Dago il più grande successo dell’Eura editoriale

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Dago: il più grande successo dell’Eura editoriale

DI

LUCA LORENZON

1 APRILE 2003

FM 51

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PAROLE CHIAVE

FUMETTO

,

SAGGI


Dago

è apparso su Lanciostory sul finire del 1983; per i primi dieci episodi

ha mantenuto un ritmo costante, comparendo ogni due settimane e poi ogni
tre, ma a metà dell’84 ha subito un black-out dal quale si sarebbe ripreso
l’anno

successivo

tornando

massicciamente

sulle

pagine

di Lanciostory (prima ogni tre e poi ogni due settimane, per un totale di 24
episodi). All’avvicinarsi della pubblicazione italiana con quella argentina, la
serie ha cominciato a rarefarsi fino a subire uscite singhiozzanti dovute ai
necessari tempi di produzione di nuovi episodi. In effetti il triennio 1989-90-
91 fu assai avaro di storie del giannizzero nero. L’attesa tra un episodio e
l’altro durava anche parecchi mesi, ma Dago non ha mai abbandonato i suoi
lettori anche se in certi periodi la sua presenza era tanto diradata da renderlo
quasi invisibile. Nel frattempo, però, era già iniziata la sua ristampa
su Euracomix, dove aveva surclassato nel gradimento e nelle richieste del
pubblico fumetti che per anzianità avrebbero meritato più di lui questa
riproposta celebrativa: Larry Mannino, Cayenna, Calico Jack,

L’Eternauta e

compagnia, opere che difatti furono successivamente ristampate con tutti gli
onori. Ma negli anni ’80 l’astro di Dago aveva messo in ombra persino i
maggiori capolavori del passato, ed i lettori ovviamente ne volevano sempre
dosi maggiori. Dopo la “carestia“Dago fu protagonista di un primo inserto
omaggio su Skorpio e, soprattutto, venne fatto oggetto di un grosso lavoro
di rilancio, in modo che la produzione delle sue storie aumentasse ed il
l

egame col pubblico si facesse ancora più saldo. Il problema principale erano

i lentissimi ritmi di produzione del grande Salinas, che disperdeva

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ulteriormente le sue energie su altri progetti (a fumetti e non). Un giorno dalla
pagina della posta di Lanciostory si apprese una sconfortante notizia: Robin
Wood procedeva con il suo solito ritmo alla realizzazione delle storie
di Dago, solo che Salinas non era capace di stargli dietro e un sacco di
episodi giacevano irrealizzati!
L’Eura fece quindi inserire a Salinas una marcia in più, coadiuvato
inizialmente in ciò da uno studio preposto specificamente ad assistere il
Maestro: l’equipo Dago. I pessimi esiti di questo esperimento fecero fare un
passo indietro alla casa editrice, ma ormai pareva che Salinas avesse
ingranato nella maniera giusta. Con o senza equipo Dago le apparizioni del
giannizzero

nero

si

fecero

relativamente

regolari

e

in

un’occasione Lanciostory fece addirittura una sorpresa inaspettata ai suoi
lettori: quattro episodi di Dago furono fatti uscire con cadenza settimanale,
quasi un mese intero in compagnia dell’eroe di Wood e Salinas.


Di lì a poco un’altra novità avrebbe dato una decisa impennata sia alla
quantità che alla qualità di Dago (il quale nel frattempo era anche diventato
titolare di un albo bimestrale, che non ristampava le storie vecchie ma offriva
96 pagine di materiale inedito). Il giovane e talentuoso Carlos Gomez
muoveva i primi passi sulla serie, contribuendo col suo lavoro ad
intensificarne la produzione. Dopo un primo momento in cui veniva ancora
seguita la ripristinata cadenza quattordicinale, un bel giorno Gomez si mise
a produrre 12 tavole a settimana, e questo trend va avanti dall’aprile del
1997! Quasi una follia, se si considera l’elevata qualità del lavoro di Gomez,
il quale en passant ha pure disegnato 7 numeri del monografico e
collaborato ad altri due con Caliva. Dal 1983, quindi, la mole di episodi

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raggiunta da Dago

è impressionante, nonostante i vari intoppi che lo hanno

rallentato. Ma queste cifre sembrano quasi bazzecole in confronto ad altre
considerazioni.
Dago, infatti, vanta una presenza impressionante sul mercato italiano. Tra
materiale inedito e ristampe, poco meno di 4000 pagine gli vengono dedicate
annualmente: se non raggiungono esattamente questa cifra è solo per una
manciata di tavole (quasi mai Ristampa Dago comprende 96 pagine esatte
di fumetto, e un anno l’Euracomixtrimestrale di Dago può slittare per
l’inserimento di qualche new entry). Ma visto che gli anni sono composti da
52 settimane e un giorno, può capitare che quel giorno in più sia un lunedì o
un giovedì, con conseguente incremento di 12 (l’inedito settimanale) o 16
(l’inserto) pagine nel computo finale. Complessivamente la produzione
inedita raggiunge quota 1776 (12 pagine settimanali e 96 mensili) mentre le
ristampe

arrivano a circa 2224 (16 pagine d’inserto ogni settimana, poco

meno di 96 ogni mese e 60 ogni tre mesi). E se considerassimo anche le
raccolte di Dago, Lanciostory e Skorpio, questa cifra verrebbe praticamente
raddoppiata!
Dago

, insomma, si è rivelato col passare del tempo non solo un’ottima serie

ma un vero e proprio asso pigliatutto dal successo in costante aumento. A
fronte dei lusinghieri dati di vendita, il monografico bimestrale si converte in
mensile verso la fine del ’98 e se ciò comporta un drastico
ridimensionamento della parte grafica, Wood continua con eccezionale
professionalità a sfornare buoni e originali soggetti.
Nel 2002 assistiamo all’ennesima consacrazione di Dago (ma c’è da
scommettere che non sarà l’ultima): a fine giugno esce nelle edicole la
ristampa integrale della serie in economici volumetti bonelliani. E proprio
dalla fine, da Ristampa Dago, partiremo per analizzare la saga del
giannizzero nero.

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Dago


Ristampa Dago è la riproposta cronologica delle avventure di Dago. I
lettori più giovani, quindi, potranno finalmente conoscere le origini e le
prime storie del personaggio. Ma questa collana dovrebbe essere
assolutamente seguita anche da quegli appassionati che posseggono
già

Euracomix

o gli inserti di

Skorpio

. Infatti, per una fortunatissima e misteriosa

coincidenza, la qualità di stampa e riproduzione della maggior parte di
questi volumetti è la migliore in assoluto che mai abbia avuto

Dago

. Con

tutta pr

obabilità ciò è dovuto al reperimento dei volumi antologici che la

Columba dedicò al personaggio, ma esiste anche la possibilità che la
stampa di molti capitoli sia partita dagli originali di Salinas, come
testimonierebbero le tracce di matita non cancellata che si vedono
chiaramente in alcuni disegni. La prima tavola conserva addirittura il
codice alfanumerico con cui era catalogato il primo episodio. Ovviamente
non tutte le pagine condividono la stessa qualità di stampa e oltre a dei
prestiti non felicissimi tratti direttamente dalle pagine di

D’Artagnan

, ci si

imbatte pure in qualche riproduzione veramente pessima dovuta
all’impossibilità di trovare fonti migliori. Ma nonostante questi occasionali
intoppi (a cui l’Eura ci ha già abituato da anni, per cui ormai ci abbiamo
fatto il callo)

Ristampa Dago

è probabilmente destinata a rimanere un punto

fermo per gli appassionati di

Dago

in quanto a completezza e rispetto del

lavoro di Salinas. Peccato solo che la riduzione di formato abbia costretto
l’Eura ad allargare i balloon originari o a crearne di nuovi, ma si tratta di
un prezzo inevitabile da pagare per una edizione realizzata con queste
caratteristiche cartotecniche (che la rendono così economica) e si

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dimentica ben presto di fronte ai disegni ripristinati che possiamo
finalmente ammirare.

Ristampa Dago

, insomma, costituirà veramente un punto fermo per gli amanti

di

Dago

, visto che permette di gustare le avventure del personaggio al

meglio delle possibilità, cioè più fedelmente che nelle altre situazioni in cui
è stato ristampato. E basandoci su questa collana sarà più facile per il
lettore seguire l’evoluzione della saga.
“Il suono lugubre, cupo, delle grandi campane ha invaso le vecchie calli
oscure, i neri canali dell’acqua immobile, gli antichi palazzi che il tempo
corrode. Venezia si piega su se stessa nella notte rotta solo dai lamenti
dei gatti e dallo sciabordio di u

n remo.”

Il conte Giacomo Barazutti si affretta nel palazzo del principe Bertini, dove
sta per svolgersi un incontro tra quattro individui di dubbia moralità. Il
principe Bertini, il mercante greco Kalandrakis, la spia turca Ahmed Bey
e lo stesso Barazutti

stanno infatti complottando contro Venezia ed è stata

indetta una riunione speciale per discutere di un fatto che potrebbe
mandare a monte i loro piani. Il vecchio Renzi è venuto a conoscenza
delle loro macchinazioni e potrebbe renderle pubbliche compromettendo
gli interessi politici di Bertini, quelli commerciali di Kalandrakis, quelli
militari di Ahmed Bey e quelli personali di Barazutti. Si opta per una
soluzione radicale: la famiglia Renzi verrà accusata di tale tradimento,
fornendo gli opportuni documenti, e per essere sicuri di farla franca gli
intriganti ne organizzano il totale sterminio. Del giovane e vanesio Cesare
Renzi si occuperà Barazutti in persona: Cesare lo ritiene un amico ed
ignora l’invidia e il rancore che l’altro nutre nei suoi confronti. Ma la daga
che il traditore gli piazza tra le scapole non si rivela fatale, ed anche se il
corpo di Cesare Renzi affonda nell’acqua Barazutti sente, come un
annuncio di disgrazia, un brivido di gelo. Benché questa premonizione si
concretizzerà solo 18 anni dopo, Barazutti non aveva torto. L’ultimo dei
Renzi è infatti stato salvato da una nave turca, che non si è certo lasciata
sfuggire l’occasione di recuperare della buona “merce” da vendere come
schiavo. Abituato a ben altra vita, Cesare non riesce nemmeno a cogliere
la gravità della situazione in cui è finito ed i suoi inutili tentativi di ribellione
vengono prontamente dissuasi. Per sua fortuna il capitano della nave è di
buon umore e, divertito dai patetici scatti d’ira del veneziano, non solo non
lo uccide sul posto ma gli fa anche dono di un nome canzonatorio: Dago.
La daga di Barazutti, con cui era stato rinvenuto il corpo di Cesare, ne ha
decretato la rinascita ad una nuova, terribile vita.

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“Uno schiavo grida nell’oscurità. Un altro muore in silenzio. Un altro
piange. La nave è una tomba che galleggia nella notte.”


Il primo episodio di

Dago

è un meraviglioso meccanismo ad orologeria in

cui ogni elemento è perfettamente calibrato. La lunghezza è piuttosto
anomala

(ben 19 tavole) ma nessun dialogo o didascalia è superfluo. C’è

perfino il tempo di inserire intermezzi leggeri, quasi comici, però è la
tensione a farla da padrona in questa vicenda di sangue e tradimento. La
costruzione barocca delle didascalie fu una rivelazione per i lettori
di

Lanciostory

, ma anche altri espedienti sono insostituibili per far montare e

poi esplodere il giusto pathos. Solo nei momenti più ispirati
di

Gilgamesh

e

Savarese

troveremo altre sequenze così coinvolgenti come

quella dei rintoc

chi che scandiscono lo sterminio dei Renzi. E non può

nemmeno mancare un dosato

cliffhanger

che ci porta ad aspettare con

trepidazione il prossimo episodio. Sì, Wood era veramente al colmo della
sua maturità professionale quando diede vita a

Dago

. E Alberto Salinas non

era da meno per quel che concerne il disegno. Wood ha dichiarato che fu
proprio l’occasione di poter lavorare col grande Salinas a stimolarlo nella
creazione di

Dago

. E, a proposito della genesi della serie, va ricordata una

curiosa leggenda secondo cui

Dago

, in origine, doveva essere solo una

miniserie. Questa rivelazione è stata ripetuta varie volte dall’Eura e dallo
stesso Wood, ma i particolari sono spesso diversi: per ogni occasione in
cui si usa solo il termine generico “miniserie” ce n’è un’altra in cui il numero
degli episodi viene precisato (solitamente corrisponde a 10), fino alla
pazzesca dichiarazione che in origine tutta la vicenda doveva esaurirsi in
un unico libero autoconclusivo! Se già la semplice collocazione
cronologica di

Dago

crea problemi, figurarsi com’è difficile verificare la

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veridicità o i dettagli di questi “dietro le quinte”…ma torniamo al povero
Cesare Renzi.
Ribattezzato Dago, il giovane inizia a prendere confidenza con la sua
nuova condizione di schiavo sotto la tutela del vecchio Selim. Adattarsi a
questa nuova vita di sofferenze non è per nulla facile ma la guida
dell’anziano schiavo (che prova per Dago una sorta di affetto paterno) lo
indirizzerà sul cammino meno doloroso da percorrere, e gli salverà la vita
in un

paio di occasioni. Il buon Selim, comunque, non sopravviverà oltre

il quarto episodio, quello in cui tra l’altro compare anche il
leggendario

Khaireddin

Barbarossa, citato in precedenza solo come figura

mitica o spauracchio. Dago scende di un gradino nella condizione di
schiavo e da bestia da soma viene riconvertito in rematore. Giusto il tempo
di salvare i cavalieri di Malta (“Dobbiamo ricordarlo [il nome

Dago

]. Sono

certo che lo risentiremo. Sì, ne sono sicuro.” proclama solennemente uno
di loro, ma questa story line non ha avuto seguito), ed ecco che un nuovo
rovescio di fortuna porta Dago sulla terraferma, dove sarà il direttore degli
schiavi dell’inebetito Yussuff Bey, esiliato nel deserto per la sua
inettitudine d’ammiraglio. Ormai quasi integrato nel mondo islamico, Dago
ha raggiunto l’esperienza sufficiente per ritagliarsi il suo spazio in questo
microcosmo. Yussuff Bey sarà pure il padrone ufficiale della sua reggia,
ma è Dago in realtà a tirare i fili nell’ombra. Siamo arrivati a malapena al
decimo episodio, ed ecco che un nuovo e violento mutare del destino
ridistribuisce le carte in tavola con un esito devastante per lo schiavo di
Venezia. Il suo nuovo “impiego” sarà infatti qualcosa di ributtante,
probabilmente il livello più basso a cui può scendere uno schiavo, che
necessita solo di un corpo e due gambe per attraversare le paludi. Insieme
ad altri disgraziati, Dago diventa pescatore di sanguisughe: un pezzo di
carne “a perdere” che deve solo immergersi nell’acqua putrida per
raccogliere i visci

di animali. Anche in questo squallore Dago riuscirà a

trovare delle ragioni per vivere, che gli verranno presto tolte dall’epidemia
di peste che scoppia nell’isola in cui “lavora”. Assunto a servizio del nobile
Hussein Bey, con cui ha condiviso l’inferno della pestilenza e la dolorosa
perdita di un amico, Dago è ancora più inquieto e rancoroso (“Un animale
rabbioso, che gratta la propria ferita perché non cessi di sanguinare”). A
poco serve l’amore che la figlia di Hussein Bey prova per lui: Dago è
ossessionato dalla vendetta. I giorni relativamente sereni della
convivenza con Hussein Bey sono destinati a terminare nel sangue. Lo
schiavo di Venezia sopravvive ancora una volta alla violenza ed al
tradimento, ma a quanto pare è destinato a soccombere per la fame, visto

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che gli schiavi ribelli di Hussein Bey hanno pensato bene di saccheggiare
la sua dimora senza prendere provviste con cui attraversare il deserto.
Alcuni beduini trovano gli schiavi fuggiaschi, ma il loro arrivo non fa altro
che far passare i disgraziati dalla padella nella brace: quelli che non
saranno ammazzati dal deserto verranno rivenduti come schiavi. Tra la
disperazione generale si alza una risata demente. È il povero Dago, forse
reso definitivamente pazzo da tutte le esperienze che ha subit

o. “Schiavi!

Per questo, tanti sacrifici, morte, tradimento…per tornare al punto di
partenza…schiavi…schiavi di nuovo…schiavi…incredibile…schiavi!”
queste le sue parole mentre si unisce coi polsi legati alla carovana dei
predoni.

Questa prima parte della saga (15 episodi che arrivano fino a

Ristampa

Dago

3) è stata riassunta nel dettaglio perché costituisce quasi un

manifesto della poetica della serie. Cesare Renzi subisce il più subdolo
dei tradimenti e in più di un’occasione ha motivo di rimpiangere la morte
che non è riuscita a prenderlo. Senza la minima possibilità di influenzare
i terribili poteri che ne condizionano la nuova vita come Dago, ha solo una
pervicace volontà a sostenerlo nelle terribili situazioni in cui viene a
trovarsi contro la sua volontà. Dago subisce di tutto in questa prima parte
della sua storia, e le momentanee sequenze di pausa o sollievo sono
solamente il preludio a delusioni o dolori ancora più intensi. E la morte
soffia costantemente sul collo dell’eroe. Malgrado il tema della precarietà
dell

a vita sia quasi a tutt’oggi una costante della serie, questo primo arco

narrativo non avrà eguali in quanto a crudeltà ed accanimento verso il
povero protagonista. Wood non poteva trovare un metodo migliore di
questa escalation di umiliazioni per far affezionare Dago al suo pubblico
che, come in un

exploitation movie

, patteggia incondizionatamente per il

protagonista in attesa di gustarne la meritata vendetta. Alberto Salinas è
veramente al top, il suo stile minuzioso e ricercatissimo è incredibilmente
mol

to funzionale alla narrazione. I suoi intensi sguardi carichi d’odio o di

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terrore non necessitano praticamente di alcun dialogo o didascalia, ed è
incredibile la varietà che il grande Maestro sa profondere ai volti ed alle
ambientazioni. Certo, sembra impo

ssibile che l’omino sorridente che ci

guarda dalla prima pagina di

Euracomix

40 sia lo stesso che disegna torture,

decapitazioni, ecc. ma anche gli elementi più crudi o splatter (e in

Dago

non

sono pochi) diventano dignitosi e molto funzionali nelle sue mani.


Dopo questa prima fase di “formazione” la saga di

Dago

attraverserà un

periodo inequivocabilmente epico, in cui non solo i soggetti ma anche la
prosa di Wood dimostrerà ambizioni decisamente alte. Si tratta del breve
ciclo di

Orbashà, nel quale Salinas comincia a mettere in opera uno stile

più sintetico in cui avrà grande peso l’uso del tratteggio. Com’è nello
spirito della serie, anche questo frangente “eroico” non può durare in
eterno e su

Ristampa Dago

4 ritorniamo al duro mondo degli schiavi. Stavolta

i riflettori sono puntati sul pericolosissimo mestiere di addetto alla
polveriera. Ma Dago non è più il nobilotto sprovveduto di un tempo, troverà
ancora il modo di salvarsi e giungerà anche a sventare un complotto
contro Barbarossa. E per quanto spietato sia, il re del Mediterraneo non è
certo un ingrato: Dago verrà mandato a Costantinopoli, dove la
raccomandazione del

Khaireddin

in persona ne farà un giannizzero agli

ordini del Gran Visir. Il viaggio verso Costantinopoli (

Addio all’Africa

,

Ristampa

Dago

5) è forse l’ultimo squarcio di avventura credibile per

Dago

visto che in

seguito l’accumulo di eventi storici documentati e di incontri con
personaggi realmente esistiti renderanno la serie assolutamente
“impossibile”. Anche se nella finzione si vuole che siano passati ben 10
anni, è quantomeno improbabile che un uomo dell’epoca sia potuto
incappare anche solo in una piccola frazione dei personaggi incontrati da
Dago o degli eventi a cui prende parte. Senza considerare, poi, che la

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lentezza degli spostamenti non avrebbe mai consentito ad una persona di
trovarsi un giorno in Francia, quello dopo nel Nuovo Mondo e un altro
ancora in Spagna. Ma dopotutto è anche questo il bello della narrativa
seriale, che deve pur concedersi qualche strappo al pedissequo rispetto
della Storia per far muovere i suoi personaggi in un contesto avventuroso
senza che la ferrea aderenza alla logica ne impedisca l’agire o li costringa
ad andare in pensione prematuramente. Pensiamo ad esempio al buon
vecchio Nippur: avrebbe dovuto essere lui l’Immortale, e non Gilgamesh,
per poter fare tutto ciò che Wood ha raccontato regolarmente per
trent’anni.
Una volta agli ordini del Visir, quindi, comincia una nuova vita per

Dago

e

riferimenti più chiari all’epoca in cui si svolgono i fatti dovrebbero far
abbandonare al lettore ogni speranza di ricostruire la saga. Ciò che conta
è l’avventura e l’abilità con cui Wood sa costruirla, non importa se alcuni
particolari sono in contrasto fra di loro o se un avvenimento avrebbe
dovuto aver luogo prima di un altro. D’ora in poi su

Dago

si avvicenderanno

situazioni e personaggi anche molto distanti per spirito e stile. C’è stato il
momento dell’addestramento come giannizzero, poi sono venute le
campagne mil

itari nell’Est Europa (è qui che Salinas semplifica con

decisione il suo tratto), c’è stata la parentesi in compagnia di Vlad Tepes,
poi l’assedio di Vienna, la trasferta in Abissinia, l’azione da commando per
liberare Roxana, l’incarico di percorrere l’impero ottomano per ordine del
Visir, la saga della ladruncola Ragno, le prime missioni in Europa, il
soccorso al Papa, l’incontro con Nostradamus, lo scontro con la Santa
Inquisizione, il sacco di Roma, il coronamento della vendetta,
l’ordinamento a frate (!), l’incontro con Pizarro, la ricerca di Eldorado, ecc.
E questo senza tenere conto delle vicende “parallele” narrate nel
monografico! Più che l’immortalità, a Dago servirebbe il dono dell’ubiquità
per poter saltare da una situazione all’altra e vivere tutte queste
avventure.

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Nonostante il progressivo “addolcirsi” della serie,

Dago

rimane pienamente

fedele ai suoi assunti di base, che hanno avuto sviluppi sbalorditivi e
probabilmente nemmeno previsti in origine da Wood. Il tema portante
della vendetta ha subito solo un piccolo “letargo” nei primi anni ’90 ma ha
saputo riesplodere con

forza dirompente nell’indimenticabile sequenza di

Lucca. Ci sono stati anche momenti in cui il protagonista ha lasciato la
ribalta a personaggi secondari, ma ciò non ha intaccato lo spirito della
serie. Spirito che, comunque, non esige forzatamente lo scrupoloso
rispetto di una data forma narrativa o di schemi prefissati: in

Dago

il

romanticismo convive con la violenza più sfrenata, ed accanto alla
documentatissima ricostruzione di un’epoca c’è pure spazio per il
sovrannaturale (per quanto suoni ridicolo, Dago ha persino avuto a che
fare con non-morti e animali mostruosi). Negli ultimi tempi Wood ha
dovuto adattarsi alle nuove esigenze imposte da una produzione più
assidua e sono ormai anni che ogni singolo episodio dura invariabilmente
12 tavole e le famose didascalie sono state drasticamente ridimensionate.
Questo nuovo formato ha reso necessarie sia l’eliminazione di episodi
autoconclusivi che la diluizione di un soggetto in più puntate. Il che non si
esaurisce nella rigida divisione di una story line in un numero prefissato di
episodi (come accadeva per

Martin Hel

e

Munro

) ma un arco narrativo può

tenere banco anche per mesi, preparando con avvedutezza quello
successo. Attualmente Dago, libero dal peso della sua vendetta, sta
conoscendo un altro ottimo periodo dopo la recente trasferta peruviana al
seguito di Pizarro. E per il futuro non possiamo far altro che immaginare
ancora nuove splendide avventure.

Da Salinas a Gomez

“Alla Columba mi hanno detto: “Abbiamo Salinas!”, che avevano inseguito
per dieci an

ni e finalmente aveva accettato di lavorare per loro, “Vogliamo

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un personaggio. Quale non importa, ma deve essere

epico

— poi mi hanno

guardato con severità — e deve essere

buono.”

Così Robin Wood spiega

sinteticamente, e forse con ironia, il presupposto alla base di

Dago

.

Qualunque sia la vera data di nascita del personaggio, quando Alberto
Salinas iniziò a disegnarlo era già una celebrità ed un Maestro
riconosciuto delle

historietas

. E non aveva nemmeno compiuto 50 anni.


D’altronde, buon sangue non mente: suo padre, Josè Luis Salinas (uno
dei fondatori del fumetto argentino) era att

ivo nel campo dell’illustrazione

e del disegno sin dall’età di 6 anni! Anche il figlio Alberto fu assai precoce
e poco più che ventenne si vide pubblicata una serie,

Capiango

, perfino negli

States. Nato nel 1932, Alberto Salinas era titolare e coordinatore di uno
studio già da metà anni ’70 (almeno). Alcuni liberi delle prime annate
di

Lanciostory

e

Skorpio

sono infatti firmati “Salinas Studios” e presentano

tentativi più o meno riusciti di rifare lo stile del Maestro. Della sua
personalità grafica abbiamo già parlato su

Fucine Mute 21

, ricordiamo qui

sinteticamente la forte evocatività del suo tratto ed il suo fine lavoro di
cesello nel dare profondità a volti ed ambienti. Quando Salinas si cimentò
con

Dago

era al massimo della forma, e ciò si ripercuoterà negativamente

sulla serie col

passaggio ad altri disegnatori. Il suo stile è fatto di

espressioni intense, di violenza monumentale, di personaggi e panorami
eroici; tutte queste caratteristiche prendono vita attraverso un segno molto
modulato, in cui abbondano i neri, e l’eventuale integrazione di un
tratteggio mai invasivo. Pochissimo spazio viene lasciato al grottesco,
ancor meno all’umorismo.
Durante i primi anni di lavoro su

Dago

Salinas deve aver amato moltissimo

il personaggio, lo si capisce dalla cura estrema per ogni dettaglio. Ma la

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necessità di velocizzare il ritmo di produzione (o l’arrivo della routine) ha
determinato il ricorso a soluzioni più classiche di disegno. Già da

Ristampa

Dago

5 si cominciano a notare tratteggi più fitti e voluminosi, dati oltretutto

con una progre

ssiva uniformità che col passare degli anni finirà per

appiattire lo stile di Salinas. Anche il tratto si irrobustisce parecchio. I volti
cominciano a standardizzarsi: già prima di

Il giannizzero nero

(

Ristampa Dago

6)

Salinas adotta dei modelli fissi per i vari ceppi etnici: turchi, greci, neri,
tedeschi sono facilmente distinguibili, con sempre meno caratteristiche
personali a differenziarli l’uno dall’altro. In alcuni episodi della campagna
nell’est europeo (i numeri 6, 7 e 8 di

Ristampa Dago

) Salinas ad

otterà

momentaneamente un’elegante sintesi del segno, che lo allontana però
dalla dettagliata raffinatezza dei primi tempi.
Lo stile pesantemente tratteggiato risulta molto leggibile e funzionale alla
narrazione, ma non riesce a velocizzare il disegnatore

più di tanto.

Anzi,

Dago

si fa sempre più raro sulle pagine di

Lanciostory

, tanto che sul

numero 47 del 1991 si annuncia trionfalmente in copertina “Il ritorno di
Dago!”. Qualcosa però è cambiato. Da allora, infatti, Alberto Salinas ha
subito una strana involuzione che lo ha portato a prendere delle semplici
anatomie di base (spesso un po’ sproporzionate) per poi ricamarci sopra
delle tessiture di segni e segnetti che appesantiscono il disegno e,
oltretutto, ne evidenziano gli eventuali guasti invece di nasconderli. Tra gli
inevitabili alti e bassi

Dago

ha attraversato un periodo decisamente critico

prima dell’arrivo di Gomez. Nel bel ciclo di Ragno Salinas è riuscito a far
resuscitare la sua vena migliore (ovviamente, negli episodi che disegnò
da solo), ma questa parentesi felice forse non basta a farci dimenticare i
pessimi momenti che

Dago

ha vissuto all’ombra dell’Hindukush e nelle sue

prime trasferte francesi.
Il pubblico chiede sempre maggiori dosi di

Dago

e l’Eura cerca di venire

incontro a Salinas off

rendogli l’opportunità di lavorare con un

equipo

che ne

velocizzi la produzione. Carlos Pedrazzini è l’unico disegnatore
dell

equipo

di cui sia trapelato il nome, e senz’altro il suo ruolo fu il più

incisivo (l’edizione argentina del primo numero del monografico indica
proprio Salinas e Pedrazzini come unici disegnatori). Ma qualitativamente
il risultato lasciò molto a desiderare. Qua e là si intravede la mano di
Salinas, ma l’inchiostrazione e le figure di contorno sono troppo distanti
dallo spirito della

serie per non risultare “finte” e posticce. Non è che lo

stile definitivo sia brutto in assoluto, ma risulta troppo morbido e “carino”
per raccontare con efficacia le vicende di morte e violenza cui ci ha
abituati la serie. E ogni tanto alcuni particolari sono veramente abbozzati

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senza

nessuna grazia, soprattutto sul monografico.

Questi esiti così deludenti fanno fare un passo indietro all’Eura, che
nell’attesa di trovare un valido aiuto per Salinas lo fa lavorare da solo. Il
buon vecchio Salinas continua con professionalità a sfornare tavole di
livello qualitativo altalenante pur se comunque dignitoso. Ma un giorno la
routine viene interrotta da una sconvolgente interpretazione ipertrofica ed
ultradinamica della serie. Era il n° 8 di

Lanciostory

del 1996: ancora non lo

sapevamo, ma si trattava dei primi passi di Carlos Gomez. L’impatto non
fu facile da digerire, visto che la caratteristica principale di

Dago

fino ad

allora era la sua

monumentale e statica austerità, ma se questo

avvicendamento poteva servire ad incrementare la presenza del
giannizzero nero allora era il benvenuto. Dopo l’esperienza

equipo

Dago

l’Eura preferì andarci cautamente coi piedi di piombo e sottopose il

nuovo

assistente ad un’attenta supervisione di Salinas (di cui in effetti

spuntano parecchi degli stilemi con cui era solito interpretare

Dago

). E lo

stesso Salinas si rifece vivo in un episodio dopo quattro del nuovo corso.
Francamente, Gomez non sembrava propr

io l’erede più indicato per

Dago

.

Praticamente sconosciuto ai lettori (che ne avevano letto solo alcuni liberi
non esaltanti e la miniserie

Banda di streghe

) era caratterizzato da

un’inchiostrazione piuttosto monocorde, che con tutti i suoi segni e
segnett

i non faceva “respirare” a dovere le buone matite sottostanti. Il suo

stile mancava di corpo, e ciò è impensabile per una serie così sanguigna
e solenne come

Dago

. Oltretutto, inizialmente disegnava il protagonista con

un mascellone esagerato. Ma l’Eura aveva visto giusto.
Dopo un tormentato tirocinio durato grossomodo un anno, Carlos Gomez
aveva pienamente fatto suo lo spirito della serie, che trasse un sano
beneficio dal suo intervento. Gomez è un disegnatore molto moderno, che
ama le inquadrature e le sequenze dinamiche, e che calca molto la mano
sull’espressività dei personaggi. Col tempo i suoi colpi di pennello si sono
fatti sempre più modulati e oggigiorno anche l’uso dei neri è arrivato ad

background image

un livello di funzionalità pressochè perfetto. Un ruolo importantissimo
riveste per lui l’uso del computer. E, in effetti, è uno dei pochissimi
disegnatori a farne un utilizzo funzionale e non invasivo. Oltre che
nei

texture

e negli “effetti speciali” l’uso del computer ha dato buoni frutti

anche per la pratica più banale di replicare lo stesso volto in più vignette.
Solitamente questo espediente non è visto di buon occhio (spesso a
ragione) ma nel caso di Gomez è interessante vedere come sia diventato
un ulteriore meccanismo per creare senso e “raccontare” bene. Come per
una sorta di “effetto Kuleshov” di carta, i volti ingranditi o inclinati
sembrano assumere nuovi significati una volta associati agli altri elementi
della tavola. A Gomez basta “zoomare” su un occhio per darci l’idea del
sospetto o dell’incredulità, oppure inclinare un profilo per interrompere con
perizia un momento di quiete ed introdurre così il nuovo corso dell’azione.
Ma per la protesta dei lettori o per la maggiore scioltezza raggiunta,
Gomez ha praticamente smesso di utilizzare il computer in questo senso.
Da ricordare infine anche la sua maestria nel gestire le panoramiche, le
grandi folle e gli edifici (e qui è impossibile non riconoscere l’assonometria
isometrica del maestro Fernandez). Certo, se andiamo a spulciare ogni
singolo omino nelle sc

ene di massa spesso troveremo poco più di un

rapido schizzo, ma l’effetto complessivo delle tavole è sempre
efficacissimo.

Per l’ottimo lavoro svolto su

Dago

Gomez ha vinto uno Yellow Kid ad

Expocartoon. Sergio Rossi ha espresso i suoi dubbi su questa
premiazione su

Fumo di china

, affrontando la questione da un punto di vista

anche condivisibile. Gomez viene tacciato di aver raccolto “allori non suoi”
in quanto si è occupato solo negli ultimi anni di un personaggio creato da
un altro disegnatore e dalla vit

a pluriennale. Ma se la popolarità già

raggiunta da

Dago

è stata senz’altro fondamentale per farlo finire nel

palmares di Expocartoon, bisogna riconoscere che Gomez ha dato
veramente nuova linfa al personaggio e lo ha fatto rinascere dopo un
periodo tormentato, e pur nel segno della tradizione e della coerenza ha
saputo ricreare ed aggiornare lo stile del Maestro. Cosa assai ardua se si
considera la già ricordata eccellenza dei primi episodi di Salinas. E
sicuramente, vista la giovane età, Carlos Gomez non ha ancora esaurito
tutte la frecce al suo arco. Come dice lo stesso Salinas (da

Fumo di china

91):

“Lo considero un magnifico prosecutore del personaggio. Voglio
ringraziarlo, perché è riuscito a farlo sopravvivere e mi ha dato modo di
lavorare su altre co

se quando io non volevo più farlo.”

background image

Il monografico


Dopo aver tentato la sorte con

Cybersix

nel 1993, L’Eura editoriale vara

quattordici mesi dopo un altro progetto similare. L’accoglienza iniziale
tributata alla versione mensile della “fantastica creatura della notte” di
Trillo e Meglia fu abbastanza buona da incoraggiare la casa editrice a
tentare la stessa carta con due personaggi amatissimi dal pubblico, di cui
uno poteva vantare oltre dieci anni di presenza su

Lanciostory

. Agli inizi del

1995, annunciata da due “trailer” allegati a

Lanciostory

, vede la luce la

collana

Nuovifumetti presenta

, che nei mesi dispari ospita

Dago

e in quelli

pari

Martin Hel

. Il formato è identico a quello di

Cybersix

(che all’epoca era lo

stesso

delle riviste dell’Eura) e la cadenza bimestrale può essere stata

determinata da vari fattori: la cautela di non rischiare troppo con due
mensili, il rispetto dei necessari tempi di produzione, la certezza che
comunque la presenza dello stesso sceneggiator

e garantiva continuità tra

i due personaggi. Dopo il primo anno di vita la testata perde il nome
originario e si sdoppia semplicemente in

Dago

e

Martin Hel

. In pratica, non

cambia nulla. I primi tre numeri di

Dago

del 1996 si riducono al formato

paradox, e

poi il classico 16×21 bonelliano verrà adottato in pianta stabile

anche dall’Eura.
Negli anni precedenti l’Eura aveva già azzardato qualche uscita singola
nelle edicole con volumetti economici di basso costo, ma fu
con

Cybersix

che affrontò con maggior decisione questo settore. E mentre

l’apripista stava per subire un’emorragia cronica di lettori,

Dago

si andava

rivelando al contrario un successo totale (con il numero 3 del 1997 veniva
persino dato in regalo un CD di canti d’amore medievali). Tanto che alla

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fine del 1998 il monografico divenne mensile, veste con cui è tuttora nelle
edicole per restarci sicuramente ancora molto a lungo.
Sempre nel 1998 furono presentate due interviste, a Wood e a Salinas,
sui numeri 5 e 8. Inoltre

fu proprio in quell’anno che le copertine divennero

coerenti col contenuto ed affidate quasi in esclusiva all’ottimo Carnevale.

Wood sul monografico

Poco meno di 100 pagine da scrivere regolarmente ogni mese non sono
uno scherzo per nessuno, figurarsi per

uno sceneggiatore che già deve

produrre annualmente una mole impressionante di fumetti. Inoltre i
monografici dell’Eura sono stati pensati come episodi autonomi senza
alcun legame tra l’uno e l’altro e ciò comporta l’osservazione di alcune
regole ferree: n

on si può diluire un’unica idea in più uscite, non esistono

riferimenti troppo importanti a situazioni passate, ad ogni uscita bisogna
creare un soggetto originale o un personaggio interessante che faccia da
motore alla storia. Non è permessa insomma nessuna delle scappatoie
tipiche del fumetto seriale per “riprendere fiato”. Ma Robin Wood è riuscito
miracolosamente a coniugare le esigenze di questo nuovo formato con la
sua personalità. Se mai la leggenda di una cooperativa di autori che
agisce sotto lo pseudonimo dello sceneggiatore ha avuto motivo
d’esistere, è con le frenetica produzione di

Dago

che potrebbe trovare

conferma. Le vicende parallele della serie monografica possono anche
trarre spunto dai temi che appassionano Wood in un dato momento, e da
cu

i ha già tratto materiale, ma non sono mai semplici derivazioni cannibali

da storie già scritte. I temi del fanatismo religioso, del viaggio in America,
dell’eredità contesa e tutti gli altri

topoi

del nuovo corso di

Dago

vengono

sempre sviluppati in maniera autonoma ed originale. Praticamente non ci
sono banalità, tutt’al più possiamo leggere qualche raro caso di storia
“sballata” che comincia in una maniera e finisce in modo completamente
incoerente o assurdo. Questa qualità pressochè costante esige un prezzo
da pagare sia a livello contenutistico che formale.

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Innanzitutto, dobbiamo scordarci ogni continuity o parvenza di realtà nel
procedere del monografico. Bisogna cioè rassegnarsi all’idea che ogni
uscit

a è chiusa in sé e Dago non è altro che un fantasma “globe trotter”

dalle mille vite che può presentarsi con caratteristiche anche diverse di
numero in numero. Nelle avventure ambientate in Africa, ad esempio,
tornerà alla ribalta il suo carattere di ex schiavo, mentre le vicende
europee ne mettono in risalto l’astuzia e il lato più raffinato. Può essere
anche un dispiacere aprire il nuovo episodio del monografico sapendo in
anticipo che si leggerà un’avventura priva di legami con le altre, come se
si fosse

schiacciato il tasto “reset” dopo l’ultima. Ma tutto sommato è un

fastidio di poco conto se poi ogni nuovo numero è di buona qualità (e di
solito lo è sempre) o almeno stimolante.

Dal punto di vista della forma il discorso è diverso. Se la scelta di imbastire
volumetti fortemente autoconclusivi è stata dettata dall’Eura, la casa
editrice non ha posto invece nessuna struttura fissa della tavola come alla
Bonelli. Ciò spiega come faccia Wood a mantenere sempre alta la
tensione e a non sbagliare mai il ritmo di una storia. In una pagina
possono esserci quanti dialoghi o vignette egli ritenga necessario, ma
questo ha decretato l’impoverimento delle tavole del monografico rispetto
a quelle di

Lanciostory

. Spesso con due o tre vignette si risolve una pagina,

come se

Dago

fosse un pocket. L’effetto sul tempo di lettura non è così

determinante (viste le capacità affabulatorie di Wood): il guaio è che in
una struttura così scarna i grandissimi limiti di alcuni disegnatori risaltano
ancora di più. E visto che ci siamo arrivati, affrontiamo lo spiacevole
argomento dei disegnatori di

Dago

.

I disegnatori del monografico

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Come ricordavamo, il fatto che Salinas fosse al culmine della forma
quando creò

Dago

si è rivelato deleterio per i successivi passaggi di

consegna tra dis

egnatori. Il confronto con i primi episodi può essere retto

a malapena dal Gomez più ispirato, figurarsi com’è traumatico il
passaggio tra le immagini dettagliate e raffinatissime del Maestro e le
interpretazioni più scialbe dei suoi successori. E inoltre va considerato un
altro aspetto peculiare di Salinas. Benché egli abbia diversificato la sua
produzione con la pittura, l’illustrazione e le copertine, rimane sempre un
“fumettista assoluto”, uno di quei talenti naturali che sanno istintivamente
come abbordare una tavola disegnata, calibrando con spontanea efficacia
le giuste masse, creando il chiaroscuro più corretto, distorcendo
sapientemente le anatomie a scopo narrativo. E, cosa altrettanto
importante, sapendo creare dei volti unici che sa interpretare da ogni
angolazione senza mai barare sulla fisionomia. Le fattezze di Dago furono
veramente un’intuizione felicissima (che probabilmente non coglierà mai
più il disegnatore) ma anche una maledizione per i successori di Salinas.
Anche nei momenti in cui lo

stile di Salinas si è fatto più sintetico, Cesare

Renzi è rimasto sempre e indubitabilmente se stesso. Ma tradurre le sue
fattezze nel proprio stile personale è stata una sfida impressionante per
tutti i disegnatori che si sono avvicendati. Praticamente so

lo Gomez è

riuscito, dopo un lungo apprendistato, a trasporre senza troppi traumi il
volto di Dago nel suo stile con una certa fedeltà al modello originario.
Nippur, bene o male, è un rettangolo con la benda e la barbetta; Dago è
una figura tridimensionale con un naso particolare, uno sguardo specifico,
perfino un modo tutto suo di essere spettinato. Di fronte all’incombenza di
dover interpretare il viso del personaggio persino il veterano Enrique
Villagran si è trovato in difficoltà, ma questo non giustifica minimamente
le scelte che l’Eura ha fatto nella gestione del parco disegnatori per il
monografico.

background image


Dopo un anno e mezzo di

equipo Dago

, Gomez sbarca trionfalmente anche

sul monografico (pur se non accreditato nelle prime due uscite) ma già dal
1997 viene affiancato da un altro disegnatore che permetta di respirare ai
titolari e che quindi consenta al bimestrale di uscire con regolarità. Nel ’97,
quindi, Gomez illustra solo quattro numeri mentre i rimanenti due sono
affidati a Canelo. In effetti questo inserimento suscita qualche perplessità
nei lettori, che temono l’incompatibilità dello stile minimalista della “new
entry” con lo spirito di

Dago

, ma dal 1998 in poi il monografico saprà

riservarci sorprese ancora peggiori. Per essere più chiari, sembra che il
monografico sia un “vivaio” per vecchie glorie (che devono pure venir
impiegate in qualche maniera) e per poco talentuosi “amici” o assistenti di
disegnatori importanti che hanno trovato in

Dago

un approdo sicuro. Forse

anche a causa di una retribuzione minore (a fronte del grosso numero di
tavole prodotte, che garantisce comunque un buon guadagno e continuità
lavorativa; ma è solo una supposizione, speriamo sbagliata) i nuovi
interpreti del giannizzero nero sono tendenzialmente poco in sintonia col
personaggio, se non proprio scadenti. Non si tratta quasi mai di “cani” tout
court, ma il divario tra gli ottimi testi di Wood e la loro scarsa resa grafica
è innegabile tranne che in pochi casi. Vediamoli in dettaglio partendo dal
migliore.

Caliva

Caliva (nome proprio mai trapelato) è presente sulle pagine
di

Lanciostory

e

Skorpio

sin dagli anni ’80. È tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90

che compare più assiduamente, con vari liberi scritti da diversi
sceneggiatori (il più affezionato a Caliva fu un certo Masana, oggi
totalmente dimenticato). Portato per il disegno realistico, ha un tratto
piuttosto accademico, privo di spettacolarità o raffinatezze che lo
farebbero subito riconoscere. Il suo stile non è assolutamente sgradevole,
ma neppure entusiasmante: si notano in particolare la scarsa espressività
dei suoi personaggi ed una certa rigidezza nelle anatomie. Nel 1994
compare su

Skorpio

una maxiserie in 50 episodi,

Dark Ness

, affidata proprio a

Caliva: l’Eura lo ritiene quindi maturo per un’esperienza del genere.
Purtroppo i testi di Slavich e Mazzitelli non “decollano” e la serie si rivela
una raccolta di storie sballate e luoghi comuni, uniti solo da una certa
incoerenza di fondo (la critica principale mossa a

Dark Ness

dai lettori è la

sua natura di antologia di liberi autoconclusivi slegati l’uno dall’altro).

Dark

Ness

fu un’occasione mancata, se non un flop vero e proprio, e per molto

tempo di Caliva non si sentì più parlare. Dopo essere comparso in

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incognito nel 1998 sui numeri 1 e 2 del

Dago

monografico, il suo nome

viene scritto a chiare lettere sulla copertina del n° 4/98: è una rivelazione.
Chi lo ricordava come un onesto professionista un po’ anonimo può ora
ammirarlo nella sua piena maturità. Risolto il problema della fisionomia di
Dago schiacciandoli il naso (non sarà il colmo della raffinatezza ma
almeno così possiamo riconoscerlo di vignetta in vignetta: altri dell’

equipo

Dago

non arrivano neanche a questo), Caliva si rivela un ottimo esecutore

di architetture, esterni, anatomie e persino di costumi. Anche senza
essere frutto di una scrupolosa documentazione, i suoi abiti sono
credibilissimi e “funzionano” alla perfezione. C’è addirittura una certa
compiaciuta leziosità nello scrupolo con cui disegna le venature di un
albero o le piastrelle di un pavimento. Ma ben venga, visto l’arricchimento
che porta ai disegni.
Caliva si inserisce perfettamente nella scia di Gomez, offrendo delle
silhouette molto ben definite integrate di un fitto tratteggio che non
appesantisce il disegno ma anzi lo arricchisce senza lederne la leggibilità.
Per inciso, Caliva potrebbe tranquillamente essere il titolare di una saga
medievale francobelga. Poco importa se come espressività non tocca
nemmeno da lontano le vette di Gomez: in una serie come

Dago

l’austerità

delle immagini è forse più importante, e Caliva sa profonderla
magistralmente nelle sue tavole. Pur tra gli alti e gli inevitabili bassi (come
il recente

Il torneo del re

, 1/03), Caliva si è dimostrato il perfetto erede di

Gomez. Cosa che, purtroppo, non si può dire dei suoi altri colleghi.

Villagran

Enrique Villagran e Robin Wood si rit

rovano dopo anni sul n° 12 di

Dago

,

nel 2001. Ovviamente l’occasione viene giustamente celebrata, ma i
risultati sono inferiori alle aspettative. La storia presentata in quel
numero,

Venere mortale

, è decisamente interessante e ben raccontata, ma

Villagran ne smorza parte della carica con dei disegni molto semplificati
che a tratti danno la brutta impressione di essere stati eseguiti in tutta
fretta. Sicuramente sotto questa patina superficiale di apparente sciatteria
si coglie la mano e l’esperienza del caposcuola, ma l’impatto che questo
episodio può esercitare sul lettore occasionale che non conosce Villagran
è minimo. Di sicuro migliore delle prove scadenti degli altri disegnatori
di

Dago

, ma comunque non si grida al miracolo. Enrique Villagran interpreta

in maniera un po’ troppo personale il volto di Dago e la sintesi con cui
determina le masse dei disegni è eccessiva. Di certo la causa di questo
parziale insuccesso è dovuta alle condizioni produttive in cui si è trovato
il disegnatore: un impegno di ben 96 tavole ed una struttura da pocket,

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che ovviamente impone poche vignette e pochi “fronzoli”. Ma chi non
conosceva il glorioso passato di Villagran avrà potuto tirare un sospiro di
sollievo nel vedere per una volta

Dago

affidato ad una mano professionale

pur se non esaltante.

La pratica dei disegnatori “guest star” potrebbe dare un buono scossone
in positivo al monografico, ma forse andrebbe orchestrata meglio di
questo episodio con Villagran.

Mendez (o Mendes)

Comparso sul mensile dal n° 1 del 2000, Mendez è collocabile a metà
strada tra i buoni exploit di Caliva e le pessime interpretazioni degli altri
disegnatori. La sua verve creativa ha modo di sfogarsi con un uso del
tratteggio e del chiaroscuro piuttosto esagerato, che a tratti ostacola la
lettura. I suoi limiti sono le anatomie ancora “legnose”, il ricorso a forme
troppo regolari (quasi geometriche) e, appunto, una certa pesantezza nel
tratto. Tutti difetti tipici d

ei principianti, per cui è prevedibile (o almeno

auspicabile) una futura maturazione definitiva del suo tratto. Tratto che,
per il momento, è ancora debitore della lezione di Angel Fernandez di cui
con tutta probabilità Mendez fu assistente (ruolo svolto peraltro da
tantissimi disegnatori argentini tra cui anche Gomez). Non esistono tracce
di suoi lavori precedenti a

Dago

(magari si tratta di uno studio composto da

più disegnatori), forse affidargli questo personaggio è stata una mossa
azzardata. Anche se p

er il momento “si fa leggere” è chiaro che si farà

apprezzare di più per le sue prove future, ammesso che sappia maturare
e, soprattutto, adattarsi a

Dago

. Le basi apparentemente ci sono, e dopo

tre anni di presenza sul monografico cominciano a dare i loro primi frutti.
Nel numero 11/02 il suo nome è stato modificato in “Mendes”, ma forse si
tratta solo di una svista (dal 2/03 ritorna difatti la “z”).

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Canelo

Disegnatore “classico” della scena argentina, Gerardo Canelo è stato
lanciato dall’Eura soltanto negli anni ’90, pur avendo una carriera almeno
ventennale

alle

spalle.

Qualche

libero

trovò

già

posto

su

Lanciostory

e

Skorpio

negli anni ’80, ma è soltanto con

Jason Blake

che la sua

presenza si fa più evidente e incisiva. Presentato in pompa magna
dall’Eura,

Jason Blake

(miniserie in sei episodi) non era propriamente un

capolavoro né Canelo era al suo top. Con il successivo

Port Douglas

, scritto

da Wood, dimos

trerà tutto il suo valore. (anche

Jason Blake

era frutto della

fantasia di Slavich e Mazzitelli; il caso vuole che in questa sede siano stati
citati i lavori peggiori dei due, altrimenti eccellenti)
Sospeso tra grottesco e realismo, Canelo è meno personale e più confuso
di Oswal, disegnatore con cui viene spontaneo paragonarlo. Quando ha
il tempo (o la voglia) di dedicarsi con cura ad una tavola sa sfornare piccoli
capolavori, altrimenti i risultati sono pessimi. È un discorso che si può fare
per qualsiasi

disegnatore, ma nel suo caso è particolarmente evidente: tra

la raffinata ricerca dei volti femminili in

Port Douglas

e lo squallore di

Rocky

Keegan

(brutta copia del

Rocky

di Stallone, per fortuna inedita in Italia) c’è un

abisso. E

Dago

sembra essere veramente poco in sintonia con lo spirito del

disegnatore. Nell’interpretazione di Canelo tutto sembra sul punto di
sfaldarsi o sciogliersi tanto è affrettato e impreciso il suo segno. I guerrieri
muscolosi e le donne prosperose che solitamente compaiono
in

Dago

vengono sostituiti da figure esili quando non soltanto abbozzate. E

lo stesso protagonista attraversa le vignette con un naso gonfio e dei
lineamenti piatti, che spesso ne rendono difficile l’identificazione. Anche
avesse a disposizione tutto il tempo (o, ripetiamo, la voglia) necessario
per impegnarsi sul monografico, Canelo risulterebbe uno dei disegnatori
meno adatti per il giannizzero nero: la sua vena grottesca e caricaturale
(efficacissima altrove) difficilmente si troverebbe in armonia con storie
cos

ì realistiche se non drammatiche.

Sperando che l’Eura riesca a trovargli un ruolo più adatto (costringendolo
magari a tornare ai livelli di

Port Douglas

) non resta che prendere atto della

sua inadeguatezza su

Dago

.

Mulko

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Ebbene sì, anche Mulko ha avuto occasione di dedicarsi a

Dago

(ma

fortunatamente una volta sola: sul numero 10 del 1999). Probabilmente il
disegnatore più odiato dai lettori di

Lanciostory

, Mulko è celebre per aver

preso le redini di

Nippur di Lagash

dopo l’abbandono di Gomez Sierra/Enrique

Villagran (ne parleremo in dettaglio fra due numeri nel capitoletto dedicato
a

Nippur

). Benché tracce del suo passaggio sulle riviste dell’Eura si trovino

già negli anni ’70 in alcuni liberi fantascientifici, la popolarità (o meglio,
l’infamia) di Mulko sarà sempre legata al suo lavoro su

Nippur

, verso il quale

lo stesso Wood non ha mai nascosto la propria perplessità. Assai distante
dalla scuola classica argentina, fa sfoggio di uno stile schematico ed
approssimativo decisamente inadatto per una serie realistica. Il suo tratto
è comunque molto dinamico e la sintesi che mette in opera non è sempre
sgraziata. In ogni caso, tra il fumetto sperimentale e le ipertrofie
superomistiche Mulko propende di più per queste ultime (da notare
soprattutto le affinità con il Rick Leonardi di

Spiderman 2099

). Ma anche se il

suo carattere dominante fosse quello espressivo e sperimentale non
diminuirebbero certo le difficoltà nel ritagliarsi uno spazio adeguato: chi
ce li vede Muñoz o l’Alberto Breccia più raffinato a disegnare

Dago

?

I risultati di

Mulko

sul monografico sono imbarazzanti. Oltre ad essere

negato per le storie realistiche, molti dettagli (come le mani o i paesaggi)
dimostrano la sua fretta di concludere il lavoro. Saggiamente l’Eura ha
limitato l’intervento di Mulko al solo numero 10/99.

Roman

Come nel caso di Mendes, nemmeno per lo sconosciuto Roman è
possibile fornire indicazioni biografiche o bibliografiche. Ammesso che
abbia già lavorato su

Lanciostory

o

Skorpio

, lo ha sempre fatto in incognito

come “ghost” di qualche professionista. Forse a dare le rifiniture finali delle
tavole prodotte dall

equipo Dago

era proprio lui, visto che la loro

inchiostrazione tradisce un approccio simile al disegno. Roman è infatti

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dotato di un tratto massiccio, pesante e piuttosto grezzo, reso ancora più
fastidioso da grossolane imprecisioni anatomiche. Il suo stile lascerebbe
quindi intendere che si tratta di un disegnatore di una certa età o
perlomeno inconsapevole di ciò che è successo nei fumetti negli ultimi
vent’anni. A gettare ulteriormente discredito sul suo lavoro (di cui si
salvano comunque alcuni primi piani femminili debitori del collega Klacik)
c’è il fatto che Roman copia. Già nel suo primo albo, il n° 5 del 1998, si
scoprono pesanti debiti con vecchi lavori di Salinas e in tempi recenti il
modello sarebbe diventato Gomez. Il risultato complessivo ha il sapore
della parodia, visto che uno stesso disegno di base (maldestramente
copiato) viene riutilizzato più volte in uno stesso albo! Manco si trattasse
dei model sheet che venivano imposti ai disegnatori Disney nei decenni
passati. Ma in fondo si tratta di materiale interno alla serie di

Dago

e con

molta benevolenza si potrebbe soprassedere sull’accaduto: dopotutto,
anche il primo numero del monografico presentava alcuni “remix” del
primo episodio di

Dago

(ma in quel caso l’opera di recupero era giustificata

dal fatto di essere calata nel contesto del flashback). Le brutte
scopiazzature dal

Morbus

Gravis

di

Eleuteri

Serpieri

sono invece

ingiustificabili. Malgrado la questione sia stata posta all’attenzione
dell’Eura, Roman continua imperterrito a far disastri e a gettar fango sul
buon nome di Salinas, il quale non guarderà nemmeno le nuove tavole
di

Dago

, ma figura comunque ancora come titolare del monografico.

Roman è la vera palla al piede di

Dago

(e non è neppure uno dei “velocisti”

storicamente utili al fumetto seriale) ma ciò non esclude che possa trovare
una sua strada nel mondo dei fumetti se adeguatamente impiegato: come
inchiostratore, rifinitore, ecc. Per il momento, con il suo stile a metà tra

Dick

Drago

e i pornohorror anni ’70 è soltanto un fastidio.

A parziale discolpa dell’Eura si può pensare che la presenza di Roman
non sia una scelta della casa editrice ma un’imposizione dovuta a giochi
di potere interni alla scena fumettistica argentina. O forse si tratta di un
“caso umano” che viene fatto lavorare per carità cristiana, ma in questo
caso basterebbe ricorrere al solito sistema usato da molti editori di fumetti
per salvare contemporaneamente faccia e coscienza: farlo lavorare,
pagarlo r

egolarmente e poi non pubblicare le sue “opere”.

Il pessimo stato delle cose sul monografico di

Dago

riporta alla memoria le

solite vecchie amare considerazioni su come sia inteso il fumetto in Italia.
Già risulta antipatico vedersi proporre delle storie solo ed esclusivamente
nell’insopprimibile formato bonelliano (che per fortuna Wood domina alla

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perfezione), se poi queste stesse storie che l’editore per primo dovrebbe
valorizzare sono affidate a disegnatori poco dotati o inadatti viene
spontaneo chieders

i quanta importanza hanno ai suoi occhi. Ed è inutile

che i Maestri argentini continuino a lamentarsi che i loro ottimi allievi non
riescano a pubblicare, se poi i posti (che ci sono) vengono appaltati ad
“amici” o ai soliti vecchi e “onesti” professionisti di cui si potrebbe anche
fare a meno.
Per quel che riguarda

Dago

ci fermiamo qui: appuntamento al prossimo

numero con il profilo critico di Robin Wood.

Il 1983 fu un anno decisamente speciale per

l’Eura editoriale. I nomi dei

disegnatori avevano

già cominciato a fare capolino sulle copertine delle

riviste da qualche tempo ma ora la loro segnalazione si avviava a divenire la
prassi, gli inserti omaggio andavano rivelandosi una fantastica

realtà e sul

fronte dei fumetti i rispettivi numeri 49 di Skorpio e Lanciostorypresentarono
due opere destinate a fare epoca. Il primo

presentò Gilgamesh. Il

secondo, Dago. Ebbene

sì, contro ogni spietata regola del mercato italiano,

contro ogni aspettativa negativa e alla faccia di chi pontifica sulla crisi del
fumetto in Italia, Dago ha raggiunto trionfalmente i 20 anni di presenza
ininterrotta sul suolo italico. Quale migliore anno di questo 2003, quindi, per
presentare il giusto tributo al personaggio ed al suo grandissimo
sceneggiatore?

E cominciamo subito dalle scuse. Con tutta

probabilità, infatti, i prossimi

paragrafi sono pieni di imprecisioni

più o meno grandi e, forse, di strafalcioni

che faranno inorridire i fortunati lettori argentini che hanno una visione a

360°

gradi su Wood e la sua produzione. Purtroppo in Italia

l’incompletezza o

l’approssimazione sulle opere di Wood e sulla loro collocazione cronologica
sono sempre state la regola. In Italia Dago

è “nato” nel’’83, ma questo vale

appunto solo per

l’Italia. Sui suoi veri dati anagrafici permane un fitto mistero.

Su Fumo di China 20 bis Speciale Argentina Alberto Salinas ricorda di aver
iniziato la serie nel 1981. Ma su Fumo di China 26 del 1986 Dago viene
segnalato dallo stesso Wood come precedente a Savarese. E se

c’è una

cosa sicura sul fumetto argentino,

è che Savarese è datato 1977. Purtroppo

gli

interventi

di

lettori

di

origine

argentina

sulla

posta

di Lanciostory e Skorpio non hanno chiarito la questione,

né si è rivelato utile

rivolgersi a chi conosceva e seguiva le testate della Columba. A complicare
il tutto, va ricordato che questa casa editrice ristampava di frequente alcune

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serie, col risultato di ingarbugliare ancora di

più la questione relativa alla

datazione.

L’utilizzo di Internet, infine, si è dimostrato totalmente inutile se non deleterio.
Tra i pochissimi siti argentini che contemplano le historietas se ne trovano
addirittura alcuni che confondono Dago con El Esclavo (altra serie di Wood)
e che datano Gilgamesh1965!

E se per una serie

così importante come Dago si verificano tanti e tali errori,

figurarsi quanta ignoranza

circonderà le serie minori di Wood. Per cui

atteniamoci a quei pochissimi punti fermi che abbiamo: in Italia Dago

è

comparso nel 1983? Bene, allora da noi ha

vent’anni. Il breve saggio che

segue non ha quindi nessuna pretesa di

esaustività o risoluzione definitiva

di alcuni

“nodi” relativi a Dago e Wood. Si tratterà in sostanza di

considerazioni varie, che spazieranno su molti aspetti della storia di Dago e
(nel prossimo numero) della

personalità di Wood, senza pretendere di venire

prese per

verità rivelate. E speriamo di non aver scritto troppe idiozie.

Mi scuso inoltre anche per la

frammentarietà di alcune parti o per le eventuali

ripetizioni: certi paragrafi sono nati molto prima di altri, oppure li avevo
progettati come pezzi autonomi.

http://www.fucinemute.it/2003/04/dago-il-piu-grande-successo-dell%E2%80%99eura-editoriale/




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