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2. Se stessi   

1. I desideri   

ALLA BASE DELLA MOTIVAZIONE PERSONALE   

Segui il percorso positivo: 

  agisci in funzione dei desideri.   

Abbandona il percorso negativo: 

evita di farti guidare dai bisogni, trasformali in desideri.   

 

È  il  primo  giorno  di  lavoro  per  due  tecnici  esperti.  Hanno  più  o  meno  la  stessa  età  ed  hanno  maturato 

un'esperienza  precedente  simile  in  aziende  diverse.  Non  si  conoscevano;  si  sono  vicendevolmente  presentati 
nello stanzino dove stavano attendendo il responsabile del personale, che darà loro il benvenuto in azienda. Così, 
per  rompere  gli imbarazzi  e  far  passare  un  po'  il  tempo,  si  sono  stanno  scambiando  qualche informazione  che 
possa permettere una conoscenza più approfondita... chissà, forse si troveranno anche a lavorare insieme...   

Il  primo  dice:  “Sono  molto  contento  di  essere  qui. Devo  ammettere  che  ero  piuttosto  stufo  del  lavoro  che 

facevo nella mia azienda precedente. Non vedevo l'ora di venire via, avevo veramente il bisogno di cambiare.”     

Il secondo dice: “Sono molto contento di essere qui. Devo confessare che anch'io ero piuttosto stufo di ciò 

che facevo nell'azienda precedente. Non vedevo l'ora di occuparmi di ciò che mi hanno proposto  qui. Era da un 
po' di tempo che stavo puntando ad un'occasione di questo genere”.   

Stessi lavori, stessa età, stessa situazione... ma motivazioni diverse.   
Entrambi i tecnici hanno lasciato un'azienda per accettare il lavoro presso un'altra azienda. Motivano questa 

scelta usando quasi le stesse parole. Però qualche piccola sfumatura ci rivela la diversità del loro approccio. Il 
primo afferma “Non vedevo l'ora di andare via”, mentre il secondo asserisce “ Non vedevo l'ora di occuparmi di 
queste cose”.   

Entrambi  sono  stati  “motivati”  da  qualche  ragione  per  fare  la  stessa  azione:  cambiare  lavoro.  Ma  le  due 

motivazioni hanno una natura diversa.   

La  motivazione  del  primo  è  mossa  dai  bisogni.  La  motivazione  del  secondo  è mossa  dai  desideri.  Il  primo 

segue  un  meccanismo  che  lo  porta  ad  agire  allontanandosi  da  qualcosa  che  per  lui  costituisce  un'esperienza 
negativa. Agisce per evitare un disagio, un dolore, una sofferenza. Il secondo invece agisce per perseguire una 

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meta. Non “si allontana” da qualcosa, ma “va verso” qualcosa.     

Il primo è “spinto” da un bisogno, il secondo è “attirato” da un desiderio.   
Se  voi  foste  il  loro  nuovo  datore  di  lavoro,  quale  dei  due  tecnici  preferireste?  Secondo  voi,  quale  dei  due 

tecnici ha più probabilità di fare un lavoro eccellente? Quale sarà probabilmente più motivato e contento? Quale 
farà più carriera? Quale guadagnerà di più e farà guadagnare di più voi?   

Certo, è difficile dirlo se non si hanno tutti gli elementi in mano. Ma proviamo a fare un ragionamento come 

se  tutte  le  altre  caratteristiche  dei  due  personaggi  fossero  identiche.  Ma  da  questa  semplice  distinzione  fra 
“bisogno” e “desiderio” è già possibile dire chi parte avvantaggiato.   

Quando  parliamo  di  desiderio  facciamo  una  operazione  mentale  chiamata  “anticipazione”.  È  come  se 

prevedessimo ciò che vogliamo ottenere, anche se a volte facciamo fatica a renderci conto in modo completo di 
ciò che vogliamo. L'anticipazione è un'idea, una tensione emotiva mista a una scelta razionale. L'anticipazione 
pone un traguardo positivo che si vuole raggiungere. È il meccanismo che fa scattare la voglia di realizzare, di 
“determinare” se stessi: di mettere a frutto nella realtà concreta le proprie capacità personali.     

Il  bisogno  invece  è  il  tipo  di  motivazione  che  deriva  dalla  volontà  di  ridurre  uno  stato  di  necessità

Solitamente  il  concetto  di  bisogno  si  riferisce  a  stati  di  tipo  fisiologico:  si  dice  che  i  bisogni  primari  siano  la 
fame, la sete, il sesso, il sonno. Questo perché i bisogni sono legati al mantenimento di un benessere: in primo 
luogo di tipo fisiologico, in secondo luogo di tipo sociale.   

Il primo tecnico aveva bisogno di andare via da quell'azienda, e i motivi possono essere vari: forse era troppo 

lontano da casa (bisogno di tipo fisiologico); magari non andava d'accordo con il capo (bisogno di tipo sociale). 
Qualunque siano stati questi bisogni, in quanto tali hanno una serie di caratteristiche che sono state date loro da 
madre natura.     

Innanzi  tutto  sono  “intensi”:  si  fanno  sentire  con  una  certa  forza.  Ecco  perché  molto  spesso  il  nostro 

comportamento è condizionato da essi. Quando ci sono, fanno di tutto per farsi sentire.   

Poi sono “urgenti”: non ci lasciano in pace finche non sono stati soddisfatti. Infine sono “irrefrenabili”: si 

possono contenere, ma quando trovano qualche valvola di sfogo sono piuttosto difficili da controllare. Per questo 
motivo  spesso  agiamo  in  preda  all'impulso,  facciamo  scelte  di  cui  poi  magari  ci pentiamo.  Succede  quando  la 
nostra priorità non è il raggiungimento di una meta, ma il soddisfacimento di un bisogno. Quando poi il bisogno 
è stato soddisfatto, forse ci rendiamo conto che abbiamo fatto qualcosa di cui non siamo convinti.     

Riprendiamo  l'esempio  del  tecnico:  forse  ha  cambiato  azienda  per  avvicinarsi  a  casa,  forse  perché  non 

sopportava più il suo capo o forse per entrambe le cose. Ma una volta avvicinatosi a casa e cambiato capo, sarà 
convinto degli altri elementi del nuovo lavoro che durante la sua scelta ha messo in secondo piano? Magari gli è 
andata bene (ma non si può contare sempre sulla fortuna), magari è caduto dalla padella alla brace, trovando altri 
elementi di insoddisfazione.   

Lo specialista che, nell'esempio, ha agito in funzione di un desiderio, è andato  verso qualcosa e non  via da 

qualcos'altro, e ha più probabilità di essere soddisfatto dal nuovo lavoro. A meno che non sia stato imbrogliato e 
che il lavoro non consista veramente in ciò che gli era stato promesso, lui sa che troverà già un buon motivo di 
soddisfazione in ciò che lo aspetta. In seguito potrà trovare delle difficoltà, ma sarà nelle condizioni migliori per 
poterle valutare con oggettività, senza cadere nella demotivazione.   

Perciò  parlare  di “bisogno”  ci fa  percorrere il  percorso  negativo,  mentre  parlare  di  “desiderio”  ci  mette  su 

quello positivo.     

Ridurre uno stato di necessità per arrivare ad uno stato di soddisfazione significa passare, se vogliamo fare un 

paragone “matematico”, da  -1  a  zero. se invece tendiamo ad una meta passiamo  da  zero  a  +1. C'è una bella 
differenza, no?   

Ma  non  è  tutto.  Se  riduciamo  un  bisogno,  non  è  detto  che  automaticamente  si  presentino  dei  desideri  da 

raggiungere. Piuttosto è più probabile il contrario: una volta ridotto quel bisogno se ne presenteranno altri a cui 
non  avevamo  pensato  prima.  Insomma,  in  questo  caso  ci  troveremo  nel  percorso  negativo,  dove  un  elemento 
negativo fa aumentare la probabilità che se ne presentino altri.   

Avendo  scelto  il  nuovo  lavoro  per  allontanarsi  dal  vecchio  capo,  il  tecnico  sarà  molto  attento  nel  valutare 

quello nuovo. Ma sarà facile che vi trovi una persona senza difetti? Molto probabilmente i difetti di quello nuovo 
a poco a poco si faranno agli occhi di quel tecnico sempre più pesanti fino, nuovamente, all'insopportabilità.     

Se invece raggiungiamo una meta motivata dal desiderio, saremo più che incentivati nel volerne raggiungere 

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un'altra  che  intanto  avremo  identificato.  Sempre  rimanendo  nel  nostro  esempio,  se  il  tecnico  ha  accettato  il 
nuovo  lavoro  perché  avrà  l'opportunità  di  lavorare  sulle  reti  di  personal  computer,  una  volta  raggiunto  questo 
traguardo  se  ne  porrà  un  altro:  per  esempio  gestire  un  piccolo  gruppo  di  tecnici.  Insomma,  in  questo  caso, 
quando ad un traguardo se ne aggiungono altri, ci si trova in pieno percorso positivo.   

Adesso  è  chiaro.  Alla  base  dei  nostri  comportamenti  ci  sono  bisogni  e  desideri.  Ma  allora  cos'è  la 

motivazione?  Quando solitamente  si  parla  di  motivazione  si  mischiano insieme  i  due  concetti  di  bisogno  e  di 
desiderio, si fa un po' di confusione. La motivazione si riferisce ad entrambi, ed è la spiegazione che si dà ad una 
certa azione, sia che risponda ad un bisogno, sia che risponda ad un desiderio. Nel primo caso la motivazione è 
la “causa” che ha spinto ad una certa azione, nel secondo è la “ragione” per cui una certa cosa è stata fatta.   

Ah, mentre noi stavamo ragionando sulle motivazioni e i due tecnici continuavano a “parlottare” fra di loro, è 

arrivato  il  responsabile  del  personale  ad  accogliere  i  nuovi  assunti.  Ha  bussato  ed  è  entrato  nel  salottino, 
salutando  e  scusandosi  per  il  leggero  ritardo.  Uno  dei  due  ha  rivolto  un  cenno  di  saluto,  poi  ha  abbassato  lo 
sguardo e, facendo pressione con entrambe le mani sulle ginocchia, un po' stancamente ha cominciato ad alzarsi. 
L'altro intanto era già in piedi e stava stringendo la mano al responsabile del personale, con un sorriso cordiale. 
Secondo voi quale dei due è motivato dal bisogno e quale dal desiderio?   

Proviamo  d'ora  in  poi  a  fare  attenzione  alle  parole  che  usiamo  quando  motiviamo  ciò  che  abbiamo  fatto  o 

vorremmo  fare:  ci  muoviamo  in  funzione  dei  desideri  o  in  funzione  dei  bisogni?  Il  quesito  è  importante, 
soprattutto per una ragione. Sia i bisogni che i desideri muovono le azioni.   
Sono importanti entrambi. Ma mentre i bisogni possono anche portare a conseguire i risultati, essi da soli non 
bastano per mantenerli. Per mantenere i risultati e renderli sempre migliori ci vuole lo stimolo dei desideri.   

Motivazione di base: indicatori di percorso   

Percorso positivo :   

1. tensione verso i desideri   

1. 

2. “motivazione” = “ragione per cui... ”   

 

3. azione = “andare verso” qualcosa Percorso negativo:   

 

1. riduzione di bisogni   

2. 

2. “motivazione” = “causa per cui... ”   

3. 

3. azione = “andare via da” qualcosa 

 

IDEE IN AZIONE N°11: il sogno   

• 

Prendi alcune riviste ricche di fotografie e immagini, e sfogliale.   

• 

Tra le tante immagini, scegli quella che maggiormente simbolizza i tuoi desideri.   

• 

Qualsiasi immagine va bene: i grattacieli di New York, un'isola delle Maldive, un atleta sul podio… 

L'importante è che ti colpisca più delle altre, che abbia per te un grande significato emotivo.   

• 

Incolla l'immagine che hai scelto in una pagina del C-Book a lei dedicata.   

 

2. Le aspirazioni   

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL LUNGO TERMINE   

Segui il percorso positivo: 

identifica un'idea verso cui tendere, un orientamento   

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che ti attira e seguine gli indicatori.   

Abbandona il percorso negativo: 

evita di lasciare vaghi i bisogni che hanno finora guidato   

 

le tue azioni, identificando gli indicatori negativi.   

 

Alice è nel paese delle meraviglie. Ad un certo punto arriva ad un bivio. Non sa che strada prendere. Allora 

nota uno strano animale appollaiato tranquillamente su un albero, proprio in mezzo al bivio. “Scusa”- domanda 
Alice - “mi sapresti indicare la strada giusta?” “Dove devi andare?” domanda a sua volta l'animale. “Non lo so”, 
risponde Alice. “Allora non posso indicarti la strada, se non sai dove devi andare”.   

Se  questa  breve  storiella  può  sembrare  banale,  provate  a  pensare  a  quante  persone  ci  danno  consigli  senza 

neanche  sapere  quali  sono  i  nostri  obiettivi.  Ma  noi  stessi  ce  li  siamo  mai  chiariti,  i  nostri  obiettivi?  Eppure 
prendiamo un sacco di decisioni ogni giorno. Ogni giorno come Alice scegliamo di prendere una strada anziché 
un'altra. Eppure è probabile che spesso non sappiamo bene dove ci stiamo dirigendo.     

Ma prima o poi arriva la domanda che solitamente cerchiamo di evitare come la peste. Stiamo parlando della 

classica domanda spesso ripetuta: “Che cosa vuoi fare da grande?” Diciamolo francamente: questo interrogatorio 
ci  dà  fastidio.  Infatti  se  avessimo  presente  con  chiarezza  dove  vogliamo  arrivare  saremmo  già,  come  dice  un 
vecchio  detto,  a  metà  dell'opera.  Quasi  sempre  invece  abbiamo  delle  idee  vaghe,  ma  nessun  punto  di  arrivo 
chiaro in testa. Così la maggior parte delle volte evitiamo di rispondere alla domanda. Anzi, evitiamo anche di 
pensarci, rimandando il problema. Non a caso uno dei momenti più difficili nel rapporto con noi stessi è quello 
in cui ci mettiamo davanti allo specchio e ci chiediamo: “Che cosa voglio da me stesso, dagli altri e dalla vita in 
generale?” La risposta non è per niente facile.   

Però prima  o  poi  questo  argomento  si  deve affrontare,  perché  più il  tempo  passa  meno  riusciremo  ad  agire 

con efficacia. Quanto prima comprendiamo ciò che vogliamo veramente, tanto prima possiamo fare qualcosa di 
valido
  per  ottenerlo.  Più  aspettiamo,  più  rischiamo  di  compromettere  l'operazione,  perché  perdiamo  tempo 
prezioso  illudendoci  che  possano  arrivare  il  tempo,  gli  eventi  o  qualcun  altro  a  chiarirci  le  idee.  Così 
probabilmente ci troveremo alle soglie della pensione senza avere ancora risolto questo dilemma.   

Ma perché ci comportiamo cosi?   
Uno dei motivi per cui si cerca di rimandare la scelta è la paura di sbagliare nel farla. Si crede che se per caso 

si  sbaglia  una  scelta  di  questo  genere,  ci  si  comprometta  per  sempre.  Questo  ragionamento  è  troppo  drastico: 
nessuna  scelta  a  lungo  termine  è  definitiva.  I  tempi  cambiano,  e  con  essi  cambiano  anche  gli  obiettivi  e  le 
opportunità.     

È  assurdo  pensare  che  ad  un  certo  punto  una  persona  debba  chiarirsi  definitivamente  gli  obiettivi  della 

propria vita e mantenerli fissi. Non è possibile e neanche conveniente.   

Ma allora  è  meglio  non  porseli?  Neanche  questo  è  corretto.  Se  non  ci  poniamo degli  obiettivi rischiamo  di 

vivere alla giornata, di vagare senza una meta.     

Così un punto di riferimento lo dobbiamo avere: un punto di riferimento in funzione del quale possa valere 

la pena di fare una scelta anziché un'altra; un punto di riferimento che ci può guidare quando dobbiamo prendere 

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una decisione. Qualcosa che non sia ancora un traguardo ben identificato, ma che si possa mettere a fuoco a poco 
a poco, per approssimazioni successive.   

È un processo che ricorda quando si cammina nella nebbia senza sapere bene dove ci si sta dirigendo. Però 

comunque  si  procede:  l'importante  è  avere  dei  punti  di  riferimento.  Ad  esempio,  possiamo  scorgere  tre  luci, 
diverse  una  dall'altra:  una  piccola  bianca,  una  orizzontale  azzurra,  una  verticale  gialla.  Tra  queste  magari 
scegliamo  la  gialla,  perché  ci  sembra quella  di  un  bar,  e  ci  dirigiamo  verso  di lei.  Non  abbiamo  ancora  capito 
bene che cosa ci sia là, ma camminiamo verso quella luce. Evitiamo le altre due, perché una sembra quella di 
un'abitazione  e  l'altra  quella  di  un  segnale  stradale.  Non  ci  interessano,  perché  abbiamo  deciso  di  cercare  un 
posto dove possiamo ristorarci e telefonare. Avvicinandoci alla luce scelta ci rendiamo conto che non è un bar 
ma un negozio, che a quell'ora è chiuso.   
Però  ci  siamo  avvicinati  ad  una  zona  commerciale  e  notiamo  che  ci  sono  altre  luci  lì  vicino.  Sono  insegne 
luminose, ed una è quella di una pizzeria. Bene! Possiamo entrare, mangiare qualcosa e fare la nostra telefonata.   

All'inizio non avevamo ben chiaro dove volevamo arrivare e abbiamo preso un punto di riferimento: la luce 

gialla. Una volta sul posto, abbiamo potuto fare meglio le nostre scelte e puntato sulla pizzeria. Non sapevamo 
neanche che ci fosse una pizzeria: pensavamo di trovare un bar. Però, una volta lì, abbiamo ridefinito le nostre 
esigenze in funzione della situazione trovata.   

Tutto  ciò  è  stato  possibile  perché  ad  un  punto  di  riferimento  abbiamo  associato  l'idea  di  un  obiettivo  di 

massima: luce gialla = locale. Poco importa se non abbiamo trovato un bar: intanto ci siamo messi nella giusta 
direzione evitando un'abitazione e un segnale stradale, che non ci interessavano. Poi siamo riusciti a raggiungere 
lo  stesso  il  nostro  obiettivo  di  ristorarci  e  telefonare.  E  ci  è  andata  anche  meglio  del  previsto,  visto  che  una 
pizzeria è più confortevole di un bar. 

Così  è  anche  per  gli  obiettivi  più  importanti.  È  inutile  cercare  di  definirli  in  modo  preciso:  non  possiamo 

avere adesso la piena visibilità di ciò che accadrà in futuro. È piuttosto opportuno  identificare un obiettivo di 
massima
 e puntare verso quello. Quando ci saremo avvicinati ci sarà più facile chiarirci le idee e trovare il vero 
obiettivo su cui dirigerci con sicurezza. Come nel caso della pizzeria.   

Così è importante fare una doppia operazione: identificare un'idea verso cui tendere (nell'esempio, il locale 

pubblico dove ristorarsi e telefonare) e scegliere un punto di riferimento che pensiamo possa portarci a quell'idea 
(la  luce  gialla).  Avremo  così  la  sicurezza  per  lo  meno  di  avvicinarci  alla  meta  che  abbiamo  scelto.  Anche  se 
magari prima ci aspettiamo un bar, mentre poi troviamo una pizzeria.   

Ci bastano un'idea e un punto di riferimento. Semplice, no?     
Adesso vediamo come è possibile applicare questo concetto alla nostra vita.   
L'“idea”  identifica  la  proprie  aspirazioni,  le  proprie  predisposizioni.  Per  avere  un'idea  è  necessario  capire 

verso cosa si è portati, qual è la propria predisposizione. Il “punto di riferimento” è l'obiettivo tangibile che in 
quel  momento  sembra  più  vicino  all'idea  che  dobbiamo  raggiungere.  Ma  sia  ben  chiaro:  possiamo  anche 
cambiare tanto l'idea quanto il punto di riferimento, a seconda di come la situazione cambia intorno a noi, anche 
se si tratterà di progressivi aggiustamenti più che di mutamenti radicali.   

Così la domanda da “un milione di dollari” va così riformulata: “Qual è l'idea che hai per il tuo futuro e su 

cosa stai per ora puntando per poterla realizzare?” È una formulazione molto più concreta del solito “Cosa vuoi 
fare da grande?”   

Ma focalizzare l'idea per il proprio futuro non è una cosa facile. Abbiamo focalizzato meglio il problema e lo 

abbiamo semplificato, ma il problema sempre rimane!   

Come  possiamo  sapere  ciò  che  vogliamo?  Può  darci  aiuto  chi  ha  studiato  la  motivazione  umana  con 

particolare riferimento alle predisposizioni delle persone: ciò che qui abbiamo chiamato l'“idea”. È stato scoperto 
che  queste  predisposizioni  sono  formate  da  tre  elementi  fondamentali.  Ognuno  di  noi  li  possiede  tutti,  in 
maniera  maggiore  o  minore.  Può  succedere  che  un  elemento  prevalga  sugli  altri,  in  questo  caso  si  dice  che  la 
persona è “predisposta” verso quel fattore particolare. Per identificare la nostra “idea”, la meta verso la quale 
puntare nel lungo termine, è necessario capire come questi elementi fra loro si bilanciano, e se in noi c'è uno di 
essi che prevale. Se c'è, quella è la nostra “idea”: poi dobbiamo trovare un punto di riferimento per cominciare a 
dirigerci verso di essa.   

Prima di svelare quali sono questi tre elementi, facciamo un piccolo esperimento che può aiutarci a capire se 

in noi ce n'è uno che prevale. Cerchiamo di identificare questa idea, e quali caratteristiche abbia.   

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Concentratevi su questa immagine:   

c'è una persona in mezzo ad altre persone. Questa persona sta parlando e le altre l'ascoltano. Sono tutti in 
piedi.  
 

Adesso provate a leggere le tre ipotesi che seguono e scegliete quella che vi piace di più. Se voi foste quella 

persona, quale sarebbe fra le tre ipotesi la spiegazione migliore della situazione raffigurata? Pensateci bene e fate 
la vostra scelta.   

Ipotesi numero uno.   

È il membro di un team, molto amato e considerato dai suoi compagni. Il team sta elaborando una strategia 

e per fare questo richiede che ogni membro possa esporre il proprio punto di vista.   

È il suo turno nell'esposizione, e tutti lo stanno ad ascoltare con interesse. Lui si sta impegnando al massimo 

perché già altre volte, grazie al suo spirito di squadra, tutti hanno avuto un certo beneficio. Anche questa volta 
non vuole deludere i suoi compagni: la loro considerazione e il loro affetto è ciò a cui più tiene.  
 

Ipotesi numero due.   

È il massimo esperto nella sua materia. Si è preparato a lungo e ha investito parecchie energie in ciò che 

considera un po' lo scopo della sua vita.   

I risultati lo hanno ripagato, perché ora quando lo chiamano per un problema da risolvere tutti lo ascoltano 

con grande attenzione: sanno di avere di fronte il migliore in assoluto per quanto riguarda quegli argomenti.   

Lui  parla  con  entusiasmo,  con  convinzione,  e  trasmette  anche  a  chi  lo  ascolta  un'immagine  di  alta 

preparazione e professionalità. I presenti lo apprezzano e lo ammirano per la sua preparazione, ma lo invidiano 
anche un po' per i suoi risultati
.   

Ipotesi numero tre.   

È il capo di un gruppo. Il suo compito è quello di coordinare gli altri, che lo ascoltano con attenzione perché 

dovranno fare ciò che lui dirà loro.   

È lui che decide, in base a ciò che ritiene più giusto debba essere fatto, cercando di utilizzare al meglio le 

potenzialità  di  ognuno,  perché  il  risultato  finale  è  in  gran  parte  frutto  della  sua  bravura  nel  gestire  i  suoi 
collaboratori.  
 

A volte qualcuno può non essere d'accordo con lui ma non importa: quando ha preso una decisione significa 

che  ci  ha  pensato  bene  e  che  ritiene  sia  quella  giusta,  per  cui  non  cambia  idea.  Per  questo  le  persone 
solitamente lo seguono.  
 

Ecco, queste sono le tre idee fondamentali. Ognuna di queste rappresenta una tendenza ben precisa, uno degli 

orientamenti che sono alla base delle aspirazioni di ognuno. Le avete lette bene? Avete scelto quella che vi attira 
di più, quella che più delle altre realizzerebbe i vostri desideri?     

Dovete essere molto sinceri mentre fate questo ragionamento. Ricordiamoci che siamo nell'area del rapporto 

con noi stessi e qui barare non è valido, ci inganneremmo da soli. Tanto più che non ci sono risposte giuste o 
sbagliate.   

E ora andiamo alla scoperta delle tre idee. Potete leggere prima il significato di quella che avete scelto, ma 

poi tornate con attenzione anche alle altre due: ricordatevi che sono tutte presenti in ogni individuo, e anche se 

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generalmente ce n'è una che prevale bisogna pensare che l'aspirazione individuale sia frutto di un mix delle tre
Identificare l'orientamento prevalente significa capire qual è la motivazione nel lungo termine, quella più stabile 
nel tempo perché rispondente a ciò per cui ci si sente predisposti.   

2.1. Prima idea: l'affiliazione   

L'ipotesi numero uno (ma l'ordine è puramente casuale) identifica la tendenza all'“affiliazione”. Chi sceglie 

questa ipotesi è gratificato dallo stare insieme agli altri. È nel contatto con le persone e nel rapporto con gli altri 
che  trova  la  sua  dimensione  ideale.  Naturalmente  deve  essere  un  rapporto  tra  pari,  dove  tutti  trovano 
soddisfazione  nello  stare  insieme  e  nel  collaborare  e  dove  tutti  prestano  una  grande  attenzione  al  fatto  che  il 
clima sia sempre positivo.     

Colui che tende all'affiliazione viene stimolato dal fatto di fare parte di un team. Quando si trova all'interno 

di un gruppo prende forza, energia e le sue potenzialità si moltiplicano. Questo funziona tanto meglio quanto più 
egli  si  trova  a  lavorare  con  persone  che  già  conosce  da  tempo,  con  le  quali  ha  avuto  modo  di  costruire  un 
rapporto significativo e che magari hanno i suoi stessi interessi, sono molto simili a lui.   

Per lui sono fondamentali la stima e l'interesse da parte dei colleghi, per sentirsi pienamente accettato e per 

essere “come gli altri”. Fa molta attenzione che, all'interno del gruppo, non ci sia qualcuno che vuole prevalere o 
imporre la propria volontà.   

La  tendenza  all'affiliazione  è  alla  base  del  “motivo”  per  cui  sia  fanno  o  non  si  fanno  determinate  azioni. 

Quindi  è  una  “motivazione”.  E  come  abbiamo  visto  nel  precedente  paragrafo,  come  tutte  le  motivazioni  può 
essere  mossa  sia  da  bisogni  che  da  desideri. Vediamo  quali  sono.  I  bisogni  che chi ricerca  l'affiliazione  vuole 
soddisfare  sono  legati  alla  paura  del  rifiuto.  Ci  sono  sicuramente  delle  cause  per  cui  esiste  questa  paura  del 
rifiuto  da  parte  degli  altri,  come  ad  esempio  l'avere  subito  ferite  connesse  a  disattenzioni,  maltrattamenti, 
separazioni.  Qui  non  ci  interessa  indagarle.  Sapere  quali  sono  non  ci  dà  nessun  vantaggio.  Una  volta  anche 
avessimo scoperto, con gran fatica, quali sono state le esperienze della nostra infanzia per cui siamo cresciuti con 
la paura del rifiuto (ovviamente nel caso in cui noi avessimo una forte tendenza all'affiliazione), non avremmo 
fatto neanche un piccolo passo avanti per migliorarci.     

L'importante  è  invece  constatare  la  situazione  e  orientare  le  nostre  azioni  in  modo  che  siano  produttive. 

Avevamo detto infatti che la necessità di soddisfare dei bisogni ci porta dritto nel sentiero negativo. Per questo 
dobbiamo  sempre  tenere  presente  che  se  ricerchiamo  la  compagnia  degli  altri  perché  abbiamo  paura  del  loro 
rifiuto siamo su questo percorso. E faremo fatica ad uscirne perché, come abbiamo visto, una volta cominciato a 
seguire un certo percorso scattano le reazioni circolari che tenderanno a mantenerci su quel terreno.     

Per  esempio,  se  cerchiamo  la  collaborazione  solo  per  sentirci  integrati,  tenderemo  a  non  dire  veramente 

quello  che  pensiamo  ma  quello  che  riteniamo  possa  trovare  l'approvazione  da  parte  degli  altri.  E  saremo 
gratificati se “avremo indovinato” il comportamento che incontrerà l'approvazione degli altri e se questi saranno 
d'accordo  con  noi.  Saremo  invece  abbattuti  quando  gli  altri  non  terranno  in  considerazione  le  nostre 
osservazioni.  In  questo  caso  correremo  un  grosso  rischio:  tenderemo  a  cambiare  idea  a  seconda  di  come  si 
muove il gruppo.     

Così  in  un  momento  sosterremo  una  posizione,  poi  quando le  cose  cambiano  ne  sosterremo  un'altra.  A  noi 

magari sembrerà di essere coerenti, perché ciò che ci interessa veramente è la coesione del gruppo, ma agli altri 
potremo  sembrare  una  banderuola  che  cambia  parere  a  seconda  di  come  tira  il  vento.  E  quindi  rischieremo  di 
perdere  progressivamente  credibilità.  Perdendo  di  credibilità  gli  altri  ci  staranno  ad  ascoltare  meno,  quando 
toccherà a noi parlare. E siccome non ci sentiremo ascoltati, saremo ancora più abbattuti. Così faremo di tutto 
per  dire  qualcosa che  sia  apprezzato,  cercando  ancora  di  comunicare  ciò  che ci sembra  condiviso  da  tutti. Ma 
così facendo saremo ancora meno credibili e ci ascolteranno ancora meno. E così via: ecco la reazione circolare 
nel percorso negativo.   

Entriamo  ora  nel  percorso  positivo.  Chi  ricerca  l'affiliazione  può  essere  mosso  anche  da  un  desiderio:  il 

desiderio  di  protezione.  Ovvero,  il  desiderio  di  fare  qualcosa  affinché  gli  altri  ne  godano  un  beneficio,  il 
desiderio di mettere le proprie risorse a disposizione degli altri e di trarre beneficio dalle risorse degli altri.  In 
altre  parole,  proteggere  ed essere al contempo  protetti.  In  questo  caso l'approvazione da  parte  degli  altri  viene 

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sempre  ricercata,  ma  per  motivi  molto  diversi  rispetto  a  quelli  derivanti  dalla  paura  del  rifiuto.  Non  si  ricerca 
l'approvazione degli altri per sentirsi accettati, ma per dare agli altri un beneficio, un vantaggio. Così, se questa 
approvazione non arriva, pazienza. Vorrà dire che gli altri hanno ritenuto più vantaggioso non ascoltare il nostro 
punto di vista, Non si può certo essere sempre ascoltati. Anzi, dobbiamo essere contenti perché abbiamo dato a 
chi ci sta intorno un'opportunità in più: la nostra idea. Anche se questa idea non è stata accettata, il solo fatto che 
sia  stata  esposta  garantisce  che  la  scelta  finale  è  stata  compiuta  su  una  base  più  ricca  di  elementi,  a  tutto 
vantaggio per la soluzione intrapresa. L'importante è che il gruppo abbia potuto valutare anche il nostro punto di 
vista.   

Se  adottiamo  questo  meccanismo  di  pensiero  ci  troveremo  nel  ciclo  positivo.  Infatti  quando  lavoreremo  in 

gruppo sapremo stare al nostro posto, tenderemo a dare esattamente ciò di cui il gruppo ha bisogno, se il gruppo 
non  ha  bisogno  di  noi  ce ne  staremo  tranquilli,  senza  disperarci  e  senza  pensare  che  ci  stiano  rifiutando. Così 
quando le nostre competenze saranno necessarie utilizzeranno volentieri la nostra collaborazione, perché sanno 
che  saremo  pronti  per  darla  proprio  nella  misura  in  cui  è  richiesta.  Sanno  che  non  ci  tireremo  indietro  e  che 
risponderemo  subito  se  ci  sarà  l'esigenza.  Sanno  che  se  non  ci  cercheranno  non  la  prenderemo  a  male.  Così 
saranno più stimolati a cercare il nostro aiuto, perché con noi si lavorerà bene. Ecco la reazione circolare che ci 
fa rimanere nel percorso positivo. Se la motivazione “affiliation” sarà forte in noi, questa è la strada grazie alla 
quale  potremo  sentirci  amati,  accettati,  ben  voluti  e  con  la  quale  potremo  consolidare  sempre  di  più  i  nostri 
legami interpersonali. 

 
2.2. Seconda idea: la riuscita   

La seconda tendenza evidenziata è quella della riuscita, dell'“Achievement”.   
Quando si punta all'achievement non si fa, come nel caso precedente, un'azione tesa al beneficio del gruppo 

ma un'azione tesa al beneficio individuale (anche se queste azioni sono sempre tese al beneficio individuale, che 
nell'affiliazione viene raggiunto attraverso gli altri).   

Orientamento alla riuscita significa trarre soddisfazione nel fare le cose nel  miglior modo  possibile. Anche 

in questo caso possiamo cercare i due moventi base, quello positivo e quello negativo.   

Il movente negativo risiede nella paura del fallimento. In questo caso l'impegno alla riuscita è molto forte 

perché  è  grande  il  timore  di  fallire,  per  cui  si  intensificano  tutti  gli  sforzi  per  non  fallire.  È  abbastanza  facile 
capire  perché  la  paura  del fallimento ci  porta  sul  sentiero negativo.  Se  agiamo  per  evitare  l'insuccesso saremo 
sempre  in  affanno,  sempre  timorosi  di  fare  un  passo  falso  e  concentreremo  le  nostre  energie  per  evitare  quel 
passo  falso.  La  riuscita  quindi  sarà  un  punto  d'arrivo  ad  “effetto  zero”,  sarà  semplicemente  il  sollievo  di  non 
avere  fallito.  Se  siamo  motivati  dalla  paura  del  fallimento,  poi,  potremmo  trovare  rassicurazione  nel  fatto  che 
magari altri vicino a noi hanno fallito. Ci accontenteremo di una riuscita che non dipende dal nostro successo, 
ma  dall'insuccesso  di  altri.  E  così  facendo  attiveremo  e  accumuleremo  energia  negativa,  che  tende  alla 
sottrazione di valore più che alla sua produzione.   

Il  percorso  positivo  nella  tendenza  alla  riuscita  è  invece  caratterizzato  dal  desiderio  di  eccellenza.  Ciò 

significa  che  la  motivazione  a  raggiungere  gli  obiettivi  risponde  alla  volontà  di  fare  sempre  meglio  per 
autorealizzarsi, per raggiungere obiettivi sempre più interessanti.     

Quando  siamo  mossi  dal  desiderio  di  eccellenza  sappiamo  che  possiamo  anche  sbagliare,  ma  sappiamo 

anche che solo alla fine, quando tireremo le somme del nostro lavoro, dovremo valutare i risultati raggiunti. E 
quindi agiremo con entusiasmo perché sappiamo che quei risultati sono di estrema importanza, poiché hanno la 
possibilità di qualificarci in una dimensione di valore. Tendere all'eccellenza significa porsi delle sfide, non solo 
con  gli  altri  ma  anche  con  se  stessi.  Significa  tendere  continuamente  al  miglioramento  ed  essere  soddisfatti 
quando  lo  si  è  veramente  raggiunto.  Non  è  importante  provare,  è  importante  riuscire.  E  per  riuscire  ci  si 
impegna  con  tenacia,  puntualità,  responsabilità.  La  ricerca  dell'eccellenza  libera  energia  positiva,  perché  è 
tensione al risultato, è voglia di fare e di costruire.   

Dagli altri si cercano informazioni e stimoli per realizzare i propri progetti e conferme del livello di capacità 

che  si  possiede.  Si  cerca  l'ammirazione  da  parte  degli  altri  più  che  l'approvazione,  come  invece  avviene 

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nell'“affiliazione”.   

Colui che abitualmente segue questo percorso è definito un “achiever”. L'achiever può essere riconosciuto dal 

fatto che ricerca sistematicamente opportunità di crescita, sia personale che di carriera, ma soprattutto tesa allo 
sviluppo delle proprie capacità. Egli desidera lavorare per obiettivi importanti, la routine e le azioni ordinarie 
non lo interessano. Ricerca mete sempre più impegnative. 

 
2.3. Terza idea: il potere   

Essere orientati al potere significa tendere ad esercitare un controllo sugli altri. Chi è orientato al potere cerca 

costantemente  di  porsi  in  una  posizione  di  superiorità  rispetto  agli  altri,  per  guidarne  le  azioni.  Tende  a  porsi 
come centro di decisione quando è necessario fare delle scelte.   

Al contrario dell'orientamento all'affiliazione e all'achievement, dove la ricerca del consenso è finalizzata nel 

primo  al  riconoscimento  di  affetti  e  nel  secondo  al  riconoscimento  di  capacità,  qui  la  ricerca  del  consenso  è 
finalizzata al riconoscimento di un ruolo: un ruolo di preminenza, un ruolo di leader.   

Anche la tendenza al potere può essere mossa da bisogni o da desideri.   
Si può ricercare il potere quando si cerca di sfuggire dalla paura della dipendenza. In pratica, quando si ha 

timore di dipendere da qualcun altro si tenta di tutto per ostacolare questa eventualità e per cercare piuttosto di 
imporre  la  propria  posizione.  In  questo  caso  la  leadership  è  ricercata  più  per  bloccare  la  volontà  di  leadership 
degli  altri  che  per  affermare  veramente  la  nostra.  È  evidente  come  questo  processo  faccia  parte  del  percorso 
negativo. Se avremo affermato la leadership in questo modo, infatti, saremo soddisfatti, ma ci sembrerà di essere 
al punto di arrivo quando invece saremo soltanto al punto di partenza.     

Agendo così produrremo energia negativa, perché il nostro obiettivo non sarà quello di coordinare gli altri per 

produrre  del  valore,  ma  piuttosto  di  tenere  gli  altri  controllati  e  compressi  perché  non  possano  arrivare  a 
minacciarci. Molti capi in azienda seguono questo percorso e naturalmente non sono dei buoni capi. Infatti non 
concedendo spazio ai propri collaboratori produrranno poco valore, e dovranno inventare giustificazioni fasulle 
per motivare il loro operato. Tenderanno ad appropriarsi delle idee dei collaboratori e cercheranno di venderle 
come proprie idee, per non fare emergere chi ritengono li possa minacciare. Così saranno mal tollerati dai propri 
collaboratori e poco stimati dai loro capi, che al primo problema reale li abbandoneranno.   

Nel percorso positivo della gestione del potere c'è invece un desiderio. È il desiderio  di  affermazione. Chi 

vuole affermarsi si impegna al massimo, magari arriva a trascurare il proprio benessere fisico per poterlo fare, 
trascura  i  suoi  affetti,  intraprende  azioni  difficili  e  rischiose.  La  posta  in  gioco  è  il  raggiungimento  di  una 
posizione di priorità rispetto agli altri, la possibilità di essere percepiti come coloro che decidono, di essere per 
gli altri degli indiscussi punti di riferimento.     

Chi ricerca il potere agisce in modo che siano gli altri a porsi in una situazione di dipendenza. Questo avviene 

sia che chi  tende al  potere  si trovi  nel percorso  positivo  (desiderio  di  affermarsi), sia  che  si  trovi  nel  percorso 
negativo  (bisogno  di  evitare  la  dipendenza).  Ciò  che  cambia  è  l'atteggiamento.  Nel  primo  caso  si  produce  del 
valore: ci si afferma per guidare gli altri e portarli a raggiungere risultati che non sarebbero raggiunti senza la 
nostra  guida.  Nel  secondo  caso  ci  si  afferma  per  comprimere  gli  altri  e  per  rassicurarsi  sul  fatto  che  nessuno 
possa mettere in discussione le nostre posizioni.   

La  differenza  sta  nell'agire  in  funzione  dell'entusiasmo  rispetto  all'agire  in  funzione  della  paura.  C'è  una 

bella  differenza,  no?  Di  chi  vi  fidereste  di  più,  di  un  capo  entusiasta  o  di  un  capo  pauroso?  secondo  voi  chi 
agisce cercando di fare anche i vostri interessi? Chi cercherà di valorizzare le vostre capacità al meglio? Con chi 
riuscirete a raggiungere i migliori risultati?   

Fate  molta  attenzione,  perché  nel  momento  in  cui  raggiungerete  una  posizione  che  richiede  guida  da  parte 

vostra  sugli  altri,  i  vostri  collaboratori  faranno  esattamente  questi  ragionamenti.  E  su  questa  base  vi 
giudicheranno.   

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Aspirazioni: indicatori di percorso   

Percorso positivo:   

1. 

1. Tendenza all'Affiliazione: desiderio di protezione   

2. 

2. Tendenza alla Riuscita: desiderio di eccellenza   

3. 

3. Tendenza al Potere: desiderio di affermazione   

 

Percorso negativo:   

1. 

1. Tendenza all'Affiliazione: bisogno di evitare il rifiuto   

2. 

2. Tendenza alla Riuscita: bisogno di evitare il fallimento   

3. 

3. Tendenza al Potere: bisogno di evitare la dipendenza   

 

IDEE IN AZIONE N°12: il triangolo delle aspirazioni   

• 

Disegna sul C-Book tre assi, come quelle che vedi qui sotto, ed ai loro vertici scrivi le lettere A, P, R.   

• 

Ognuno di questi segmenti rappresenta una diversa tendenza: Affiliazione, Potere, Achievement. Ogni 

segmento è graduato, da 0 a 10, in modo da poter indicare anche l'intensità di ogni tendenza.   

• 

Traccia, su ogni segmento, il punto che identifica il livello con cui tu ora possiedi quella tendenza. 

Naturalmente il più alto sarà relativo alla tendenza che prevale: quella che tu avrai scelto durante la lettura del testo. Le 
altre saranno meno marcate ma pur sempre presenti: ricordati che in ognuno di noi c'è sempre un “mix”.  
 

• 

Per fare questo lavoro puoi aiutarti con il seguente schema di autovalutazione, attribuendo un punteggio 

ad ogni singola tendenza dopo aver ragionato sugli elementi che la caratterizzano.   
 

 

Schema di autovalutazione delle aspirazioni   

1 = minimo 10 = massimo   

RIUSCITA   

• Dal lavoro desidero soprattutto opportunità di crescita     

• Desidero lavorare per obiettivi che siano “importanti”?   

  .• Mi piace raggiungere risultati sempre più impegnativi?   
  .

POTERE 

1 = minimo 10 = massimo   

• Desidero organizzare il lavoro degli altri?   

• Amo che le persone si rivolgano a me per consigli?   

  .• Cerco di influenzare gli altri facendo prevalere le mie idee?   
  .AFFILIAZIONE   

1 = minimo 10 = massimo   

• Sono stimolato dal “team” e dall’affiatamento del gruppo?   

• Desidero lavorare con colleghi che conosco da tanto tempo?   

• Cerco di lavorare con coloro che hanno i miei stessi interessi?   

 

 

 

 

 

 

 

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• 

Unisci i punti. Otterrai una figura simile a quella di questo esempio:   

 

• 

In questo esempio c'è forte tendenza all'affiliazione, media alla riuscita e bassa al potere.     

• 

La figura che tu hai ottenuto rappresenta quali sono, attualmente, le tue aspirazioni.   

• 

Ragiona sulla tua figura e pensa a come vorresti cambiare, come vorresti diventare da qui a tre anni.   

• 

Prendi una penna di colore diverso e traccia, sullo stesso disegno, un altro triangolo che rappresenta il 

tipo di cambiamento che vorresti ottenere.   

• 

Seguendo l'esempio appena proposto, la figura potrebbe variare così:   

• 

In questo caso il cambiamento prevede una diminuzione dell'orientamento all'affiliazione ed un 

investimento di energie finalizzato all'aumento delle tendenze alla riuscita ed al potere.   

• 

Perché questo esercizio possa essere utile ed efficace, è necessario svolgerlo con obiettività e sincerità.   

 

 

3. Le aspettative   

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL MEDIO TERMINE 

 

Segui il percorso positivo:   

agisci equilibrando i soddisfattori e puntando sui motivatori, facendo una scelta di priorità.   

Abbandona il percorso negativo:   

evita di confondere le due categorie, di privilegiare i soddisfattori, di puntare su tutti i fattori 

indiscriminatamente.   

Abbiamo  appena  esaminato  le  motivazioni  nel  lungo  termine,  ovvero  gli  elementi  verso  cui  orientiamo  i 

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nostri comportamenti per realizzare le nostre aspirazioni. Abbiamo parlato di “lungo termine” perché sappiamo 
benissimo  che  le  aspirazioni  non  si  possono  realizzare  subito,  bisogna  mettere  in  conto  un  po'  di  tempo. 
Abbiamo anche visto che è necessario capire quali sono gli orientamenti verso cui si è più “portati”, i traguardi 
che ci attirano di più: l'affiliazione, la riuscita o il potere. Così i nostri comportamenti devono essere funzionali 
al raggiungimento del traguardo che sentiamo più adatto a noi. Per esempio, se per noi è importante la riuscita, 
sarà preferibile che accettiamo un lavoro dove possiamo accrescere le nostre competenze e risolvere problemi. 
Saremo  più  indicati  probabilmente  per  un  lavoro  specialistico  piuttosto  che  per  un  ruolo  dove  dobbiamo 
coordinare  delle  persone,  come  può  essere  una  posizione  manageriale.  Sceglieremo  questo  secondo  tipo  di 
lavoro  se  abbiamo  un  forte  orientamento  al  potere.  Qualora  invece  fosse  indispensabile  lavorare  in  team, 
dovremmo possedere una forte tendenza all'affiliazione.   

Ecco  quindi  come  le  “idee”,  gli  “orientamenti”  che  abbiamo  identificato  devono  servirci  per  prendere 

decisioni su ciò che “vogliamo fare da grandi”. Dobbiamo cercare di indirizzarci verso l'area per la quale siamo 
più portati, altrimenti ci esponiamo al rischio di fallire. Se infatti sceglieremo o accetteremo una situazione non 
conforme alle nostre tendenze saremo demotivati o inadatti a far fronte alle richieste della situazione stessa.   

Tutto ciò per quanto riguarda le prospettive a lungo termine, quelle che sono misurate nell'arco di anni.     
Avviciniamoci ora sempre di più al presente. Facciamo un passo ancora  avanti ed esaminiamo quali sono le 

motivazioni  nel  medio  termine.  Il  medio  termine  è  la  prospettiva  temporale  che  interessa  le  nostre  azioni 
nell'arco  di  mesi.  In  questo  arco  di  tempo  noi  agiamo  non  solo  in  funzione  delle  nostre  aspirazioni,  ma 
soprattutto in funzione di precise aspettative.   

Le aspettative sono il metro di paragone della nostre motivazioni nel medio termine.     
Vi ricordate i due tecnici di cui parlavamo nella parte dedicata ai bisogni e dei desideri, quelli appena assunti 

in azienda? La loro decisione di entrare in quell'azienda è probabilmente stata una scelta importante per la loro 
vita, ragionata presumibilmente a fondo. Una valutazione del genere deve rispondere a determinate aspirazioni, 
perché  ha  riflessi  sul  lungo  termine.  Sarà  probabile  infatti  che  occorra  un  certo  tempo  prima  che  i  due 
professionisti si adattino all'ambiente di quella azienda, possano dare un valido contributo, possano godere dei 
benefici del cambiamento che hanno scelto di fare. Sarà probabile che passerà ancora parecchio tempo prima che 
prendano in considerazione un nuovo cambiamento, una nuova azienda. Sia per il tecnico che “fugge” da una 
situazione poco soddisfacente, sia per quello che “corre” verso un traguardo desiderato.   

Una volta che i due avranno fatto la loro scelta e saranno entrati nella nuova azienda, il gioco non sarà più 

solo centrato sulle aspirazioni e sulle realizzazioni nel lungo periodo. Una volta presa la decisione di entrare in 
quell'azienda e intrapresa la strada che potrà condurli ai traguardi futuri (lavorare serenamente con altri, oppure 
diventare un tecnico esperto, oppure assumere la guida di un gruppo), entrano in campo altre necessità ed altri 
scopi.  Il  gioco  si  fa  più  aderente  alla  realtà  presente,  meno  aderente  a  quella  ipotizzata,  desiderata  o  sognata. 
Entrano in campo precise aspettative.   

Per  capire  quali  possono  essere  cerchiamo  di  immaginarci  i  due  tecnici  qualche  mese  dopo  il  loro 

inserimento.  Fingiamo  di  ascoltare  il  loro  dialogo  durante  la  pausa  break  di  un  corso  di  formazione  al  quale 
entrambi sono stati iscritti.   
Il primo tecnico dice:   

Non  sono  proprio  soddisfatto.  La  cosa  positiva  è  che  l'azienda  è  solida,  questo  mi  tranquillizza.  Però  mi 

hanno  messo  a  lavorare  in  un  open  space  dove  c'è  parecchia  confusione:  gente  che  va  e  viene,  spazio  che 
manca.... Ho provato a parlare con il mio capo ma era occupato e allora ho lasciato perdere. Spero solo che fra 
un po' arrivi qualche gratificazione economica, come un aumento di stipendio.. se mi danno soldi, sarò contento 
e non vorrò altro”.   

Il secondo tecnico dice:   

“Sono  abbastanza  soddisfatto.  Anch'io  ho  trovato  dei  problemi  che  non  mi  sarei  aspettato.  Quelli  della 

confusione e della mancanza di spazio, per esempio. Sto mettendocela tutta per migliorare le condizioni. Intanto 

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però  il  lavoro  che  faccio  mi  piace;  dopo  un  inizio  cauto  sto  cercando  di  affrontare  situazioni  sempre  più 
difficoltose,  per  mettere  alla  prova  ciò  che  ho  imparato.  Se  tutto  va  bene,  fra  poco  tempo  sarò  probabilmente 
lasciato  da  solo  nel  supervisionare  la  rete  informatica  aziendale,  senza  bisogno  che  un  tecnico  più  esperto 
controlli  ciò  che  faccio.  Vedremo...  qualcuno  si  accorgerà  dei  risultati:  sarei  contento  se  arrivasse  un 
riconoscimento, anche simbolico.”   

Riflettiamo  un  momento.  I  nostri  due  tecnici  si  sono  nuovamente  scambiati  il  loro  punto  di  vista, 

incontrandosi quasi per caso dopo qualche mese di lavoro.   

La situazione aziendale e professionale che i due hanno trovato è praticamente la stessa. Il tempo trascorso in 

azienda  è  identico.  Eppure  le  due  posizioni,  ancora  una  volta,  sono  differenti.  Variano  a  seconda  di  come 
ognuno dei due vede la realtà
, a seconda della “soggettività” di ognuno. Naturalmente uno si trova su un certo 
sentiero  e  l'altro  su  quello  opposto.  Più  precisamente  il  primo  si  è  focalizzato  solo  su  attese  che  lo  fanno 
rimanere  sul  sentiero  negativo,  mentre  il  secondo  ha  puntato  la  sua  attenzione  su  attese  che  lo  collocano  su 
quello positivo. Quindi è più probabile (badate: è più probabile, non è certo) che il primo disperda valore e che il 
secondo produca valore per sé e per la sua azienda.   

Ma analizziamo meglio queste attese. Possiamo identificare alcune categorie nelle quali è possibile collocare 

le  motivazioni.  Queste  categorie  sono  due:  una  appartiene  al  percorso  positivo  e  una  a  quello  negativo. 
Cerchiamo di analizzarle, prendendo in esame proprio ciò che hanno detto i due tecnici.   

3.1. La prima categoria: i soddisfattori   

3.1.2 La sicurezza   

“Non sono proprio soddisfatto. La cosa positiva è che l'azienda è solida; questo mi tranquillizza.” Fin 

da  questa  prima  affermazione  comprendiamo  che  il  fattore  della  sicurezza  è  molto  importante  per  questo 
individuo.  Molto  probabilmente  la  stessa  scelta  di  entrare  in  quell'azienda è  stata  fatta  sulla  base  della  solidità 
aziendale. Così ora riconosce che la sicurezza che riscontra è un ottimo presupposto per una certa tranquillità di 
lavoro e di prospettive. Da questo punto di vista va tutto bene.   

3.1.3 L'ambiente   

“Però mi hanno messo a lavorare in un open space dove c'è parecchia confusione: gente che va e viene, 

spazio che manca....”     

Ecco il secondo fattore su cui l'individuo sta puntando le sue attenzioni: l'ambiente. Di questo non è molto 

contento.  Lamenta  il  fatto  di  non  essere  in  un  ufficio  tranquillo,  dove  potrebbe  organizzarsi  e  forse  anche 
dedicarsi,  non  visto,  a  qualche  piccola  attività  ricreativa.  In  ogni  caso  il  problema  è  quello  della  confusione  e 
della  mancanza  di  spazio.  Il  tecnico  ce  lo  pone  come  uno  dei  problemi  principali:  capiamo  che  le  cose 
andrebbero nettamente meglio se l'ambiente avesse maggiore tranquillità e più spazio a disposizione.   

3.1.4 Il coinvolgimento   

“Ho provato a parlare con il mio capo, ma era occupato e allora ho lasciato perdere.”   
Ecco  un  altro  motivo  di  insoddisfazione  del  nostro  amico.  Il  coinvolgimento.  Egli  ha  provato  a  entrare  in 

contatto con il suo capo per cercare di affrontare i problemi, ma si è tirato indietro. Vorrebbe essere ascoltato, ma 
si  arrende  davanti  alla  difficoltà  che  incontra  nel  trovare  un  momento  di  comunicazione.  Non  è  soddisfatto, 
perché non riesce ad esprimere la propria opinione.     

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3.1.5 Il Denaro   

“Spero solo che fra un po' arrivi qualche gratificazione economica, come un aumento di stipendio.. se 

mi danno soldi, sarò contento e non vorrò altro”   

Ecco l'ultimo elemento su cui si concentrano le attenzioni e le attese del nostro tecnico: i soldi. Dal modo con 

cui  affronta  questo  argomento,  possiamo  capire  che  per  lui  è  quello  più  importante.  Egli  infatti  dice  molto 
chiaramente che è disposto a soprassedere su tutti gli altri, se riceverà un aumento di stipendio.     

3.2. La dinamica dei soddisfattori   

I quattro fattori sopra citati sono quelli che si celano dietro le attese del primo tecnico. Essi sono contenuti 

nella prima delle due categorie che stiamo prendendo in esame. La prima categoria è quella dei “soddisfattori”. 
Abbiamo detto “soddisfattori”, e non “motivatori”. C'è una certa differenza. Questi fattori infatti non motivano
cioè non forniscono l'energia positiva che serve per migliorare i nostri risultati; sono necessari, ma ci possono 
portare  al  massimo  ad  uno  stato  di  “non  insoddisfazione”.  Quando  li  avremo  raggiunti  arriveremo  ad  un 
“livello  zero”,  ad  un  falso  punto  di  arrivo.  In  altre  parole,  sentiremo  il  bisogno  di  puntare  verso  il 
raggiungimento di questi elementi quando mancano; quando invece sono presenti, noi non ci accorgiamo più di 
loro. È come se ci abituassimo rapidamente a loro.   

Possiamo  infatti  considerare  la  sicurezza  del  posto  di  lavoro  un  elemento  importante,  ma  rimanere  in 

un'azienda solo per la sua solidità ci può dare l'energia per creare risultati brillanti?     

La  stessa  domanda  può  essere  fatta  per  quanto  riguarda  l'ambiente,  il  coinvolgimento..  e  il  denaro.  Sì,  il 

denaro.  È  una  illusione  pensare  che  più  saremo  pagati,  più  saremo  soddisfatti.  Se  avremo  un  buon  stipendio 
saremo  forse  più  tranquilli  dal  punto  di  vista  economico:  ci  potremo  permettere  la  macchina  nuova  o  una 
vacanza in più. Ma dovremo lo stesso passare otto ore della nostra giornata sul posto di lavoro, e i soldi lì non ci 
servono per produrre energia positiva. L'entusiasmo non si può comprare. Pur pagati bene, se non punteremo su 
qualcosa d'altro non saremo ancora contenti.     

Questi  quattro  fattori  sono  dei  falsi  motivatori.  Sono  falsi  perché  spesso  vengono  confusi  con  i  veri 

motivatori, quelli che producono “voglia di fare”.   

Cerchiamo di capirne il motivo studiandoli con più attenzione.   
La  sicurezza,  prima  di  tutto.  Cercare  la  sicurezza  significa  cercare  situazioni  di  stabilità,  dove  ci  si  possa 

sentire  al  riparo  in  caso  di  imprevisti  e  di  difficoltà.  È  giusto  cercare  la  sicurezza:  se  la  nostra  situazione  è 
precaria probabilmente saremo costantemente in preda ad un senso di provvisorietà, di agitazione interiore. Ma è 
sbagliato  tendere  a  una  sicurezza  totale.  Questa  non  può  garantirla  nessuno.  Sono  molti  gli  esempi  di  grandi 
aziende che sembravano incrollabili e che ad un certo punto hanno cominciato a vacillare, hanno dovuto fare i 
conti  con  esigenze  di  mercato  impreviste  e  tali  da  cambiare  completamente  le  carte  in  tavola.  E  sono  così 
arrivate  a  prendere  decisioni  drastiche:  ridurre  il  personale licenziando  migliaia di  persone  o,  nel  peggiore  dei 
casi, chiudere e lasciare a casa tutti. La sicurezza, inoltre, quando c'è si paga. Un'azienda solida, con un nome 
ben  noto,  che  offre  certezza  e  stabilità  professionale,  molto  probabilmente  avrà  retribuzioni  mediamente  più 
basse rispetto ad un'azienda nuova, dinamica, che affronta un mercato in espansione, ma dove le prospettive di 
carriera sono più limitate e dove da un momento all'altro si può risentire di una congiuntura negativa.   

Consideriamo  poi  l'ambiente:  intendiamo  anzitutto  l'ambiente  fisico,  dallo  spazio  a  disposizione  al  colore 

delle  pareti.  Le  condizioni  ambientali  devono  essere  tali  da  non  costituire  un  problema.  Se  lavoriamo  in  uno 
spazio angusto, chiuso e poco areato probabilmente soffriremo. È giusto cercare un miglioramento migliorare e 
bisogna cercare le strade possibili per ottenerlo Ma sarebbe sbagliato pensare che risolto il problema, poi tutto 
debba andare automaticamente meglio. Non è così. Poco dopo essere arrivati in un ufficio luminoso e tutto per 
noi, ci saremmo dimenticati delle sofferenze passate e ci staremmo già lamentando della mancanza di qualcosa 
d'altro. L'ambiente, come buon soddisfattore, cessa di interessarci quando ci ha soddisfatto.   

La soddisfazione arriva ad un certo livello e poi si ferma: oltre non può andare. Avete mai visto un dirigente 

che  si  dichiara  “energizzato”  dal  lavorare  in  un  ufficio  ben  arredato?  Magari  voi  che  siete  in  un  open  space 
vorreste averne uno, ma lui che ci lavora abitualmente lo considera un fatto assolutamente normale, un punto di 

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partenza e non un punto di arrivo. Lo soddisfa, ma non lo motiva. Se è, ad esempio, un direttore commerciale, sa 
che non raggiungerà i suoi risultati di vendita grazie al fatto che possiede un bell'ufficio.     

Per  ambiente  non  si  intende  solo  l'ambiente  fisico,  ma  anche  quello  umano.  È  preferibile  lavorare  con 

colleghi  simpatici  e  cordiali  piuttosto  che  con  colleghi  scontrosi  o  aggressivi  e  infidi.  Ma  sarebbe  un  errore 
pensare  che  quanto  migliori  saranno  i  rapporti  in  ufficio,  tanto  migliori  saranno  le  prestazioni.  Spesso  anzi  si 
verifica il caso contrario: l'eccesso di disponibilità reciproca e l'assenza di competizione fanno venire meno gli 
stimoli la miglioramento.   

Per quanto riguarda il  coinvolgimento, quasi tutte le persone di solito sono scontente del proprio livello di 

coinvolgimento, quando lavorano in azienda. Così cercano di essere coinvolte tentando di carpire informazioni 
in tutti i modi e su tutto ciò che è possibile: dalle scelte aziendali ai fatti personali dei colleghi. Ma aumentare la 
nostra  conoscenza  su  queste  cose  può  solo  togliere  la  nostra  preoccupazione  di  sentirci  esclusi,  non  inseriti 
all'interno di quelli che “contano”. È inoltre illusorio pensare che l'aumento delle occasioni di contatto con gli 
altri, pur stimolante, possa generare energia positiva oltre un certo limite.   

Infine, il lato economico. Possiamo sentirci spinti all'azione per il guadagno, ma anche qui solo fino ad un 

certo punto, non oltre.   

Il lato economico è importante, certo. Se guadagnamo poco rispetto allo sforzo che ci è richiesto, dopo un po' 

cesseremo  di  impegnarci  in  quello  sforzo.  In  altre  parole,  se  non  vedremo  un  ritorno  economico  dal  nostro 
lavoro,  probabilmente  saremo  demotivati.  Ma  non  dobbiamo  pensare  che  la  nostra  energia  aumenti  solo  con 
l'aumentare del denaro percepito. Chi pensa questo è destinato a rimanere infelice, perché non raggiungerà mai 
un livello economico che possa ritenere sufficiente. Sarà sempre attento a guardare ciò che guadagnano gli altri 
per confrontarsi con essi, e troverà sempre qualcuno che prende più soldi.     

L'unico modo per liberarsi dal dilemma del denaro è seguire due semplici regole. La prima regola indica che 

il denaro non deve essere un fine, ma un mezzo. È il premio per un lavoro svolto bene, per la soddisfazione che 
deriva dall'impegno. Non è il fine a cui tendono gli sforzi. La seconda regola suggerisce che il livello di denaro a 
cui  tendere  è  quello  che  risponde  ad  un  confronto  con  le  proprie  personali  esigenze.  Dobbiamo  cercare  di 
guadagnare per poter soddisfare i nostri bisogni e realizzare progetti precisi, non per accumulare il più possibile.   

3.3. La seconda categoria: i motivatori   

Passiamo  ora  all'esplorazione  della  seconda  categoria,  quella  che  appartiene  al  percorso  positivo.  Abbiamo 

detto  che  il  secondo  tecnico  che  dialoga  fa  riferimento  a  questa  categoria.  Cerchiamo  allora  di  scoprirla 
attraverso le sue stesse parole.   

“Sono abbastanza soddisfatto. Anch'io ho trovato dei problemi che non mi sarei aspettato. Quello della 

mancanza di spazio e della confusione, per esempio. Sto mettendocela tutta per migliorare la situazione.”   

Stessa azienda, stessi problemi. Il secondo tecnico si trova d'accordo con il primo: l'ambiente ostacola il buon 

svolgimento del lavoro; l'atteggiamento però differisce. Il problema c'è, la sua soluzione non sarà facile, ma il 
secondo tecnico, a differenza del primo, si impegna per fare in modo di poterlo risolvere. Non può fare di più, 
non è nell'ambito delle sue possibilità eliminarlo. Però, se da una parte non smette di fare qualcosa per risolverlo, 
dall'altra è cosciente che deve in qualche modo soprassedere, perché fermandosi di fronte a questo ostacolo non 
può  raggiungere  obiettivi per lui  più importanti.  Quindi  probabilmente  farà in  modo  di  conviverci.  L'ambiente 
per questo secondo tecnico è “un” fattore importante, non “il” fattore importante. Della sicurezza aziendale, altro 
fattore di non insoddisfazione, egli non parla nemmeno. La dà per scontata. Non rientra nei suoi interessi. Lui è 
interessato ad altre cose. Vediamo quali sono.   

3.3.1. Il contenuto del lavoro   

“ Intanto però il lavoro che faccio mi piace”   
Ecco  qual  è  il  primo  elemento  importante  per  il  nostro  tecnico.  Per  lui  le  condizioni  ambientali  sono 

sopportabili perché riesce a dedicarsi ad una attività che incontra il suo interesse. Sa che potrebbe rendere di più 
e  stare  più  tranquillo,  se  lavorasse  in  condizioni  più  favorevoli,  ma  sa  anche  che  difficilmente  si  realizzano 
condizioni  ideali.  Lui  punta  su  ciò che  ritiene  più  importante:  fare  qualcosa  che  risponda  ai  suoi  interessi e  ai 

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suoi obiettivi professionali. Questa è la sua priorità. Le altre cose vengono dopo, compreso l'ambiente. Meglio 
un bel lavoro in un open space affollato che un brutto lavoro in un ufficio elegante e riservato.   

3.3.2. La sfida   

“Dopo  un  inizio  cauto  sto  cercando  di  affrontare  situazioni  sempre  più  difficoltose,  per  mettere  alla 

prova ciò che ho imparato.”   

Ecco il suo secondo elemento di motivazione: la sfida. Il tecnico è incentivato dalle situazioni che mettono 

alla prova le sue capacità. Cerca di porsi dei traguardi da superare, affrontando prove di complessità crescente. 
Se  deve  svolgere  un  lavoro  semplice,  per  quanto  possa  piacergli,  sarà  solo  parzialmente  motivato.  Così  si 
impegna  nelle  difficoltà  dei  problemi  da  risolvere,  in  modo  da  dover  mettere  in  campo  delle  capacità  sempre 
nuove.   

3.3.3. L'autonomia   

“Se  tutto  va  bene,  fra  poco  tempo  sarò  probabilmente  lasciato  da  solo  nel  supervisionare  la  rete 

informatica aziendale, senza bisogno che un tecnico più esperto controlli ciò che faccio.”   

Il terzo elemento che interessa al nostro amico è l'autonomia. Egli tende a non dipendere da altri, vorrebbe 

arrivare a potersi organizzare il lavoro come vuole lui. Cerca di dare un contributo personale a ciò che fa, cerca 
di limitarsi a portare dei miglioramenti. Se deve seguire regole e procedure, la sua motivazione cala.   

Sa che sarà cresciuto nel campo professionale solo quando avrà piena responsabilità sulla sua area di lavoro. 

Quando  l'azienda  si  potrà  fidare  a  lasciarlo  da  solo,  quando  gli  altri  faranno  riferimento  a  lui  per  avere  delle 
indicazioni su problemi da risolvere e lui avrà autonomia nelle scelte senza dover chiedere il permesso ad altri, 
allora si sentirà professionalmente completo.   

3.3.4. Il riconoscimento   

“Vedremo... qualcuno si accorgerà dei risultati: sarei contento se arrivasse un riconoscimento, anche 

simbolico”   

Quarto  elemento  di  motivazione: il riconoscimento.  Il  nostro  amico ci tiene  molto  che  qualcuno,  magari  in 

una  posizione  di  importanza  in  azienda,  si  accorga  di  lui,  ma  è  consapevole  che  devono  essere  i  risultati  a 
parlare: se non ci sono risultati, è inutile pensare di ricevere gratificazioni. 

È certo che se avrà raggiunto un buon livello di competenze e capacità professionali e se conseguirà buoni 

risultati, potrà pensare di avere dei ritorni.   

Sta attento a creare e a dare, prima di pensare a ricevere. Inoltre non punta solo all'incentivo economico, ma 

all'incentivo  in  quanto  tale.  Anzi,  ci  sono  certi  riconoscimenti  che  non  sono  monetizzabili,  ma  per  lui  più 
importanti:  ad  esempio  l'attestazione  di  stima  o  la  possibilità  di  partecipare  a  momenti  di  incontro  riservati, 
professionali o formativi.   

3.4. La dinamica dei motivatori   

Ecco dunque gli altri quattro fattori che possono essere veramente chiamati “motivatori”, quelli che liberano 

energie  positive.  Essi  funzionano  al  meglio  quando anche  gli  altri  quattro,  i soddisfattori,  hanno  raggiunto  un 
livello di equilibrio.   

Non  importa  che  i  soddisfattori  siano  completamente  realizzati,  è  sufficiente  che  l'individuo  non  riceva  da 

essi  problemi  che  possano  distogliere  la  sua  attenzione  dai  motivatori.  Perciò  non  si  può  aspettare  ad  essere 
completamente  soddisfatti  prima  di  cominciare  ad  essere  motivati.  Si  sarà  un  po'  soddisfatti  e  un  po'  no: 
l'importante  è  che  non  ci  sia  un  fattore  che  dia  grossi  problemi.  Prendiamo,  ad  esempio,  in  considerazione  la 

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sicurezza.  Non  saremo  mai  del  tutto  sicuri  della  stabilità  della  nostra  situazione:  l'azienda  in  cui  lavoriamo 
potrebbe  sempre  fallire.  Se  l'azienda  ha  una  certa  stabilità,  noi  smetteremo  di  pensare  al  fatto  che  potremmo 
anche  perdere  il  posto  di  lavoro  e  ci  dedicheremo  a  pensieri  più  produttivi.  Ma  se  la  situazione  è  precaria,  se 
sappiamo  che  entro  un  mese  l'azienda  chiuderà,  allora  il  fattore  sicurezza  diventerà  per  noi  di  primaria 
importanza  e ci  dedicheremo  alla ricerca  di  una  situazione  alternativa  che ci  possa portare  un  certo  equilibrio. 
Quando, poi, questo equilibrio sarà raggiunto, ricercheremo qualcosa di più stimolante, che non potremo trovare 
nei soddisfattori ma nei motivatori.   

I  motivatori  fanno  in  modo  che  l'individuo  produca  energia.  Non  hanno  un  punto  di  saturazione:  non 

raggiungono  un  livello  oltre  il  quale  non  riescono  più  a  motivare.  Chi  punta  all'autonomia  e  la  ottiene,  ad 
esempio, sarà sempre più motivato se il lavoro darà sempre maggiori spazi di autonomia e di responsabilità.     

Ora svolgiamo una rapida rassegna dei quattro motivatori, così da riconoscerli meglio.   
Valorizzare il contenuto del lavoro significa ricercare in esso quelle attività che consentono di sviluppare le 

proprie  competenze.  Significa  trovare  attività  sempre  varie  che  siano  consone  con  le  proprie  aspirazioni,  che 
permettano  di  metterle  in  pratica  e  al  contempo  di  aumentare  il  proprio  patrimonio  personale  di  competenze, 
conoscenze e capacità
. Il tipo di lavoro che facciamo ci accompagna per tutta la giornata; se non lo apprezziamo 
non  possiamo  pensare  che  ci  siano,  fuori  da  esso,  altri  fattori  tali  da  compensare  questa  insoddisfazione. 
Saremmo illusi, e ci renderemmo conto di essere costantemente insoddisfatti e infelici.     

Affrontare le sfide vuol dire cercare situazioni che impegnano al massimo le proprie abilità. Anche se dure e 

difficili, non spaventano le condizioni di lavoro, anzi costituiscono uno stimolo per mettersi alla prova.     

Ricercare l'autonomia  significa cercare di assumersi responsabilità. Essere autonomi infatti vuol dire avere 

la possibilità di prendere decisioni da soli, ma vuol dire anche rispondere in prima persona delle decisioni prese. 
Se gli effetti di queste scelte sono positivi, tanto meglio. Il peggio viene quando essi sono negativi. Per questo 
non  tutti  cercano  l'autonomia  e  la  responsabilità:  alcuni  preferiscono  dipendere  da  qualcun  altro,  che  sarà 
chiamato a rispondere se le decisioni prese si riveleranno sbagliate.   

Il  riconoscimento  è  il  premio  che  è  giusto  aspettarsi  dopo  essersi  impegnati  a  fondo.  Non  ci  sono  solo 

riconoscimenti  in  denaro.  Colui  che  tende  al  riconoscimento  vuole  sentirsi  importante:  quindi  sarà  motivato 
principalmente  dal  fatto  di  poter  acquisire  elementi  che  lo  faranno  sentire  tale.  Per  esempio,  possono  essere 
simboli di status che altri non possono avere, oppure la possibilità di essere considerato come appartenente ad 
una categoria particolare, il cui accesso non a tutti è consentito. Per il tecnico potrebbe essere il riconoscimento 
dell'appartenenza, all'interno di quell'azienda multinazionale, al gruppo più esperti al mondo in una determinata 
tecnologia.     

In ogni caso, il riconoscimento deve seguire al raggiungimento del risultato. Ha effetto sulla motivazione, se 

legato ad un impegno che ha portato ad un risultato, altrimenti non incentiva assolutamente nulla. Se invece il 
premio viene associato direttamente all'azione fatta per raggiungerlo, si viene stimolati a operare ancora meglio 
per avere un altro premio.     

Il riconoscimento deve non necessariamente giungere dall'esterno: può essere un fatto personale, individuale

Se  abbiamo  ottenuto  veramente  un  livello  effettivo  di  autonomia,  possiamo  anche  gratificarci  da  soli  quando 
sappiamo di avere raggiunto un risultato eccellente.     

3.5. Come agire con le aspettative   

Quando si agisce sulle proprie aspettative bisogna seguire alcune semplici regole. Queste regole tendono ad 

evitare gli errori in cui è più facile cadere.   

3.5.1. Errore numero uno: inseguire i soddisfattori   

È l'errore che commette il primo tecnico del nostro esempio e che lo porta dritto sul percorso negativo. Egli 

non si rende conto che considera motivatori quegli elementi che invece sono soltanto semplici soddisfattori. Fare 
confusione tra le due categorie induce a  inseguire  falsi  obiettivi. Questi obiettivi li consideriamo falsi perché, 
una volta raggiunti, improvvisamente “spariscono”, nel senso che perdono la loro importanza: non stimolano ad 

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agire ulteriormente.   

Per evitare questo errore è necessario prima di tutto prendere coscienza della differenza che esiste fra le due 

categorie. Poi, in secondo luogo, è necessario agire in modo diverso a seconda della categoria: puntare ad una 
situazione di equilibrio per la prima, per poi concentrarsi con forza sulla seconda.   

3.5.2. Errore numero due: puntare su tutti i fattori   

Dobbiamo essere realisti: non possiamo pretendere di avere tutto. Non si può pensare di trovare un lavoro 

sotto  casa  e  con  colleghi  piacevoli  (ambiente),  in  un'azienda  solida  (sicurezza),  dove  ci  stanno  ad  ascoltare 
(coinvolgimento), dove siamo pagati bene (soldi), dove possiamo imparare divertendoci (contenuto) e risolvendo 
problemi  complessi  (sfida),  con  possibilità  di  carriera  (autonomia)  e  con  gratificazioni  di  ogni  tipo 
(riconoscimento). Una situazione di questo genere è praticamente impossibile da trovare. Se cerchiamo di avere 
tutto e il metro con cui misuriamo la nostra soddisfazione è quanto la nostra situazione reale si discosta da questo 
tutto, allora saremo per sempre malcontenti.     

Dobbiamo  piuttosto  selezionare  attentamente  i  fattori  su  cui  puntare  e  fare  scelte  precise  per  ottenere 

risultati proprio dove abbiamo scelto di indirizzare i nostri sforzi.   

Se,  ad  esempio,  pensiamo  che  sia  fondamentale  migliorare  le  nostre  competenze  professionali,  saremo 

disposti  ad  accettare  un  lavoro  che  non  ci  porta  alcuna  crescita  di  tipo  economico,  ma  ci  offre  una  grossa 
opportunità  di  miglioramento  in  termini  di  esperienza.  In  questo  caso  privilegeremo  il  fattore  “contenuto” 
rispetto  al  fattore  “soldi”.  Viceversa,  se  decidiamo  che  la  nostra  priorità  risiede  nel  fattore  economico, 
sceglieremo un lavoro che ci farà guadagnare parecchi soldi, anche se sarà scomodo dal punto di vista logistico e 
non  utilizzerà  appieno  le  nostre  competenze.  Così  facendo  dunque  privilegeremo  il  fattore  “soldi”  rispetto  ai 
fattori “ambiente” e “contenuto”.   

3.5.3. Errore numero tre: generalizzare   

Un aspetto fondamentale delle aspettative è che queste sono individuali. Esse variano da persona a persona, 

in misura talvolta piuttosto consistente. Spesso però tendiamo a dare per scontato che anche gli altri siano mossi 
dalle nostre stesse motivazioni. Questo è un errore tanto più grossolano da parte di chi ha responsabilità su altre 
persone.   

Capire quali sono le aspettative dei collaboratori è un compito fondamentale per un capo. Eppure i  dirigenti 

in  genere  dedicano  pochissimo  tempo  all'individuazione  dei  fattori  di  soddisfazione  e  di  motivazione  delle 
persone con le quali lavorano.     

Per esempio, un manager può essere motivato dalla responsabilità. E magari affida un ruolo di riferimento ad 

un individuo per premiarlo, senza rendersi conto che l'autonomia mette in crisi quel collaboratore, che forse non 
si  sente  pronto  per  assumersi  responsabilità  e  sta  puntando  ancora  a  sviluppare  adeguate  competenze 
professionali.  In  questo  caso  il  capo  considera  il  fattore  “autonomia”  quando  invece  doveva  tenere  presente  il 
fattore  “contenuto”.  Ancora,  il  capo  può  cadere  i  errore  al  contrario,  ovvero  pensare  che  i  collaboratori  non 
vogliano prendersi responsabilità, ma ricerchino la sicurezza. Così affida loro compiti ripetitivi e piatti, mentre 
essi ricercano situazioni più stimolanti. In questo caso punta sul fattore “sicurezza” invece di puntare sui fattori 
“contenuto” e “sfida”.   

La  generalizzazione  errata  non  viene  fatta  solo  nei  confronti  di  categorie  di  individui,  ma  anche  in 

riferimento ad uno stesso individuo.   

Ciò accade quando si identifica un'attesa in una persona e si pensa che quella persona debba avere sempre la 

stessa attesa. Magari uno è entrato in un'azienda nel momento in cui ricercava una certa sicurezza, forse perché 
proveniente  da  un'esperienza  fallimentare  e  con  oggettivi  problemi  di  autosostentamento.  È  ovvio  che  in  una 
situazione  del  genere  la  scelta  viene  fatta  in  funzione  della  sicurezza  del  lavoro.  Ma  quando  questo  individuo 
avrà raggiunto la sua tranquillità, la sua motivazione cambierà. Magari vorrà fare cose nuove, essere coinvolto in 
gruppi  di  lavoro...  Se  il  capo  non  si  accorge  che  le  sue  attese  sono  cambiate,  rischia  di  pensare  che  solo  con 

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l'assunzione  in  azienda  quell'individuo  debba  essere  motivato  “a  vita”,  senza  prendere  in  considerazione  la 
possibilità di mettere a frutto le sue abilità in altri modi. In questo caso il capo si fissa sul fattore “sicurezza” 
mentre invece l'attesa del collaboratore è rivolta verso il fattore “coinvolgimento”.   

Aspettative: indicatori di percorso 

 

Percorso positivo:   

Ritenere più importanti i “motivatori”:   

contenuto del lavoro, sfida, autonomia, riconoscimento   

 

Percorso negativo:   

Ritenere più importanti i “soddisfattori”: sicurezza, ambiente, coinvolgimento, soldi 

 

IDEE IN AZIONE N°13: la mappa delle aspettative   

• 

Che cosa ti aspetti di ottenere dalla tua attività? Prova a mettere a fuoco il tipo e l'intensità delle tue 

aspettative, cercando di delineare la scelta delle priorità.   

• 

Prova ad attribuire un punteggio ai fattori che troverai qui di seguito, da 1 (importanza minima) a 10 

(importanza massima).   
 
Il livello di soddisfazione   

• 

Cominciando  con  i  soddisfattori,  potrai  effettuare  un'autoanalisi  del  tuo  livello  di  soddisfazione.  Per  poter  meglio 
evidenziare  la  scelta  di  priorità  introduciamo  una  semplice  regola:  non  ci  possono  essere  due  fattori  con  lo  stesso 
punteggio  
 

DENARO   

1 = minimo 10 = massimo   

• Attribuisco importanza alle ricompense economiche?   

• Cerco le occasioni per guadagnare di più?   

 

• Do un significato economico a ciò che faccio?   

 

SICUREZZA 1 = minimo 10 = massimo   

• Cerco un lavoro soprattutto “sicuro”?   

• Valorizzo in particolare la “solidità” dell’Azienda?   

• Amo la regolarità e le prospettive a lungo termine?   

 

 

 

 

COINVOLGIMENTO   

1 = minimo   

10 = massimo   

• Cerco di fare sentire la mia presenza?   

• Mi aspetto di essere informato sulle attività aziendali?   

 

• Sono particolarmente gratificato dal vedere le mie idee     

      messe in pratica?   
 

 

AMBIENTE 

1 = minimo 10 = massimo   

• Desidero che il luogo di lavoro favorisca anche i miei 

      hobby e svaghi?   
 

• Desidero una località di lavoro che soddisfi anche le mie     

      esigenze di vita?   
 

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• Ricerco un ambiente piacevole e un orario regolare?   

 

 

 

 

 

 

 

Il livello di motivazione   

Continuiamo con i motivatori. Ricordati di attribuire ad ogni fattore un punteggio diverso da ogni altro, per evidenziare le 
priorità.  
 

1 = minimo   

10 = massimo   

CONTENUTO DEL LAVORO   

 

• Cerco di svolgere attività che sviluppino le mie competenze?   

• Rifuggo dai lavori ripetitivi e di routine?   

• Amo occuparmi di cose varie, differenti tra loro? 1 = minimo 10 = massimo   

 

AUTONOMIA   

• Ricerco sul lavoro la massima autonomia?   

• Cerco di evitare di essere indirizzato o guidato dagli altri?   

• Mi sento responsabile di ciò che faccio?   

 

 

1 = minimo   

10 = massimo 

RICONOSCIMENTO   

• Desidero che il mio lavoro sia considerato importante?   

• Ricerco le occasioni di prestigio (es: contatti importanti, ecc.)?   

•    Amo i particolari che “fanno status”?   

 

 

1 = minimo   

10 = massimo 

SFIDA   

• Ricerco situazioni che impegnino le mie abilità al massimo?   

• Sono stimolato da impegni duri e difficili?   

• Mi sforzo di svolgere compiti che richiedono impegno crescente?   

 

 

• 

Qual è il tuo livello di soddisfazione per ciò che fai? Quale invece il tuo livello di motivazione a fare meglio e di più? 
Quali sono i fattori di soddisfazione carenti? Ricordati che se c'è qualche fattore di soddisfazione molto carente, ci 
sarà un impedimento all'espressione di quelli di motivazione..  
 

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4. Le opportunità   

LA MOTIVAZIONE PERSONALE NEL BREVE TERMINE 

 

Segui il percorso positivo:   

sii obiettivo nel valutare gli elementi    della situazione in cui ti trovi e cogli le opportunità che questa ti 

può offrire.   

Abbandona il percorso negativo:   

evita che un solo aspetto negativo della situazione “contagi” anche tutti gli altri, togliendoti obiettività di 

giudizio e impedendoti di individuare e sfruttare al meglio le opportunità.   

Ormai  conosciamo  abbastanza  bene  i  nostri  due  tecnici.  Abbiamo  esaminato  le  loro  motivazioni  a  lungo 

termine, chiamandole “aspirazioni”. Abbiamo poi preso in considerazione le loro motivazioni a medio termine, 
che  abbiamo  chiamato  “aspettative”.  Ora  non  rimane  altro  che  compiere  un  ultimo  passo  per  esaminarne  le 
motivazioni a breve termine.     

I  due  casualmente  si incontrano  ad  un  anno  di  distanza  dal  loro  inserimento.  Le  cose  non  sembrano  essere 

andate molto bene, né per uno né per l'altro. Ma ascoltiamo ciò che si dicono.   

Le parole del primo tecnico:   

“Sono  molto  deluso.  Non  si  è  verificato  nulla  di  quanto  mi  avevano  esposto  durante  il  colloquio  di 

assunzione.  Non  ho  risolto  nessuno  dei  problemi  che  ti  avevo  evidenziato  qualche  tempo  fa,  quando  ci  siamo 
visti per quel corso di formazione. Ora penso solo a portare a casa lo stipendio e sto cercando un altro lavoro per 
togliermi di qui il più in fretta possibile, sto solo perdendo tempo”.     
Le parole del secondo tecnico:   

“Ti capisco… anch'io devo dire che mi aspettavo qualcosa di più. All'inizio era tutto molto interessante, ma 

dopo  sono  entrato  nella  routine,  si  sono  esauriti  gli  stimoli…  Sento  che  le  mie  potenzialità  non  vengono 
utilizzate;  ne  ho  anche  parlato  con  il  mio  capo  ma  mi  ha  confermato  che  non  c'è  nulla  da  fare.  Così 
probabilmente  anch'io  mi  guarderò  intorno.  Intanto  però  sfrutto  l'occasione  di  operare  in  autonomia  sulla  rete 
aziendale e di addestrare un collega più giovane. Così posso approfondire le mie conoscenze tecniche ed iniziare 
ad affrontare problemi di coordinamento di altre risorse…”   

Rieccoci  di  nuovo  alle  prese  con  i  due  percorsi.  Manco  a  dirlo  il  primotecnico  è  nel  percorso  negativo.  È 

deluso,  e  questo  possiamo  comprenderlo:  non  è  riuscito  a  vedere  realizzarsi  nessuna  delle  sue  aspettative.  Ma 
dalle sue parole comprendiamo qualcosa di più: lui ha  rinunciato, in maniera definitiva a ricavare qualcosa di 
buono dalla situazione in cui si trova. Vede tutto in chiave negativa, come se l'esperienza finora fatta fosse tutta 
da  buttare.  Ormai  non  presta  più  alcuna  energia  al  lavoro,  pensa  solo  a  cercarsi  un'altra  occupazione:  in  altre 

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parole cerca di ancora di “andare via”. Ricordate che “andare via da” significa essere spinti da bisogni e quindi 
seguire il percorso negativo?   

Ora  passiamo  al  secondo  tecnico.  Anch'egli  è  piuttosto  deluso,  ma  vede  le  cose  in  maniera  del  tutto 

differente.  Il  secondo  sa  cogliere  ciò  che  di  positivo  la  situazione  può  offrirgli.  Anche  se  il  bilancio  non  è 
favorevole, anche se probabilmente, a meno che le cose non volgeranno al meglio, lui cambierà azienda, anche 
se  ci  sono  seri  motivi  di  malcontento,  la  sua  mente  non  è  completamente  offuscata  dalla  negatività.  Piuttosto 
cerca di cogliere tutto ciò che la situazione può presentare di utile: nel suo caso approfondire la sua competenza 
tecnica e cominciare a sviluppare alcune abilità gestionali.   

In altre parole, il secondo è capace di cogliere le opportunità.   

4.1. Regole per cogliere le opportunità   

Per cogliere le opportunità valgono solo alcune semplici regole di base.   

4.1.1. Prima regola: agire in tempo reale.   

L'opportunità non sarebbe tale se si potesse rimandare la scelta di poterla cogliere. L'opportunità passa e  va. 

Se  l'abbiamo  colta,  bene.  Altrimenti  non  ritorna.  E  se  ci  sembra  che  ritorni,  vuol  dire  che  non  era  una  vera 
opportunità.   

Può  apparire  un  po'  paradossale,  ma  l'importanza  di  un'opportunità  è  inversamente  proporzionale  alla  sua 

ripetibilità.  In  parole  semplici,  le  opportunità  grosse  si  verificano  solo  una  volta.  Però  ce  ne  sono  anche  di 
piccole che vale la pena cogliere.   

Quindi, occhi aperti! Non appena si presenta un'occasione, cerchiamo di agire in maniera rapida. Il secondo 

tecnico non rimanda: se può prendere qualcosa ora, prende e basta. Il vantaggio, anche se piccolo, è immediato. 
E domani potrebbe essere troppo tardi.   

4.1.2. Seconda regola: mente libera.   

Per cogliere l'opportunità bisogna innanzitutto vederla. Se non la vedi, non la puoi certamente cogliere. Ma si 

percepisce un'opportunità solo quando si ha la mente libera e, per quanto possibile, positiva. I peggiori nemici 
dell'opportunità sono il malumore ed il pensiero negativo.     

Pensiamo al primo tecnico: è così deluso ed arrabbiato che non riesce a vedere nulla di buono. È così che si 

perdono grosse opportunità. Ricordiamoci di mantenere l'obiettività in tutte le situazioni.   

4.1.3. Terza regola: non curarsi dei vantaggi degli altri   

Viviamo in un mondo pieno di interdipendenze. Così è probabile che se facciamo qualcosa di buono per noi, 

anche altri ne goderanno alcuni benefici. È un dato di fatto ineliminabile.     

Se  pensiamo  di  trovare  opportunità  che  diano  vantaggi  solo  a  noi,  dobbiamo  sapere  che  si  verificheranno 

molto  raramente.  Così,  se  non  vogliamo  dare  la  soddisfazione  ad  altri  di  avere  qualche  vantaggio,  ci 
precluderemo il raggiungimento di mete importanti.     

Pensiamo al secondo tecnico: nonostante sia arrabbiato con l'azienda, comunque cerca di svolgere al meglio il 

suo lavoro perché ciò dà beneficio soprattutto a se stessi.   

Il primo invece per non offrire vantaggi ad un'azienda che non lo merita danneggia prima di tutto se stesso.   

4.2. La dinamica delle opportunità   

Abbiamo detto che saper cogliere un'opportunità significa agire rapidamente. Ci serve dunque sapere come la 

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motivazione  agisce  in  tempo  reale.  Teniamo  presente  che  la  motivazione  a  fare  qualcosa  segue  una  formula 
piuttosto semplice
, la seguente:   

Motivazione = Aspettativa X Valore   

Questa  formula  indica  che  la  motivazione  cresce  a  seconda  di  quanto  crescono  aspettativa  e  valore,  e  si 

abbassa  quando  scende anche  un  solo  di  questi  due elementi.  Ne  basta  uno  per  farla  scendere:  se  uno degli 
elementi della moltiplicazione è zero, il risultato sarà zero.   

Ora  cerchiamo  di  capire  il  suo  significato.  “Aspettativa”  è  il  livello  a  cui  si  tende  per  riuscire  a  fare  una 

determinata cosa. “Valore” è l'importanza che si attribuisce a quella determinata cosa.     

La  nostra  motivazione  sarà  alta,  se  potremo  fare  qualcosa  che  giudichiamo  molto  importante,  ma  anche 

realizzabile. Uno scrittore è motivato nello scrivere un libro perché ritiene che il libro sia un'opera importante e, 
poiché sa scrivere, per lui è anche realizzabile. Quindi valore e aspettativa sono entrambi alti, e la motivazione 
sarà alta. Ma una persona comune, anche se ritiene il libro una meta importante, probabilmente sa di non essere 
capace di raggiungere il livello di uno scrittore. Quindi il valore è alto, ma l'aspettativa sarà bassa. Così uno dei 
due elementi fa abbassare anche il risultato finale: la motivazione in tal modo sarà bassa.   

Capito il gioco? Proviamo a sintetizzare:   
Alto valore e alta aspettativa  Alta motivazione   

Se una cosa mi interessa molto e giudico possibile realizzarla, sarò motivato nel cercare di ottenerla.   

Alto valore e bassa aspettativa  Bassa motivazione   

Se una cosa mi interessa molto, ma penso che ci siano poche possibilità di realizzarla, sarò poco motivato 

nel cercare di ottenerla.   

Alta aspettativa e basso valore  Bassa motivazione   

Se giudico fattibile realizzare una certa cosa, ma mi interessa poco ottenerla, sarò poco motivato.   

Bassa aspettativa e basso valore  Bassa motivazione   

Tanto  meno  sarò  motivato  a  perseguire  qualcosa  che,  oltre  ad  interessarmi  poco,  giudicherò  anche  poco 

realizzabile.   

Cogliere  opportunità  significa  essere  motivati  a  fare  qualsiasi  cosa  possa  procurarci  del  valore  e  ci  faccia 

avvicinare ai nostri obiettivi o alle nostre aspirazioni.   

Per potere cogliere le opportunità è dunque necessario tenere presenti due metodi:   

Primo metodo: agire sull'aspettativa   

Soprattutto in funzione dei cambiamenti è opportuno rivedere le proprie attese e cercare in ciascun momento 

di individuare “cose che si possono realizzare”.   

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Qualsiasi cosa che in linea di principio possiamo fare è una possibile opportunità.   
Secondo metodo: agire sul valore   

Dobbiamo  allenarci  a  scoprire  il  potenziale  valore  di  ogni  situazione.  Possiamo  fare  questo  domandandoci 

continuamente:  “Che  cosa  di  buono  posso  ottenere  in  questa  circostanza?”  “Come  posso  utilizzarla  per 
avvicinarmi ai miei obiettivi?” “Ci sono in questa occasione dei vantaggi che io non riesco a vedere?”   

Ci stupiremo nel constatare come ogni volta che, pur in modo scettico, ci porremo quest'ultima domanda, la 

risposta sarà “sì”.   

Ritorniamo  ai  nostri  due  tecnici.  Ora  è  chiaro  perché  il  secondo  sa  cogliere  le  opportunità:  agisce 

tempestivamente,  non  perde  la  sua  obiettività,  non  si  preoccupa  se  il  suo  comportamento  produce  vantaggi 
anche  a  chi  non lo  merita
.  Seguendo  queste  prime  tre  regole  getta  le  basi per  le  successive  due: cercando  più 
situazioni possibili in cui aumentare la propria motivazione scopre cose anche banali che si possono fare (azione 
sull'aspettativa) di cui riconosce un'utilità per se stesso (azione sul valore).   

Molto  spesso  ci  lamentiamo  del  fatto  che  la  vita  non  ci  offre  opportunità.  Sbagliato!  Siamo  noi  che  non 

riusciamo  a  vederle,  perché  non  mettiamo  in  gioco  un  atteggiamento  di  ricerca  continua  a  scoprire,  nella 
situazione  in  cui  ci  troviamo,  qualsiasi  azione  realizzabile  ed  in  grado  di  produrre  del  valore.  Tendiamo  a 
commettere l'errore di considerare “banali” attività che invece, se osservate meglio, sono molto importanti.     

Qualche esempio? Preparare una presentazione di cui non vedo l'utilità e che percepisco come una perdita di 

tempo può comunque permettermi di affinare le mie capacità di parlare in pubblico. Partecipare ad un gruppo di 
lavoro  su  un tema  che  non  è  di  mio  interesse  può  comunque  permettermi  di  conoscere  nuove  persone  e realtà 
diverse  dalla  mia.  Dover  usare  uno  strumento  diverso  da  quello  abituale  può  essere  una  scocciatura,  ma  mi 
permette di acquisire un'abilità in più. Affrontare una situazione in cui sappiamo che qualcuno si opporrà a noi, 
come ad esempio un cliente aggressivo, può non essere piacevole ma permette di sviluppare migliori capacità di 
relazione.   

Allenarsi  a  scoprire  opportunità  è  un  po’  come  prepararsi  a  scoprire  monete  d'oro  nascoste,  ma  che 

esistono e che, se vengono raccolte, possono tutte insieme costruire un tesoro.     

Opportunità: indicatori di percorso 

 

Percorso positivo:   

1. 

1. Agire in tempo reale   

2. 

2. Tenere la mente libera   

 
1. 

3. Accettare che anche altri traggano vantaggi   

2. 

4. Individuare ogni possibile spazio d'azione   

 

5. Attribuire valore anche ad attività apparentemente banali 

 

Percorso negativo:   

1. Rimandare e rimanere inattivi 2. Lascia

re che un elemento negativo provochi un “corto-circuito” 

mentale 3. Evitare di procurarsi un vantaggio perché “anche altri ci guadagnano” 4. Focalizzarsi su ciò 

che si è sempre fatto 5. Definire “banali” e “inutili” certe attività e    non prenderle neanche in 

considerazione 

 

  IDEE IN AZIONE N°14: a caccia di opportunità   

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• 

Questo esercizio ha l'obiettivo di esercitarti a cogliere le opportunità da qualsiasi situazione. Dovresti 

dunque provare a metterlo in atto, anche solo mentalmente, in qualsiasi situazione ti possa trovare.   

• 

Pensa all'attività che stai svolgendo in questi giorni.   

• 

Scrivi al centro di una pagina del C-Book gli scopi per cui la stai svolgendo, i risultati che si attende chi 

ti ha commissionato il lavoro.   

• 

Scrivi, intorno agli scopi, tutti i possibili vantaggi, che puoi ottenere svolgendo quella attività e collegali 

con un trattino agli scopi. Otterrai una specie di figura “a raggi”, dove ogni opportunità è collegata, mediante un raggio, 
al nucleo centrale degli scopi.  
 

• 

Cerca di trovare tutte, ma proprio tutte le opportunità: anche le più nascoste e le più banali.   

• 

Le avevi tutte presenti prima di iniziare questo esercizio? Non attribuisci all'attività che stai svolgendo un 

valore maggiore rispetto a prima?   
 
La tensione verso le opportunità   

• 

Come  hai  già  fatto  per  aspirazioni  ed  attese,  prova  ad  effettuare  una  autovalutazione  della  tua  tensione  verso  le 
opportunità.  
 

OPPORTUNITA’   

1 = minimo 10 = massimo   

• Sono flessibile, pronto a rivedere le mie attese   

      a fronte di cambiamenti? 
 

• So cogliere gli aspetti di vantaggio delle situazioni?   

• Ritaglio aree di iniziativa personale?   

 

 

 

 

• 

Sei abituato a cogliere le opportunità? Vorresti migliorare? Fissa il livello di miglioramento che vorresti raggiungere, 
oltre a quello che descrive la tua attuale posizione. Riuscirai a migliorarti tanto più metterai in pratica l'esercizio “a 
caccia di opportunità”, sforzandoti di cercare, in qualsiasi situazione, tutti i vantaggi che ti può dare.  
 

 

Minuti / ore / giorni / settimane / mesi    / anni / decenni   

Fig. 1 

– aspirazioni, attese e opportunità in funzione della prospettiva nel tempo e del legame con la realtà.