Metus indiretto


Mariusz Czajkowski CM

Metus Indiretto

a) Da quale canone č disciplinata la fatti specie proposta?

Lucia DI LORENZO nel suo libellus litis introductorius si afferma essere stata costretta al matrimonio con Renzo TRAVAGLINI. La fatti specie proposta è quindi disciplinata dal canone 1103.

A norma di questo canone la vis vel metus o violenza, invalida il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall'esterno, anche non intenzionalmente, per liberasi dal quale uno sia costretto a scegliere il matrimonio.

Nel Codice abrogato, la violenza morale era regolata dal can. 1087, che richiedeva quattro requisiti affinché la medesima avesse efficacia invalidante: l'origine «esterna», la coazione diretta, la gravità, l'ingiustizia. Da una rapida comparazione tra la norma abrogata e quella vigente emerge con evidenza che la violenza morale vizia la volontà, anche se non sia diretta allo scopo di estorcere il consenso, Cioè, anche se non sia consulto illata, e pure se non sia iniuste incussa, cioè inferta ingiustamente. È sufficiente, invece che la violenza sia grave e con origine esterna al soggetto che la subisce.

La violenza morale ha origine ab extrinseco se il timore subito dal nubente è causato dall'azione di un soggetto umano diverso dal metum patiens. Ciò vuol dire che devono concorrere due fattori: che il timore nasca in conseguenza di un fatto esterno e che tale fatto sia dovuto all'azione dell'uomo. Pertanto non hanno rilevanza i rimorsi o le suggestioni che si formano spontaneamente nell'animo del nubente, né il timore che deriva da un evento naturale, quale un naufragio, un terremoto o un incendio (stato di necessità o forza maggiore). Il metum incutiens, cioè colui che compie l'azione violenta, può essere uno dei due nubenti nei confronti dell'altro, oppure un terzo, che agisca d'accordo con il nubente che ne profitta, o di sua iniziativa. La norma, infatti, ha lo scopo di tutelare la libera formazione del consenso, per cui è del tutto indifferente chi sia l'autore della violenza.

A proposito del requisito dell'origine estrinseca del timore, va ancora aggiunto che il pericolo indotto dal metum incutiens non deve essere necessariamente attuale al momento in cui il metum patiens si determina alle nozze. Può accadere, cioè, che detto male non gli sia prospettato apertamente nell'atto stesso in cui manifesta la volontà: è sufficiente anche una semplice suspicio metus, vale a dire il sospetto fondato, alla luce della concreta situazione, che, pur non essendogli stata rivolta alcuna minaccia esplicita nel momento di sposare, il suo eventuale rifiuto lo esporrebbe inevitabilmente ad un male futuro. Poiché la situazione contiene una minaccia implicita, se il nubente si determina al matrimonio in conseguenza di tale minaccia, anche la semplice suspicio metus ha efficacia invalidante.

Può peraltro accadere che la minaccia sia stata formulata in epoca precedente a quella di celebrazione delle nozze, ma continuino a perdurarne le conseguenze, e che il metum patiens decida di contrarre matrimonio soltanto per rimuovere una situazione dannosa provocata da queste conseguenze. Si fa l'esempio di chi, avendo contratto matrimonio civile a seguito di violenza o minaccia, voglia regolare la propria posizione sul piano canonico e quindi si sposi anche religiosamente. In tale caso si parla di consensus rejlexe elicitus, ossia ottenuto di riflesso, pur esso invalido.

Il secondo dei requisiti necessari affinché la vis ac metus vizi il consenso è quello della gravitas. Com'è stato correttamente affermato, non si ha vera vis se essa non dà luogo a un metus gravis, e non c'è vero metus se esso non derivi da una vis gravis. In altre parole, grave deve essere tanto l'azione violenta del metum incutiens (ovvero la coactio), quanto il timore che subisce il metum patiens. Si tratta di stabilire quando la vis e il metus possano essere ritenuti gravi. Ricorre una grave violenza (vis) quando la condotta dell'agente, secondo la comune esperienza, è idonea, per se stessa, a costringere il «metum patiens» a scegliere il matrimonio come unica via d'uscita per sfuggire al male minacciato. La gravità della vis è, perciò, valutata oggettivamente, per quello che è, sulla base dell'id quod plerumque accidit. Per fare un esempio, è grave la minaccia di uccidere o ferire il nubente o i suoi cari, o di distruggere i suoi beni. La condotta di colui che incute il timore può consistere in una violenza materiale oppure, semplicemente, nella minaccia di un male futuro: ciò che importa è che il metum patiens scelga il matrimonio perché si sente costretto a farlo. Inoltre, non è necessario che il metum incutiens eserciti la violenza allo scopo di costringere il nubente al matrimonio: è sufficiente che il metum patiens sia convinto che la violenza è compiuta allo scopo di estorcergli il consenso, anche se ciò non è nelle intenzioni del metum incutiens.

È grave il timore (metus) se, tenuto conto delle condizioni fisiche ed intellettuali, del sesso, dell'età, delle doti caratteriali e temperamentali del soggetto, questi, dopo un raffronto tra il male minacciato e l'accettazione del matrimonio, si decida a scegliere il matrimonio come unica via d'uscita per sfuggire al male minacciato. In tal senso il can. 1103 parla di « metus a quo ut quis se liberet, eligere cogatur matrimonium ». La gravità del metus, quindi, va valutata, a differenza della gravitas della vis, oltre che sulla base di parametri oggettivi e della pericolosità del minacciante, anche con riferimento alla personalità del soggetto minacciato; ed un forte elemento indiziario può essere offerto, al riguardo, dall'aversio e cioè dalla contrarietà con cui il nubente procede alla celebrazione delle nozze.

Il metus reverentialis o timore reverenziale è legato alla violenza morale da un rapporto di species a genus, nel senso che il metus in parola è una figura particolare della più ampia categoria della violenza morale. Sono elementi identificanti del timore reverenziale la speciale relazione che lega il metum incutiens al metum patiens e le peculiarità sia dell'azione violenta sia del metus suscitato nel nubente.

Tra i due soggetti deve sussistere un vincolo di dipendenza affettiva e psicologica, che prende il nome di reverentia e che, solitamente, si instaura tra genitore e figlio, tra tutore e pupillo, tra fratello e sorella, ecc.

L'azione violenta non si realizza tanto sotto forma di minacce o violenza materiali, quanto piuttosto attraverso qualsiasi atteggiamento o comportamento idoneo a prospettare la rottura del rapporto affettivo per il caso di non celebrazione delle nozze; così che il rapporto di reverentia unito al comportamento tenuto dall'altro soggetto del medesimo rapporto (superior) causano nel nubente un senso di colpa e di rimorso nei confronti del metum incutiens. Tale comportamento può assumere la forma della indignatio ostensa o può concretizzarsi in una preghiera vessatoria tale da far venir meno - di fatto - la libertà del nubente.

Il metus che ne deriva consiste proprio in questo senso di colpa, nella paura di dare un dispiacere alla persona che preme per il matrimonio, e di provocare in lei un'«indignatio», cioè un risentimento tale da incrinare definitivamente la relazione di affetto e stima che lega il metum patiens al metum incutiens.

b) Il caso presentato costituisce difetto di libertŕ interna o puň classificarsi anche come vis et metus?

Nel nostro caso, la Di Lorenzo, sopraffatta dai rimorsi e temendo per la salvezza per la sua anima, ruppe la relazione con il sacerdote e, per rendere definitiva questa sua scelta propone al Travaglini il matrimonio a breve. Lei decide a sposarlo spinta da sensi di colpa e da un retaggio culturale, le circostanze ambientali ma senza alcuna spinta determinante di terzi alle nozze, allora questa situazione non potrebbe rientrare nella previsione normativa di cui al can. 1103.

Se l'agitazione sorge esclusivamente da cause soggettive, senza alcuna motivazione esterna oggettivabile, il caso rientrerebbe magari nelle fattispecie d'incapacità consensuale ex can. 1095 (a causa di mancanza di libertà interna, di discrezione di giudizio, ecc.).

c) Nella seconda ipotesi si tratta di metus diretto o indiretto?

Il nuovo Codice non richiede, diversamente dall'abrogato, che il metus sia consulto illata. Si è cosi data soluzione alla disputa che divideva la dottrina formatasi sotto la vigenza del codice del 1917. A fronte di chi sosteneva che anche il metus incusso senza lo scopo di costringere al matrimonio il soggetto che lo subiva avrebbe avuto efficacia invalidante, vi era chi affermava che sarebbe stato rilevante soltanto il metus rivolto «ad extorquendum consensum».

Se ammetteremo l'ipotesi che qua esiste metus, avrebbe dovuto piuttosto inclinarsi verso il metus indiretto perché mancano presupposti che Lucia Di Lorenzo era incussa direttamente da qualcuno con lo scopo di costringere al matrimonio con Renzo Travaglini.

d) La vis et metus č un impedimento canonico, un difetto del consenso o un suo vizio?

La vis et metus viziano la libertà del consenso. Prima il metus era trattato per alcuni come l'impedimento matrimoniale, però recentemente si tratta come vizio. La protezione della libertà dei coniugi quando danno il consenso è uno dei principi fondamentali del sistema matrimoniale della Chiesa: soltanto i coniugi possono decidere su se stessi, e devono poterlo fare con la libertà che richiede la scelta dello stato di vita che realizzano. Si tratta di un principio che è stato sempre presente nella legislazione della Chiesa, e anzi costituisce uno dei maggiori contributi del diritto della Chiesa alla cultura giuridica.

e) La vis et metus č di diritto naturale o di diritto ecclesiastico?

La vis et metus è di diritto naturale. La simile risposta possiamo trovare in relazione alla discussione sull'applicazione del can. 1103 ai non cattolici. Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, il 25.11.86, ha affermato che il can. 1103 è di diritto naturale e lega anche i non cattolici. I requisiti però e gli altri elementi sono stabiliti dal diritto ecclesiastico.

Cf. P. Pelegrino, La vis et metus (can. 1103) el Codex Iuris Canonici, in Ius Canonicum, 37 (1997), pp. 529-558.

Cf. E. Vitali, S. Berlingò, Il matrimonio canonico, Milano: A. Giuffrè, 2003, p. 101.

Cf. O. Giacchi, Il consenso nel matrimonio canonico, Milano : A. Giuffrè, 1950, p. 169.

Cf. T. Mauro, L'impedimento vim vel metus nella nuova legislazione matrimoniale canonica, in La nuova legislazione canonica : il consenso: elementi essenziali, difetti, vizi, Città del Vaticano : Libreria editrice vaticana, 1986, p. 201.

Cf. O. Giacchi, Il consenso, cit., p. 173.

Cf. in giurisprudenza, c. Davino del 20 giugno 1991, in Il Diritto Ecclesiastico, 102 (1991), II, p. 163.

Cf. O. Giacchi, Il consenso, cit., p. 184.

Ibid., p. 201.

Cf. la c. Di Felice, del 16 novembre 1985, in Dir. eccl., 97 (1986), II, p. 510 ss.

Cf. E. Vitali, S. Berlingò, Il matrimonio, cit., p. 104.

Cf. O. Giacchi, Il consenso, cit., p. 240.

Cf. E. Vitali, S. Berlingò, Il matrimonio, cit., p. 105.

Cf. F. GIL DE LAS HERAS, El miedo y la falta de libertad interna en el consentimento matrimonial, in Ius Canonicum 22 (1982), pp. 715-745.

Parte della dottrina e della giurisprudenza sotto il can. 1087 CIC 17 aveva già ritenuto -anche se minoritariamente- non necessaria la volontarietà di ottenere il consenso in chi incute il timore: cf. P. Gasparri, Tractatus canonicus de matrimonio, II, Typ. Pol. Vat., 1932, 61; sent. c. Lefebvre del 13 dicembre 1969 (in Monitor Ecclesiasticus, 1970, 562); sent. c. Florczak del 9 gennario 1922 (vol. 14, 3); c. Wynen del 5 dicembre 1933 (vol. 25, 608); c. Staffa del 20 aprile 1965 (Monitor Ecclesiasticus, 1956, 636); c. Mattioli 29 febbraio 1960 (Monitor Ecclesiasticus, 1961, 377); cfr. A. Fuentes Calero, El matrimonio contraído por miedo (can. 1103) Comentario a la respuesta de la Comision de Interpretes de 23-IV-1987, in Rivista Espaniola de Derecho Canonico 58 (2001) 659-671; L. Madero, A tutela da liberdade para contrair matrimônio no Ordenamento Canônico: o can. 1103, in Aa.Vv., El matrimonio y su expresión canónica ante el III Milenio. X Congreso Internacional de Derecho Canónico, Pamplona 2000, pp. 1015-1018, dove si sottolineano alcune perplessità che sorgono del riconoscimento del metus indiretto, nei confronti dell'altra parte che ha sposato in buona fede. Anche il CCEO ha accolto il timore indiretto, correggendo nel can. 825 (“invalidum est matrimonium celebratum ob vim vel metum gravem ab extrinseco etiam inconsulto incussum, a quo ut quis se liberet, eligere cogatur matrimonium”) quanto stabilito nel can. 78 § 1 del motu proprio Crebrae allatae, che richiedeva che il metus fosse incusso ad extorquendum consensum.

Cf. E. Vitali, S. Berlingò, Il matrimonio, cit., p. 103-104.

Cf. J.M. Vázquez García-Peñuela, La necesaria libertad para contraer matrimonio: el c. 1103, in Aa.Vv., El matrimonio y su expresión canónica ante el III Milenio, cit. p. 1021, con cita de J. Gaudemet, El matrimonio en Occidente, Madrid 1993, 75 e 81. Oltre ai riferimenti bibliografici contenuti in questa nota, va segnalato il saggio ormai classico di G. Dossetti, La violenza nel matrimonio in diritto canonico, Milano 1943.

AAS 79 (1987), p. 1132.



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