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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Cenni biografici

Dolindo Ruotolo nacque a Napoli il 6 ottobre 1882 da Raffaele
Ruotolo, ingegnere e matematico, e da Silvia Valle, discendente della
nobiltà napoletana e spagnola. La famiglia era numerosa e le entrate
alquanto scarse, questo faceva sì che spesso nella sua casa si
soffrisse la fame e mancassero persino vestiario e scarpe. Don
Dolindo descriveva il padre come una persona molto rigida; Raffaele
tra l‟altro non mandò i figli a scuola, ma volle insegnargli egli stesso
a leggere e scrivere, per cui la loro educazione fu molto sommaria.

Nel 1896, Dolindo e il fratello Elio vennero messi dai genitori nella
Scuola Apostolica dei Preti della Missione. Nel 1899, Dolindo venne

ammesso al noviziato. Il 1° giugno 1901, fece i voti religiosi e il 24 giugno 1905 venne
ordinato sacerdote. Successivamente venne nominato maestro di canto gregoriano e
professore dei chierici della Scuola Apostolica.

La vita da sacerdote Vincenziano fu intessuta da tanti episodi dolorosi. Dal 3 settembre
1907, fu vittima di una serie di errori e incomprensioni che lo portarono al giudizio
dell‟allora Sant‟Uffizio. Venne sospeso dai sacramenti e fu sottoposto anche a perizia
psichiatrica, dove risultò sano di mente. Ridatigli i sacramenti, fu inviato di nuovo a
Napoli dove fu espulso dalla sua Comunità. Seguirono anni pieni di tormenti di ogni
genere. Dovette accettare di essere esorcizzato e, considerato pazzo, fu oggetto di dolorosi
attacchi da parte della stampa.

Nella sua solitudine cominciò ad avere delle comunicazioni soprannaturali, per cui
scriveva quanto gli veniva rivelato, specie da santa Gemma Galgani. Il 22 dicembre 1909
Gesù gli parlò solennemente dall‟Eucarestia. Durante la celebrazione eucaristica
percepiva la presenza della Madonna, dei Santi e degli Angeli custodi degli astanti.

Si trasferì a Rossano in Calabria e da lì partì la richiesta di revisione, grazie anche
all‟aiuto di prelati amici, alcuni dei quali anche testimoni dei suoi doni soprannaturali.
Nel 1910 venne finalmente riabilitato, dopo due anni e mezzo di sospensione, ma le sue
tribolazioni non erano finite. Nel dicembre 1911, Don Dolindo venne nuovamente
convocato dal Sant‟Uffizio a Roma e nel 1921 subirà anche un processo, dove verrà
condannato ed esiliato. Venne definitivamente riabilitato nel 1937.

Pur fra continui dolori ed incomprensioni, la sua vita di sacerdote, ormai diocesano,
proseguì a Napoli. Fu l‟ideatore dell‟ “Opera di Dio”, il cui scopo era principalmente
quello di promuovere una rinnovata vita eucaristica. Intorno a lui si radunavano tanti
giovani, tutti di cultura elevata, che in seguito formarono l‟Opera “Apostolato Stampa”.

L‟Opera, attraverso la stampa degli scritti di Don Dolindo, riuscì a far conoscere ovunque
il suo insegnamento.

Don Dolindo non amava le delicatezze del cibo e del vestiario, sopportava il freddo e la
fame e fu visto camminare nella neve senza calzini ai piedi. Riceveva tutti, per tutti
pregava, per tutti soffriva. Si avvicinava ai malati più infetti e li carezzava, li baciava e là
dove il ribrezzo avrebbe in altri estinto la compassione in lui suscitava la pietà.

Dolindo Ruotolo

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Padre Ruotolo fu uno scrittore estremamente prolifico, i suoi scritti più importanti vanno
dal monumentale “Commento alla Sacra Scrittura”, in 33 volumi, alle tante opere di
teologia, ascetica e mistica. Di lui ci sono rimasti interi volumi di epistolario, scritti
autobiografici e di dottrina cristiana. Raccontò la sua vita in una poderosa
“Autobiografia” oggi stampata in due volumi, con il titolo “Fui chiamato Dolindo, che
significa dolore”.

Nel 1960 iniziava un altro calvario per padre Dolindo, un ictus gli immobilizzò il lato
sinistro, ma non riuscì a fermarlo. Dal suo tavolino continuava a scrivere alle sue “Figlie
spirituali”‟ sparse un po‟ dovunque.

Don Dolindo Ruotolo si spense il 19 novembre 1970 all‟età di 88 anni a causa di una
broncopolmonite. Poco prima della sua morte, nel generale raccoglimento attorno al suo
letto di morte, si era diffuso nell'aria un profumo di gigli, sentito dai presenti e accolto
come stigma ultimo della sua santità.

Servo di Dio Dolindo Ruotolo Sacerdote, teologo

Napoli, 6 ottobre 1882 – 19 novembre 1970


“Fui chiamato Dolindo, che significa dolore…” sono sue parole per spiegare il significato
di questo strano nome, elaborato ed impostagli dal padre al battesimo. Fu tutto un
programma di vita, che inconsapevolmente il genitore predestinò al quinto dei suoi 11
figli.

Dolindo nacque a Napoli il 6 ottobre 1882 da Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico e
da Silvia Valle discendente della nobiltà napoletana e spagnola; il dolore effettivamente si
presentò nella sua vita prestissimo, a 11 mesi subì una operazione chirurgica sul dorso
delle mani, per un osso cariato, poi un altro intervento per un tumore sotto la guancia
che interessò anche le ghiandole.

La numerosa famiglia, le scarse entrate, la quasi avarizia del padre, facevano si che nella
sua casa si soffrisse la fame, con mancanza di vestiario e scarpe. La sua vita l‟ha
raccontata in una poderosa „Autobiografia‟ oggi stampata in due volumi, con il titolo “Fui
chiamato Dolindo, che significa dolore”; egli racconta che in casa vigeva la eccessiva
rigidità del padre, che fra l‟altro non li mandava a scuola, dando loro personalmente
sommarie lezioni di leggere e scrivere.

Nel 1896, i coniugi Ruotolo troppo diversi nel carattere, si separarono e Dolindo con il
fratello Elio, venne messo nella Scuola Apostolica dei Preti della Missione in via Vergini.
Dopo tre anni, a fine 1899, venne ammesso al noviziato e nel maggio 1901 passò allo
Studentato dei Preti della Missione che durò quattro anni fino al 1905.

Nel 1903 fece domanda di andare in Cina come missionario; il Visitatore dell‟Ordine gli
rispose: “Dio le dà questo desiderio per prepararla alle sofferenze e all‟Apostolato. Sarà
martire, ma di cuore, non di sangue. Rimanga qui e non ne parli più".

Il 1° giugno 1901, fece i voti religiosi e il 24 giugno 1905 venne ordinato sacerdote,
celebrò la Prima Messa il giorno seguente, assistito dal fratello Elio già sacerdote; fu
nominato maestro di canto gregoriano e professore dei chierici della Scuola Apostolica.

La vita da sacerdote „Vincenziano‟, fu intessuta da tanti episodi dolorosi, che
mortificarono padre Dolindo, dandogli però quella forza di sopportare tutto senza

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ribellarsi, prendendo tutto ciò come manifestazione della particolare attenzione di Dio
nei suoi confronti e che lo forgiava a ciò che era destinato in seguito.

Fu a Taranto insieme ad un altro sacerdote, che purtroppo usò con lui atteggiamenti di
scarsa carità e considerazione, riprendendolo spesso davanti agli alunni di quel collegio,
che già aveva tanti problemi di disciplina. Tutto ciò portò nel 1907 al suo trasferimento
da Taranto a Molfetta come insegnante nel seminario e maestro di canto gregoriano,
trascorse in questo luogo sei mesi, risollevandosi nello spirito, ma rammaricandosi di
non avere più ogni giorno, quelle mortificazioni divenute necessarie per la sua anima,
tutta protesa verso il Cristo sofferente.

Ma dal 3 settembre 1907, le forze dell‟incomprensione e del dolore si scagliarono contro
padre Dolindo Ruotolo; fu chiamato da p. Volpe che era stato trasferito a Catania, a dare
un giudizio su una giovane donna di nome Serafina, sembrava che avesse doti di
veggente e che aveva avuto già un parere positivo dallo stesso padre Volpe.

Giunta la donna a Giovinazzo vicino Molfetta, padre Dolindo ebbe modo di confessarla e
controllarla personalmente per otto giorni, sentendola parlare anche in estasi; il parere
fu positivo da parte sua, anche se la supposta veggente asseriva di assistere alla
„manifestazione dello Spirito Santo in forma di bambino‟.

La sua relazione fu travisata dal Visitatore (Superiore Generale) di Napoli, per cui ciò che
era l‟affermazione di una „visione‟ fu distorta e divenne una „incarnazione dello Spirito
Santo‟, per padre Ruotolo fu la fine, ogni chiarimento e delucidazione sulla relazione fu
inutile, il Visitatore rimase convinto che lui sostenesse questa eresia.

Il 29 ottobre 1907 fu richiamato a Napoli, intimato di non interessarsi più di questi fatti
straordinari, della supposta veggente di Catania e lo sospese dalla celebrazione della
Messa. Anche il padre Volpe era stato richiamato da Catania e sospeso; tutti nella Casa
dei Vergini lo sfuggivano come uno scomunicato, il 4 dicembre 1907, partì per Roma per
sottoporsi al giudizio dell‟allora Sant‟Uffizio, stette in esame circa quattro mesi, ma lui
non tornò indietro su quanto aveva relazionato, perché visto e sentito con i suoi occhi e
quindi non tolse la sua solidarietà al suo superiore padre Volpe.

Sospeso dai sacramenti, fu sottoposto anche a perizia psichiatrica, dove risultò sano di
mente. Ridatigli i sacramenti, fu inviato di nuovo a Napoli con l‟espulsione dalla
Comunità e il 15 maggio 1908 con la morte nel cuore, ritornò nella sua casa. Seguono
anni di tormenti di ogni genere, dovette accettare di essere esorcizzato, considerato come
un pazzo, i fatti furono riportati negativamente sulla stampa e travisati, per cui sia lui
che p. Volpe si trovarono completamente emarginati.

Nella sua solitudine cominciò ad avere delle comunicazioni soprannaturali, per cui
scriveva quanto gli veniva rivelato, specie da santa Gemma Galgani; il 22 dicembre 1909
Gesù gli parlò solennemente dall‟eucarestia. Si spostò a Rossano in Calabria e da lì parte
la richiesta di revisione, con l‟aiuto di prelati amici e certi della sua dottrina e alcuni
anche testimoni dei suoi doni soprannaturali; l‟8 agosto del 1910 viene riabilitato dopo
due anni e mezzo di sospensione.

Ma una seconda volta nel dicembre 1911, padre Dolindo viene convocato a Roma,
alloggiando in una specie di carcere sacerdotale del Sant‟Uffizio e rimandato a Napoli nel
1912. A questo punto, a causa dello spazio, non si può proseguire nel descrivere nei
particolari la sua vita; egli subirà anche un processo nel 1921, verrà condannato,
esiliato di nuovo, il suo dolore è immenso, vengono messe in giudizio anche le locuzioni

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con Gesù che egli riceveva, la critica alle sue opere letterarie e teologiche erano aspre.
Venne definitivamente riabilitato il 17 luglio 1937; pur ricevendo ancora dolori ed
incomprensioni, la sua vita di sacerdote ormai diocesano, prosegue a Napoli nella chiesa
di S. Giuseppe dei Nudi, di cui il fratello don Elio sarà parroco. Egli è l‟ideatore
dell‟'Opera di Dio', il cui senso è una rinnovata vita eucaristica, cioè il contatto personale
e consapevole dell‟uomo con Gesù vivo e vero, la disponibilità a lasciarsi trasformare in
Lui, come rimedio ai tanti mali che affliggono l‟individuo e che si riflettono su scala più
ampia sul mondo intero.

Intorno a lui si radunarono tante giovani donne e uomini, tutti di cultura elevata o
laureati, che formarono l‟Opera “Apostolato Stampa” che diffusero in ogni luogo
l‟insegnamento di padre Dolindo, attraverso soprattutto la stampa dei suoi scritti e delle
tante riedizioni.

Certo che di scritti di padre Ruotolo ce ne sono parecchi, vanno dal monumentale
“Commento alla Sacra Scrittura” in 33 grossi volumi, alle tante opere di teologia,
ascetica e mistica; interi volumi di epistolario, scritti autobiografici e di dottrina
cristiana.

Nel 1960 inizia un altro calvario per padre Dolindo, un ictus lo immobilizza il lato
sinistro, ma non lo ferma, dal suo tavolino continua a scrivere alle sue „Figlie spirituali‟
sparse un po‟ dovunque, finché dopo dieci anni di queste sofferenze fisiche, si spense il
19 novembre 1970.

Vera luce della spiritualità napoletana e della Chiesa cattolica; riposa nella chiesa di S.
Giuseppe dei Nudi, dove è anche la tomba di suo fratello Elio.

Le „Figlie spirituali‟ di don Dolindo, tengono vivo il suo ricordo ed i suoi insegnamenti
nella “Piccola Casa della Scrittura”.

Antonio Borrelli

Dolindo Ruotolo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Dolindo Ruotolo (Napoli, 6 ottobre 1882 – Napoli, 19 novembre 1970) è stato un
presbitero italiano, terziario francescano, venerato come servo di Dio dalla Chiesa
cattolica.

Quinto degli undici figli di Raffaele, ingegnere e matematico, e Silvia Valle, discendente
della nobiltà napoletana e spagnola, ebbe un'infanzia difficile per problemi di salute e le
ristrettezze economiche della famiglia. Nel 1896, con la separazione dei genitori, Dolindo
(il cui nome si richiama al "dolore") fu avviato con il fratello Elio alla Scuola Apostolica
dei Preti della Missione e tre anni dopo fu ammesso al noviziato. Prese i voti religiosi il 1º
giugno 1901 e due anni dopo chiese senza successo di essere inviato in Cina come
missionario.

Dopo l'ordinazione presbiterale del 24 giugno 1905, fu nominato professore dei chierici
della Scuola Apostolica e maestro di canto gregoriano. Per un breve periodo si trasferì a
Taranto e poi al seminario di Molfetta dove insegnò e lavorò per la riforma del seminario
stesso.

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Il 29 ottobre 1907 fu richiamato a Napoli, intimato di non interessarsi più della faccenda
e fu sospeso a divinis. Accusato d'essere un «eretico formale e dogmatizzante», andò a
Roma per sottoporsi al giudizio del Sant'Uffizio: dopo quattro mesi di inchiesta, nei quali
Ruotolo non ritrattò, fu sospeso a divinis e costretto a sottoporsi a perizia psichiatrica,
dalla quale risultò sano di mente. Il 13 aprile 1908 fu convocato a Napoli dai superiori
della congregazione, che lo espulsero e lo sottoposero a un esorcismo.

Si trasferì a Rossano, in Calabria; l'8 agosto 1910 la richiesta di revisione della
sospensione ebbe esito positivo e fu riabilitato, dopo due anni e mezzo di sospensione.
Per la seconda volta, nel dicembre 1911, venne convocato a Roma e poi rimandato a
Napoli nel 1912. Subì un processo nel 1921, fu condannato e nuovamente allontanato.
Venne definitivamente riabilitato il 17 luglio 1937.

La sua vita di sacerdote ormai diocesano proseguì a Napoli, nella chiesa di San Giuseppe
dei Nudi, di cui il fratello Elio fu parroco. Qui Ruotolo fu l'ideatore dell'Opera di Dio e
dell'Opera Apostolato Stampa.

Ruotolo lasciò il Commento alla Sacra Scrittura in 33 volumi, molte opere di teologia,
ascetismo e mistica, interi volumi di epistolari, scritti autobiografici e di dottrina
cristiana. Il Commento alla Scrittura adottava un metodo esegetico tradizionale cercando
di ricomporre nell'esegesi la frattura tra scienza e fede, combattuto allora dal Pontificio
Istituto Biblico e dalla Pontificia Commissione Biblica, guidati rispettivamente da
Augustin Bea e da Eugène Tisserant. La sua opera fu condannata dal Sant'Uffizio per
l'intervento di padre Alberto Vaccari, nonostante la difesa di Giovanni Maria Sanna,
vescovo di Gravina e Irsina, e di Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna.

Nel 1960 un ictus gli immobilizzò il lato sinistro del corpo. Morì il 19 novembre 1970. Il
suo corpo è tumulato nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi a Napoli.

Ebbe ancora in vita fama di santità. Di lui disse San Pio da Pietrelcina, ai fedeli

napoletani in pellegrinaggio da lui: «Perché venite qui, se avete Don Dolindo a
Napoli? Andate da lui, egli è un santo
».

Il suo biografo Luca Sorrentino ne traccia questo ritratto:

«Un amanuense dello Spirito Santo, una Sapienza infusa dall'alto, un taumaturgo di non
minor presenza di Padre Pio da Pietrelcina, uno stigmatizzato di Cristo già nel nome, un

figlio prediletto della Vergine iniziato alla sapienza delle Scritture, un servo fedele che volle
essere il nulla del nulla in Dio e il tutto di Dio negli uomini
.» (Luca Sorrentino)


Considerato da molti un maestro della spiritualità napoletana e della Chiesa cattolica[4],
riposa nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi, dove si trova anche la tomba di suo fratello
Elio.

Attualmente è in corso il processo di canonizzazione.

Opere:

Gesù, pensaci tu

Chi morrà vedrà (sul Purgatorio e sul Paradiso)

Commento alla Sacra Scrittura (in 33 volumi)
Così ho visto l'Immacolata

Dalla sorgente rivoli di luce

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Don Dolindo e il Sant'Uffizio (lettere da Roma)

Epistolari (lettere in 3 quaderni)
Fui chiamato Dolindo, che significa dolore. Pagine di autobiografia, Sessa Aurunca-Napoli-

Riano, 1972
Fuoco che non riposa

I fioretti di Don Dolindo (raccolta di pensieri, aneddoti, parabole)

Il piccone che scava brillanti
La dottrina cattolica (catechismo)

Maria... chi mai sei tu?

Nei raggi della grandezza e della vita sacerdotale
Opuscoli (raccolta di preghiere, sermoni, pensieri)

Slanci di amore a Gesù e a Maria
Una profonda riforma del cuore alla scuola di Maria

Vieni, o Spirito Santo!


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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Selezione di brani tratti da

"La Sacra Scrittura - L'Apocalisse"

di

Don Dolindo Ruotolo

Pubblicato nel 1974 con Imprimatur

di Mons. Vittorio. M. Costantini,

Vescovo di Sessa Aurunca

L'azione più grande Dio la compie sulle anime umili

Maria SS., gloriosa città di Dio

Filadelfia e Laodicea, prefigurazioni della Chiesa degli ultimi tempi (Apocalisse cap.

3).

L'imperialismo nel disegno di Dio (Apocalisse cap. 6)

Le catastrofi: disegno di amorosa carità (Apocalisse cap. 7)

Nelle tribolazioni l’uomo può smarrirsi... (Apocalisse cap. 8)

L'ordine degli avvenimenti annunziati nell'Apocalisse (Apocalisse cap. 11)

La misura del Santuario realizzerà il Regno di Dio nelle anime (Apocalisse cap. 11)

I due ulivi (Apocalisse cap. 11)

Il ruolo di Maria, Donna vestita di Sole, negli Ultimi Tempi (Apocalisse cap. 12)

L'immagine e il marchio della Bestia (Apocalisse cap. 13)

Le due bestie che sorgono dal mare e dalla terra (Apocalisse cap. 14)

Il Signore ci chiama a penitenza (Apocalisse cap. 16)

Il Regno dei "mille anni" (Apocalisse cap. 20)

Il Giudizio di Dio che pesa sui corruttori della Scrittura (Apocalisse cap. 22)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

L’azione più grande Dio la compie

sulle anime umili


Per la nostra vita spirituale.

Voler tutto capire, voler tutto scrutare: quale tragica presunzione!

Dio vuole da noi un pieno abbandono in Lui, e una piena fiducia nelle sue arcane
disposizioni. Non possiamo discutere, dobbiamo star quieti e attendere. La presunzione
di voler tutto capire e di voler tutto scrutare è quello che molte volte uccide la nostra fede
e ci priva di innumerevoli grazie. Lo spirito critico, che presume ragionare là dove può
solo adorare è il meno adatto a capire la profondità di certi misteri. Nel presumere di
scrutarli ci si confonde e si rimane avvolti da più fitte tenebre.

Dio lavora mirabilmente dal nulla e sul nulla, e la sua azione è più grande sulle anime
che per l‟umiltà si avvicinano quasi ai confini del nulla e vivono nel nulla della loro
piccolezza. È questo un principio di vita soprannaturale così importante e fondamentale,
che bisogna scolpirselo nell‟anima. È un principio cosi vitale per la nostra illuminazione
e santificazione, che Gesù Cristo ne fece un particolare ed esplicito ringraziamento al
Padre: Ti ringrazio che hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli (Luca
Cap. X, 21; Matteo XI, 25). Perché questa predilezione per ciò che è piccolo e nulla? Non
per dominio, non per superiorità, non per il giusto distacco tra la sua grandezza e la
nostra, perché Egli è infinito, ed ogni grandezza è nullità innanzi a Lui, ma per infinita
signorilità e bontà.

Dio tratta le sue creature con immensa riverenza, come dice Egli stesso dando loro
l‟essere e armonizzandole nel creato, rispetta quello che loro ha dato, fino alla più
signorile delicatezza [Se Egli fa tutto con perfettissima sapienza, è logico che rispetti ciò
che ha fatto, avendolo già disposto con sapienza nell‟ordine delle cose. Per questo ogni
nostro disordine esige la riparazione e l‟espiazione, ossia il ritorno all‟ordine stabilito dal
Signore]. Nelle infinite possibilità di operare che Egli ha, e nell‟assoluta padronanza che
Egli può avere come Creatore, egli rispetta e mantiene anche l‟entità di una piccola
ameba, di un granello di sabbia o di un atomo. Potrebbe agire a suo modo, e sembra
quasi dipendere da quella creatura, tanto là rispetta. Nella sua divina, ineffabile
signorilità la riguarda quasi come se fosse un essere da sé. È ardito il dirlo, ma è cosi,
poiché Egli stesso esclamò: Io l‟ho detto: Voi siete déi, et dixi: dii estis (Giov. X, 34-35).

Meno la creatura presenta a Lui la propria entità, e più Egli le si effonde con generosa
bontà; più la creatura si attacca alla propria entità, e meno Egli opera in lei, per non
ledere menomamente quel diritto di vita che le ha dato. Sta in questo il concetto ultimo e
profondo dell‟umiltà e dell‟orgoglio, dell‟elevazione e dell‟abbassamento delle anime.

Oh, se capissimo, faremmo solo lo studio di impiccolirci e di annientarci, e
impiegheremmo la vita a spogliarci di noi e a raccogliere dalla nostra entità di creature
tutto quello che può farci più piccoli! Vivremmo in pieno la parola di Gesù: Rinneghi se
stesso (Marco VIII, 34). Noi invece facciamo uno studio per ingrandirci, e ci poniamo
innanzi a Dio con tale presunzione, da gonfiare il più che è possibile la nostra entità, fino
a metterci alla pari con Lui, anzi sopra di Lui. Oltrepassiamo satana e gli Angeli ribelli,

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che per voler essere pari a Lui decaddero e precipitarono negli abissi, sotto il peso della
loro entità, nella quale concentrarono tutta la loro ammirazione e il loro torbido amore.

Noi crediamo che l‟infinita calma divina si sia adirata ed abbia esploso contro di loro
come contro rivali; neppure per ombra! Dio rispettò interamente la loro entità, e poiché
essa si divideva dal suo amore, la lasciò a se stessa per signorilità. Lasciati a se stessi
perché lo vollero, irresistibilmente lo vollero, furono come astri spenti, come bolidi
lanciati nell‟abissale vuoto del creato, che non era la loro sazietà e la loro meta, e si
accesero di fiamme consumatrici, avvolti dall‟infelicità della loro vita senza respiro di
amore, perché concentrati in un oggetto sommamente odioso: in se stessi, vuoti di
grazia, pieni di odio, colmi di ira, gonfi di orgoglio, anelanti alla distruzione, al disordine,
all‟eccidio [Per questo il demonio è chiamato omicida fin dal principio. C‟è in lui e nei
suoi satelliti una furia devastatrice, perché egli odia la creazione; glorificazione di Dio, e
questa furia egli la comunica a quegli che invasa, come si vede negl‟indemoniati, nei
pazzi, nei rivoluzionari ecc.], perché disperati nel loro furore! Dio lasciò ad essi la loro
entità naturale, posto che avevano rigettata. la grazia; lasciò quello che avevano come
spiriti, e che, benché entità decaduta, era formidabile [Questo ci faccia capire che cosa
immensa è un Angelo glorioso].

Si direbbe che Dio abbia creato quasi timidamente quelli che dovevano occupare i seggi
di gloria da essi abbandonati, perché pose l‟uomo là dove satana aveva la sua sfera di
azione e il suo tenebroso regno, quasi avesse voluto da lui un certo consenso a quella
sostituzione che pur ripugnava al suo creante amore. Egli voleva almeno che l‟uomo
avesse conteso a satana il regno, e meritandoselo l‟avesse lasciato meno agitato. Sono
misteri ineffabili dell‟Eterno Amore, dei quali, c‟è dato, per grazia di Dio, di sollevare
appena il velo timidamente. Essi saranno il nostro eterno stupore, e ci colmeranno di
riconoscente e sconfinato amore per Colui che è buono e la cui misericordia è eterna
(Salmo 135, 1).

Noi vediamo con quanto delicato riserbo Egli ha redento l‟uomo, che nella pur facile
giostra con satana era rimasto soccombente. Non volle ricolmare di grazia un uomo
perché avesse conteso a satana la preda, intervenendo egli stesso, e mandò il suo
Figliuolo, rivestendolo di umana carne. E il Figliuolo suo contese con satana come
Sansone coi Filistei, facendosi vincere, quasi volesse lasciargli la soddisfazione, per un
momento, di averlo vinto, pur di non schiacciare quell‟entità tenebrosa.

In un agone stupendo di umiltà, il Verbo Incarnato ridusse alle corde Il superbo che
aveva detto: sarò simile a Dio!

Egli contese con lui riportando l‟uomo sui confini del nulla, fin là dove la grazia avrebbe
potuto restaurarlo, e si umiliò, fatto obbediente sino alla morte ed alla morte di Croce.
Ecclissò la sua divina grandezza e preferì farla rifulgere in Maria SS., quasi sole invisibile
nella notte, che rifulge per la luna sulle umide e oscure valli.

A Maria assegnò il mandato di schiacciare il capo a satana, Egli prese per Sé un
mandato più umile, e preferì quasi farsi schiacciare e soccombere.

Solo in questo agone stupendo di umiltà Egli ridusse alle corde il tracotante che aveva
dètto: Sarò simile all‟Altissimo! Scelse tutte le vie delle supreme umiliazioni, dopo delle
quali non c‟era che il nulla; si esinanì in quelle umiliazioni, per ripresentare a Dio in se
stesso l‟uomo in una forma più vile della creta, affinché di nuovo gli avesse spirato sul
volto lo spiracolo della vita. Ed egli glielo spirò e glielo spira mandandogli lo Spirito

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Santo: Emitte Spiritum tuum et creabuntur. È un mistero ineffabile,... l‟anima ci si
perde adorando ed amando, e capisce un poco la preziosità dell‟umiltà.

La medesima Regina del Cielo fu grande per l‟interiore suo annientamento; Dio ne
misurò fin dai secoli eterni la profondità, unì quell‟umiltà agli annientamenti del Verbo
che in Lei doveva incarnarsi, e vide che quell‟entità luminosa non gli opponeva nulla in
quella profonda umiliazione... Si trovò quasi sull‟abisso del nulla, sul quale soltanto
l‟infinita sua signorilità si sente padrona di effondersi come vuole perché non urta
neppure con un atomo; rifuse in Lei un torrente di grazie, e nel concepirla la fece
immacolata.

Non era ancora, e Dio la possedette, perché in quell‟essere Egli sapeva che sarebbe stata
l‟umiltà, e sull‟umiltà umiliata per gli annientamenti del Verbo umiliato fino all‟umana
carne e fino all‟immolazione, Egli, Dio, poteva da padrone cesellare il suo capolavoro.

Oh, i misteri soavissimi dell‟umiltà! Oh quanto godremmo di annientarci ed essere
annientati se lo potessimo capire! Lo disse la Vergine stessa, riconoscendo la profondità
di questo mistero: Egli guardò l‟umiltà, la piccolezza dalla sua serva, ed ecco perché da
ora mi chiameranno beata tutte le genti (Luc. I, 48).

Noi intendiamo perché Dio iniziò la creazione creando l‟atomo, e perché la sua
onnipotenza pose a base di tante creature la più piccola delle entità; Egli dotò quel
piccolo essere di formidabili forze e gli assegnò d‟allora miliardi di secoli perché si fosse
sviluppato e composto. Quel piccolissimo essere gli lasciava più libertà d‟effondere la sua
potenza, la sua sapienza e il suo, amore, ed Egli metteva in quel primo simbolo l‟ombra
della grande legge dell‟umiltà.

Se non ci possiamo ridurre al nulla perché, più non saremmo, dobbiamo ridurci
all‟atomo perché la grazia ci possegga in pieno, invisibili come l‟atomo per il
nascondimento completo, piccolissimi come l‟atomo nella nostra estimazione, polo
negativo del nostro povero elettrone nel disprezzo di noi, polo positivo nell‟estimazione di
Dio solo sopra tutte le cose, parte armonica, umile parte armonica nella compagine
umana, per la carità, rifuggenti dalle lodi come rifugge il piccolo polo positivo dall‟energia
positiva che le si vorrebbe aggiungere, e se ne allontana quasi inorridito, come si
allontana dalla verga elettrizzata l‟umile pallina di sambuco.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 167-171 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Maria SS., gloriosa città di Dio


La nuova Gerusalemme

Di questa ammirabile città dobbiamo far parte anche noi, con l‟aiuto della divina
misericordia, e perciò dobbiamo scolpirci nel cuore queste arcane parole: Non entrerà in
essa nulla d’immondo, o chi commette abominazione o menzogna.
Come potremo

barattare tanta felicità e tanta gloria per un vile piacere dei sensi? Come potremo
idolatrare questa putrida carne e vivere nella menzogna del mondo noi che cerchiamo la
celeste città di Dio?

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Separiamoci recisamente dallo spirito del mondo, camminiamo nella santa umiltà della
Croce, seguiamo Gesù Cristo al Calvario per essere un giorno glorificati con Lui
eternamente. Non facciamo noi tanto lavoro per procurarci una bella casetta, per
adornarla, per farcene un nido di felicità? Eppure è una casa che passa ed anche
quando è magnifica non è che la cella d‟una prigione o l‟angusto posto d‟una stazione di
partenza. Stolti che siamo se c‟infanghiamo in questa vita, vivendo di abominazioni e di
peccati! Passerà la figura di questa povera terra, sarà tutto bruciato dal fuoco, e non
rimarrà nulla di quello che avremo edificato a scapito dell‟anima nostra; rimarrà solo
come titolo di condanna e motivo di eterna infelicità quello che avrà occupato e consunto
tutta la nostra vita.

Viviamo santamente, anche a costo di dover contrastare continuamente questa corrotta
natura che ci appesantisce e ci tira all‟abisso. Anche noi, nel nostro piccolo, dobbiamo
essere città di Dio, abitazione della sua gloria, monumento splendente della sua
misericordia. Dobbiamo avere la chiarezza di Dio per la grazia, e la sua luce per la fede,

la speranza e la carità. Dobbiamo essere separati dal mondo come da un grande muro,
vivendo solo nella Chiesa sul saldo fondamento degli Apostoli. Tutto dev‟essere prezioso
in noi, poiché la nostra vita deve essere soprannaturale in ogni suo atto, impiegata per la
gloria di Dio, immolata per Lui e per la carità. Nulla d‟immondo può entrare in noi, e
perciò custodiamo gelosamente la purità; non ci macchi l‟abominazione del mondo, non
ci ottenebri la sua menzogna.

Siamo redenti dal Sangue di Gesù Cristo e dobbiamo purificarci in quel Sangue Divino
affinché per Lui siamo scritti nel libro della vita. Viviamo di Lui Sacramentato, ed Egli
sarà lampada accesa in noi, che ci farà glorificare il Padre in ogni atto della nostra vita.
Se ci scoraggia la nostra debolezza e la nostra miseria, guardiamo Maria SS., gloriosa
città di Dio posta sui monti, elevata su tutti i Santi, splendente della chiarezza di Dio per
la pienezza di grazie, tempio vivo dell‟Eterno Amore perché sposa dello Spirito Santo,
illuminata dall‟Agnello Divino perché sua Madre, anticipatamente redenta dal Sangue di
Lui e resa tutta bella nel candore immacolato.

O Maria, tu sei la Città Santa di Dio: la Chiesa militante guarda a te in questi
momenti di angoscia...

Nello stesso modo che la donna vestita di sole e coronata di dodici stelle, la Chiesa
militante, è tutta incentrata in Maria SS. (cap. XII), cosi la città gloriosa di Dio, la Chiesa
trionfante, raggiunge il suo massimo fulgore in Maria. Maria scende dal Cielo da Dio, per
la sua elezione, primogenita e privilegiata tra tutte le creature, piena della chiarezza di
Dio, rifulgente negli splendori dell‟eterna gloria come pietra preziosissima, limpida come
cristallo per la sua ineffabile purezza.

Separata da ogni influsso di male e custodita come da altissimo muro, Essa città santa
della divina misericordia, che ha dodici porte, tre per ogni punto cardinale, perché
accoglie tutte le genti, è rifugio di tutti i popoli della terra, ed è chiamata beata da tutte
le generazioni.

Se gli Apostoli sono il fondamento della Chiesa, Maria ne è lo splendore, poiché è
innalzata al di sopra di essi nel fastigio della grazia, ed è tutta come purissimo oro nella
ricchezza delle grazie e dei privilegi che l‟arricchiscono. Le genti camminano alla sua
luce,
perché per Lei vengono agli uomini tutte le grazie, i Re della terra portano a Lei la

gloria e l’onore, perché Essa è Regina dei cieli, e le genti la esalteranno fino alla
consumazione dei secoli, chiamandola beata. Nel terreno pellegrinaggio Maria sia per noi

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la splendida città di Dio che c‟incoraggi ad amare la virtù, a sospirare all‟eterna gloria, a
camminare per i sentieri che ad essa ci conducono. Innanzi alla sua purezza immacolata
noi intendiamo che nulla d‟immondo può entrare in Cielo, e fuggiamo le abominazioni
dei sensi; innanzi al suo splendore, che è candore dell‟eterna luce e dell‟eterna verità,
intendiamo che non possiamo vivere delle menzogne della vita presente; Essa, vincitrice
di satana, può darci la vittoria sulle insidie del maligno, e può condurci all‟eterna vita.

O Maria, o Maria, la Chiesa militante guarda a te in questi tempi di angoscia mortale, e
da te aspetta il suo trionfo e il rinnovellamento di tutto in Gesù Cristo e per Gesù Cristo.
La tua gloria deve rifulgere di nuovo splendore in questo mondo desolato, e fra queste
macerie ancora fumanti tu devi mostrarti a tutta l‟umanità come mistica Città di
Dio, visione di pace, luce di perfezione, splendore che ci attrae al Re pacifico.

Nella notte del pellegrinaggio terreno tu sei la nostra luce; eletta come la luna;
splendente immacolata nei raggi dell‟Eterno Sole, tu ti levi regina sulla nostra povera
valle di pianto. Traccia tu la via del Cielo ai poveri peccatori, rinnovella con la potenza
della grazia di Dio questi poveri templi diroccati, fa risplendere novellamente su questa
terra la luce del Signore.

Tu sei donna mirabile vestita di sole nel tuo concepimento immacolato, e sei città
gloriosa di Dio nella tua assunzione alla gloria e nella tua materna regalità.

Ti cinga il capo questa novella corona di gloria, e tutte le genti camminino nella tua luce
ascendendo al trono dell‟Eterno Amore.

Per te venga il regno di Dio nei nostri cuori, per te venga nel mondo o Regina, o Madre di
misericordia, o vita, o dolcezza o speranza nostra.

A te leviamo la voce, noi esuli figli di Eva, a te sospiriamo gemendo e piangendo in
questa valle di lagrime.

Volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi, o nostra Avvocata, spandi su di noi i raggi delle
grazie delle quali sono piene le tue mani, e dopo questo esilio mostraci Gesù, frutto
benedetto del tuo seno, o clemente, o pia, o dolcissima Vergine Maria.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 541-543 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Filadelfia e Laodicea, prefigurazioni

della Chiesa degli ultimi tempi


Vi proponiamo un brano tratto da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di Don Dolindo

Ruotolo (pubblicato nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo
di Sessa Aurunca), dove l'autore fa delle considerazioni molto interessanti sulle possibili
analogie fra le chiese di Filadelfia e Laodicea, di cui si parla nell'Apocalisse, e la Chiesa
degli ultimi tempi, con particolare riferimento alla nostra epoca e alla futura "Era di

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Pace" quando - per usare le parole di Don Dolindo - Gesù compirà le grandi promesse
del Suo Regno nel Suo trionfo e in quello della Chiesa.

[...] Io conosco le tue opere, dice Gesù al Vescovo di Filadelfia [Ap 3,8], e difatti le
conosceva e le valutava; opere buone che meritavano solo lode; ma Egli guardava
lontano alle opere della sua Chiesa, a quel risveglio di amore di poche anime, che, nel
desiderio del suo regno, dovevano aprire il varco alle divine misericordie, e
soggiunge: Ecco, t’ho messo davanti una porta aperta che nessuno può chiudere, perché
hai poca forza, e tuttavia hai osservato la mia parola e non hai negato il mio nome.
[...]

Anche al Vescovo di Filadelfia Egli aprì una porta, per la quale egli poteva entrare,
raccogliere grazie e convertire le anime, facendole entrare per questa porta di
misericordia nella Chiesa; anche a questo Vescovo dette aiuti straordinari, per sopperire
alla sua poca forza, guardando la sua perfezione e la sua fede, ma l‟espressione di Gesù
trascende immensamente la vita di una piccola diocesi, e riguarda la grande porta che
avrebbe aperto alla Chiesa per farvi entrare tutti i popoli, e per potere Egli regnare su
tutte le genti; su tutti i popoli, anche sugli Ebrei, ridotti come sinagoga di satana per la
loro perversità e corruzione; anche sugli Ebrei, i quali verranno ai piedi del Papa
dell‟amore, e saranno conquisi dall‟amore che Gesù gli ha mostrato arricchendolo di
singolari privilegi.

Il Vescovo di Filadelfia avrebbe avuto la gioia di vedere molti Ebrei prostrarsi ai suoi
piedi, convertirsi e riconoscere in lui il prediletto dell‟amore di Gesù; questa gioia
l‟avrebbe avuta per aver serbato la parola della sua pazienza, cioè la parola dell‟Evangelo,
e in generale della Sacra Scrittura. Per questa fedeltà Gesù gli promette di salvarlo

nell’ora della tentazione che stava per sopravvenire a tutto il mondo, per provare gli
abitatori della terra.
Ma le parole rivolte a lui, anche nella loro espressione letterale,

trascendono la cerchia della diocesi di Filadelfia.

È evidente che Gesù parla della conversione degli Ebrei, nel benedetto periodo nel quale
Egli, da padrone e con effusione di straordinarie misericordie, chiamerà tutte le genti al
suo Cuore e ai piedi del Pontefice dell‟Amore [il tempo

dell‟Era di Pace

; N.d.R.]. Egli parla

chiaro della sorpresa che avranno tutti, e massime gli Ebrei, nel constatare l‟amore che
gli ha portato, soprattutto per aver serbato la parola della pazienza, cioè del Vangelo e

della Scrittura.

Si tratta quindi di un Papa che contro le correnti malsane razionalistiche, scientificiste e
protestanti conserverà la purezza delle Sacre Scritture, chiamate parola della
pazienza.
perché tratta dalle oscure tenebre dove il mondo moderno l‟ha gettata, dalla

pazienza dell‟indagine soprannaturale, e dalla sofferenza che tale indagine costerà a chi
la farà.

Nella grande, universale tribolazione conservi il popolo di Dio la pazienza e la
fiducia in Dio

Gesù soggiunge che per questa pazienza avuta nel ridonare alle anime la Parola di Dio e
conservarla nella sua purezza in mezzo alle aberrazioni del pensiero umano, Egli lo

salverà nell’ora della tentazione che sta per sopravvenire a tutto il mondo, per provare gli

abitatori della terra. Allude perciò ad una grande e universale tribolazione, e non ad una
semplice persecuzione, come suppongono alcuni, i quali credono che il Sacro Testo
annunzi la persecuzione di Traiano. La tribolazione che desolerà il mondo e gli abitanti
della terra, è una guerra o una pestilenza universale [...].

Ecco che io vengo presto, dice Gesù, cioè dopo quella grande tribolazione io verrò,
manifestando nella Chiesa l‟opera mia e le mie misericordie, verrò ridonando al mondo la

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vera pace e la vera prosperità. Perciò rivolto al Vescovo, e per esso a tutti i Vescovi, ed
alla Chiesa, soggiunge: Conserva quello che hai, affinché nessuno prenda la tua
corona.
Nel momento della terribile prova ogni Pastore, ogni Sacerdote, ogni fedele deve

conservare la fede, la speranza, la carità, la pazienza e la fiducia in Dio, affinché satana
e il mondo sconvolto non gli rapisca la corona immortale che deve essere il premio finale
della prova subìta bene.

Il Vescovo che sarà vincitore nella prova, sarà come colonna nel Tempio di Dio perché sarà

come il fondamento e il sostegno della Chiesa rinnovellata, Tempio vivo e mistico, del
quale i fedeli sono come le pietre; sarà come colonna anche nel tempio dell‟eterna gloria,
dove rifulgerà di grande maestà e gloria, senza più timore di perdere il Sommo Bene,
perché nessuno potrà cacciarlo fuori da quel tempio. E avrà sulla sua fronte scritto il
nome di Dio, perché suo figlio adottivo, il nome della città di Dio, perché cittadino della
Celeste Gerusalemme, della Chiesa militante che discende dal Cielo come sposa del Re
d‟Amore, tutta rinnovellata dall‟amore, e della Chiesa trionfante, quando raggiungerà la
gloria. Avrà inoltre scritto il nome nuovo del Redentore, che si chiamerà Re d‟Amore
trionfante, avendo trionfato del mondo, del peccato e dell‟inferno.

Gesù Cristo annunzia così il trionfo del suo regno anche sulla terra, l‟unico ovile che
raccoglierà tutti gli uomini nell’amore di una nuova fraternità, sotto l‟unico Pastore che è
Lui stesso, rappresentato dal Pontefice dell‟Amore. In sintesi: Egli si manifesterà
come santo per l‟effusione di una nuova santità nella Chiesa, come Verace per una gran
luce di verità che si diffonderà, contro tutte le deviazioni del pensiero, si manifesterà
come Re d‟Amore, che ha la chiave di Davide, perché compirà le grandi promesse del suo
regno nel suo trionfo e in quello della Chiesa, aprirà e nessuno chiuderà, chiuderà e

nessuno aprirà, perché opererà da padrone, con effusioni di particolari misericordie.

E Gesù aprirà una porta alla Chiesa chiamando in essa tutte le genti...

Aprirà una porta innanzi al Papa e alla Chiesa, chiamando in essa tutte le genti e tutti i
popoli, e supplirà Egli stesso alla poca forza dei Ministri suoi con particolari aiuti e
straordinari interventi di grazia, massime nel Sacramento Eucaristico, che è il Pane dei
forti, e chiamerà ai piedi del Papa gli Ebrei, convertendoli. Essi rimarranno conquisi
dalla straordinaria carità con la quale Egli avrà arricchito il Papa dell‟Amore, e dalla
luminosa chiarezza con la quale egli avrà spiegato la Sacra Scrittura.

Una grande tribolazione frattanto purificherà il mondo, e dopo di essa verrà presto Gesù,
manifestandosi come trionfante amore ed elevando come colonne i Vescovi e i Sacerdoti
della Chiesa. Essi saranno servi di Dio, Pastori vigilanti delle anime e ministri del Re
d‟Amore, e questi tre nomi saranno per loro come una corona di gloria.

Noi siamo in questa grande ora di Dio, tutto ce lo fa supporre, e le caratteristiche di
quest‟ora sono cosi determinate e spiccate, che non sembra se ne possa dubitare.

[...]

L‟ultima lettera di Gesù Cristo [alla Chiesa di Laodicea; N.d.R.] riguarda l‟ultimo periodo
della vita della Chiesa, periodo penoso di tiepidezza estrema, degna solo del severo
rimprovero di Gesti, e che culminerà nel giudizio del popolo, nel giudizio universale e

nell‟esaltazione del popolo giusto, cioè della Chiesa trionfante, Laodicea. Alla vittoria della
Chiesa su tutte le genti, al trionfo di Gesù nella sua Chiesa, all‟unico ovile che
raccoglierà tutte le genti sotto un unico Pastore, subentrerà un periodo di estrema
tiepidezza, un periodo di vita naturalistica, pagana ed opportunista, che attrarrà sul
mondo ingrato l‟ultimo flagello; l‟anticristo e la distruzione, a cui seguirà il giudizio
universale. Esso sarà la manifestazione ultima e gloriosa del Redentore alla Chiesa,

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nell‟atto di farla passare tutta purificata e rinnovata, dal pellegrinaggio terreno all'eterno
trionfo del Cielo.

Noi abbiamo già un‟idea dello stato di tiepidezza dei figli della Chiesa, nel periodo che ha
preceduto e precede quello del suo trionfo dopo la grande tribolazione. Da esso possiamo
formarci un‟idea di quello che sarà l‟ultimo periodo desolato della vita della Chiesa nel
mondo.

Una corrente polare, venuta dall’inferno oggi ha « intiepidito » il popolo di Dio.

Abbiamo visto il mondo apostatare praticamente da Dio con una vita d‟indifferenza
religiosa e di risorto paganesimo. Possiamo dire anzi di peggiorato paganesimo, giacché
gli uomini moderni non hanno abbracciato il paganesimo come religiosità, sia pure
degradata, ma come ammasso di vizi, di immoralità e di abiezioni. Non hanno adorato
negl‟idoli l‟impurità e il vizio, ma hanno adorato l‟impurità e il vizio come idolo infame, e
di essi potrebbe dirsi veramente: Oh, foste voi freddi!

Alla degradazione morale si è aggiunto un orgoglio spaventoso; poche volte l‟umanità ha
raggiunto tale abisso di superbia. Si è creduta ricca e doviziosa intellettualmente, pur

vivendo nel pantano di errori spaventosi; ha creduto che non le mancasse
niente,
sperando tutto dalle sue forze e dalle sue attività, e non si è accorta di

essere meschina nelle idee, miserabile nella vita, povera nelle attività del bene, cieca nel
pensiero e nello spirito, e nuda di ogni vera virtù. La terribile guerra che l‟ha desolata
[qui Don Dolindo Ruotolo si riferisce alla Seconda Guerra Mondiale che nel momento in
cui scrive è ancora in corso; N.d.R.] è stata il frutto pessimo di quest‟orgogliosa
aberrazione.

Negli ultimi tempi questi mali si accresceranno smisuratamente, e l‟umanità sarà senza
fede, ricoperta d‟immondizie, denudata dalla immodestia e dalla sfacciataggine, con gli
occhi cisposi, incapaci. di vedere i beni eterni, e tutta degradata dalle sue iniquità. Sarà
allora che il Signore, stanco di sopportarla, manderà al mondo l‟ultima tribolazione,
raccoglierà tutti gli uomini al suo cospetto, condannerà per sempre i cattivi, e darà ai
buoni, vincitori, il premio eterno, facendoli assidere sui troni della gloria.

La tiepidezza del popolo cristiano, male così grave da far dire a Gesù di preferire ad esso
lo stato di completa freddezza, dipende dall‟indifferenza dei Pastori e dalla loro mancanza
di fervore soprannaturale. Gesù Cristo dice di preferire la freddezza alla tiepidezza non
perché lo stato di peccato sia migliore in se stesso dello stato di tiepidezza, ma perché è
più facile che si scuota e si converta un peccatore che un indifferente e un tiepido. [...]

Gesù sta alla porta del cuore e picchia, sta alla porta del cuore della Chiesa e picchia con
le grandi misericordie che le ha fatte. È questo il picchiare del Redentore. Se picchia vuol
dire che gli hanno chiuso la porta in faccia, la porta del cuore. Cessino tante nostre
ingratitudini, ascoltiamo la sua voce, accogliamo il gran dono della sua parola, e

apriamogli la porta del cuore accettando la ricca cena del suo amore Eucaristico
preparata dalla sua infinita carità.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 96-103 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca).

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

L’imperialismo nel disegno di Dio


CAPITOLO VI

«Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri

viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e
colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per

vincere ancora.

Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni».

Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere
la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.

Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed
ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E

udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un
danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».
Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva:

«Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte

e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per
sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.

Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono
immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E

gridarono a gran voce: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai

giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?". Allora venne
data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco,

finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che

dovevano essere uccisi come loro.

Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne
nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si

abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi

immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono
smossi dal loro posto.

Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o
libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle

rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira
dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?»
.

(Apocalisse, capitolo VI)

Nelle due terribili guerre mondiali del 1914-18 e del 1939-44, l‟imperialismo ambizioso
inondò due volte di sangue la terra, e specialmente la seconda, mossa dalle mire
ambiziosissime di due uomini che ebbero per loro divisa: uscire in guerra con tutti e
contro tutti, per vincere e instaurare un impero strapotente e dominatore di tutte le
nazioni.

L‟impero e la sete dell‟impero non è una grandezza per una nazione, ne è il flagello e la
morte.

È un‟elefantiasi, un gonfiore maligno che distrugge le risorse della vita nazionale, riduce
in ischiavitù i soggiogatori e i vinti, e costringe le nazioni ad un perenne stato di guerra,
aperta o nascosta, che finisce per esaurirle e distruggerle nella immancabile reazione che

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l‟imperialismo suscita nelle nazioni e negl‟imperi vinti. Dio ha dato ad ogni nazione i suoi
confini e i suoi limiti: le più grandi, per la legge dell‟ordine e della carità, debbono
sostenere le più piccole, ognuna deve godere la sua indipendenza e deve preoccuparsi del
bene delle altre, in modo che dall‟armonia di tutte si conservi al mondo la pace.

Questa è la legge messa da Dio.

Il peccato distrugge l‟armonia di questa legge; per esso viene meno, per così dire, la
circolazione nel grande organismo delle nazioni, sopraggiunge la congestione in quelle
che hanno più abbondanza di mezzi, ed ecco l‟imperialismo, sconvolgente e tracotante
che è castigo a se stesso e castigo alle altre nazioni. È una verità che non ha bisogno di
essere illustrata; l‟abbiamo vissuta e la viviamo ancora [don Dolindo scrive queste pagine
nella prima metà degli anni '40; N.d.R.]. Le crisi tremende dell‟imperialismo servono al
Signore per preparare il suo impero di amore nella Chiesa e per la Chiesa; chiudono un
periodo di rilassamento e ne aprono un altro di maggiore fervore, per qualche particolare
manifestazione della sua carità infinita.

Ogni epoca della vita della Chiesa comincia e si chiude con questo flagello, com‟è
manifesto dalla storia; l‟imperialismo romano, per es., preparò le vie alla sua diffusione
nel mondo, la provò e la purificò con le persecuzioni, eliminando dalla sua compagine
ogni infiltrazione pagana, e fu la causa vera dello sfasciamento della grande macchina
del medesimo impero.

L‟imperialismo maomettano ebbe la stessa funzione; anch‟esso come quello romano ebbe

un arco, cioè ebbe il permesso di combattere e conquistare, disseminò la strage nelle
nazioni, e fu di castigo e di purificazione per i fedeli, già rilassati nella loro vita. In questi
grandi cataclismi Dio raccoglie amorosamente i suoi eletti, come il padrone del campo
raccoglie i frutti buoni che la tempesta stacca dall‟albero; noi non ce ne accorgiamo, ma
nell‟eternità vedremo i segnati dal suo amore, e capiremo che senza le tempeste
tribolanti essi non sarebbero stati mai salvi. Dio sa quello che fa, e non dobbiamo essere
noi a suggerire ad un infinito Amore il modo come governare il mondo e condurre le
anime alla salvezza.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 154-155 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Le catastrofi: disegno

di amorosa carità


Apocalisse 7,2-3: "Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio

vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di
devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non

abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi»".

Apocalisse 7,9-10: "Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva

contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a

gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello»".

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Nei grandi flagelli che colpiscono l‟umanità alla fine dei periodi storici della vita della
Chiesa, il Signore ha i suoi segnati e fa la raccolta degli eletti. Noi non ci accorgiamo di
questo lavoro d‟infinita misericordia, ma Egli silenziosamente lo fa, e in maniera così
misteriosa e nascosta da non farsi scorgere da noi. Ce ne previene in questa scena dei
segnati e nell‟altra dell‟immensa moltitudine di Santi, ce ne previene in vista degli
annunzi penosi che sta per farci, ma quando compie quest‟opera di misericordiosa
salvezza ce ne accorgiamo ben poco, perché Egli passa tra i turbini e le tempeste, tra le
distruzioni e la morte.

La terra allora è come una valle profonda e oscura nella quale passano i peccatori che
non avrebbero potuto mai sperare salvezza a causa della loro ostinata volontà; passano
macchiati, cenciosi, affranti, e sono travolti dalle macerie delle loro case, dalle bombe,
dalle infezioni, dalla feroce crudeltà di eserciti barbari. Sono travolti in massa, grandi e
piccoli, nobili e plebei, lasciandoci esterrefatti innanzi ad uno spettacolo che ci sembra
ingiusto o provocato da forze assolutamente cieche.

Solleviamo lo sguardo in alto dopo simili catastrofi, e noi vedremo tante e tante anime
vestite di bianco, purificate dal flagello e salvate dalla misericordia di Dio. Sono i segnati
dal suggello del Dio vivente, dalla sua infinita bontà, che senza alcun loro merito,

unicamente, per l‟espiazione che soffrono, sono riguardati come agnelli, segnati per il
grande sacrificio di riparazione che l‟umanità peccatrice offre inconsciamente a Dio.

Se pensiamo che la vita è un passaggio fugace, e che la morte è il certissimo tributo che
tutti paghiamo dopo pochi e spesso tribolatissimi anni, intendiamo che Dio ci usa
grande misericordia troncando questi anni con un‟espiazione che eternamente ci salva.
Dio sa bene quello che saranno tanti fanciulli in futuro, per il pessimo uso che faranno
della loro libertà, conosce nella sua prescienza i futuri traviamenti di tanti adulti
attualmente buoni, e coglie i piccoli nell‟innocenza e gli adulti nel momento nel quale
sono in migliori condizioni spirituali, affinché la loro salvezza sia innanzi ad essi come il
loro merito particolare. Egli travolge anche i cattivi che rimangono impenitenti, e li
punisce delle loro colpe, ma lo fa anche con un disegno di amorosa carità, diminuendo le
loro responsabilità e la pena eterna che meritano, con l‟espiazione che soffrono.

Dovremmo pur avere una maggiore fiducia nell‟infinita bontà e giustizia di Dio, e
dovremmo pensare che se Egli è la bontà infinita, fa tutto bene e per infinito amore.
Dobbiamo assolutamente smettere certi atteggiamenti tracotanti innanzi a Lui, e
dobbiamo finirla con le nostre intolleranti recriminazioni. Nei grandi flagelli e negli oscuri
misteri che li accompagnano dobbiamo solo adorare, riparare e pregare.

Essi hanno, è vero, un aspetto truce e inesorabile, massime quelli provocati direttamente
dagli uomini o influenzati positivamente da satana, ma anche un‟operazione chirurgica
ha il suo aspetto crudele, e nessuno taccia il chirurgo d‟ingiustizia o di spietatezza. Certi
misteri amorosi di provvidenza ci sfuggono completamente nella loro verità, e se abbiamo
un granello solo di giudizio, dobbiamo credere nella bontà di Dio, rimetterci nella sua
Volontà, e rammaricarci solo dei grandi peccati che si sono commessi e si commettono
nel mondo, e particolarmente dei nostri peccati.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 195-197 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Nelle tribolazioni l’uomo può

smarrirsi...

CAPITOLO VIII

Vi sono certi momenti della vita nei quali i mali, le sventure, le prove, le angustie
incalzano l‟una sull‟altra senza tregua, e nei quali non si vede alcuna via di uscita. Il
cielo è di piombo, come in quelle lamentose giornate d‟inverno, nelle quali la pioggia cade
ininterrottamente, monotonamente, urtantemente, quasi s‟indispettisse contro la terra,
senza che si riesca a capire la ragione di quel continuo rovescio di acque. Tutto va storto,
tutto va a dispetto, e le preghiere sembrano vane, anzi per maledetta suggestione
diabolica sembrano inutili e persino nocive. Si diventa pessimisti e si vede tutto nero,
perché nelle pesanti nubi del dolore non si vede neppure la più piccola zona rischiarata,
e l‟orizzonte è chiuso.

L‟anima si sente tra nemici, e le persone più care le danno fastidio con le stesse parole di
conforto che dicono, perché sembrano fuori della realtà, o addirittura appariscono
ciniche e finte. La fede, la speranza, l‟amore, la preghiera, tutto è come morto in lei; il
mondo le appare come un ammasso di violenze, di soprusi, di ingiustizie, e rimane
tormentosamente incerta innanzi alla provvidenza di Dio.

È proprio in questi momenti che l‟anima deve maggiormente adorare, amare e benedire
Dio, chiudendo completamente gli occhi su tutto quello che l‟assilla e confidando in Lui
nella più profonda umiltà. Invece di ragionare in quei momenti nei quali proprio la
ragione vacilla, deve chiudere gli occhi e pregare confidando.

Sono momenti preziosi nei quali si può testificare a Dio la propria sudditanza e il proprio
filiale omaggio, sono momenti nei quali si ha in mano la penna d‟oro per scrivere nel
libro della vita l‟attivo più bello, e coprire tutto il passivo delle nostre misere azioni; sono
momenti nei quali dal cuore diventato selce e percosso dall‟angustia, può sprizzare la più
bella favilla di amore, apprezzando e lodando Dio, pur sentendolo lontano e severo.

Che cosa posso capire io, mio Dio, del modo arcano col quale tu conduci l‟anima mia
nelle vie dell‟eterna gloria? Che cosa posso intendere dei tuoi misteriosi disegni su di me,
povero atomo? Tu sai tutto, tu vedi tutto, tu provvedi a tutto, ed io confido nella tua
potenza, nella tua sapienza e nel tuo amore, o santissima Trinità! Mi circonda e mi
assilla il dolore, ed io non so capirne il perché, la mia povera natura vi ripugna, il mio
povero cuore ne geme, ma io so che tutto sta nelle tue provvide ed amorose mani, e
confido in te adorandoti ed amandoti.

Potrei io mai intendere l‟ordine del firmamento, la ragione dei suoi urti colossali e
l‟armonia delle sue silenziose vie, io che ne sono tanto lontano? Potrei intendere io il
misterioso mondo dell‟infinitesimale, io che ho l‟occhio così limitato? La mia vita è un
firmamento e un microcosmo, ha le sue linee colossali e le sue invisibili sfumature, io
non ho la potenza di abbracciare le prime e penetrare le seconde, e perciò ti adoro
profondamente e mi affido alla tua mano potente, alla tua sapienza infinita e al tuo
penetrante amore, che guarda le più umili cose come guarda le eccelse.

La vita è un mistero per me, perché è come un cantiere dove si preparano le grandi opere
d‟arte divina, dell‟arte della grazia; vi veggo solo forme negative in cui ogni fattura è
inversa,in cui è scavato ciò che dovrà emergere, ed è protuberante ciò che dovrà essere

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profondo; vi veggo blocchi informi e blocchi stranamente punteggiati, vi veggo tutto un
arsenale di ferri torturanti, che mi danno l‟impressione di essere nella fucina d‟un boia;
vi veggo accesa una fornace ad alta tensione, dove par che tutto debba incenerirsi. Non
capisco nulla, ma lodo l‟artista, e posso dire che se quelle pietre e quei bronzi potessero
parlare, lo loderebbero più di me con riconoscente amore, perché egli li sa mutare in idee
luminose, la cui espressione si ferma nel marmo e nel bronzo per rimanervi immortale
innanzi agli occhi attoniti delle genti.

Tu sai, o Artista divino, Tu solo sai in quale ordine di sante armonie devi collocare
il mio piccolo essere...

Tu sei artista divino delle anime, o Spirito Santo Dio, e la terra pellegrina è l‟officina del
tuo dolcissimo amore santificante; tu sai, tu solo, tutte le resistenze del mio cuore e tutte
le incrinature della mia miserabile natura; tu sai, tu solo, se devi colpirmi col bulino
delicato per cesellarmi o con lo scalpello potente per sgrossarmi; tu sai, tu solo, in quale
ordine di armonie soprannaturali e in quale fastigio devi collocare il mio piccolo essere, e
perciò io non indago, non critico non mi lamento, non reagisco, non mi ribello alla tua
mano, ma taccio, adoro ed amo.

Non sono circondato da orrori e da confusioni, il mondo non è uno sconcertante mistero,
è solo un posto di lavoro dove tu dagl‟inutili detriti e dalle oscure caverne cavi i blocchi
candidi o le ferrigne masse per i tuoi lavori. Non posso io giudicarti, io che sono ancora
tanto ignaro delle tue vie, non posso io mormorare dite, o mio Dio, io che ho come ideale
il giocattolo, come libro di sapienza il sillabario, e come strumento armonico la rozza,
oscillante e lacerante punta di stagno.

Mi disoriento nel viale dell‟orto e posso capire io le vie strategiche del tuo amore
conquistatore? Mi spavento nella mia piccola conca da bagno e posso misurare il mare
delle tue misericordie? M‟atterrisco dell‟ombra provocata dalla fiammella della mia
candela, e posso valutare la fucina purificante che il tuo amore accende nel mondo per
discoriare le tue creature, o infinito Amore? Io, abituato ai dispettucci infantili, alle
punzecchianti celie inurbane, al frizzare di stolte parole, potrei mai capire l‟infinita calma
della tua giustizia, la carità tua nei castighi che mandi, e la riverenza con la quale tratti
anche i tuoi nemici?

Io non posso che adorarti per tutto quello che disponi per me e per il mondo; non posso
che riparare per le ingratitudini che il tuo amore raccoglie, e non posso che pregare,
pregare per unirmi cosi alla tua grandiosa azione. Nelle prove della mia vita tu mi lavori
e mi ceselli, nei grandi flagelli del mondo tu rifondi le nazioni e le genti per compire i tuoi
disegni di amore, nei flagelli degli ultimi tempi delle epoche della Chiesa e del mondo, tu
crei dal caos un mondo nuovo, purificando il vecchio. Io non capisco nulla di questo tuo
lavoro, non posso capirne nulla, so solo che sei Amore Infinito e riposo in questo tuo
amore adorando, riparando e pregando.

È con questi sentimenti di profonda umiltà, adorazione ed amore che dobbiamo
considerare e meditare i grandi flagelli espiatori e purificatori dell‟umanità, dei quali più
particolarmente si parla in questo capitolo ed in quelli che seguono. Per questo non
sembri fuori posto questo che diciamo, quasi per orientarci bene in quello che dobbiamo
meditare. La nostra stolta ragione potrebbe essere tentata di dire: Perché tante rovine, e
perché Dio infinitamente buono può permettere che le sue creature siano colpite da tanti
inumani dolori?

Se riflettiamo alla nostra inettezza tacciamo, se alle nostre colpe ripariamo, se ai mali
degli uomini preghiamo, affinché siano temperati dalla divina misericordia. Non è uno
scherzo quello che fa Dio desolando la terra, né è uno sfogo di vendetta; è la riparazione

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d‟una infinita maestà disconosciuta e offesa, ed è la rifusione di una novella vita
nell‟umanità invecchiata dal male ed abbrutita dall‟apostasia.

È la potazione d‟ogni germoglio cattivo e lo sradicamento d‟ogni rovo, per far rifiorire
l‟aiuola piantata dalla mano santissima di Dio, è la rinnovazione di tutto in Gesù Cristo e
per Gesù Cristo, rinnovazione radicale e completa, che deve togliere dalla profanata
materia fin le più piccole incrostazioni di male.

Con quale cuore puro da ogni nube di astio o di falsa e stupida compassione dobbiamo
meditare queste terrificanti scene che il Sacro Testo appena accenna con misteriosissimi
simboli, ma che con la divina grazia dobbiamo cercare di immaginare, per dare un valido
scossone alla nostra intorpidita coscienza, e per farle capire un poco che cosa significa
l‟offesa della divina maestà!

Con quale cuore pieno di amore dobbiamo guardare questi tratti della giustizia di Dio,
che sono terribili per la nostra piccolezza, ma che sono immensamente piccoli di fronte
alla gravità d‟un solo peccato, e molto più di fronte al disconoscimento del Creatore da
parte della creatura! Lungi dal pensare che Dio sia severo con l‟uomo, dobbiamo
riconoscere che è indulgente, e dobbiamo ponderarlo noi, piccoli vermi che, pur
perdonando stentatamente a chi ci offese, portiamo sino alla tomba l‟astio dell‟ingiuria
patita, e non sappiamo dimenticarla neppure quando è controbilanciata dalla
riparazione.

Dio non punisce per astio, ma nella sua imperturbabile calma richiama al suo amore le
creature traviate, e rimette l‟ordine da esse turbato con le colpe; lo rimette per giustizia
verso le anime che gli sono state fedeli nella prova, o che sono state vessate
dall‟ingiustizia umana.

Non invochiamo noi tante volte questa giustizia riparatrice? Non la vorremmo immediata
e terribile? Non osiamo tante volte dubitare persino dell‟esistenza di Dio, perché ci
sembra che Egli non reagisca al male come noi vorremmo? Ebbene, Egli attende per
misericordia, chiama con, infinita carità, invita con le amorose voci del Sangue del suo
Figliuolo, morto per noi, scuote con i più forti richiami dei castighi, rende la vita un
fastidioso esilio e ci assedia da tutte le parti per non far perdere un sol fiore del suo
campo. Ma quando l‟iniquità della terra è al colmo, e quando innanzi al suo cospetto
giungono le grida della sua Chiesa desolata e delle anime immolate dall‟empietà, Egli dà
la prova della sua infinita realtà, e logicamente la dà in tutto il mondo con la potenza del
suo braccio e per il ministero di quelle medesime creature che reagiscono al male e
combattono per la sua gloria.

Di fronte all‟annunzio di questa grandiosa manifestazione l‟anima nostra non può essere
tanto stolta da passare nelle schiere dei reprobi è mormorare del suo Creatore. Se
considera solo l‟orrore della colpa di chi osò negare l‟esistenza dell‟Infinito Essere, e di
ripudiare positivamente il suo dolcissimo dominio, non può che applaudire alla sua
solenne manifestazione, sia pur nel terrore del flagello, e non può che elevarsi a Lui in
un purissimo atto di amore.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 206-211 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)


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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

L’ordine degli avvenimenti

annunziati nell’Apocalisse


CAPITOLO XI

Per procedere avanti in questo misterioso capitolo e in quelli che seguono, è necessario
richiamare alla mente l‟ordine e la tessitura del Sacro Libro. Questo sguardo generale e
sintetico su tutto l‟argomento che tratta ci orienterà nel cammino. Lo riportiamo come ce
lo presenta L‟A Lapide (Vol. XIX, pag. 767): Nei primi tre capitoli ci sono correzioni
istruzioni e ammonimenti alle sette Chiese dell‟Asia. Poi si propone il libro, l‟Apocalisse,
segnato da sette sigilli, e questi sigilli si aprono sino al capitolo XI. Questi suggelli
contengono ciò che dovrà avvenire alla Chiesa sino alla fine del mondo, e principalmente
i castighi e i prodigi, precedenti l‟anticristo e l‟estremo giudizio.

Dal capitolo XI alla fine, aperti già i suggelli, si narrano le visioni e le predizioni che
riguardano l‟anticristo, il giudizio universale e la gloria dei Beati.

Da questo prospetto sintetico vediamo che i capitoli che seguono riguardano l‟anticristo.
Il capitolo XI che stiamo meditando è centrale, diciamo cosi, e sta tra le due parti
principali del libro. Esso contiene un grande mistero, come abbiamo visto, e annunzia
una prima formidabile lotta contro la Chiesa, e un primo grande trionfo suo contro i suoi
nemici, al tempo nel quale, dopo una guerra sterminatrice, i figli suoi saranno bene
distinti e separati dal mondo, e i due testimoni, il Papa e il Re dell‟Amore, avranno
trionfato dei perversi.

Siccome tutti i Padri veggono in questi due testimoni Enoc ed Elia, che verranno alla fine
del mondo a combattere contro l‟anticristo, volendo noi attenerci sempre a quello che è
insegnato dai Padri, abbiamo logicamente riconosciuto nel Sacro Testo che riguarda i
due testimoni, un‟anticipazione di quello che avverrà ai tempi dell‟anticristo. È evidente
dal fatto che dell‟anticristo si parla solo dopo. Il Signore annunzia dopo la grande guerra
due testimoni che dovranno dare alla Chiesa un primo grande trionfo, per il quale Essa
raccoglierà i suoi figli, li distinguerà nettamente dal mondo, e preparerà la generazione
dei Santi che dovranno sostenere l‟ultima lotta che Essa subirà da Satana e dal mondo,
ossia la lotta dell‟anticristo.

Siccome, secondo il pensiero dei Padri, nel tempo dell‟anticristo verranno due testimoni
a combatterlo, Enoc ed Elia, è chiaro che i due testimoni del primo trionfo della Chiesa
sono figura di Enoc ed Elia che verranno alla fine del mondo, al tempo dell‟anticristo. Di
questo tempo calamitoso il Sacro Testo ci parla in seguito, e quindi quello che dice qui
dei due testimoni è un‟anticipazione. Solo così può conciliarsi il Sacro Testo con
l‟interpretazione unanime dei Padri, che, secondo il precetto della Chiesa, dobbiamo
seguire.

L‟Angelo che si pose ritto sul mare e sulla terra, e aveva in mano il libricino, disse a S.
Giovanni che nei giorni della voce del settimo Angelo, quando comincerà a dar fiato alla

tromba [Quando comincerà, dunque non sarà un periodo breve o un solo avvenimento,
ma una serie di anni e forse di secoli nei quali si compirà il mistero di Dio. In questi anni

o secoli gli avvenimenti saranno come la continuazione del suono della settima
tromba], sarà compiuto il mistero di Dio (X, 7), ossia il trionfo finale della Chiesa e il

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Regno eterno del Signore in Essa; in questo capitolo che meditiamo, al verso 15 è detto
che il settimo Angelo diede fiato alla tromba, e che al suo suono si alzarono grandi voci
nel cielo che dicevano: Il regno di questo mondo è diventato del Signor nostro e del suo

Cristo, ed Egli regnerà per i secoli dei secoli. A queste voci seguirono le adorazioni e i
ringraziamenti dei ventiquattro seniori, perché il Signore aveva cominciato a regnare, e

perché era venuto il momento per i morti di essere giudicati, e di sterminare coloro che
corruppero la terra.


Queste parole di applauso e ciò che disse l‟Angelo che posò sul mare e sulla terra
farebbero supporre che appena suonata la settima tromba si fosse compiuto il mistero di

Dio. Invece, subito dopo, nei capitoli seguenti, si parla di sette portenti, e poi
dell‟anticristo, e delle sette coppe dell‟ira del Signore, cioè degli ultimi grandi flagelli che
colpiranno la terra prima del giudizio finale. È dunque chiarissimo che in questo capitolo
si parla di un primo trionfo della Chiesa su questa terra, nella quale il regno di questo

mondo diventerà del Signor nostro e del suo Cristo, e che questo trionfo è figura del
trionfo finale ed eterno, come i due testimoni che ne sono strumento sono figura di Enoc
e di Elia che saranno strumenti del secondo e finale trionfo.

Questo mistero di due avvenimenti, dei quali l‟uno è figura e annunzio dell‟altro, non è
una confusione, come a prima vista potrebbe apparire, ma indica chiaramente due
periodi della vita della Chiesa, uno che si chiude con un trionfo visibile sulla terra [qui
Don Dolindo sembra riferirsi alla cosiddetta

Era di Pace

; N.d.R.], ed un altro che

comincia da questo trionfo, culmina in una nuova corruzione delle genti e nell‟anticristo,
ha la sua crisi nei nuovi tremendi castighi che colpiscono la terra, e finisce con la
resurrezione dei morti, il giudizio finale, il trionfo eterno di Gesù Cristo e della Chiesa, e
la gloria dei Beati.

Quando i due testimoni, risorti dalla morte, furono chiamati al Cielo e vi ascesero in una
nube e quando la decima parte della città santa cadde e vi perirono settemila uomini, è

detto nel Sacro Testo che quelli che restarono furono spaventati e diedero gloria al Dio del
Cielo.
Subito dopo è soggiunto che il secondo guai è passato, ed ecco che viene il terzo

guai, evidentemente il suono della tromba del settimo Angelo. Intanto quando il settimo
Angelo diede fiato alla tromba
non segui un guai immediatamente, come sarebbe stato

logico aspettarsi, ma si alzarono grandi voci nel cielo che dicevano: Il regno di questo
mondo è diventato dei Signore nostro e del suo Cristo, ed Egli regnerà per i secoli dei

secoli. A queste voci di esultanza i ventiquattro seniori si prostrarono per adorare e

ringraziare Dio che, facendo uso della sua grande potenza, aveva cominciato a
regnare.
Adorando e ringraziando essi annunziarono il prossimo giudizio universale, e al

loro annunzio si apri il Tempio di Dio nel Cielo, e apparve l’Arca della sua alleanza nel suo
Tempio, e seguirono folgori, gridi, terremoto e molta grandine.


Che cosa significa tutto questo?

E‟ una conferma dei due periodi di trionfo di Dio e della Chiesa, dei quali abbiamo ora
fatto cenno. Quelli che sopravvissero alla rovina della decima parte della città
santa furono spaventati e diedero gloria al Dio del Cielo. Dunque dopo il trionfo dei due
testimoni vi sarà un grande movimento di conversione a Dio, da parte degli uomini
scampati non solo alla rovina della santa città, ma ai flagelli del primo e
secondo guai. Questo movimento di conversione riguarda non la fine del mondo, ma la
fine del sesto periodo della vita della Chiesa; non segue al trionfo di Enoc e di Elia, ma al
trionfo dei due testimoni che ne sono figura, cioè al Papa e al Re dell‟Amore [qui è
ipotizzabile un parallelismo con il

Papa Santo e il Grande Monarca

di cui parlano tanti

santi e mistici nelle loro rivelazioni; N.d.R.].

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Nel tempo nel quale Roma sarà conculcata dalle genti perverse per tre anni e mezzo, essi
compiranno il loro apostolato prodigioso; poi saranno vinti dai perversi e uccisi, o

fisicamente, o moralmente con la loro degradazione ordinata dai perversi medesimi. Per
un prodigio divino, dopo tre giorni e mezzo, o presi letteralmente, o presi per un periodo

breve [Il sette rappresenta nella Scrittura il numero perfetto, e quindi un periodo lungo e
completo di tempo; la metà di sette, tre e mezzo, rappresenta quindi un periodo breve e
incompleto. Non c‟è alcuna difficoltà però, nel caso nostro, a prendere letteralmente il
numero dei tre giorni e mezzo nei quali i due testimoni appariranno vinti e sopraffatti]
essi risorgeranno alla vita e alla loro dignità; alla vita, se realmente uccisi, alla loro

dignità e al loro prestigio se solo abbattuti ed esclusi.

Un flagello di Dio, particolare per la città santa, nella quale si consumerà il delitto della
lotta contro i due testimoni, scuoterà le anime traviate per l‟apostasia, ed esse
spaventate dal castigo, daranno gloria al Dio del Cielo, riconoscendolo e convertendosi a

Lui.

Intanto il settimo Angelo comincerà a dar fiato alla tromba, cioè comincerà il settimo

periodo della vita della Chiesa. Il trionfo dei due testimoni e la conversione delle genti al
Signore sarà fine del sesto periodo e principio del settimo, e per questo, invece di seguire
immediatamente il terzo guai, segue l‟applauso di riconoscenza del Cielo per il primo
trionfo di Dio e della Chiesa sulla terra: Il regno di questo mondo è diventato del Signor

nostro e del suo Cristo.
Questo regno di amore verrà per preparare le anime all‟ultima grande lotta che la Chiesa
avrà dall‟anticristo nel settimo periodo della vita di lei, e per questo i ventiquattro
seniori, ringraziando Dio del primo trionfo, e vedendo lontano la finale apostasia delle
nazioni adirate contro Dio, annunziano anche la resurrezione dei morti, il giudizio

universale e l‟apparizione dell‟Arca di Dio nel Tempio della sua gloria, cioè della gloriosa
Umanità del Redentore, tra folgori, gridi, terremoto e molta grandine, ossia tra lo

sconvolgimento della terra.

Questa serie cosi complessa, e, nello stesso tempo, cosi logica, ordinata e chiara di
avvenimenti ci fa capire ancora una volta quanto è misterioso il parlare di Dio, che ha
tutto presente, e non può non parlare che come Colui che ha tutto presente. Noi, piccoli
atomi, non possiamo fare altro innanzi a Lui, eterna Trinità, Potenza, Sapienza ed
Amore, che adorare, ringraziare e pregare. In mezzo al fluttuare dei secoli, siamo come
un piccolo fuscello di paglia travolto dalle onde del tumultuoso oceano, e come possiamo
presumere di elevarci a giudici di Dio?

Umiliamoci, umiliamoci, e facciamo tesoro della piccola particella di tempo che ci è
concessa per operare il bene. Siamo appena come un atomo di un immenso monte, una
cellula d‟un colossale albero, e non possiamo noi valutare e tanto meno criticare le
profonde ragioni per le quali Dio vuole o permette tanti avvenimenti nella vita dei secoli e
in quella della Chiesa.

Egli solo sa quello che è giusto, santo e armonico in questa vita, per la sua gloria e per il
bene e l‟eterna felicità delle sue creature. Sappiamo che è infinita Sapienza ed infinito
Amore, e dobbiamo confidare in Lui ed abbandonarci al suo amore. Abituiamoci ad
umiliarci profondamente innanzi a Dio con sentimenti di grande fiducia e di grande
amore. È così dolce il sentirsi nelle mani dell‟Onnipotente, è così rassicurante il sentirsi
affidati alla sua Sapienza e al suo Amore. Che importa che non giungiamo a
comprendere tutto ciò che Egli dispone o permette nel mondo? Ci basti unirci alla sua

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volontà come un bimbo si unisce a quella dei suoi genitori, affidandosi completamente a
loro.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 312-316 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

La misura del Santuario realizzerà

il Regno di Dio nelle anime

CAPITOLO XI

«Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: «Alzati e misura il santuario di
Dio e l'altare e il numero di quelli che vi stanno adorando.

Ma l'atrio che è fuori del santuario, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato
in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi.
» (Apocalisse

11,1-2).

Stando all‟ordine delle visioni di S. Giovanni, è evidente che questa mistica e
meravigliosa misura che distinguerà nettamente i veri cristiani dal mondo e dallo spirito
del mondo, realizzando così il Regno di Dio nelle anime prima dell‟ultima persecuzione
della Chiesa e prima del Regno glorioso di Dio e della Chiesa dopo il giudizio universale,
è evidente, diciamo, che la mistica misura avverrà dopo i grandi flagelli che colpiranno la
terra, dopo la terribile guerra e dopo che il libricino tenuto in mano dall‟Angelo, sarà
stato divorato dalla Chiesa, rappresentata nel Sacro Testo da S. Giovanni.

È chiaro cioè che immediatamente dopo la grande guerra, che avrà fatto strage degli
uomini con le locuste e la cavalleria, ossia con gli areoplani, le artiglierie e le
mitragliatrici, la Sacra Scrittura diventerà cibo delle anime, e le formerà a tale santità,
che Dio potrà effondere in loro torrenti di grazie e di doni Eucaristici, e formare di esse il
suo regno di amore, opposto nettamente al mondo persecutore e tiranno, che per tre
anni e mezzo dopo la guerra infierirà contro la città santa, cioè contro Roma e la Chiesa.
Sarà proprio questa persecuzione purificatrice che farà distinguere maggiormente i veri
fedeli dal mondo paganeggiante e scellerato.

Questo, che avverrà dopo la grande guerra e la glorificazione della Sacra Scrittura,
avverrà anche in maniera più impressionante dopo l‟ultima terribile guerra che desolerà
il mondo, guerra che sarà seguita dal triste regno dell‟anticristo e dall‟ultima
persecuzione per tre anni e mezzo, dopo della quale verrà il giudizio e il Regno glorioso di
Dio nella Chiesa trionfante. Nel periodo delle effusioni di grazie e di doni Eucaristici Dio
misurerà i suoi fedeli, raccogliendo negli anni di questa spirituale prosperità le anime
che un giorno dovranno combattere contro l‟anticristo, e costituire l‟ultimo coro dei
Martiri [Non si deve dimenticare che l‟Apocalisse predice quello che avverrà alla Chiesa
nelle sette epoche della sua vita pellegrina, e che quello che è detto di uno di questi
periodi è figura di quello che avverrà più determinatamente in un altro periodo].

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Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 301-302 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

I due ulivi


In questo brano Don Dolindo Ruotolo si sofferma sul significato dei "due ulivi" del
capitolo XI dell'Apocalisse. Secondo il sacerdote, questi due personaggi non sono altro
che un capo religioso e un capo civile, ovvero un Papa e un Re, che verranno inviati da
Dio al tempo della purificazione (quando ci sarà un'immane guerra) che precederà la
grande restaurazione di tutto in Gesù Cristo. Essi daranno alla terra la pace col pieno
trionfo della Chiesa e saranno prefigurazione dei due testimoni, Enoc ed Elia, che, alla
fine del mondo, combatteranno l'Anticristo escatologico. È significativo come questo
"capo religioso" e questo "capo civile" di cui parla Don Dolindo evochino le figure del
"Grande Monarca" e del "Papa Santo" che, secondo le profezie di vari santi, mistici e
veggenti, dovranno introdurre l‟Era di Pace.

Nella Redenzione l‟Unto per eccellenza, il Sacerdote Sommo ed Eterno fu Cesù Cristo,
per cui venne a noi la grazia dello Spirito Santo nei sette Sacramenti e nei sette doni del
Sacramento della Cresima. Egli era Sacerdote e Re nello stesso tempo, ma si servì del
potere civile, di Costantino il grande, che dette la libertà alla Chiesa, per affermare il
Regno del suo amore nel mondo.

Nella restaurazione degli ultimi tempi, che, come le altre due, avverrà non per mezzo di
un esercito né con la forza, ma per virtù dello Spirito Santo, è evidentissimo che i due
ulivi, i due testimoni visti da S. Giovanni, sono un capo religioso e un capo civile, un
Papa e un Re [anche nelle profezie di molti santi e mistici si parla di un Grande Monarca
e un Papa Santo che introdurranno l‟Era di Pace; N.d.R.]. Al tempo dell‟anticristo, poi,
quando il regno del male sarà trionfante, quando l‟unico re sarà proprio l‟anticristo, e
sarà sommamente avvilita la dignità del Papa e quella di qualunque altro legittimo Re, i
due ulivi saranno Enoc ed Elia, i quali con prodigi e forza grande di Dio riaffermeranno
contro il miserabile anticristo i diritti del Papa e quello dei Re da lui detronizzati e
conculcati.

A questa spiegazione, che fluisce logica dal Sacro Testo, delle visioni di Zaccaria, e
dell‟allusione chiara che vi fa S. Giovanni, non può fare difficoltà il fatto che nella visione
di Zaccaria si parla di un solo candeliere, e in quella di S. Giovanni i due testimoni sono
chiamati due ulivi e due candelieri; l‟unico candeliere del Tempio significava, infatti, il
potere civile e religioso che presso Israele era cumulato nel Sommo Sacerdote, ma che
nello sviluppo della vita della Chiesa sarebbe stato distinto.

I due testimoni dunque erano i due ulivi perché due unti del Signore, uno come Papa e
l‟altro come Re, ed erano due candelieri, perché tutti e due insieme esprimevano le due
potestà religiose e civile vivificate dai doni dello Spirito Santo, significate dall‟unico
candeliere con sette bracci e sette lampade, e con due ulivi distinti, a destra e a sinistra,
perché le due potestà unite in un solo capo presso gli Ebrei, avevano mansioni
determinate e distinte.

Negli ultimi tempi, quando l‟anticristo scelleratissimo presumerà di essere egli l‟unico
candeliere, anzi l‟unico dio in luogo del Dio vivente, verranno nel mondo, anzi

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riappariranno, perché non sono ancora morti, Enoc ed Elia. Enoc fu discendente di
Adamo per Jared che lo generò, e rappresentò un capo di popolo; visse
trecentosessantacinque anni, camminò con Dio, vivendo santamente, e disparve perché
il Signore lo rapì (Gen. V, 21-23). Elia, difensore dell‟onore di Dio contro gl‟idolatri e i
tiranni, rappresentò in pieno l‟autorità sacerdotale, e fu rapito al cielo in un turbine (IV
Re, II,11). Verranno tutti e due improvvisamente, quando più fiera sarà la persecuzione
dell‟anticristo contro la Chiesa, verranno come vindici del potere regale e dell‟autorità del
Papa, e saranno anch‟essi due candelieri per la fede e due ulivi per la pienezza della
grazia dello Spirito Santo.

Gesù Cristo o un Angelo parlano dunque a S. Giovanni dei due testimoni della gloria di
Dio che restaureranno il mondo e la Chiesa contro i perfidi che avranno sconvolto l‟uno e
avvilita l‟altra; parlano di un gran Re e di un gran Papa che, d‟accordo, dopo la terribile
guerra, daranno alla terra la pace col pieno trionfo della Chiesa, e parlano di Enoc ed
Elia che si faranno rivedere nel mondo al tempo dell‟anticristo, per combattere contro di
lui e rianimare la fede dei cristiani, scossa notevolmente dalle persecuzioni.

Nel determinare i due testimoni si fermano in modo particolare, come appare dal Testo,
su di Enoc ed Elia [per anticipazione il Sacro Testo allude qui al tempo dell‟anticristo, del
quale parlerà in seguito; questo conferma che la triste figura dell‟anticristo è posta qui
prima di quegli scellerati che ne sarebbero stati tipo] perché sono le due figure più
impressionanti, e dicono di loro in senso proprio e letterale quello che forse potrà dirsi in
senso mistico e spirituale dei due testimoni che restaureranno il mondo e la Chiesa dopo
i grandi flagelli sofferti da tutta l‟umanità. Diciamo forse, perché potrà essere benissimo
che questi due testimoni compiranno grandi miracoli.

Enoc ed Elia si troveranno dunque alla fine del mondo non solo di fronte al più scellerato
degli uomini, l‟anticristo, ma di fronte ai popoli, traviati completamente da lui, che
irromperanno contro di loro con ingiurie e persecuzioni mortali. Sarà necessaria una
grande manifestazione di potenza per dominarli, e perciò uscirà fuoco dalla bocca dei
due testimoni, che divorerà i loro nemici, e ucciderà quelli che vorranno far loro dei
male. Questo fuoco sarà o una vampata come folgore, che fulminerà i loro nemici, o sarà
una parola cosi forte di maledizione, che li farà stramazzare morti al suolo.

I perversi, schiavi oramai dell‟anticristo, faranno loro resistenza, burlandosi delle loro
minacce di castighi divini; essi allora, con una manifestazione pubblica di autorità
soprannaturale, colpiranno la terra con una grande siccità, muteranno in sangue le
acque che ancora sgorgheranno dalle fonti, e colpiranno la terra con numerosi flagelli nel
tempo della loro predicazione. Difensori dell‟onore di Dio e della Chiesa in un mondo
quasi completamente apostata e corrotto, non potranno dominarlo con la persuasione e
la dolcezza, ma col timore. Per questo saranno in odio a tutti, e saranno riguardati come
un grande flagello per l‟umanità.

Tutti faranno allora appello all‟anticristo, alla bestia che viene su dall‟abisso, all‟uomo
infernale, venuto in terra come un altro satana, domandandogli di essere liberati da
quegli uomini per loro calamitosi. L‟anticristo moverà loro guerra facendoli catturare, li
vincerà, riuscendo a mettere loro addosso le mani, e li ucciderà. Essi, vissuti
misteriosamente per lunghissimi secoli, pagheranno il loro tributo alla morte. Saranno
uccisi nella piazza della grande città dove rimarranno insepolti.

Questa grande città, chiamata spiritualmente Sodoma per la corruzione ed Egitto per
l‟apostasia e l‟infedeltà, sarà Gerusalemme [il Sacro Testo infatti dice esplicitamente che
è la città dove anche il loro Signore fu crocifisso], riedificata dall‟anticristo col suo

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tempio, nel quale egli si farà adorare come dio. Diventata una città cosmopolita ospiterà
gente d‟ogni tribù, popolo, lingua e nazione, le quali vedranno i corpi dei due testimoni
uccisi, e per odio e disprezzo estremo non permetteranno che sia data loro sepoltura. La
notizia della loro morte si spargerà in un baleno per tutta la terra, con tutti i mezzi della
civiltà di allora, e gli abitanti del mondo ne faranno festa, scambiandosi dei doni per
l‟esultanza di essersi liberati da flagellatori così potenti delle loro iniquità.

Tre giorni e mezzo rimarranno esposti agli schemi delle moltitudini scellerate, e dopo tre
giorni e mezzo lo spirito di vita proveniente da Dio, cioè l‟anima loro rientrerà nei loro
corpi, ed essi, risorti a vita immortale, si rizzeranno in piedi con grande spavento di
quanti assisteranno a scena così impressionante. Si udirà allora una gran voce dal cielo
che li inviterà a salire su, ed essi ascenderanno in un‟immensa gloria, avvolti da una
nube, come un giorno Gesù Cristo ascese al Cielo. I loro nemici li vedranno e ne saranno
esterrefatti e confusi, e in quell‟ora medesima avverrà un formidabile terremoto che
rovinerà la decima parte della città, uccidendo sotto le sue macerie settemila persone. I
superstiti a tanto flagello riconosceranno la mano del Signore, e gli daranno gloria,
confessandone la verità e la potenza.

Questo terribile avvenimento, tutto particolare del tempo dell‟anticristo alla fine del
mondo, sarà preceduto da qualche cosa di simile, benché in minori proporzioni, al tempo
della restaurazione di tutto in Gesù Cristo, dopo la grande guerra sterminatrice. I due
testimoni di allora, il gran Re e il gran Papa dell‟amore, si troveranno anch‟essi di fronte
al mondo apostata e scellerato, e si presenteranno a lui non nei paludamenti reali o
pontifici, ma vestiti di sacco, in abiti di penitenza e di umiltà. Saranno due ulivi per
l‟unzione della grazia, e due candelieri per la luce della fede che in loro risplenderà.
Subiranno una lotta spietata per tre anni e mezzo, durante i quali le genti più scellerate
calpesteranno la città santa, cioè Roma papale, tenendola sotto il loro dominio tirannico.
Nonostante la terribile opposizione incontrata in Roma e in tutto il mondo, essi
compiranno la loro missione con segni straordinari.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 304-308

(pubblicato nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa
Aurunca)

**

L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Il ruolo di Maria, Donna vestita di

Sole, negli Ultimi Tempi


CAPITOLO XII

La donna vestita di sole coronata di dodici stelle, e con la luna sotto i piedi.

[...] La medaglia miracolosa, Lourdes, Fatima, hanno mostrato alle anime il grande
portento di Dio, Maria SS. Immacolata, la donna vestita di sole e coronata di stelle per
eccellenza. Il giorno di Dio si avanza a grandi passi, ma l‟aurora di questo giorno mentre
ha zone di luce, ha anche zone di caligine e di tenebre, come le ha l‟aurora del giorno
terreno.

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Non possiamo perciò terminare questo capitolo senza fermarci a considerare almeno per
poco Maria SS., grande portento di Dio, e donna vestita di sole e coronata di stelle. Non
credi tu
dice S. Bernardo, che Maria è la donna vestita di sole? Essa è vestita di sole

perché penetrò l’abisso profondissimo della divina Sapienza oltre ogni immaginazione. I
profeti furono semplicemente purificati nelle loro labbra dal fuoco celeste, ma Maria meritò

di esserne da ogni parte avvolta e come chiusa. Essa è un grande portento, perché, come
dice S. Bonaventura, Essa è colei, più grande della quale Dio non avrebbe potuto creare.

Avrebbe potuto fare un mondo più grande, un cielo più grande, ma non avrebbe potuto fare
una madre più grande della Madre di Dio.
È questa maternità divina che la riveste di

sole, e perciò S. Bernardo rivolto alla Vergine SS. esclama: In te rimane Gesù Cristo che è
sole, e tu in Lui. Tu lo rivesti e sei vestita da Lui. Lo rivesti della sostanza della carne, ed

Egli ti veste della gloria della sua maestà. Riveste il sole con la nube e tu stessa sei vestita

dal sole.

Maria SS. ha sotto i piedi la luna perché è dominatrice dei tempi, e tutte le età la
chiamano beata; è coronata di stelle perché rifulge delle grazie degli Angeli, degli Apostoli
e dei Santi in altissimo grado, ed è tutta illuminata dai suoi incomparabili privilegi e
dalle sue virtù. Rifulgono in Lei la fede, la speranza, la carità, la religione, l‟umiltà, la
verginità, la fortezza, la povertà, la carità fraterna, l‟obbedienza, la misericordia e la
modestia,

ed

Essa

rifulge,

come

dice

S.

Bernardo nella

sua

concezione immacolata, nell’angelico saluto, nella infusione dello Spirito Santo, nella
divina maternità, nella incomparabile verginità, nella fecondità senza corruzione, nella

gravidanza divina senza gravame alcuno, nel parto senza dolore, nel pudore dolcissimo,
nell’umiltà devotissima, nella grandezza della fede, nel martirio del cuore.

Maria SS. è la madre della Chiesa, e genera continuamente i figli della grazia, il Corpo
mistico di Gesù Cristo, come ne generò il Corpo reale. Essa è quindi la donna vestita di
sole che si travaglia per dare alla luce i figli di Dio, e che combatte contro il dragone
infernale perché sia tutelata la loro vita soprannaturale. Essa sostiene la Chiesa nei suoi
combattimenti più aspri, e si leva trionfante nel cielo con fulgori di gloria novella, ogni
volta che dall‟inferno si levano contro la Chiesa novelle insidie. Il suo travaglio non è
dolore di parto materiale ma è sollecitudine materna, amorosissima, per la quale essa
diventa quasi novellamente pellegrina sulla terra, discende a noi, si mostra nel cielo
della Chiesa nei fulgori della sua immacolata grandezza, e porta una novella vita alle
anime disorientate, generando novellamente quasi il Corpo mistico del Redentore.

Questa sublime maternità di Maria si afferma specialmente quando il dragone
infernale trae con la sua coda la terza parte delle stelle del cielo, cioè quando con le sue
insidie disorienta quelli che debbono insegnare nella Chiesa la verità e debbono rifulgere
nel suo cielo come stelle che orientano il cammino delle anime.

Maria si manifesta nei periodi delle più pericolose eresie

Nell‟epoca delle più pericolose eresie Maria si manifesta, scende novellamente in terra,
illumina la Chiesa di novello splendore di fede, ed è veramente per Essa la donna vestita
di sole.

Non esitiamo perciò a confermare che la donna vestita di sole vista da S. Giovanni

immediatamente prima della lotta dell‟anticristo, rappresenti anche nel senso letterale
Maria SS. rifulgente nella Chiesa di novello splendore per generare a Dio gli ultimi Santi,
forti nella maschia loro fede, e opporli alla tremenda marea di errori e d‟iniquità che
l‟anticristo lancerà nelle nazioni, provocando in esse un‟apostasia più piena. La Chiesa
supererà la lotta terribile per Maria, e rifulgerà di fede e dell‟altissima sapienza dei suoi
novelli apostoli per Maria; sarà donna vestita di sole e coronata di stelle, e avrà sotto i
piedi il mondo materiale e temporale, perché Maria rifulgerà in essa nello splendore della

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sua divina maternità, nella luce dei suoi privilegi e nella corona che la sublimò Regina
del cielo e della terra nella sua assunzione.

Forse sarà proprio la definizione dommatica della sua gloriosa assunzione al cielo che la
farà apparire al mondo in una gloria novella, proprio quando l‟inferno starà per
scatenarsi contro la Chiesa per l‟ultima lotta. Forse sarà anche, contemporaneamente,
qualche novella manifestazione di Maria, precedente o seguente la definizione della
Chiesa, come avvenne per l‟Immacolato Concepimento. Certo Maria, Madre vera della
Chiesa, e non Madre per modo di dire, Madre costituita da Gesù Cristo morente, fu per
Essa la donna vestita di sole a cominciare dal Cenacolo, quando lo Spirito Santo
discendendo sugli Apostoli costituì la Chiesa nella sua vita soprannaturale anche allora,
in maniera mirabile.

Maria fu la donna vestita di sole, per la grazia dello Spirito Santo che tutta

l‟arricchì, coronata di dodici stelle per gli Apostoli che le stanno intorno, e avente la luna
sotto i piedi perché dominava in quel momento i tempi del mondo, segnando con le sue
materne cure quelli di Dio; anche allora la Chiesa fu ugualmente vestita di sole per la
grazia dello Spirito Santo, coronata di dodici stelle per gli Apostoli che ne erano lo
splendore, e che dovevano propagarne la dottrina, e avente la luna sotto i piedi perché
dominatrice dei tempi e delle vicende terrene; anche allora Maria e la Chiesa formavano
un unico simbolo e un‟unica visione di maternità amorosissima, un‟unica forza opposta
alle forze dell‟inferno. Sempre cosi fu nei secoli, ed è logico supporre anzi credere che
così sarà al chiudersi della vita della Chiesa su questa terra.

Dal Cenacolo la Chiesa mosse per le prime battaglie del suo mortale cammino con Maria
e per Maria, vestita di sole, coronata di dodici stelle e dominante i tempi; con Maria e per
Maria giungerà al traguardo dei secoli per l‟ultima lotta e per l‟ultimo trionfo, che si
muterà in trionfo eterno. Sarà vestita di sole per le grazie che la inonderanno, e per la
grande fede che tutta l‟animerà; sarà coronata di dodici stelle, perché una, apostolica e
cattolica, non avrà perduto alcuna delle sue note, tutta santa per la vita ricevuta da
Maria e per Maria attraverso gli Apostoli. Avrà sotto i piedi le misere e mutabili cose del
tempo, figurate dalla luna, e darà a Dio integro, forte e santo il popolo dell‟eterno trionfo.
Maria sarà con lei in una maniera tanto piena e grande, che la Chiesa sarà Mariana, per
cosi dire, vivendo di Gesù e per Gesù nella gloria e nella maternità di Maria.

Maria sarà glorificata in maniera singolarissima proprio quando « maestri » e «
dottori » cadranno in diabolici errori

Questa ultima e straordinaria manifestazione della gloria e della potenza di Maria
avverrà proprio quando l‟infernale dragone trarrà con la coda la terza parte delle stelle del

cielo, e le precipiterà sulla terra. Stelle del cielo che cantano la divina gloria sono i dottori,
secondo lo spirito liturgico della Chiesa, poiché essi rifulgono nel firmamento spirituale,
lo illuminano come tremule luci, per la limitazione del pensiero umano, e cantano le
grandezze di Dio come le stelle, perché con la loro dottrina ne mostrano e ne fanno
intuire la magnificenza. Queste stelle sono tratte dal cielo della soprannaturale dottrina,
quando satana con le insidie della falsa scienza, del modernismo, della critica, del
razionalismo e dello scientificismo li precipita sulla terra facendo loro vedere le cose da

un punto di vista unicamente terreno, inaridendone lo spirito, e facendoli precipitare in
mille errori.

Maria, debellatrice di tutte le eresie, sarà glorificata nella Chiesa in maniera
singolarissima proprio quando i suoi maestri e dottori saranno maggiormente
disorientati dallo spirito satanico, e cadranno in molti insidiosissimi errori, lusingandosi
di portare nell‟insegnamento della Chiesa una nota di modernità e di scienza, che

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viceversa sarà una nota di materialità tutta terrena, che sfigurerà gl‟ineffabili tesori della
dottrina della Chiesa.

Questo tristissimo ed esiziale fenomeno lo abbiamo già visto col modernismo, il
razionalismo e lo scientificismo, e dolorosamente lo vediamo crescere e non diminuire
per opera di pochi orgogliosi, che, gonfi della loro effimera erudizione o dottrina,
svalutano col più balordo dei disprezzi tutto quello che i veri luminari della Chiesa, i
Padri e i Santi Dottori, hanno insegnato nel corso dei secoli. Questa insidiosa eresia,
somma e colmo di tutte le eresie, sarà debellata completamente quando Maria sarà
glorificata novellamente nella Chiesa, e quando la devozione verso di Lei assunta in Cielo
riporterà novellamente nel cielo e nel fulgore soprannaturale le profumate dottrine.
Maria allora, in mezzo alla generale apostasia, genererà novellamente Gesù Cristo nelle
anime, e promulgherà il regno del suo trionfante amore nel regno della propria regalità
materna.

Questo noi lo invochiamo con calde preghiere, e lo aspettiamo con fervida attesa, poiché
è innegabile che, come disse già fin dal 1929 Pio XI, si scorgono segni di un vero
orientamento nell’esegesi biblica moderna,
disorientamento che oggi è immensamente
cresciuto, e che è stato ed è la vera ed ultima causa del decadimento cristiano. Solo
Maria può vincere questa terribile insidia dell‟inferno, e solo Maria la vincerà in una
novella gloria che la mostrerà nella Chiesa vestita del sole dell‟eterna sua gloria, e
coronata delle stelle della sua materna regalità, forse precisamente nella definizione
dommatica della sua assunzione al cielo.

L‟ordine stesso col quale S. Giovanni predice gli avvenimenti futuri rafforza questa
grande speranza, che è la speranza della Chiesa: si apre il settimo sigillo, e il suono delle
trombe di sette Angeli annunzia le tribolazioni che gradatamente colpiranno la terra
peccatrice. Flagelli sulla terra, nel mare, nelle fonti, nel firmamento (cap. VIII). Poi flagelli
più grandi: lo sconvolgimento dei popoli, le guerre terribili e sterminatrici con le
misteriose cavallette e la misteriosa cavalleria (cap. IX). San Giovanni allora vede un
libro ed ha ordine di farne suo nutrimento, perché possa ancora profetizzare a molte

genti, ai popoli e ai Re (cap. X).

Questo libro misterioso che sta tra questi avvenimenti, e che è dolce ed amaro, è la
parola di Dio, e sopra tutto la Sacra Scrittura, riportata alla Chiesa da un Angelo, cioè
da un messaggero di Dio, perché ridiventi cibo suo. Dolcezza di sapore e amarezza di
digestione e di assorbimento caratterizzano questo libro, per la gioia con la quale è
ricevuto e per le amarezze della lotta che ad esso si fa quando dalla sfera privata passa
nel seno della Chiesa. Il libro è divorato da S. Giovanni che rappresenta la Chiesa,
sparisce divorato da una condanna della Chiesa, che nel digerirlo lo trova amaro. S.
Giovanni non dice più nulla di questo libro misterioso, ma è evidente dalle profezie che
seguono quello che intorno ad esso, per così dire, si centralizza.

Il libro, pur essendo stato divorato, ed essendo stato trovato amaro, non è rigettato.
L‟amarezza della digestione passa; è assorbito, diventa vita delle anime, suscita una
novella vita, ed ecco la misura del Santuario e dell‟Altare, e la mancata misura dell‟atrio
delle genti, cioè ecco una distinzione netta tra veri cristiani e mondani, ecco preparato
l‟ambiente del Regno di Dio e del trionfo della Chiesa in terra, ecco i due testimoni che lo
realizzano con l‟attività del loro apostolato.

Suona la settima tromba, perché s‟inizia così la settima epoca della vita della Chiesa.
S‟inizia con un trionfo, e per questo grandi voci dal Cielo e i ventiquattro seniori
ringraziano Dio. Il trionfo, è evidente dal contesto, culmina nella gloriosa manifestazione
dell‟Arca del Testamento (cap. XI) ossia della glorificazione dell‟Eucaristia, e per riflesso
della glorificazione di Maria, Arca santa e immacolata che ci dette Gesù. Il Regno di Dio

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in terra, e il trionfo della Chiesa giungono al loro apogeo in una glorificazione più grande
di Maria, che ridonderà tutta al trionfo della Chiesa, ed ecco la donna vestita di sole,
coronata di stelle, e con la luna sotto i piedi,
ecco Maria nello splendore di una nuova

corona, ed ecco la Chiesa nel fulgore di una nuova vita.

Il trionfo di Maria e quello della Chiesa servono per la generazione del Redentore nelle
anime, non per una semplice parata di gloria, servono per formare il popolo maschio, il
forte popolo cristiano degli ultimi tempi, ed ecco il dragone rosso che viene dall‟abisso
per muovere guerra a Maria ed alla Chiesa, eccolo in piena forza coi suoi satelliti.

Combatte contro S. Michele e i suoi Angeli, è vinto, è relegato interamente sulla terra, e
muove per l‟ultimo assalto che culminerà poi nella fine del mondo e nel giudizio
universale (cap. XII).

Tutti questi avvenimenti, alcuni dei quali sono concomitanti, ci fanno volgere lo sguardo
a Maria, e ci fanno sperare, anzi ci danno la sicurezza assoluta che per Lei rifulgerà
novellamente sulla terra la gloria di Dio, per Lei sarà schiacciata l‟eresia moderna, per
Lei la Chiesa trionferà anche sulla terra.

Nel giorno del giudizio il portento di Dio, Maria, e la Chiesa, portento autentico di grazie
e di misericordie, appariranno novellamente nel Cielo, Maria come Regina di gloria
accanto al Re trionfante, la Chiesa come celeste Gerusalemme, sposa abbigliata per il
suo diletto. Tutta l‟umanità vedrà la donna, la Signora, la Regina vestita di sole, del Sole
Divino che in Lei s‟incarnò, e vedrà in lei la suprema bellezza della Chiesa, poiché Essa
ne fu il modello più completo e la Madre; Essa fu la città di Dio, città tutta santa, il cui
Tempio fu il suo Cuore Immacolato e la sua anima benedetta e santissima. Ci sarà
anche il dragone, ma definitivamente schiacciato sotto i piedi di Lei; il tempo e i secoli
passati saranno come lo sgabello della sua gloria, come pallida luna sulla quale Essa
s‟innalzerà, Essa che sarà tutta ammantata dal Sole Eterno. La storia dell‟umanità
chiuderà così il suo circolo, i cui estremi si toccheranno, poiché cominciò nell‟Eden con
la donna e il dragone che la vinse, e terminerà con Maria e il dragone sconfitto da lei.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 365-371 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

L'immagine e il marchio

della Bestia


CAPITOLO XIII

Il cinema...

Tra i mezzi di seduzione per far ritornare sulla terra il regno del male, il Sacro Testo ne
indica uno con queste parole: - E sedusse gli abitanti della terra con prodigi che le fu dato
di operare innanzi alla bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare un’immagine della

bestia che fu piagata di spada e riprese vita. E le fu dato di dare spirito all’immagine della
bestia,
sicché l‟immagine della bestia parlasse, e di fare che quanti non avessero adorato

l’immagine della bestia fossero uccisi.

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I prodigi della scienza apostata sono quelli che inducono gli uomini a non credere più al
soprannaturale. Tante scoperte moderne che avrebbero potuto e dovuto avvicinare a Dio
l‟anima umana, sono servite quasi totalitariamente a far risorgere il regno del male, e a
far rinascere l‟idolatria fino al culto e all‟adorazione della macchina, come è avvenuto in
Russia. Ma quella scoperta che più ha influito sulla seduzione delle anime, è stato il
cinematografo, immagine vera della bestia che fu piagata di spada e riprese la

vita, sintesi cioè di ogni male e corruzione, espressa per immagini, nella proiezione delle
pellicole, le quali sembrano avere spirito perché si muovono, e parlano come se fossero

viventi [N.d.R.: Don Dolindo ha scritto questo commento negli anni '40, quando la
televisione era ancora sconosciuta. La televisione può essere considerata in un certo
senso l'erede naturale del cinema, per cui è ragionevole estendere le considerazioni di
Don Dolindo anche a questo medium moderno. Del resto, se qui viene detto del cinema
degli anni '40 che è “immagine vera della bestia” non è difficile immaginare quale
giudizio il sacerdote napoletano esprimerebbe oggi sulla TV... Per estensione, adattando
questo parallelismo ai giorni nostri, si potrebbe dire meglio - per non generalizzare - che
l' "immagine della Bestia" è un certo uso distorto che si fa oggi dei media col quale si
esaltano e promuovono stili di vita immorali e anticristiani.].

Nei cinema, viene proiettato sotto gli aspetti più seducenti il male, la corruzione e
l‟errore; le generazioni, dolorosissimamente, vi vengono educate con vive impressioni
dalla piccola età, e praticamente la bestia, il male, il peccato, l‟apostasia da Dio,

l‟idolatria della carne, della violenza, dell‟orgoglio, e di tutti i vizi capitali, vera bestia con
sette teste e con dieci corna,
perché sintesi dei sette peccati mortali, e dell‟opposizione

della vita ai dieci comandamenti di Dio, sorge trionfante contro il bene.

Al tempo dell‟anticristo questo strumento di seduzione raggiungerà eccessi spaventosi, di
modo che sarà comminata persino la pena di morte contro quelli che si rifiuteranno di
assistere alle proiezioni infami, sacrileghe e sommamente immorali. Non deve stupire
questo, giacché abbiamo già visto in Russia le esose imposizioni fatte ai poveri prigionieri
dalla barbarie bolscevica per costringerli ad assistere alle turpi proiezioni del cinema
immorale e satanico.

Nel tempo della spaventosa apostasia provocata dall‟anticristo in nome della scienza,
sarà dato completamente il bando a tutte ciò che è cristiano, di modo che sarà fatto a
tutti l‟obbligo di portare un segno di apostasia o sulla fronte o nella mano destra, o di
portarvi impresso il nome dell‟anticristo o il numero che lo indica. Evidentemente un
cattolico non potrà portare quel marchio senza dichiararsi già apostata, e allora una
legge infame dichiarerà privi del diritto di comprare e di vendere, ossia del diritto della

vita stessa quelli che non porteranno il segno dell‟anticristo. Sarà questo il colmo
dell‟apostasia, e S. Giovanni con un enigma determina quale sarà il nome dell‟anticristo,
dicendo: Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il nome della bestia; poiché è

numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei.

Gli antichi esprimevano i numeri con lettere dell‟alfabeto; ora la cifra ottenuta
sommando i valori numerici delle lettere che formeranno il nome dell‟anticristo, darà il
valore di seicentosessantasei. Non si tratta di un nome astratto, come avverte
esplicitamente il Sacro Testo, ma di un nome di uomo, e quindi del nome dell‟anticristo.
Sono quasi innumerevoli le combinazioni di lettere dell‟alfabeto greco che possono dare il
valore seicentosessantasei, e quindi è impossibile a noi il poter congetturare il nome che
avrà l‟anticristo.

Alcuni interpretano il numero come un‟espressione mistica di una triplice empietà; sette
nella Scrittura, essi dicono, è il numero che indica la perfezione, otto è il numero della
beatitudine o della felicità, sei è il numero della deficienza e del delitto. Le lettere che
formano il Nome di Gesù equivalgono a 888, quelle dell‟anticristo equivalgono a 666, il

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numero della deficienza e del peccato. Altri identificano il nome del quale parla S.
Giovanni con Nerone, Cesare, altri con Napoleone. ecc. Non si può dire nulla di certo, e
solo quando sarà venuto l‟anticristo si capirà dal valore numerico del suo nome che è
proprio lui lo scellerato: lo si capirà anche dalle sue gesta, ma il nome ne darà la
conferma, e metterà maggiormente in guardia i cristiani contro di lui.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 382-384 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Le due bestie che sorgono

dal mare e dalla terra

CAPITOLO XIV

Sia verginale il nostro carattere cristiano.

La Chiesa si trova sempre tra le due bestie che sorgono dal mare e dalla terra, si trova
cioè tra le agitazioni dei popoli, tra i regimi che le ostacolano la vita, tra i Re e i capi di
stato che la perseguitano, e tra le manifestazioni delle attività della terra che la
insidiano, ossia tra gli agguati della falsa scienza, della falsa civiltà, e tra le seduzioni
della vita terrena che avvelenano l‟anima dei suoi figli, e provocano l‟apostasia della
mente, del cuore e della vita da Dio.

Lo stato penoso in cui si trova il mondo, e nel quale si trova la medesima Chiesa in certe
sue epoche, è dovuto a queste due terribili insidie, contro le quali dolorosamente i suoi
figli combattono malamente. I cristiani con molta facilità, infatti, o si asserviscono ai
poteri prepotenti cercando con essi un accomodamento opportunistico, o si asserviscono
allo spirito del mondo e cadono nelle mortali aberrazioni degli errori, delle false
concezioni della vita, dello sfiguramento delle Scritture e dell‟Evangelo, menando una
vita che ha la lustra cristiana ma è pagana, o che è tutta pagana e conserva solo qualche
povero cencio sdrucito di quello che era e dovrebbe essere la vita cristiana.

In questi momenti, dolorosi per la vita della Chiesa e delle anime nostre, il rimedio non
può consistere negli adattamenti più o meno egoistici, opportunistici e ipocriti, occorre
custodire gelosamente l‟integrità del carattere cristiano come una vergine custodisce la
propria integrità sia contro la violenza che contro la seduzione. Dobbiamo formare
intorno all‟Agnello Divino sul monte di Sion, cioè elevandoci in alto e guardando a Dio

solo, il coro trionfante dei vergini, che non si lasciano inquinare nella mente e nella vita,
e seguono il Re Divino dovunque Egli vada, senza pregiudiziali cioè nel seguirne la
dottrina e la volontà integralmente, dovunque Egli li voglia condurre, secondo i grandi
fini del suo amore. Questa verginale integrità di fede e di costumi dev‟essere totalitaria,
come totalitaria dev‟essere l‟integrità verginale d‟una creatura. Qualunque ombra la
offusca, e qualunque disorientamento della coscienza la copre di ignominie e di brutture.
L‟integrità cristiana importa per noi avere sulla fronte il nome di Gesù, professandoci
apertamente e pienamente suoi seguaci, e importa avere il nome del Padre

suo, compiendone la Volontà.

La nostra vita non può avere stonature, dev‟essere un cantico, un‟armonia di verità e di
bene, un cantico di lode al Signore nel credergli veramente e completamente, e nel far

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corrispondere i costumi alla fede e la vita pratica al costume cristiano in ogni sua
manifestazione. Credere, sperare, amare, ecco le tre parti armoniche della vita Cristiana,
ecco l‟accordo perfetto che solo può farla diventare un canto di lode e di amore innanzi a
Dio. Come un suono incerto che esce fuori dalla tonalità di una musica la rende
disarmonica e sgradita, così un‟incertezza nella fede cristiana e cattolica, o una
titubanza nell‟osservanza di tutti e singoli i doveri cristiani distrugge l‟armonia della
nostra vita, che deve essere soprannaturale, avendoci Dio chiamati alla fede proprio per
elevarci ad una vita superiore.

Il cantico della nostra vita cristiana, integra e totalitaria, dev‟essere come voce di molte
acque,
perché deve diffondersi per fecondante edificazione del mondo; dev‟essere come

voce di gran tuono, per la forza del carattere, e come voce di cetre, per la soave dolcezza
della carità. Il carattere cristiano non può stare rinchiuso nell‟anima come se fosse un
semplice sentimento, un‟opinione, una personale persuasione o una pudibonda
superstizione, dev‟essere schietto come acqua, e dilagare intorno per far sorgere i
germogli del bene in ogni attività della vita sociale. È logico, poiché se la Chiesa è una
società soprannaturale di sua natura, ha per fine di effondersi nel mondo per dare a
tutti e in ogni loro attività l‟incommensurabile bene della Redenzione.

Il carattere cristiano non può essere timido nei manifestarsi, dev‟essere come voce di

gran tuono, che riesca a dominare e ad imporsi alle stolte manifestazioni della vita del
mondo. Non dobbiamo essere dei timidi sopraffatti che si lasciano intimorire e non
hanno voce da far valere i diritti di Dio e della Chiesa, dobbiamo avere una voce di gran
tuono nella dolcezza della carità, in modo che il dominio dell‟idea cristiana non sia
un‟imposizione violenta ma un‟affascinante melodia di cetre, nell‟armonia dei valori

soprannaturali che essa propugna.

Il cantico della nostra vita totalitariamente cristiana è sempre nuovo, perché non è una

teoria o un‟opinione, ma è la vita vissuta per Dio solo. Comprati dal Sangue dell’Agnello
di sopra la terra
noi viviamo di grazia e d‟amore, di verità e di bene; non filosofiamo, non

siamo artefatti, siamo germogli vivi che spuntano dal Sangue del Redentore nel
fecondante calore dello Spirito Santo. Ogni Santo è perciò una novità, come lo è ogni
fiore e ogni frutto della terra, come lo è ogni vita che si sviluppa.

La Chiesa non è un‟istituzione che invecchia, non è un cimelio del passato, benché
conservi intatta la sua vetustà meravigliosa; il cantico della vita cristiana risuona innanzi
ai quattro animali e ai seniori,
in mezzo alla vita cioè che si sviluppa e s‟espande e in

mezzo alla vetustà della Chiesa, ma è sempre nuovo, di modo che là Chiesa appare
sempre giovane, e i suoi figli sono sempre come primizie per Dio e per l’Agnello Divino.

Sul nostro labbro cristiano non deve trovarsi menzogna, dobbiamo vivere nella verità
soprannaturale e non farci affascinare dal mondo che è tutto una menzogna, dobbiamo
considerare la vita per quello che è e non come ce la presenta il mondo; dobbiamo vivere
per ciò che è unica realtà, cioè per giungere all‟eterna vita, e non per ciò che passa ed è
menzogna vivente.

Menzogna è la vita dei sensi, perché è un‟illusione, menzogna sono le esigenze
dell‟orgoglio, le avidità dell‟avarizia, i diletti della lussuria, le vittorie dell‟ira, le
soddisfazioni della gola e gli ozi dell‟accidia.

Menzogna sono le ipocrite convenienze sociali che non partono dalla carità, le eleganze
che celano le turpitudini dello spirito e della carne, i sorrisi che nascondono l‟inganno e
le gioie che orpellano le più profonde infelicità del cuore.

Il cristiano vive di verità e cammina per la via che conduce all‟eterna verità. Le massime
dei Libri Santi che regolano la sua vita sono tutt‟altro che puri idealismi, esse

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rispondono invece all‟unica vera realtà della vita presente in armonia con quella futura.
Nessuno è più realista di un cristiano, che guarda la vita e le cose della vita per quelle
che sono.

Scuotiamo dunque da noi lo spirito del mondo, liberiamoci dalle schiavitù della materia,
raduniamoci intorno all‟Agnello Divino, formiamo il suo coro di amore, seguiamolo
dovunque Egli vada e voglia condurci, ed intoniamo con Lui, in una vita nuova, un
cantico nuovo, rinnovellandoci in Lui e per Lui.

Temiamo Dio riconoscendone l‟infinita maestà e diamogli onore osservandone la Legge;
crediamo veramente in Lui, Creatore di tutte le cose, e pensiamo che gli daremo un
giorno conto minuto di ogni nostro pensiero e di ogni nostra azione. Il mondo con tutto il
suo ignobile fasto e la sua effimera potenza cadrà, e chi l‟avrà seguito sarà trascinato
dalla sua caduta e berrà del vino dell’ira di Dio, perdendosi eternamente nell‟inferno.

Sopportiamo con pazienza le pene della vita, che per noi sono un merito e un titolo per il
possesso dell‟eterna vita. La morte vista da questo aspetto sarà per noi una beatitudine e
un riposo, e le opere buone che avremo fatte nella vita ci seguiranno. Il mondo che ci
appare tra mendaci splendori che affascinano, sarà falciato e vendemmiato dalla
giustizia di Dio, e tutta la sua apparente grandezza sarà sterminata. Non siamo così
stolti da seguirlo, non siamo così deboli da farcene dominare, scuotiamo una buona
volta il suo giogo, e ritorniamo in pieno alla Chiesa cattolica, apostolica romana.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 423-426 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Il Signore ci chiama a penitenza

CAPITOLO XVI

«Udii poi una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: «Andate e versate sulla terra

le sette coppe dell'ira di Dio».

Partì il primo e versò la sua coppa sopra la terra; e scoppiò una piaga dolorosa e maligna

sugli uomini che recavano il marchio della bestia e si prostravano davanti alla sua statua.

Il secondo versò la sua coppa nel mare che diventò sangue come quello di un morto e perì

ogni essere vivente che si trovava nel mare.

Il terzo versò la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque, e diventarono sangue.

Allora udii l'angelo delle acque che diceva: «Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo,
poiché così hai giudicato. Essi hanno versato il sangue di santi e di profeti, tu hai dato loro
sangue da bere: ne sono ben degni!».

Udii una voce che veniva dall'altare e diceva: «Sì, Signore, Dio onnipotente; veri e giusti

sono i tuoi giudizi!».

Il quarto versò la sua coppa sul sole e gli fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. E

gli uomini bruciarono per il terribile calore e bestemmiarono il nome di Dio che ha in suo
potere tali flagelli, invece di ravvedersi per rendergli omaggio.

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Il quinto versò la sua coppa sul trono della bestia e il suo regno fu avvolto dalle tenebre. Gli

uomini si mordevano la lingua per il dolore e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei
dolori e delle piaghe, invece di pentirsi delle loro azioni.

Il sesto versò la sua coppa sopra il gran fiume Eufràte e le sue acque furono prosciugate
per preparare il passaggio ai re dell'oriente.

Poi dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta vidi

uscire tre spiriti immondi, simili a rane: sono infatti spiriti di demòni che operano prodigi e

vanno a radunare tutti i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio onnipotente.
Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar

nudo e lasciar vedere le sue vergogne.

E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedòn.

Il settimo versò la sua coppa nell'aria e uscì dal tempio, dalla parte del trono, una voce

potente che diceva: «È fatto!». Ne seguirono folgori, clamori e tuoni, accompagnati da un

grande terremoto, di cui non vi era mai stato l'uguale da quando gli uomini vivono sopra la
terra.

La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città delle nazioni. Dio si ricordò di
Babilonia la grande, per darle da bere la coppa di vino della sua ira ardente. Ogni isola

scomparve e i monti si dileguarono.

E grandine enorme del peso di mezzo quintale scrosciò dal cielo sopra gli uomini, e gli

uomini bestemmiarono Dio a causa del flagello della grandine, poiché era davvero un
grande flagello.»
(Apocalisse, capitolo XVI)

Per la nostra vita spirituale.

L‟annunzio della grandi tribolazioni che colpiranno la terra prima del giudizio universale
ci deve fare seriamente pensare al giudizio di Dio nella nostra vita mortale. Sette coppe
sono versate sulla terra come sette libazioni di sacrificio espiatorio, per riparare le
ingiurie fatte al Signore coi sette peccati mortali nelle sette epoche della vita della
Chiesa. Queste coppe misteriose di flagelli riparatori si versano anche nel nostro
cammino mortale per le colpe delle quali siamo rei. Nessuno si illuda di fare il male e di
rimanere impunito, o, peggio, di fare il male e prosperare. Tutto si paga, inesorabilmente
si paga, e possiamo dire veramente che c‟è per ogni nostro peccato una coppa di
amarezze e di angustie che ce lo fa pagare.

Finché dura il tempo della misericordia ci sono anche anime generose che si immolano
come vittime, attingono dai tesori della Redenzione e pagano per noi; ma c‟è anche per la
nostra vita un momento di giustizia inesorabile, nel quale scadono i debiti contratti e
bisogna ad ogni costo pagarli. Chi sarà così stolto da voler comprare un miserabile
diletto dei sensi col carissimo prezzo di ulceri, di angosce mortali, di sventure e di pene
di ogni genere? E chi sarà così inumano e crudele da cagionare agli altri simili affanni e
da concorrere a quelle sventure che affliggono la povera e desolata umanità? Siamo sulla
terra come una sola famiglia, infatti, e il danno del quale ognuno di noi è causa diventa
danno di tutta l‟umana famiglia. Ci scuota almeno questo pensiero di umanità e di
carità, e ci raccolga tremanti sulle nostre responsabilità.

Chi va in una sala di ospedale nell‟ora della medicazione rimane atterrito di fronte ai
mali che colpiscono e tormentano le povere membra umane. Quella sala echeggia di
grida spasimanti, eppure non è sala di castigo ma di caritatevoli cure, e quell‟ora è la più
benefica per quella povera gente. È un piccolo angolo della valle di lagrime, che ne dà
l‟idea più viva, e strappa amari lamenti da un cuore compassionevole. Se si facesse non

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la storia clinica di quei malanni ma la storia morale delle responsabilità che li
causarono, si troverebbe o prossimamente o remotamente una storia di peccati e di
iniquità, e si costaterebbe in quelle ulceri, in quel sangue, in quelle ardenti febbri, in
quegli oscuramenti della potenza visiva, in quell‟inaridimento di membra e in quelle
tempeste di angustie il pagamento di tanti conti da saldare con la divina giustizia.

Quante coppe di amarezza vengono versate nella nostra vita per le nostre iniquità, e noi,
invece di riconoscere in esse la voce della giustizia di Dio, continuiamo nelle nostre
pessime vie, anzi tante volte ci peggioriamo richiamando su di noi più gravi flagelli!
Umiliamoci profondamente, preghiamo, ripariamo, e, gettandoci nelle braccia della
divina misericordia che è sempre pronta ad accoglierci, piangiamo i nostri falli, e
accettiamo come riparazione le pene stesse della vita. Il Signore prospettandoci i mali
che colpiranno negli ultimi tempi la terra, ci richiama precisamente al sentimento delle
nostre responsabilità, e ci scuote perché ci emendiamo dei nostri peccati.

Si deve notare che i flagelli che colpiscono l‟umanità negli ultimi tempi hanno un
carattere più chiaramente soprannaturale, in modo da non offrire agli uomini il destro di
illudersi dando ad essi una spiegazione puramente naturale. L‟ulcera colpisce solo quelli
che hanno il carattere della bestia o che adorano la sua immagine; dunque non può
scambiarsi con una comune epidemia. Il mare, che ha acqua sempre pura e incorrotta,
non poteva mutarsi d‟un tratto in sangue cadaverico. I fiumi e le fontane rosseggiano
come vivo sangue senza una possibile spiegazione naturale. Il sole, che secondo tutti gli
scienziati si trova in una fase di raffreddamento, accresce il suo calore fino a bruciare. Il
trono dell‟anticristo, che sembrava saldo e incrollabile, improvvisamente vacilla sotto la
grave minaccia dell‟incursione gialla, alla quale apre la via il disseccamento improvviso
dell‟Eufrate. Infine gli sconvolgimenti atmosferici, le tempeste spaventose che li seguono,
i terremoti, la grandine hanno un carattere che esclude ogni spiegazione naturale.

Il Signore chiama così a penitenza l‟umanità, e vuol farsi riconoscere perché essa si
emendi. Non attendiamo che Dio ci chiami con castighi prodigiosi per emendarci, ma
riconosciamo in ogni sventura la sua voce, e profittiamo di ogni dolore per far penitenza
dei nostri peccati. La penitenza non è una sventura, ha un carattere dolce, perché è
sempre un filiale ritorno nelle adorabili braccia di Dio; rispondiamo, dunque, al suo
invito e percuotendoci il petto domandiamogli perdono nella nostra profonda
umiliazione.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 448-449 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Il Regno dei "mille anni"

CAPITOLO XX

«Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in

mano.

Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo

gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più

le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po' di
tempo.

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Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le

anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti
non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla

fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti
invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima

risurrezione.

Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la

seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille

anni.

Quando i mille anni saranno compiuti, satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per

sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magòg, per adunarli per la guerra: il
loro numero sarà come la sabbia del mare.

Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d'assedio l'accampamento dei santi e

la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò.

E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la

bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.

Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano
scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé.

Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto

anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto

in quei libri, ciascuno secondo le sue opere.

Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro

custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere.

Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo
stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di

fuoco». (Apocalisse, capitolo XX)

L‟Angelo discese dal Cielo in grande fulgore e trionfo; discese sulla terra perché sulla

terra aveva relegato satana, discese per affrontarlo e sconfiggerlo di nuovo, affinché di
nuovo avesse sentito che egli era nulla innanzi alla potenza di Dio. Ancora una volta
l‟Arcangelo gridava nel fulgore del suo grande spirito: Chi è come Dio? Splendeva di luce

ammirabile nella conoscenza e nella contemplazione di Dio, ne manifestava la gloria ed
era tutto un‟arcana fiamma di amore per Lui.

Discendeva con l‟impeto di una folgore, sdegnato contro il male, desideroso di illuminare
la terra con lo splendore della divina gloria. Era come un sole che illuminava la nostra
povera valle desolata, disseminata di rovine; un sole che illuminava e rinfrancava la
Chiesa, oppressa da tante prove e insanguinata dal sangue dei suoi Martiri. Aveva la

chiave dell’abisso e una grande catena in mano; la sua potenza poteva sbarrare le porte
dell‟inferno impedendo a satana di uscirne, e poteva costringerlo a rimanere nelle
tenebre eterne, quasi l‟avesse legato con una forte ed infrangibile catena.

La chiave, anche nelle piccole cose, è un segno di dominio, la catena è uno strumento di
costrizione. Si chiude a chiave la casa quasi per proclamarne la libertà ed affermarne il
dominio, e la si chiude per impedire l‟entrata dei ladri. Si chiude il carcere e si legano
con la catena i prigionieri per far sentire loro la potenza di chi regna, per restringere le
loro nefaste attività, e per costringerli con la forza a riparare il male fatto. L‟Angelo
veniva in terra da parte di Dio per far sentire a satana che non era padrone di agire a

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suo modo, e che anche nel luogo dove esplicava la sua nefasta attività egli era sotto-
messo come ogni creatura alla potenza ed alla volontà di Dio.

Satana non potette resistere all‟impeto dell‟Arcangelo glorioso; ancora una volta se ne
sentì travolto, si inabissò nelle tenebre, vi fu rinchiuso, e la proibizione divina di non
sedurre più le nazioni fu come il sigillo che ve lo confinò per mille anni.

In questo periodo di mille anni la Chiesa doveva rifulgere in tutto il suo splendore, in
comunione di virtù e di amore coi Santi del Cielo, e perciò S. Giovanni vide dei troni di

gloria sui quali sedettero le anime di quelli che furono decollati, ossia uccisi, a causa della
testimonianza di Gesù e a causa della Parola di Dio;
vide i Martiri novelli e i Santi che non

adorarono la bestia né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla fronte e sulle
loro mani,
cioè che non si lasciarono affascinare e vincere dalle insidie dell‟apostasia e

rimasero fedeli a Dio.

I Martiri, vittime dell‟ingiustizia umana, avrebbero giudicato i loro oppressori, e
avrebbero manifestato nell‟ultimo giorno la gloria di Dio nei loro patimenti; i Santi, fedeli
nelle prove, sarebbero stati nella gloria con Gesù Cristo insieme ai Martiri per mille anni
solo con l‟anima, e dopo i mille anni sarebbero risorti anche col corpo e sarebbero stati
glorificati nel giudizio universale e in eterno. Quelli che saranno morti in disgrazia di Dio
risorgeranno dopo i mille anni, alla fine del mondo, ma per essere condannati insieme
col corpo.

I Martiri e i Santi muoiono sulla terra e rivivono in Dio, e questa novella vita è per essi
come la prima risurrezione.

Quelli che hanno parte a questa risurrezione non possono essere toccati dalla morte
eterna che colpirà i perversi, risorti coi loro corpi per averli con loro negli eterni supplizi:
vivranno con Gesù Cristo come suo corpo mistico glorioso, regale sacerdozio di gloria per
Dio e per Gesù Cristo, e regneranno con Lui per mille anni in attesa della risurrezione e
del giudizio.

Nel tempo del regno di Dio sulla terra ci sarà una comunione più grande tra i Santi del
Cielo e la Chiesa militante; essi regneranno con Gesù Cristo non solo per la gloria che

avranno nel Cielo, ma anche per quella che avranno sulla terra, e questo sarà
riparazione della noncuranza e del disprezzo nel quale furono tenuti in terra massime
dopo l‟eresia protestante.

L’errore del « millenaristi ».

L‟annunzio del regno di Dio sulla terra per mille anni dette origine all‟errore dei così
detti Millenaristi, i quali ammettevano che dopo la sconfitta dell‟anticristo e prima della

risurrezione finale e del giudizio universale doveva aver luogo un periodo di mille anni,
durante i quali Gesù Cristo, dopo aver fatto risorgere i suoi Santi, avrebbe regnato
visibilmente con essi per mille anni.

Non neghiamo che il testo sacro, assai oscuro, ha potuto dar luogo facilmente a questa
interpretazione, sostenuta da Papia, Tertulliano, Lattanzio, ed anche, con qualche
restrizione, da S. Ireneo e S. Giustino; se si riflette però bene a tutto il contesto dei
capitoli precedenti appare chiaro che vi sarà solo un lungo periodo di pace, di vita
cristiana e di santità dopo grandi tribolazioni che purificheranno l‟umanità e la Chiesa, e
che in questi periodi i Santi saranno grandemente onorati sulla terra, e la inonderanno
di tante grazie da sembrare novellamente vivi in mezzo agli uomini. In generale si crede
che i mille anni rappresentino una cifra tonda per indicare un lungo periodo di tempo;
nulla però vieta di prenderli letteralmente come suonano, giacché tale interpretazione
non dà luogo ad alcun inconveniente. Sarebbe anzi bello e confortante il pensare che per

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mille anni dopo la guerra devastatrice che ci ha travagliati, la terra godrà di quella
grande pace che gli Angeli annunziarono sulla grotta di Betlem.

Verso il termine dl questi anni gli uomini cominceranno novellamente a corrompersi, ed
allora, come si disse, Dio permetterà al male di affiorare in tutta la sua virulenza nel
regno dell‟anticristo, farà sciogliere satana per breve tempo, e irromperà contro di esso
per distruggerlo. Gli uomini risorgeranno tutti, buoni e cattivi, saranno giudicati
solennemente da Gesù Cristo; ciascuno avrà l‟eterna benedizione o l‟eterna condanna
che avrà meritato. Sarà questo il secondo trionfo di Gesù Cristo sui male. seguito poi dai
suo eterno e trionfante regno nell‟eternità.

Questi due periodi della vita della Chiesa sono annunziati chiaramente dal Sacro
Testo: Quando saranno terminati i mille anni, satana sarà sciolto dalla sua prigione, e
uscirà, e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra,
sedurrà le nazioni

rappresentate da Gog a Magog nella profezia di Ezechiele (cap. XXXVIII), e le radunerà a
battaglia numerose come l’arena del mare contro gli accampamenti dei Santi e la città

diletta, cioè contro la Chiesa e il suo centro vitale, contro le nazioni cristiane e contro
Roma, la mistica Gerusalemme.

Al capitolo XXXVIII Ezechiele annunzia la guerra di Gog, Re di Magog contro Israele.
Questo Re, figura dell‟anticristo, radunerà i popoli di Magog, ad occidente del Caucaso e
a Mezzogiorno del Mar Nero, e irromperà contro il popolo di Dio per uccidere, predare e
devastare. Ma il Signore irromperà contro di lui con evidenti prodigi di potenza,
coalizzando contro di lui eserciti, pestilenze, sangue, pioggia violenta, grandine grossa, e
farà piovere fuoco dal cielo e zolfo sul suo esercito e sui popoli a lui uniti; Dio apparirà in
tutta la sua grandezza e santità, e sarà riconosciuto alla presenza di molte nazioni come
Dio vero.

Manderà fuoco sulle regioni di Magog e su quelli che abitano sicuri nelle isole, cioè sulle

nazioni del Mediterraneo, coalizzate a Gog nella guerra contro il popolo di Dio. Gog sarà
sconfitto, e il popolo di Dio avrà grande pace brucerà le armi raccolte nella vittoria, come
sarmenti per il fuoco (XXXIX. 9, 10), e dopo sette mesi seppellirà ancora i morti
dell‟esercito di Gog e, dove li troverà nei campi sterminati di guerra, vi porranno un
segnale per additarli ai becchini che dovranno seppellirli. Anche Ezechiele parla del
banchetto di cadaveri per indicare il numero stragrande di uccisi in quella guerra, e
parla di un‟era novella di prosperità e di fede per il popolo di Dio dopo quella guerra.

Il Sacro Testo, alludendo a questa profezia di Ezechiele con le semplici parole Gog e
Magog, vuoi dire che la guerra mossa dall‟anticristo e dai suoi complici alla Chiesa sarà
come quella di Gog Re di Magog contro il popolo di Dio, e avrà lo stesso epilogo
disastroso: Dal cielo, infatti aggiunge, cadde un fuoco mandato da Dio e li divorò, e il

diavolo che li seduceva fu gettato in uno stagno di fuoco e zolfo, dove anche la bestia e il

falso profeta saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli.

Il giudizio universale.

Alla sconfitta dell‟anticristo e del suo esercito seguirà la resurrezione dei morti e il
giudizio universale.

S. Giovanni vide la scena grandiosa e la descrisse con parole sintetiche, cominciando da
quello che più lo impressionò in quella scena, cioè dalla comparsa del Giudice Eterno.
Egli vide un grande trono, candido per fulgore di luce, spirante santità, giustizia e

potenza arcana. Su quel trono vide sedere un personaggio maestoso, che incuteva
timore. La natura al suo apparire si sconvolse tutta, e S. Giovanni sintetizza questo
sconvolgimento con poche parole sublimi: Dalla vista di Lui fuggirono la terra e il cielo, e

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non fu trovato più luogo per loro. Fuggirono perché si sfasciarono nell‟agitazione tremenda

dei terremoti, si dissolvettero, sparirono.

Nel cataclisma terribile ad un cenno della Volontà di Dio risorgeranno i morti, grandi e
piccoli,
senza alcuna eccezione di età o di dignità, e si presenteranno innanzi al Giudice

per dar conto di ciò che avranno fatto in vita e ricevere la sentenza di vita o di morte.
Questa sentenza sarà promulgata in base alle opere fatte da ciascuno durante la sua
vita mortale. Nulla sarà dimenticato, nulla omesso, poiché tutto è come segnato
nell‟eternità di Dio cui tutto è presente. Si apriranno i libri, dice il Sacro Testo, perché
ogni coscienza, ogni anima sarà come un libro che si apre e si svolge, e in un attimo si
vedranno con evidenza assoluta e chiarezza indiscutibile le azioni di ciascuno.

Come alla luce del sole le cose appariscono quali sono, e non c‟è bisogno di
ragionamento o discussione per capire che un tavolo è un tavolo e una sedia è una sedia
così nella luce di Dio ogni azione apparirà alla propria coscienza e innanzi agli altri
qual‟è stata, e ad ogni azione sarà proporzionato il premio o il castigo. Logicamente le
azioni cattive, cancellate con la Confessione e riparate con la penitenza, non potranno
apparire in quei libri misteriosi, perché il peccato sinceramente confessato, e rimesso
dalla misericordia di Dio non esiste più; ma i peccati e le responsabilità dei riprovati
appariranno in tutto il loro orrore, innanzi agli occhi di tutti.

Non si può pensare che, in fondo, per un‟anima abbrutita dalla dannazione la vergogna
che proverà sarà poca cosa e sarà obbrobrio di un momento; la vergogna sarà immensa,
perché sarà proporzionata alla luce di evidenza che farà apparire le colpe per quello che
sono, e lascerà nell‟orgoglioso spirito del dannato un tremendo suggello e un inesauribile
rimorso. Vedere per quali spregevoli lordure e miserie s‟è perduto Dio e il gaudio, eterno,
vederlo al confronto dei Santi gloriosissimi, la cui vita fu creduta follia sulla terra da
quegli stessi che appariranno in tutta la miseria delle loro azioni sarà un dolore da non
potersene formare ora la più piccola idea, un dolore che rimarrà come una spada
nell‟anima per tutta l‟eternità.

Al contrario poi la gioia dei giusti sarà immensa, e sarà proporzionata alle pene da essi
subite nella vita mortale. Allora si apprezzerà la preziosità di ogni pena; di ogni
umiliazione, di ogni sacrificio fatto per amor di Dio, e tutte le angustie della vita
appariranno una cosa trascurabile. Le stesse pene del Purgatorio, che sono quasi una
penosa appendice del pellegrinaggio terreno, appariranno, quali sono veramente, una
delicatezza della divina bontà che purifica le anime per renderle interamente capaci
dell‟eterna gloria, ed anche per farle apparire nel pieno fulgore di arcana bellezza in quel
giorno terribile di rendiconto universale.

La morte restituisce la sua preda.

Risorgeranno tutti, nessuno sarà escluso, e perciò il Sacro Testo dice che il mare dette i
suoi morti,
che nella massa delle acque dove perirono sembreranno i più consunti e

introvabili, e soggiunge che la Morte e l’inferno rendettero i morti che avevano, cioè il
regno della morte, i cimiteri, e gli abissi dei sepolcri rendettero anche la minima parte
degli avanzi umani che conserveranno, e quegli avanzi rivivranno quasi come semente
che sboccia di nuovo.

Risorgeranno tutti, e la morte non avrà più potere sugli uomini, come non l‟avrà il
sepolcro, ultima meta e stazione della vita pellegrina, perché gli uomini non potranno
più morire. La morte e il sepolcro apparterranno solo ai reprobi, non per privarli della
vita corporale, ma perché, anche risorti, saranno morti alla grazia, e per questo è detto
che l’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco, ed è soggiunto che questa è la

seconda morte del corpo, condannato insieme con l‟anima alle pene eterne.

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Il corpo mori la prima volta per la separazione dell‟anima, muore la seconda volta per la
privazione della vita eterna, e si sprofonda negli abissi non per vivere con l‟anima come
faranno i Beati, ma per morire continuamente negli spasimi della dannazione eterna.
Sarà un momento definitivo e decisivo della vita umana, e chiunque non sarà trovato
scritto nel libro della vita, sarà gittato nello stagno di fuoco.
Gli empi non sono scritti nel

libro della vita, non perché siano stati capricciosamente esclusi dalla salvezza, ma
perché essi ostinatamente rifiutarono di salvarsi e di usufruire dei facili mezzi per
salvarsi.

I « mille anni » nelle aspirazioni dei Santi.

Fin dal suo tempo Pietro Galatino, citato dall‟A. Lapide (pag. 1136, vo1. XIX) disse che i
mille anni nei quali satana sarà legato debbono computarsi da Gesù Cristo, e per la loro
maggior parte dal Pastore Angelico, ossia dal grande Pontefice sotto il cui pontificato si
realizzerà la sconfitta del regno del male e lo splendore del regno di Dio e del trionfo della
Chiesa sulla terra. Egli dice che questo Pontefice sarà di ammirabile umiltà, sapienza e
santità, avrà dodici apostoli come Gesù Cristo, e con essi riformerà la Chiesa,
restituendola allo splendore degli Apostoli. Questo Pontefice singolare è annunziato e
promesso anche da S. Caterina da Siena, dal Beato Amedeo e da altri Santi.

In ogni epoca della Chiesa, in realtà, c‟è stata sempre una forte aspirazione e una viva
speranza in un periodo di vita santa, pacifica e soprannaturale e in un manifesto e
universale regno del bene su questa povera terra. Satana fu legato da Gesù Cristo nella
redenzione, ma la Chiesa ha atteso e attende ancora una vittoria più smagliante sul
nemico infernale. L‟attese nel periodo delle persecuzioni e dei Martiri, e satana sembrò
veramente legato dopo la vittoria di Costantino il grande, e dopo l‟editto da lui emanato
in favore del cristianesimo nel 313. La Religione cristiana, infatti, si dilatò gloriosamente
in tutto il mondo allora conosciuto per mille anni. Dopo questi anni e specialmente
nell‟epoca del così detto Rinascimento, satana sembrò sciolto, poiché da quel tempo
cominciò a poco a poco l‟apostasia delle nazioni da Dio, apostasia che ebbe un impulso
terribile con la disgraziata comparsa del protestantesimo, ed è giunta al suo culmine
nella storia moderna e contemporanea.

Nonostante però la prodigiosa vittoria di Costantino e la protezione da lui accordata alla
Chiesa, il periodo della dilatazione del Cristianesimo non può dirsi un periodo di santità;
esso anzi fu funestato da eresie, da lotte e soprattutto dalla comparsa di Maometto,
caratteristico e feroce anticristo dell‟epoca sua. La Chiesa attende ancora il suo grande
periodo di trionfo, soprattutto spirituale, poiché la sua grande aspirazione non è quella
di trionfare politicamente, ma di salvare le anime e glorificare il Signore.

Il Pontefice sotto il cui regno dovrà compirsi questo trionfo dovrà essere eccezionalmente
santo e forte, ed il trionfo della Chiesa dovrà avverarsi dopo un periodo di grandi
tribolazioni, e, come tutto fa credere, dopo una guerra sterminatrice e disastrosa che
sarà seguita o accompagnata da fiere persecuzioni contro la Chiesa medesima. Tutto fa
credere e sperare che la guerra e le persecuzioni che l‟accompagnano sia proprio la
seconda guerra mondiale, della quale siamo stati vittime e spettatori. In questa guerra
satana è sembrato non solo sciolto dai ceppi nei quali era stato stretto dopo la
Redenzione, ma è sembrato addirittura padrone del mondo. Noi perciò attendiamo con
fede come imminente la comparsa di un grande capo di stato e di un grande Pontefice
che ridonino la pace al mondo e alla Chiesa.

Hitler, questo esiziale anticristo dell‟epoca nostra [Don Dolindo Ruotolo scrive questo
commento all‟Apocalisse negli anni „40 del XX secolo; N.d.R.], nell‟incominciare la
spaventosa guerra che ha insanguinato e insanguina il mondo, disse che guerreggiava
per assicurare alla Germania un periodo di supremazia, di sviluppo e di pace per mille

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anni. Il millennio stava anche nelle sue aspirazioni sfrenate e criminali. La Chiesa invece
attende dalla misericordia di Dio il regno trionfante del Redentore nelle anime, e confida
in un millennio di santificazione e di pacifico trionfo sull‟empietà e sul male. In questo
periodo, che già si delinea, sarà sconfitta la bestia che viene dal mare e quella che viene
dalla terra, l‟imperialismo apostata e la falsa scienza, e ci sarà una mirabile fioritura di
spirito cristiano e di santità.

La Chiesa non avrà bisogno di fare delle novità, non dovrà mutare la sua costituzione,
ma dovrà solo valorizzare nei fedeli quelle ammirabili ricchezze che Essa possiede.
Splenderà di vivissima luce la verità, e i Sacramenti, e massime l‟Eucarestia,
rinnoveranno la vita cristiana. La santità fiorirà in maniera splendente tra le anime
consacrate al Signore, tra i Sacerdoti, le Suore e i semplici fedeli. La vera carità allevierà
tutte le sofferenze umane, e sarà sostituita a tutte le utopie degli attuali avvelenatori e
corruttori del popolo. Finirà, speriamolo fermamente, l‟ignominia della vita mondana con
tutte le sue aberrazioni teoretiche e pratiche, finiranno le degradazioni della moda, dello
scostume della prepotenza, del ladrocinio, e ci sarà un tenore di vita più semplice che
allevierà notevolmente le preoccupazioni del terreno pellegrinaggio.

Segreto di un gran ritorno al bene, sarà una intensa vita Eucaristica.

Segreto mirabile di questo rinnovellamento dell‟umanità sarà la SS. Eucaristia, Gesù
vivo e vero nella Chiesa, che diventa cibo delle anime, che orienta al Padre suo ogni loro
attività, le fa vivere per la gloria di Dio, vive in loro per farle vivere in Lui, e le trasforma
in novelle creature. I primi cristiani vissero da santi perché vissero intimamente con
Gesù Eucaristia; questo è un fatto storico inconfutabile; la vita loro si rilassò
miseramente a misura che si allontanò da Lui, e giunse ai secoli di piombo che
prepararono il protestantesimo prima, e poi l‟apostasia di tutte le nazioni da Dio.

Il ritorno alla vita cristiana sarà effetto di un processo opposto; dalla tiepidezza si dovrà
passare al più grande fervore, e Gesù dovrà regnare. Il suo regno suppone il completo

dominio di tutte le attività umane, e questo Egli lo raggiunge attraverso la SS.
Eucaristia, diventando cuore della nostra vita, e sangue vivo del nostro cuore. Regnerà
per l‟amore e non ci sarà una prova più potente di amore per l‟uomo quanto il Suo darsi
come cibo e bevanda, e l‟immolarsi come vittima di riparazione per le nostre iniquità.

Il mio regno, disse Gesù a Pilato, non è di questo mondo; i Re della terra, infatti,
dominano con la forza ed Egli domina con l‟amore; i Re esigono, Egli dona; i Re
puniscono, Egli perdona; i Re si circondano di armati, Egli invece si nasconde in una
solitudine profonda e non si fa scorgere nei veli che lo ricoprono; i Re si mostrano arcigni
e severi per incutere rispetto, Egli invece si mostra in tutta la tenerezza del suo amore e
ci conquide.

Se l‟uomo non fosse quel ributtante ammasso d‟ingratitudini che è, dovrebbe vivere
continuamente adorando, il Signore Sacramentato; in ogni centro di attività ci dovrebbe
essere il candido trono eucaristico, innanzi al quale dovrebbero succedersi turni e

squadre di adoratori. La vita cambierebbe in breve tutto il suo ritmo, gli uomini si
migliorerebbero, il lavoro sarebbe benedetto, i campi prospererebbero, le famiglie
riacquisterebbero la pace, e la Provvidenza di Dio le farebbe ridondare di ogni bene. Le
nazioni dovranno avere in ogni città e in ogni capitale il trono ufficiale di Gesù, e
formarvi le squadre di adoratori tra quelli che reggono la pubblica cosa.

Se si giunge a capire che cosa significa avere Gesù vivo e vero tra noi in una reale
presenza, moltiplicata, per cosi dire, in ogni parte del mondo, s‟intenderà che non è
esagerato avvicinare se stessi e le nazioni a quest‟adorabile Re d‟Amore, e che l‟unica
esagerazione e anormalità in merito all‟Eucaristia è quella di tenerla in non cale, o
sfruttare la minima parte dei suoi ammirabili tesori. Gesù Cristo ci vivifica, attira su di

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noi lo Spirito Santo, ci sostenta, ci conforta, ci educa soavemente, ci trasforma, ci eleva e
ci unisce tutti in un unico vincolo di carità. Dove si eleva il suo trono si diffonde la vita e
la pace, poiché Egli è come sole fulgido della Chiesa e del mondo. Egli nel suo arcano
silenzio è la testimonianza più grande della realtà di Dio, Egli in un mistero di sola e
pura fede sostenta e alimenta la nostra fede.

Il regno eucaristico di Gesù Cristo non si realizza in noi se adoriamo la bestia o la sua
immagine, e riceviamo sulla fronte e sulle mani il suo carattere,
cioè se viviamo dello

spirito del mondo e ci lasciamo soggiogare dalle sue massime. La vera causa della
sterilità eucaristica in noi sta proprio nel non saper dare a Gesù un cuore libero,
semplice, illuminato dalla fede, lontano da tutte le miserie e le lordure del mondo. Com‟è
possibile usufruire dell‟aria pura quando si è già asfissiati dall‟aria velenosa della terra?
Com‟è possibile assimilare il cibo salutare quando si ha già pieno lo stomaco di cibi
guasti? Com‟è possibile apporre il suggello del Re Divino dove già il mondo, il demonio e
la carne hanno apposto il loro marchio di depravazione? Umiliamoci innanzi a Gesù, e
domandiamo a Lui stesso la grazia di rinnovarci per avvicinarci a Lui e regnare con Lui.

Rinnoviamoci nel pensiero del giudizio di Dio che è tanto diverso dal giudizio del mondo.
In fondo una delle cause della nostra degradazione sta proprio nel preoccuparci del
giudizio del mondo, nel seguirne le massime, nel vivere del suo spirito. Or quando
pensiamo che ogni nostra azione è come scritta in un libro, ed è giudicata poi con
assoluta giustizia da Colui che s‟è dichiarato nemico del mondo, come possiamo seguire
più il mondo scellerato e le sue massime? Il mondo non ci porta la pace, non ci dona la
felicità, non ci solleva in alto.

È sintomatico che il Sacro Testo dopo avere accennato al termine dei mille anni del regno
di Gesù Cristo, soggiunge subito che satana è sciolto dalla sua prigione, seduce le
nazioni e le raduna a battaglia. Questo è l‟effetto immediato del regno del mondo in noi:
insidie di satana, seduzione e mancanza di pace. Rompiamo i vincoli di morte che ancora
ci stringono, liberiamoci completamente dal mondo, doniamoci interamente a Gesù
Cristo e facciamolo regnare in noi, implorando dalla sua misericordia che Egli regni per
la Chiesa e nella Chiesa su tutta la terra.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 514-524 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

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L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Il Giudizio di Dio che pesa sui

corruttori della Scrittura

CAPITOLO XXII

L‟epilogo finale della storia del mondo e della Chiesa dimostrerà dove sta veramente la
potenza e la vittoria, e perciò i fedeli, lungi dal lasciarsi disorientare dagli empi, debbono
reputarsi beati nella loro professione cristiana, debbono vivere santamente nell‟attesa del
giudizio di Dio, e debbono sospirare anche tra le persecuzioni più fiere al trionfo ed al
regno del Redentore. Non debbono pensare negli ardui cimenti che i cattivi siano i
vincitori, i premiati ed i felici su questa terra, e tanto meno debbono supporre che il
Signore sia ingiusto verso di loro.

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No, beati sono coloro che lavano le loro vesti nel Sangue dell’Agnello, coloro che si

purificano e si santificano coi Sacramenti, e si arricchiscono tra le pene e gli obbrobri
della passione e del dolore coi meriti di Gesù Cristo, poiché questo solo dà loro il diritto

all’albero della vita, e ad entrare per la porta stretta e disagiata nella città eterna.
Soffriranno per un poco ma avranno, poi una vita immortale ed eterna di gloria e di
felicità, mentre ne saranno esclusi i cani, cioè i falsi cristiani contaminati dallo spirito del
mondo, gli stregoni, ossia i seguaci di satana, i fornicatori, gli omicidi, gl’idolatri, e

chiunque ama e pratica la menzogna, ossia gli eretici, i falsi scienziati e i corruttori della
Divina Parola. Questa esclusione è espressa con parole imperiose che non ammettono
alcun dubbio sulla sorte dei perversi con parole che sono già una sentenza fulminante
contro di loro: Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gl’idolatri e chiunque ama
e pratica la menzogna.

Sei categorie di perversi che racchiudono le iniquità di tutti i cattivi in tutti i secoli, e che
caratterizzano le specifiche empietà che appariranno trionfanti nelle varie epoche della
vita della Chiesa, dai cani, cioè dai persecutori, rabbiosi come cani, agli amanti e
praticanti della menzogna,
cioè ai razionalisti, ai critici, agli scientifici, amanti delle loro

menzogne, corruttori della divina Parola, e causa vera di quella generale apostasia che
desolerà la Chiesa negli ultimi tempi.

Di questi scellerati che estinguono lo spirito cristiano dalle fondamenta si preoccupa
particolarmente S. Giovanni, fulminando contro di essi una terribile maledizione. Con lo
sguardo profetico, che in quel momento era in lui luminosissimo, vide lo scempio che
avrebbero fatto della Scrittura, e si preoccupò fortemente dello scempio che avrebbero
potuto fare del suo misterioso libro, togliendo cosi ai fedeli perseguitati ed insidiati la
luce che doveva illuminarli e la speranza che doveva sostenerli.

Questa sua preoccupazione, tanto più grave quanto più grande era la luce che aveva
avuta sugli eventi futuri, è espressa anche da un certo disordine nelle espressioni del
Sacro Testo. Egli, infatti, si interrompe proprio quando Gesù Cristo conferma le parole
del Sacro Libro, quando lo Spirito e la Sposa invocano Gesù perché venga, e quando si
invitano i fedeli a dissetarsi alle sue acque di vita; si interrompe e fulmina una terribile
minaccia contro quelli che vorranno alterare in qualunque modo le parole del Sacro
Libro, sia aggiungendovi qualche cosa con fantastiche supposizioni o commenti,
sia togliendovi qualche cosa con cervellotiche critiche.

È proprio la sintesi di ciò che fanno i critici, i razionalisti e gli scientifici, che aggiungono
e tolgono dai Sacri Testi quello che loro sembra… criticamente più esatto, o che sembra
interpolato. Contro questi corruttori della Divina Parola egli fulmina la sua minaccia, e
dopo continua a parlare della venuta di Gesù, confermandola con altre sue parole di
assoluta certezza: Colui che attesta queste cose dice: “Si, io vengo presto”. Perciò pieno di
gioia novellamente lo invoca: “Cosi sia! Vieni, Signore Gesù !”.

Questo succedersi di luce splendente e di preoccupato timore è profondamente
psicologico, e, lungi dall‟essere un disordine o una oscurità del Sacro Testo, è una
testimonianza della sua verità e una conferma della realtà di ciò che S. Giovanni aveva
udito, visto e annunziato.

S. Giovanni maledice i corruttori della divina parola.

La minaccia e la maledizione di S. Giovanni contro i corruttori della divina Parola deve
dare molto da pensare ai razionalisti, ai critici e agli scientifici che tante volte la
umanizzano, la sfigurano e ne fanno scempio. Certi metodi modernistici nell‟esegesi dei
Sacri Libri debbono finire assolutamente, se si vuole che la Parola di Dio ridiventi cibo
spirituale delle anime. Non è senza ragione che la Sacra Scrittura, della quale
l‟Apocalisse è l‟ultimo libro, si chiuda proprio con la minaccia e la maledizione di S.

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Giovanni; letteralmente riguarda l‟Apocalisse, ma essa costituisce certamente un avviso
salutare che deve tenersi presente da chiunque studia, commenta o spiega la Sacra
Scrittura.

È necessario ritornare in pieno alle tradizioni ed allo spirito della Chiesa, è
indispensabile persuadersi della fallacia di tante opinioni e supposizioni personali, che
portano l‟arbitrio e la confusione nei Sacri Libri. La Scrittura è luce, cibo e medicina, non
può diventare un incerto e tenebroso cimelio dei secoli passati, o un oggetto di oziose
indagini filologiche e critiche che gettano la diffidenza sul Sacro Libro e lo isteriliscono.
L‟ora del Regno di Dio sulla terra scoccherà quando il Sole fulgente della Divina Parola,
per la Chiesa e nella Chiesa, si leverà sulla nostra povera valle e illuminerà tutte le
anime.

I grandi Santi si sono formati alla luce della Divina Parola, i novelli Santi si formeranno
attingendo alla medesima fonte, e il regno di Dio rifulgerà in pieno quando chi ha sete
viene, e prende gratuitamente le acque della vita.
Le acque della vita, come vedremo

subito, sono nella fonte eucaristica, ma i Padri hanno considerato la Scrittura alla pari
con l‟Eucaristia, fino a far dire a S. Agostino che il mano-mettere la Parola di Dio era
come il far cadere a terra e il profanare l‟Ostia consacrata. Chi può esaminare le
meraviglie di un succo vitale al microscopio, sottraendolo alla luce del sole? La lente
invano ingrandisce le sue parti se la luce non le illumina in pieno. Siamo scrutatori della
Parola di Dio nella luce della Chiesa, ed essa apparirà allo spirito in tutta la sua
magnificenza.

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di

Don Dolindo Ruotolo

, pagg. 556-559 (pubblicato

nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)


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