella statua della Madre Divina che tende la mano come per fare un saluto, la strana scala di ferro che conduce, colla sinuosa spirale, non si sa dove, oppure, forse, l'improvviso sprazzo di luce che cade nel “corridoio di vetro”? Sanno bene che proprio Gesù ha scelto per loro questo luogo, dunque sono calme.

5. L'inizio della nuova strada

Per Marta e Monica cominciano giorni insolitamente intensi. Tutto è nuovo e strano, ma, nello stesso tempo, misterioso e bello. Guardano le loro vesti blu e i piccoli mantelli sulle spalle. Non si possono guardare allo specchio e nemmeno al vetro della finestra, perché le Postulanti devono sbarazzarsi da ogni vanità.

Per Marta l'aspetto esterno non era stato mai importante, non ha dunque in questo una grande difficoltà.

“Lo spirito di San Vincenzo è uno spirito di umiltà, di semplicità e di amore” ripete loro la Suora responsabile della formazione.

Per aiutare le candidate ad acquistare questo spirito, conformemente ai costumi della Congregazione, la responsabile raccomanda loro di accusarsi pubblicamente di ogni fallo e negligenza. Tale umiliazione s'unisce di solito col baciare la terra. Grazie a questa pratica le Postulanti dominano l'egoismo ed imparano l'umiltà.

Il loro amore deve esprimersi in un fedele compimento della Divina Volontà. Le Postulanti ogni giorno lavorano attorno all'obbedienza, incondizionata adozione della volontà di Dio. Quanta gioia interna sopravvive allora in Marta! Alzandosi alle 4.00 del mattino, realizzando durante la giornata tanti piccoli lavori in comunità, pregando insieme alle Suore sente una strana, interna tranquillità e la gioia, vero dono di Cristo per le persone che si dedicano a Lui. Malgrado il rigore della vita, niente le sembra difficile, perfino il servizio.

“I Poveri sono i nostri signori e maestri. Facendo il servizio ad uno di loro, fate proprio il servizio a Gesù stesso” spiega la Suora responsabile della formazione, citando le parole del Fondatore, san Vincenzo de Paoli.

Anche in questo Marta non ha più grandi difficoltà. Già a casa sua era abituata ai lavori pesanti. Curava i fratelli e le sorelle più giovani, a scuola aiutava i compagni. Nella semplicità del cuore sentiva che fare servizio agli altri era per lei una gioia e non soltanto un compito. Grazie a don Mariano aveva imparato ad affidare tutte le sue attività a Dio. Sapeva che, così, esse prendono un grande valore per portare le anime a Dio. Durante il Postulato non aveva dunque nessuna difficoltà per fare i servizi più bassi, per servire gli altri, per giudicare se stessa ed il suo lavoro. Si sentiva uno strumento nella mano di Dio, e, per Lui, risultavano tutti i successi del suo lavoro.

“Tu hai una forza speciale dello spirito, le diceva Monica. Mai hai meritato un'ammonizione dalla Suora responsabile, e tu non devi correggere lo stesso lavoro per tante volte. Io non riesco ad essere precisa e sempre devo umiliarmi: tolgo la polvere con poca attenzione, non rispetto il silenzio. Amo Dio, ma difficilmente capisco che tutte queste cose hanno un grande significato. Vorrei avere il tuo spirito di fede. Tutti dicono che sei come noi, eppure sei diversa, più spirituale e forse hanno ragione. Non pensare che ti invidi; ti dico questo così, semplicemente”.

C'è però una cosa che Marta non sa capire. Sempre sente parlare della necessità di staccarsi dalla famiglia per aderire più fortemente a Dio. Sente dire che la famiglia è un ostacolo per possedere un vero amore soprannaturale.

“Eppure è Dio che versa il bene nel mondo, pensa Marta. Il segno del Suo amore io l'ho conosciuto. I miei genitori sono buoni, nobili e profondamente credenti. Perché dunque dovrei rompere con loro i rapporti, quando sono proprio loro a ricordarmi la bontà di Dio? il loro pensiero non spinge me alla più grande gratitudine”?

Per questo, quando arrivano le lettere da Nowy Wiec, cerca Monica Gdaniec e insieme si rallegrano per tutte le belle notizie che contengono.

Il Noviziato

I quattro mesi del postulato passano molto velocemente. Il nuovo grado della formazione, il cosiddetto Seminario, comincia il 12 agosto 1892.

“Adesso siamo simili alle rondini” dice suor Monica Gdaniec tenendo presente il loro nuovo abito nero, il fazzoletto bianco sulle spalle e la cuffia bianca.

“Davvero”! risponde ridendo suor Marta la quale non ha perso niente della sua vecchia allegria.

Ogni giorno le sorelle Seminariste, tenendo gli occhi modestamente abbassati e congiungendo le mani nelle larghe maniche, seguono le lezioni della Suora Direttrice. Toccano la spiritualità e la storia della Congregazione. La Direttrice non ha con le giovani nessun problema particolare, perché le Suore della carità sono riccamente aiutate dalla lettura del carisma di San Vincenzo. Approfitta dunque principalmente delle Conferenze del Santo Fondatore raccolte in tre volumi. La loro originalità consiste in questo: S. Vincenzo annunciava il tema della conferenza per un dato giorno. Le Sorelle, con una lettura adatta, una meditazione e una preghiera dovevano prepararsi alla discussione del tema.

Durante la conferenza S. Vincenzo chiedeva alle singole sorelle di esprimersi. Poi riepilogava quello che era stato detto e, se necessario, aggiungeva qualcosa, oppure modificava perché tutto concordasse con l'insegnamento della Chiesa. Dava anche le indicazioni per il futuro. Una sorella appuntava le domande, le risposte e i commenti di S. Vincenzo e di Santa Luisa.

Una di queste antiche conferenze colpisce in modo speciale Suor Marta. Influirà su di lei per tutta la vita. E' la conferenza sulla vita della sorella Jeanne Dalmagne, una delle prime Figlie della Carità.

Suor Marta ascolta la conferenza della Suora Direttrice. Viene così a sapere, tra l' altro, che la sorella Jeanne vive negli anni 1611-1644 e che è una francese. Morì quando aveva appena raggiunto 33 anni, ma a lungo rimarrà nella mente delle suore. Era stata in comunità solo 5 anni. Possedeva un grande amore di Dio e del prossimo. Era modesta, ricordava sempre la divina presenza, sollevava le altre nello spirito. Nei momenti in cui qualcuna perdeva la fiducia, Suor Jeanne la incoraggiava: “Coraggio, sorella mia, lavoriamo per Dio”.

Osservava molto fedelmente le regole della Congregazione. Amava parlare con le Sorelle della vita dei santi, delle loro opere, del bene che avevano realizzato nel mondo.

Con particolare attenzione Suor Jeanne curava gli ammalati. Li assisteva con tale delicatezza, come se servisse il Cristo stesso. Entrava in contatto con le persone erudite e con quelle semplici, con i ricchi e con i poveri; tutti cercava di avvicinare a Dio.

Era sempre raccolta, viveva soltanto per Dio. Durante l'ultima malattia dimostrò una grande pazienza. Non desiderava né la morte né il ritorno alla salute: “Quello che Dio vorrà”.

Dopo la conferenza, quando la Suora Direttrice era già uscita, Suor Marta rifletteva profondamente. Era incantata dalla figura di Suor Jeanne.

“Questa è una vera Figlia della Carità. Morire giovane … al più presto incontrarsi con Gesù. E' bello vivere così, per non stare davanti a Lui con le mani vuote … Che magnifico itinerario …”!

Oltre alle Conferenze, Suor Marta amava molto il libro delle preghiere della Comunità. Grazie a questo libro, aveva imparato che, quando l'orologio batte le ore, bisogna recitare l'atto della “Presenza di Dio”. Alle 15.00, insieme alle altre sorelle, recita l'atto speciale dell'adorazione, unendo i suoi sentimenti a quelli del Cristo sulla Croce. Grazie al libro di preghiere approfondisce anche la sua devozione al Santissimo Sacramento e alla Passione di Cristo.

In Seminario pratica anche una particolare devozione alla Madonna. Sa che non molto tempo prima, nel 1830, Maria è apparsa ad una Figlia della Carità, a Suor Caterina Labouré, nella cappella della rue du Bac 140 a Parigi. Proprio da qui viene la Medaglia, chiamata dai suoi devoti “medaglia miracolosa”. Viene a sapere anche che Maria ha detto a Suor Caterina: “Amo questa comunità. Sono stata costituita sua Custode”. Con la più grande venerazione e gratitudine, Suor Marta vive le solennità mariane.

Come Seminarista prende parte all'assistenza degli infermi. Più d'una volta è testimone della loro agonia e della loro morte. Per questo sempre più si consolida nella convinzione che la preghiera per una buona morte è molto importante; recita le preghiere per i morenti e per le anime del purgatorio. Ricorda benissimo anche le istruzioni di una Suora anziana che ripeteva spesso che S. Vincenzo voleva che le Sorelle facessero servizio al malato sia per l'anima che per il corpo: prestando ogni servizio infermieristico, non dovevano dimenticare mai che il malato ha un'anima immortale e che anch'essa ha bisogno di aiuto.

Il periodo del Seminario passa altrettanto velocemente come quello del Postulato. Si avvicina finalmente quel momento tanto desiderato in cui le Seminariste ricevono l'abito delle Figlie della Carità e coprono il capo con la bianca cornetta. Verranno poi mandate al servizio di Cristo nei poveri.

Per Suor Marta e Suor Monica questo accade il 21 aprile 1893. Comincia la tappa successiva della loro vita.

6. Nell'ospedale comunale di Leopoli

Il povero è Cristo! “Suor Marta, svegliati. Hanno portato un altro malato grave”.

Suor Marta apre le palpebre appesantite dal sonno, ma, lì per lì non sa dove si trova. Si è addormentata da poco, dopo il turno di notte. Non è passata nemmeno un'ora. E' ancora buio. Queste invernali, gelide mattinate non incoraggiano davvero ad alzarsi, ma il Povero è Cristo. Piano piano si rende conto della realtà, si veste e con energia va dove c'è bisogno di lei.

“Chi hanno portato? Un polacco, un russino, un austriaco, un tedesco o un ebreo”? Tutte queste nazionalità si mescolavano sul terreno di Leopoli. Suor Marta non ha paura dei contatti con i malati; non le importa chi sono e quale è la loro confessione religiosa. Ogni giorno vede i cattolici del rito romano, armeno, ortodosso, i protestanti, gli ebrei. Il regolamento delle Figlie della Carità raccomanda la prudenza e non un entrare abusivo negli affari spirituali di altre confessioni. Si adopera ad essere per loro semplicemente buona, attiva, cordiale e premurosa. Il risultato? Continue le chiamate dei malati.

Questa volta è un russo. Suor Marta guarda la sua faccia stecchita non rasata e gli occhi resi lucidi dalla febbre. Non bisogna avere una grande conoscenza medica per sapere che quest'uomo ha solo pochi giorni di vita e, forse, un po' meno.

“I Padri Piaristi chiedono che la Suora lo prepari alla morte, dice sottovoce l' inserviente perché il malato non senta, … lui è miscredente”.

Suor Marta è già abituata a queste idee dei Padri Piaristi. Spesso portano a lei i malati di altre confessioni o miscredenti, come se lei possa aiutare più efficacemente degli altri. Come Figlia della Carità forse può fare soprattutto questo: estrarre il rosario dalla tasca, inginocchiarsi vicino al letto e incominciare a pregare.

Il malato appena arrivato sembra addormentarsi dopo aver preso la medicina. Quando per un momento apre gli occhi, Suor Marta gli mette in mano la Medaglia Miracolosa. Porta sempre con sè le medaglie con l'immagine dell'Immacolata. Crede profondamente alle parole di Maria dette alla sorella Caterina: “Le persone le quali la porteranno, riceveranno tante grazie”. Il malato accoglie la medaglia.

“Questo è un buon segno” pensa Suor Marta. Non ha scambiato con lui ancora neppure una parola, ma prega senza stancarsi. Di tanto in tanto gli dà un po' d'acqua o gli accomoda il cuscino. Resta vicino a lui.

Lei è un'altra

“Questo è strano” dice a mezza voce Suor Irene lavorando nella sala vicina. “Da dove prende questa forza? Eppure ha lavorato tutta la notte”. Suor Irene già da qualche tempo si domanda perché l'attività di questa giovane, arrivata da pochi mesi nella loro casa, la sorella di nome Marta, è così efficace. In verità, osservandola, intravede che Suor Marta ha una grande facilità nel contatto con i malati, che colla sua personalità ha su di loro una grande influenza: non soltanto riescono a conciliarsi con la propria infermità, ma anche col pensiero della morte.

Suor Marta è paziente, è cordiale, ma anche tante altre Sorelle hanno caratteristiche simili. Eppure nessun malato apprezza le altre come Suor Marta che chiamano la loro benefattrice.

Forse il segreto di efficacia del suo apostolato è nascosto nello spirito di mortificazione e di preghiera? Tutti vedono che, malgrado le svariate occupazioni, è molto richiesta per un aiuto; perfino dopo il turno di notte, si alza presto al mattino per partecipare alle preghiere comuni, anche se, secondo i costumi della comunità, non sia chiesto a nessuno di obbligarla a questo. Mai rifiuterà i servizi per i malati, perfino in una situazione come quella di oggi, quando all'improvviso era stato interrotto il suo ben meritato riposo.

C'è in lei qualche cosa che non è facile capire. Malgrado la sua diversità, in genere non sveglia né gelosie né avversioni. È tutto naturale.

Passando vicino alla porta aperta, Suor Irene, ancora una volta, guarda all'interno della sala numero numero 11. Vede che Suor Marta s'affaccenda ancora vicino al malato, tenendo in mano il suo rosario.

Di giorni simili ne passano tanti, pieni di tante occupazioni e di tanta preghiera.

Arriva il mese di giugno del 1895. La Superiora chiama Suor Marta nel suo ufficio: “I Superiori Provinciali desiderano che tu vada a curare i malati a Podhajce. Ci dispiace e sentiremo molto la tua assenza. Pregheremo per te e ti auguriamo ogni bene”.

Suor Marta s'inginocchia e bacia la piccola croce del suo rosario come segno di docilità.

7. L'ospedale di Podhajce

Dopo pochi giorni di lavoro nel nuovo ambiente, Suor Marta si convince che la sua vita qui sarà diversa da quella di Leopoli. Il servizio per i malati è difficile per il fatto che l'ospedale non è ancora finito. Funziona soltanto una parte. Ogni giorno, lei e le sue consorelle si vedono non soltanto con i malati, ma anche con gli operai della costruzione, con i poveri che cercano lavoro, cogli uomini che vengono all'ospedale chiedendo un aiuto adatto alle loro condizioni.

Le Suore si prestano con il loro aiuto, ma spesso le richieste superano le loro modeste possibilità. Però Suor Marta è felice. Lo testimoniano le sue lettere scritte ai genitori, ai fratelli e alle sorelle. Assicura tutti che prova una vera gioia e felicità nel fare questo, che è la stessa cosa che Gesù faceva sulla terra, cioè fare un servizio agli altri.

Un giorno arriva da casa una lettera in cui c'è una cattiva notizia. Risulta che la sua sorella maggiore Barbara aveva chiesto di entrare nella Congregazione delle Figlie della Carità a Cracovia, però, malgrado la risposta positiva, non si era presentata per dare inizio al Postulato.

Avendo trovato un momento libero, Suor Marta si siede e le scrive una lettera. La penna si sposta velocemente sui bianchi foglietti di carta. Non ha esitazioni riguardo al contenuto della lettera:

“Mi sono rallegrata quando sono venuta a sapere che sei stata ammessa in comunità, ma tu, nel frattempo, sei esitante. Credimi che, come mi sono rallegrata, adesso sono triste, perché mi pare che tu voglia scherzare di fronte ad una cosa così importante … Hai genitori, fratelli e sorelle che non riesci ad abbandonare perché li ami, ma se tu amassi Dio, non ti preoccuperesti troppo della mamma o della sorella malata; abbandoneresti tutti e andresti dove Dio ti ha chiamato. Non dico che non devi amare i genitori, ma la mamma può forse augurarti una felicità più grande di quella che io ho sperimentato”?

Dopo alcuni mesi Suor Marta viene a sapere che Barbara vuole vederla. Era entrata in comunità, ma, purtroppo, le continue emorragie e il cattivo stato di salute hanno determinato la decisione del suo ritorno a casa. Suor Marta saluta Barbara molto cordialmente. Questa volta s'adopera a fortificarla: “Probabilmente la volontà divina era un'altra. Non devi affannarti per questo. Da parte tua hai fatto tutto per obbedire a Dio”.

Dopo tre settimane di soggiorno a Podhajce, Barbara parte fortificata.

Gli Ebrei chiedono il battesimo

Come a Leopoli, Suor Marta, insieme alle sue giornaliere occupazioni, svolge una particolare assistenza agli ebrei malati. Parla con loro, dimostra tanta pazienza e tanta stima. Sotto la sua influenza gli Ebrei chiedono il battesimo. Si rendono conto che, per il battesimo e il conseguente cambiamento della confessione, rischiano la rottura con l'ambiente ebreo; non potranno contare su soccorsi materiali da parte dei connazionali, saranno trattati male sia dagli ebrei che dai cattolici, perché gli uni come gli altri non vedono bene coloro che hanno cambiato la fede.

Suor Marta da sola si convince di questo. Un giorno, in seguito alla sua benevola influenza, un ebreo chiede di ricevere il battesimo. Dopo un certo tempo lo stato della sua salute migliora un po'; la moglie lo riprende a casa. Quando viene a sapere che il marito ha tradito la fede dei padri ed è diventato cattolico, lo tratta male. Il poveretto deve tornare all' ospedale e qui, dopo un po' di tempo, muore. Hanno preparato per lui il funerale cristiano; il Parroco è stato invitato a celebrare secondo il rito cattolico.

Gli Ebrei però protestano vivacemente e domandano il funerale presieduto dal rabbino. Il parroco cede. Dopo il funerale, gli Ebrei restituiscono all'ospedale la piccola croce che il morto aveva sul petto, il vestito e la bara. Suor Marta non si scoraggia per questo.

Poco dopo prepara al battesimo un'altra Ebrea gravemente ammalata, di nome Zyta. “Questa volta non ci saranno problemi da parte degli Ebrei, pensa, perché Zyta è così malata che probabilmente morrà presto”.

Zyta accoglie il battesimo. Marta parte per i suoi esercizi spirituali. Lo stato di salute della malata migliora. Le Suore temono il dispiacere della famiglia di Zyta. Dopo alcuni giorni Suor Marta ritorna dagli esercizi. Zyta, sapendo del suo ritorno, chiede di farla venire presso di lei e le dice:

“Non potevo morire, non avendo ringraziato la sorella per la grazia del battesimo”. Muore poco dopo.

Gli affari famigliari

Arriva un'altra lettera da Nowy Wiec. Suor Marta viene a sapere che suo fratello Paolo è entrato nella Congregazione di San Michele Arcangelo (Micaeliti) a Miejsce Piastowe, ma, come Barbara, per il cattivo stato di salute, ha dovuto abbandonare tutto. Suor Marta che considera la grazia della santa vocazione superiore a qualsiasi altra, s'adopera a salvarlo come ha fatto con Barbara. Propone ai genitori di mandare Paolo nel seminario di Pelplin, perché là ci sono condizioni climatiche più vantaggiose per la salute. Invece l'altro suo fratello Marceli che ha intenzione di entrare in seminario a Pelplin, sarà meglio che entri, secondo i desideri di Marta, nella Congregazione dei Vincenziani. Se gli interessati sono d'accordo con questo progetto, lei è pronta a intervenire.

In tutte le situazioni difficili Suor Marta s'adopera a rafforzare la sua famiglia, a trovare qualche uscita. Si rende conto molto bene che la vita di ogni uomo è un cammino difficile. E sopratutto la vita della Figlia della Carità. Non si meraviglia dunque né si oppone, quando, nella prima metà del 1899, la Superiora le annuncia che verrà trasferita a Bochnia, dove lavorerà ancora in ospedale.

8. Nell'ospedale a Bochnia

Il carisma del convertire

La nuova superiora di Suor Marta è adesso Suor Maria Chablo. Fin dall'inizio si capiscono bene. Suor Marta le confida anche i suoi problemi intimi, convinta che così otterrà un aiuto efficace per una più fedele imitazione di Cristo. Da parte sua la Superiora si convince che questa nuova, giovane sorella, è un vero tesoro sia per i malati che per le Consorelle. È sempre serena, attiva, si presta in tutto, si occupa nei lavori più difficili, ha anche una strana influenza sui malati. Senza difficoltà si mette in contatto con loro, tocca i loro problemi spesso molto difficili ed essi stessi si decidono a confessare i propri peccati. A poco a poco iniziano a trattare la sofferenza come una soddisfazione a Dio per i peccati commessi.

A Bochnia, come a Leopoli e a Podhajce, Suor Marta dimostra una grande preoccupazione per la conversione degli Ebrei. Uno di loro, che occupa un posto molto importante nella società di Bochnia, osserva il suo lavoro che richiede tanto sacrificio, la sua premura per i malati senza tener conto della confessione religiosa e del posto sociale. Si convince che deve darsi da fare per conoscere più profondamente la fede cattolica. Il medesimo chiede il battesimo. Accoglie anche la Comunione e il sacramento dei malati. Presto poi, riconciliato con Dio, muore. Quando la sua famiglia e gli amici vengono a sapere ciò che è accaduto, non vogliono prendere parte al funerale cattolico.

La croce - l'annuncio delle sofferenze

Un giorno Suor Marta sta pregando come al solito. All'improvviso, davanti ai suoi occhi, appare una croce, dalla quale escono raggi. Sente la voce dalla croce: “Sopporta, figlia mia, pazientemente, tutte le calunnie e i rimproveri. Lavora per i tuoi. Presto ti prenderò con me”.

Fin da questo momento nel suo cuore appare una grande nostalgia del cielo. È profondamente convinta che fra poco morirà. Non dice niente a nessuno. Lavora ancora con grande entusiasmo.

E la croce annunciata? S'avvicina molto velocemente. Un giorno gli infermieri portano in sala un malato grave. E' uno studente chiamato Giovanni Nosal. E' parente del parroco, del prelato Lipinski. A motivo della salute dello studente, i medici raccomandano una particolare assistenza infermieristica. Suor Marta va da lui molto spesso, gli dà le medicine, gli misura la temperatura. Un giorno, aspettando che il termometro dia i risultati, si siede vicino al letto del malato.

“Suor Marta, sei stata molto imprudente! Sedersi vicino al letto del malato non è usanza nella nostra Congregazione” le dice più tardi la Superiora. Aveva ragione. Nella stessa sala c'era un uomo vizioso, malato venereo. Osserva Suor Marta e nel suo cuore nasce la gelosia. Perché questa giovane sorella non si occupa di lui come fa con lo studente? (Le Sorelle avevano ricevuto da S. Vincenzo la proibizione di curare i malati venerei). Dopo l'uscita dall'ospedale, decide di vendicarsi. Va diritto dal prelato Lipinski e gli annuncia che Suor Marta Wiecka, che lavora nell' ospedale, si comporta immoralmente, che è incinta e che il padre del bambino concepito è il giovane studente Giovanni Nosal. Il prelato accoglie questa accusa come un fatto vero. Non può frenare la sua indignazione. Si rifiuta di ascoltare in confessione la Superiora che considera una persona incapace di guidare le Suore. Avvisa del fatto anche i superiori a Cracovia. In seguito alla chiamata della Visitatrice Suor Carolina Juhel, la Superiora va a Cracovia. Viene trattata con tutto il rigore possibile, non soltanto da parte della Visitatrice, ma anche da parte del Padre Direttore. I Superiori annunciano che Suor Marta deve essere trasferita immediatamente in un'altra casa e severamente punita. La Superiora di Bochnia non si permette però di intimorirsi. È totalmente convinta dell' innocenza di Suor Marta. La conosce benissimo, perché la giovane sorella le affida perfino i suoi problemi spirituali. Con grande determinazione prende dunque la sua difesa. Prega perché Suor Marta possa rimanere a Bochnia e allora tutti si convinceranno che questa accusa è soltanto una calunnia. Lei invece, come Superiora, è pronta a subire tutte le punizioni. Questa sua decisa posizione permette che la Visitatrice cominci ad avere i suoi dubbi riguardo all' accusa e decide di lasciare Suor Marta a Bochnia. La Superiora rientra a casa. Nel frattempo il diffamatore divulga ancora le sue false accuse.

Un giorno, a casa delle Suore, bussano due signore che portano una culla: “E' per la vostra suora che deve partorire ” dicono con cattiveria.

La Superiora e Suor Marta soffrono insieme, ma in pace.

Eccitato dalla curiosità del loro silenzio, il diffamatore cerca sempre di sapere che cosa succede nell'ospedale. Si arrabbia molto quando gli dicono che Suor Marta si occupa ancora dello studente, è bendisposta verso tutti, è sorridente e non risponde alle obiezioni. Decide allora di esercitare la sua vendetta sulla Superiora. Due volte la aggredisce col coltello; per la festa onomastica le manda come regalo le sanguisughe e acclude un foglietto coll'adatto maligno commento. La Superiora è una donna coraggiosa, non ha paura, non si lamenta con nessuno.

Poche persone si rendono conto del loro soffrire. Tutte le volte che s'incontrano, la vista penetrante della giovane sorella legge nel cuore della Superiora e la compatisce perchè è lei, Suor Marta, la causa di tutto. Si avvicina finalmente il tempo, quando il brutto affare si schiarisce. Il diffamatore, in punto di morte, ritira tutte le false accuse.

“O Dio, che cosa ho fatto! pensa sconvolto il prelato Lipinski. Come ho potuto essere così ingenuo”? La coscienza gli fa capire la grande ingiustizia che ha commesso verso la Superiora e Suor Marta.

Si veste dunque di viola e va a casa delle Suore. Solennemente chiede scusa a tutte e due. Nel profondo dell'anima le ammira. Soltanto adesso vede quanto hanno patito.

La tempesta si calma; vengono giorni migliori. A Bochnia arriva il fratello di Suor Marta, il diacono Giovanni Wiecki. Si convince che sua sorella ha un magnifico dono: quello di leggere nel cuore umano.

Gli ha annunciato che il suo desiderio più grande è quello di morire al più presto per unirsi con il suo dilettissimo Dio.

Sembra dunque che per Suor Marta stia arrivando un tempo calmo, libero da tensioni morali e spirituali. Non è così. La successiva lettera da casa porta ancora una notizia molto triste. All'età di 24 anni è morto all'improvviso suo fratello Francesco. “Che dolore per il babbo che vedeva in lui il suo successore”! pensa Suor Marta. Anche lei è toccata da questo grande dolore. Francesco, il suo fratello maggiore, buono, amante dei genitori, premuroso. Chi s'occuperà di loro nella vecchiaia? Suor Marta s'adopera per dominare il proprio dolore. Prende la penna. Soltanto con la preghiera e un' affettuosa parola può aiutare i suoi cari:

“… Ogni uomo deve deporre ogni giorno davanti a Dio l'offerta di ciò che ha di più prezioso. Che cosa può esserci di più prezioso per un genitore della vita del proprio figlio? In questo sacrificio si inserisce la profonda speranza che, dopo un certo tempo, la madre incontrerà il suo amato figlio …”.

Ai fratelli Suor Marta ricorda: “Bisogna avere cura dell' anima, in modo che, in ogni momento, possiamo essere pronti per comparire davanti a Dio“.

Suor Marta si adopera a consolare la famiglia, a fortificare in tutti la fede nel dogma della comunione dei santi, a indicare il senso profondo delle sofferenze.

Dopo un certo tempo la Superiora riceve la notizia che Suor Marta deve essere trasferita all' Ospedale di Sniatyn. Malgrado uno spirito profondo di fede, questa è per la Superiora una difficile esperienza.

9. Nell'ospedale di Sniatyn

La Suora difficile

A Sniatyn le Suore vivono problemi diversi da quelli delle Suore di Bochnia. Hanno iniziato il loro lavoro lì nel dicembre 1899. Una delle Suore è però molto difficile. Fa sudare non soltanto le Consorelle, ma anche i medici, gli amministratori dell'ospedale e, particolarmente, gli inservienti sui quali si sforza di mantenere un potere assoluto. La Superiora è perduta. Non l'aiutano né le attenzioni, né le ammonizioni. Questa Suora prima lavorava in un carcere ed è convinta che se tutti, medici compresi, applicheranno le sue proposte, nell'ospedale ci sarà un vero ordine.

Non vedendo altra uscita, i dipendenti dell'ospedale iniziano speciali preghiere perché arrivi una nuova sorella indulgente, buona e giusta. Dio presta orecchio alle invocazioni, perché ecco: la Suora insopportabile viene tolta, e al suo posto, vengono a sapere, verrà una giovane sorella che si chiama Marta Wiecka. Sarà buona, giusta? Tutti con ansia aspettano il suo arrivo.

La lettera alla “santa” Suora Marta

Presto arriva la giovane sorella. In poco tempo conquista le Consorelle, i medici, i malati. Lo staff più basso ha in lei un vero appoggio, perché Suor Marta prende particolarmente a cuore queste persone le quali adempiono i più semplici e più difficili lavori.

Che differenza con la precedente suora! Suor Marta è come le altre sorelle: s'alza la mattina alle 4.00, partecipa alle preghiere comuni, resta per tutto il giorno nelle sale ospedaliere, tra il tanfo della malattia e dei mezzi disinfettanti, tra i gemiti postoperatori, tra uomini sofferenti per i quali, fuori del proprio disturbo, qualsiasi altra cosa finisce con l' essere poco importante.

Suor Marta è come le altre sorelle, eppure è un'altra. Irradia una particolare gioia interna, è infinitamente paziente, pronta al sacrificio, lavora con un intenso raccoglimento di preghiera. Ha l'eccezionale dono di avvicinare i peccatori.

Un giorno, all'ospedale di Sniatyn, era arrivato il rabbino ebreo, con una gamba rotta. Per sfortuna in quel turno non c'è nessun medico. Suor Marta si avvicina a lui. “La prego di non muovermi, grida indignato. Una donna e, per di più di un'altra confessione, non mi può toccare”.

“Non sono una semplice donna, risponde Suor Marta, ma una persona consacrata a Dio”.

“È lo stesso, questo è sempre qualche cosa della donna”, dichiara sospettoso il rabbino. Non ha però altra uscita, deve mettersi nelle mani di Suor Marta. Il giorno successivo il rabbino si rivolge al medico perché verifichi se la gamba è stata composta bene.

“Se l'ha fatta Suor Marta, non c'è bisogno di verificare” risponde il medico.

Il rabbino, eccitato dalla curiosità, osserva il lavoro della giovane sorella. Vede con che stima tratta tutti i malati, come prega. Dopo l'uscita dall'ospedale non si dimentica della sua bontà e le manda un ringraziamento con gli auguri natalizi così indirizzati: “Alla santa suora Marta di Sniatyn”.

Davvero, nessun malato, nessun ebreo del suo reparto va verso l'eternità senza riconciliarsi con Dio.

Suor Marta ha, come abbiamo detto, anche il dono di leggere nei cuori umani. Conosce questa sua particolarità il parroco locale, don Fischer. Per questo, spesso manda da lei i casi difficili, con i quali non può comportarsi alla leggera. A questo gruppo appartengono gli uomini dalla coscienza complicata, gli intellettuali, gli studenti e poveri uomini moralmente trasandati.

Il Parroco è convinto che soltanto lei sappia ristabilire in loro la pace della coscienza, insegnare la strada che porta a Dio.

Questa è la mia ultima vigilia

Si avvicina il bellissimo giorno di Natale del 1903. Nella luce delle candele degli alberi di Natale, intorno alla tavola festiva, le Suore si scambiano gli auguri.

“Il prossimo anno celebrerò il Natale lassù, con Gesù”, dice Suor Marta. Queste parole risuonano strane sulla bocca della giovane Suora, così piena di energia e di gioia di vivere. Niente indica perché debba morire. Forse è soltanto una devota esagerazione?

Nei giorni che seguono le Sorelle la osservano più attentamente. Suor Marta sembra raddoppiare le forze. Sostituisce gli altri nelle più difficili mansioni, lavora come una persona che sa che le è rimasto poco tempo.

Una domenica Suor Marta, accompagnata dalla sorella Binki, va nel cimitero locale. Le piace molto pregare per i morti. Si fermano davanti alla cappellina nella quale c'è la statua di san Giovanni Nepomuceno. Suor Marta lo prega ad alta voce: “Vorrei essere sepolta vicino a te. Anche se qui c'è così poco spazio, credo che mi concederai quello che desidero”.

Suor Binka si meraviglia di questa intima conversazione di Suor Marta con san Giovanni Nepomuceno; ancora di più la sorprende il contenuto della richiesta.

Dopo pochi giorni le Sorelle si riuniscono per la ricreazione nel locale accanto alla scala di cucina. Dopo qualche momento Suor Marta dice: “Queste scale soporteranno molto difficilmente il peso della mia bara”. “Ma no, Suor Marta; i morti si portano soltanto attraverso la scala di fronte”! protestano le Sorelle.

“Ma a me mi porteranno di qua”! risponde Suor Marta.

In tutte le lettere alla famiglia, in ogni frase, appare sempre questa sua grande nostalgia del cielo, dell'incontro con Gesù.

Donare la vita

Nel frattempo, nel reparto d'isolamento, una donna colpita dal tifo petecchiale si riprende. Dopo un certo periodo viene dimessa dall'ospedale; il reparto d'isolamento si chiude. Dopo alcuni giorni si presentano gli operai per fare la disinfezione. Vogliono che tutte le cose che sono nel reparto d'isolamento e per le quali c'è l'obbligo della disinfezione, siano portate via.

Deve fare questo lavoro un dipendente dell'ospedale. E' disperato perché conosce bene il pericolo a cui deve esporsi. Suor Marta sa che questo giovane ama molto sua moglie e il piccolo bambino. Con la massima premura perché non venga contagiato, lo sostituisce. Da sola prepara alla disinfezione la biancheria da letto e altri oggetti, con i quali era stata a contatto la donna malata. Presto i batteri del tifo iniziano ad attaccare l'organismo di Suor Marta. Fin dall'indomani si sente indebolita e infuocata dalla febbre. Continua però a svolgere le sue mansioni vicino ai malati. Per l' ultima volta va nella chiesa parrocchiale, per pregare ancora una volta davanti al quadro dell' amata Madre Divina. Dopo il ritorno, resasi conto del suo stato di salute, prega una delle sorelle, perché la sostituisca nel lavoro.

I malati, vedendo nella sala un'altra sorella, subito incominciano il lamento e dicono che la loro benefattrice s'è ammalata e che bisogna immediatamente salvarla. Solo allora le Consorelle cominciano a preoccuparsi dello stato di salute di Suor Marta. Il giorno dopo, lei ha ancora la forza per riordinare tutte le sue cose, bruciare le lettere e gli appunti. Mostra alla sua consorella Bianca, dove ha il vestito per essere deposta nella bara, mostra anche un cero benedetto e altre cose necessarie per i morenti, in modo che, quando morrà, le Sorelle non cadano nel panico e non debbano cercare il tutto. Va a letto, ma è convinta che non guarirà. Nonostante questo, le Sorelle e i medici fanno di tutto per salvarla; avvisano anche la famiglia della gravità del suo stato. Viene il prete Fischer perché possa confessarsi; riceve il sacramento dei malati. A queste cerimonie partecipano non soltanto le Sorelle, ma anche i malati che possono camminare, perché Suor Marta gradisce che tutti preghino per la sua buona morte. Lei prega, perché, a nome suo, il prete Fischer chieda perdono per il bene fatto male e per il bene che poteva fare e non ha fatto. Tra i malati echeggia un pianto rumoroso. Uno di loro dice: “La sorella Marta poteva fare del male a qualcuno o offendere? Non è possibile”!

Il 27 maggio 1904 arriva a Sniatyn il prete Giovanni Wiecki. Suor Marta, a voce bassissima e con grande fatica, gli dice che desidera morire e unirsi con Gesù. Non ha la minima speranza per la sua guarigione. Prega perché Don Giovanni non si addolori troppo per la sua morte. Ha altre sorelle e fratelli che rimangono con lui. Lo assicura che pregherà per tutta la famiglia. Il fratello commosso le dà la Santa Comunione. Suor Marta prega con tale raccoglimento che sia il prete Wiecki che la Sorella Superiora sono convinti che questa è la preghiera nell'estasi. Poi rinnova ancora i Santi Voti che ha fatto per la prima volta il 15 agosto 1897. Prega ancora Don Giovanni di andare nella chiesa collegiale, perché è più importante dire la Messa per i fedeli che stare vicino a lei. Vive ancora due giorni. Soffre molto. Si vede dal movimento delle labbra che le rendono difficile il parlare. Il dolore legato al tifo e l'infiammazione dei polmoni quasi le impediscono ogni comunicazione con l'ambiente, ma è cosciente.

Nel frattempo, davanti all'ospedale, appoggiati allo steccato, stanno gli abitanti di Sniatyn che hanno goduto tante volte del suo servizio. Sono tra loro i Polacchi, i Russini, gli Ebrei. Con ansia aspettano ogni minima informazione sullo stato di salute della loro benefattrice.

Gli Ebrei, avendo saputo della sua malattia, pregano nella loro sinagoga, supplicando Dio per la sua salute. Un Ebreo compra un chilo di candele e le brucia nella sinagoga per la guarigione della sorella Marta. Purtroppo non arriverà nessuna buona notizia.

Il 30 maggio 1904 Suor Marta, sentendosi sempre pù debole, chiama Suor Bianca. Accorrono tutte e iniziano le preghiere per i morenti. Suor Marta, tenendo nella mano un cero benedetto, ripete le parole della litania, poi, con un leggero gesto della mano, saluta tutti. Dopo un breve momento di agonia, muore. La notizia della sua morte col volo del lampo circola per tutta la città. Il dolore per la sua perdita entra in tutti i cuori. Indipendentemente dalla nazionalità e dalla confessione, gli abitanti di Sniatyn si vestono a lutto. Non vedranno più la loro benefattrice.

Il vicario forense Fischer, avendo ricevuto la notizia della morte di Suor Marta durante il culto mariano del mese di maggio, dedica tutta la predica alla sua vita e alle sue virtù, confermando i fedeli nella convinzione che era una Suora eccezionale, unita con Dio, vissuta in santità.

Avvisato della morte, arriva anche don Wiecki e si occupa di organizzare il funerale. Si adopera per trovare una bara di metallo e anche di costruire la tomba nel luogo consigliato dai fedeli, accanto alla cappella di san Giovanni Nepomuceno, non sapendo che Suor Marta desiderava riposare proprio lì.

Per due giorni, sul feretro, riccamente ornato con fiori, riposerà il corpo della sorella Marta. Pregano vicino a lei le Consorelle, gli addetti al servizio dell'ospedale e suo fratello sacerdote. Poiché la famiglia e i parenti non possono essere presenti a causa della grande distanza, lui è l'unico membro della famiglia che prega vicino alla bara.

Il 1 giugno 1904, nella chiesa parrocchiale di Sniatyn, don Giovanni celebra la solenne Messa funebre. Suona l'organo don Borowy, il confessore di Suor Marta. Per ragioni sanitarie la bara non viene portata in chiesa.

Davanti all'ospedale si è riunita la folla. I fedeli dei vari riti, delle varie confessioni, delle diverse nazionalità desiderano dare l'ultimo gesto di benevolenza alla loro benefattrice. Si comincia a formare il corteo funebre. La bara, come ha profetizzato Suor Marta, viene portata via dalla scala laterale della cucina e collocata su un carro funebre tirato da cavalli bianchi, di proprietà di don Fischer. Il corteo funebre condotto da Don Giovanni Wiecki giunge nella società di don Borowy, dove si trovano il vicario forense e i pastori dei riti: armeno e bizantino - ucraino. Il funerale si trasforma in una grande manifestazione di gratitudine della società per il bene compiuto da suor Marta in quella città.

In una solenne omelia, don Borowy sottolinea l' efficacia della sua attività apostolica, frutto di un modo perfetto di vivere la sua vocazione, la permanente unione con Dio e il conseguente lavoro su sé stessa.

Gli abitanti di Sniatyn interpretano la morte della sorella Marta come un atto eroico dell'amore per il prossimo. Ha donato la sua vita per salvare la vita di un altro, quella di un giovane padre di famiglia. Non dimenticheranno mai la loro benefattrice. Trasmetteranno la sua memoria ai figli e ai nipoti. Questa memoria non la distrugge il tempo e neppure i tristi storici avvenimenti. Ancora una volta si conferma la verità che l'amore è più forte della morte.

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