2004, Elaborati


RELAZIONE SULL'ATTIVITÀ DELLA ROTA ROMANA

NELL'ANNO GIUDIZIARIO 2004

I. Annotazioni generali

1. Il Collegio Rotale ed il personale della Rota Romana

Il Collegio Rotale attualmente consta di 20 Prelati Uditori o Giudici, di cui 9 italiani, 2 polacchi, 2 americani, 2 libanesi, 1 spagnolo, 1 tedesco, 1 francese, 1 brasiliano, 1 scozzese.

In data 31 gennaio 2004 S.E. Mons. Raffaello Funghini è stato nominato Arcivescovo tit. di Novapietra e Presidente della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano, in pari data, il Santo Padre ha nominato Mons. Antoni Stankiewicz Decano di Questo Tribunale Apostolico.

In data 8 giugno 2004 Mons. Gerard McKay, Difensore del vincolo di questo Tribunale, è stato nominato dal Santo Padre Prelato Uditore. Il 15 novembre 2004 è stato nominato Prelato Uditore Mons. Abdou Yaacoub, Promotore aggiunto presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, mentre il 19 novembre 2004 Mons. Francisco López-Illana, cessava l'incarico di Prelato Uditore per limiti di età. Il 7 agosto 2004 Mons. Pius Eheobu Okpaloka, Officiale di questo Tribunale, è stato nominato Difensore del Vincolo.

I Prelati Uditori sono coadiuvati da due Promotori di Giustizia, tre Difensori del Vincolo e dall'intera Cancelleria. Dopo la morte del P. Antonio Fanelli, O.S.I., avvenuta il 16 ottobre 2004, Promotore di Giustizia è stato nominato, il 20 dicembre 2004, P. Sebastiano Paciolla, O. Cist.

2. Studio Rotale

Il 10 novembre 2004 è stato inaugurato con una suggestiva cerimonia l'anno accademico dello Studio, ha tenuto la prolusione sul tema «La portata giuridica delle Allocuzioni Pontificie alla Rota Romana» il Prof. Urbano Navarrete, Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana. Lo Studio Rotale è stato frequentato da 154 alunni, 53 uomini, 89 donne e 12 sacerdoti, provenienti dall'Italia, Polonia, Nigeria, Spagna, Argentina, Corea, India e Libano.

Hanno conseguito il diploma di Avvocato Rotale nella sessione estiva 7 candidati, in quella autunnale 15 candidati.

3. Petizioni ed Archiviazioni

Nel decorso Anno Giudiziario sono state archiviate complessivamente 121 cause (contro le 133 del 2003). Le petizioni sono state 281.

4. Cause pendenti

Al 1° gennaio 2004 le cause in esame erano 1063, al 31 dicembre 2004 le cause ammontavano a 1054.

5. Sentenze, Decreti di Turno e Decreti del Decano

Nell'Anno Giudiziario del 2004 sono state emesse 289 decisioni, di cui 141 sentenze definitive, delle quali 140 nullitatis matrimonii (69 pro nullitate, 71 pro vinculo) ed una penale; alle sentenze affermative vanno aggiunti una sentenza interlocutoria e 30 decreti di conferma della sentenza affermativa di primo grado a norma del can. 1682, § 2.

Sono stati inoltre emanati 107 decreti incidentali di turno e 10 del Decano.

6. Gratuito Patrocinio

Delle 149 sentenze definitive, 97 riguardano cause in cui una o entrambe le parti hanno beneficiato del gratuito patrocinio, con un rapporto che sfiora il 69%.

7. Pubblicazioni

È stato pubblicato il vol. Xo relativo ai Decreti del 1992, come pure è stato pubblicato il volume «Le Allocuzioni dei Sommi Pontefici alla Rota Romana» nella collana Studi giuridici (n. LXVI) edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

II. Giurisprudenza di merito

1. Impedimenti matrimoniali

a) Impedimento di impotenza (can. 1084)

Sentenza: 1, pro nullitate.

Una sentenza affermativa espone i principi giurisprudenziali in merito all'impedimento di impotenza e li applica ad un caso in cui il nubente, già ultrasessagenario, perse la potentia coëundi in seguito ad una terapia farmacologica (a base ormonale) diretta a curare un carcinoma prostatico, ed iniziata svariati mesi prima delle nozze. L'impotenza è infatti un effetto secondario di tale terapia e le risultanze istruttorie l'hanno confermato (A. 126/03).

b) Impedimento di vincolo (can. 1085)

Sentenze: 5, delle quali 1 pro nullitate, 4 pro vinculo.

Una sentenza affermativa, resa in una causa orientale, richiama in diritto il modus procedendi nel caso in cui si debba giudicare la validità di più matrimoni celebrati dalla stessa persona, in conformità con la Dichiarazione del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica del 18 giugno 1987 (in Communicationes 19 [1987], pp. 16ss).

Riguardo alla prassi delle Chiese orientali acattoliche di sciogliere i matrimoni per adulterio o per molesta coabitazione, si ricorda che tali sentenze dell'autorità ecclesiastica non hanno rilevanza nell'ordinamento canonico, anche se il giudice potrà utilizzarle ai fini del suo convincimento.

Nel caso di specie il secondo matrimonio della convenuta, appartenente ad una Chiesa ortodossa, è stato dichiarato nullo per impedimento di vincolo, derivante da un precedente matrimonio, riguardo al quale l'autorità ecclesiastica acattolica aveva emesso sentenza di scioglimento (A. 112/01).

c) Impedimento di ratto (can. 1089)

Sentenza: 1, pro vinculo.

Una sentenza (A. 112/01), negativa circa questo capo, ripercorre in diritto gli antecedenti storici dell'attuale legislazione sull'impedimento di ratto (è preso in considerazione il diritto orientale trattandosi di causa proveniente dalla Chiesa maronita). È interessante notare che il capo riguardava non il matrimonio tra l'attore e la convenuta, bensì un precedente matrimonio della convenuta con un terzo ed è stato trattato pregiudizialmente alla nullità del successivo matrimonio, accusata, tra gli altri capi, per impedimento di vincolo (cf. supra).

2. Mancanza del consenso

a) Grave difetto di discrezione di giudizio

Sentenze: 66, delle quali 23 pro nullitate, 43 pro vinculo.

Il consenso matrimoniale poggia su due pilastri, vale a dire la conoscenza critica dell'oggetto essenziale del consenso medesimo e la libertà di scelta. Essendo infatti il consenso un atto di volontà, per essere considerato un vero atto umano deve essere posto con sufficiente conoscenza e adeguata libertà. La discrezione di giudizio contempla due elementi, l'uno pertinente all'intelletto, cioè la sufficiente maturità critica, l'altro alla volontà, ovvero la libertà da coazioni o impulsi interni irresistibili. Se chi celebra il matrimonio possiede la conoscenza minima indicata nel can. 1096, ma non è in grado di ponderare gli impegni essenziali del matrimonio, scaturenti dai suoi elementi e proprietà essenziali, deve essere ritenuto incapace: infatti la capacità critica riguarda un giudizio pratico-pratico, quindi non si ferma all'ambito teorico, dal momento che la scelta da compiere concerne lo stato di vita e segna profondamente la verità e la realtà della storia personale del nubente (A. 38/03).

Nella valutazione del difetto di discrezione la legge ecclesiastica non fa riferimento ad alcuna patologia psichica, ma segue un metodo puramente normativo, considerando solo il criterio funzionale di tale difetto, che deve essere grave, in correlazione agli obblighi e ai diritti matrimoniali essenziali che i nubenti devono reciprocamente accettare ed assumere. In ogni caso la causa formale del difetto di discrezione non può trovarsi nella dimensione della normalità, cioè nella condizione psichica ordinaria e comune delle persone, altrimenti le persone dotate di una condizione psichica normale sarebbero ingiustamente private del diritto naturale al matrimonio (A. 6/02).

Non possono annoverarsi tra le cause del difetto di discrezione di giudizio, non avendo natura psichica, la carenza di un'educazione particolarmente raffinata, l'impreparazione alle nozze, la temerarietà o imprudenza nel decidere le nozze, o ancora la negligenza nel valutare la scelta matrimoniale (A. 119/03).

Il difetto di libertà interna si identifica col difetto di discrezione di giudizio, perché la libertà della scelta non dipende solo dalla volontà, ma anche dalla conoscenza critica dell'oggetto. Tuttavia la perturbazione o la debolezza della psiche non elimina di per sé ogni capacità di porre un valido consenso (A. 110/03).

Si annota che nella prestazione del consenso devono concorrere le facoltà intellettive e volitive, diverse tra sé ma intimamente connesse, ed inoltre sia i cultori della psicologia filosofica che di quella sperimentale concordano nel ritenere che il consenso dipenda non solo dall'intelletto e dalla volontà, ma anche dalla vita affettiva, emotiva e sentimentale, vale a dire dall'uomo come unità di anima e di corpo. Da ciò consegue anche che la libertà psicologica richiesta non significa assenza di pulsioni interne, ma richiede che tali impulsi non siano tanto veementi da impedire l'esercizio della facoltà critica e volitiva (A. 5/04).

L'ausilio dei periti psicologi e psichiatri nelle cause di incapacità è assai opportuno e talora necessario, nondimeno il grave difetto di discrezione si prova mediante criteri giuridici, scaturenti dai presupposti della retta antropologia sull'atto umano e dalla relazione di questo con i diritti e doveri essenziali del matrimonio (A. 38/03).

b) Incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio

Sentenze: 49, delle quali 25 pro nullitate, 24 pro vinculo.

L'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio deve discendere da cause di natura psichica, e non di ordine morale; essa riguarda appunto gli obblighi essenziali e non tutti gli altri, per quanto valore possano avere nel sostenere e rafforzare la comunione coniugale. Le obbligazioni essenziali, attinenti ai tre bona matrimonii, possono essere tratteggiati come segue:

a) l'obbligo di accettare il concepimento e la nascita della prole ad opera dell'altro coniuge mediante atti idonei alla trasmissione di una nuova vita umana, e di curare l'educazione fisica, morale e religiosa della prole procreata;

b) l'obbligo di osservare la fedeltà coniugale, cioè la bilateralità esclusiva del consorzio matrimoniale, fondata su un vincolo unico ed esclusivo, nonché di salvaguardare la modalità unama degli atti di amore coniugale;

c) obbligo di osservare l'indissolubilità, ovvero l'indivisibilità e perpetuità del vincolo coniugale, quindi di astenersi dal divorzio e da nuovi tentativi di unione;

d) a ciò si aggiunge l'obbligo relativo al bonum coniugum, cioè di instaurare una comunione di vita e di amore coniugale e di sostenerla mediante un'intima comunicazione interpersonale e psicosessuale, nella quale i coniugi sono condotti a prestarsi mutuo aiuto e servizio (A. 33/02).

Una sentenza, ponendo in risalto il significato dialogico della sessualità umana, particolarmente nell'ambito della coppia coniugale, ha sottolineato come l'impossibilità di un normale esercizio della sessualità --- di modo che lo specifico officium coniugale che per natura, come riconosce il magistero, deve essere fonte di gioia e di mutuo arricchimento, diviene per converso causa di reciproche difficoltà e sofferenze --- comporti la nascita solo apparente del vincolo coniugale (A. 11/04).

Una rapida --- e non esaustiva --- ricognizione delle cause di natura psichica dell'incapacità prese in considerazione dalla giurisprudenza nell'anno in esame consente di indicarne le seguenti: psicosi maniaco-depressiva (A. 55/04), narcisismo (A. 43/03, A. 18/04), ipersessualità (A. 91/03), grave debolezza sessuale o carenza erotica (A. 84/03, A. 11/04), immaturità psico-affettiva (A. 106/02, A. 112/02, A. 116/02, A. 16/03, A. 49/03, A. 77/03, A. 112/03, A. 9/04, A. 12/04), personalità paranoica (A. 14/04), disturbo passivo-dipendente di personalità (A. 47/04, A. 54/04), disturbo antisociale di personalità (A. 62/03), disturbo di personalità non altrimenti specificato (A. 119/02, A. 58/03, A. 17/04), sindrome borderline (A. 98/03, A. 32/04), alcolismo cronico e tossicodipendenza (A. 54/03), disturbo dissociativo da trance (A. 45/03), abnorme dipendenza dalla madre (A. 37/04).

Sovente tali cause psichiche sono state ritenute tali da generare contemporaneamente anche il grave difetto di discrezione di giudizio nelle persone da esse affette.

3. Difetti e vizi del consenso

a) Simulazione totale del consenso (can. 1101 § 2)

Sentenze: 8, delle quali 1 pro nullitate, 7 pro vinculo.

Una sentenza passa in rassegna le svariate forme in cui può atteggiarsi la simulazione totale del consenso matrimoniale: rifiuto radicale della persona della comparte, tanto da ricusare ogni partecipazione alla reciproca donazione ed accettazione; rigetto di qualunque forma di matrimonio, inteso come consorzio eterosessuale permanente ordinato alla prole; volontà diretta esclusivamente al raggiungimento di un fine personale, con il conseguente diniego degli effetti propri del matrimonio. In questo caso la nullità consegue al difetto della causa propria del patto, il quale non è altro che la mutua donazione ed accettazione dei nubenti (A. 50/03).

In un'altra sentenza si rammenta il principio per cui il fine estrinseco all'essenza del matrimonio (finis operantis) di per sé costituisce una causa contrahendi e può causare la simulazione solo quando il nubente, attraverso il matrimonio, persegue qualcosa che è incompatibile con l'essenza del medesimo (A. 126/03).

b) Simulazione parziale (can. 1101 § 2)

aa) Esclusione del bonum sacramenti

Sentenze: 20, delle quali 9 pro nullitate, 11 pro vinculo.

Abbastanza consistente il numero delle decisioni relative a questo capo, indice del diffondersi della mentalità aliena alla perpetuità degli impegni matrimoniali.

Una sentenza osserva che in quanto istituzione non meramente umana, ma di origine divina, il matrimonio --- nonostante i mutamenti attraversati lungo i secoli nelle diverse culture --- possiede dei tratti comuni e permanenti che non possono essere trascurati (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1603). Tra questi tratti vi è l'indissolubilità, che costituisce una proprietà essenziale del matrimonio ed è quasi il segno prevalente del carattere sacramentale di esso, al punto di venir designata per eccellenza come «bonum sacramenti» (A. 59/03).

L'indissolubilità, comunque, riguarda tutti i matrimoni, sia dei battezzati sia dei non battezzati, essendo inerente alla dimensione naturale del matrimonio. Dimensione naturale che, sebbene taluni ritengano sia da rimuovere dal matrimonio cristiano (onde evitare di leggerlo entro parametri puramente umani ed intramondani), in realtà non può essere trascurata, senza che ne venga inficiata la stessa dignità sacramentale del matrimonio, che appunto si innesta sulla realtà creaturale di esso, come ribadito dal recente discorso alla Rota Romana del 1 febbraio 2001 (A. 49/02).

L'indissolubilità --- si legge in un'altra sentenza --- promana dalla natura intima del matrimonio, inteso come dono che una persona fa di sé all'altra, con l'aiuto di Dio. La reciproca donazione degli sposi è incompleta, se non abbraccia anche la dimensione temporale: se uno dei due si riserva la facoltà di tornare sulla sua decisione, già per questo non si dona totalmente (A. 122/00).

Il matrimonio nasce dal consenso delle parti, che è l'atto di volontà mediante il quale l'uomo e la donna si danno e si ricevono mutuamente con patto irrevocabile. La parola «irrevocabile» indica che l'indissolubile unità del matrimonio sancita da Cristo non è solo un ideale o un modello eccelso, ma una vera norma (A. 49/02). Con questo termine si pone in evidenza che il matrimonio, nel momento in cui viene posto in essere, dipende dal consenso, mentre, una volta venuto ad esistenza, non dipende più dal consenso delle parti. Il consenso, una volta che sia legittimamente emesso, produce il suo effetto giuridico che non ha più bisogno di alcun impulso della volontà per perseverare. La revoca del consenso, se pur psicologicamente possibile, non esplica alcun effetto giuridico (A. 76/01).

Altre volte si evidenzia che un consenso revocabile o prestato solo ad tempus non è valido per la costituzione del matrimonio, poiché priva il coniugio del carattere legale della perpetuità (A. 114/02).

Una sentenza riprova esplicitamente la visione «dinamica» del consenso, il cui valore e la cui efficacia si pretenderebbe da taluni legare alla perdurante (o meno) intensità dell'amore tra le parti (A. 13/04).

Ad irritare il matrimonio concorre non solo l'intenzione assoluta di rompere il vincolo coniugale, ma anche quella condizionata, ad esempio nel caso in cui l'amore o l'accordo venga meno, o la convivenza risulti infelice, o non nasca prole, ecc. Anche in questo caso l'atto di volontà che vizia il consenso è assoluto, mentre ipotetica o condizionata è solo la rottura del vincolo, subordinata ad un evento, verificatosi il quale, il nubente si scioglierà dal legame coniugale (A. 59/03, A. 114/02, A. 76/01).

In questi casi invero ricorre una condizione contro la sostanza del matrimonio (A. 38/03).

Non appartiene, poi, all'essenza del matrimonio l'inseparabilità, per cui l'intenzione di ricorrere alla semplice separazione manente vinculo non inficia la proprietà dell'indissolubilità; anche se la riserva del diritto di separarsi pur senza alcuna giusta causa si riverbera sullo ius ad vitae communionem nell'ambito del bonum coniugum (A. 51/01).

Perché vi sia simulazione si richiede un atto positivo di volontà (can. 1101 § 2; can. 1086 § 2 CIC 1917), mentre non è sufficiente la carenza di intenzione. L'atto positivo di volontà non può tendere in qualcosa di vago e indeterminato, ma deve avere un oggetto determinato come l'esclusione del matrimonio, o di un bene del matrimonio o di una proprietà essenziale dello stesso. Del pari non può confondersi con l'atto dell'intelletto con cui si prevede la possibilità o l'opportunità del divorzio: questo, poiché non ha forza di volizione, è inadeguato ad invalidare il matrimonio (A. 114/02).

Anche l'espressione «riserva mentale» di ricorrere al divorzio, usata dal preteso simulante, non è necessariamente indicativa di un atto positivo di volontà, ma sembra indicare piuttosto una generale inclinazione o disposizione dell'animo (A. 76/01). Per cui se taluno, di formazione cattolica, intende conseguire la separazione legale o anche il divorzio ammesso dalla legge, non necessariamente se ne deve dedurre che abbia inteso ricusare la perpetuità del vincolo (A. 13/04).

In ogni caso occorre verificare se i concetti erronei siano passati o meno dall'intelletto nella volontà, vale a dire, se la mentalità contraria alla indissolubilità sia così tenacemente radicata nell'animo del nubente, da costituirne quasi una seconda natura, oppure si tratti di un semplice errore. Infatti, una volta provata la totale contrarietà del soggetto alla perpetuità del vincolo, si ha una fortissima presunzione (che comunque cede di fronte alla verità) del transito dei placita erronea dall'intelletto alla volontà (A. 50/00).

Non è sufficiente la volontà abituale, o generica, o interpretativa. La volontà che esiste solo in modo abituale o generico o non attuale, non riveste la forma di atto. Mediante l'atto la volontà usa formalmente della potenza esecutiva, applicandola all'agire. L'atto non è, quindi, una semplice volizione, ma una determinazione dell'oggetto del consenso matrimoniale; quindi non si concepisce senza la previa considerazione dell'oggetto da parte dell'intelletto. Il termine «positivo» non dev'essere considerato superfluo. L'atto positivo non si oppone all'atto negativo (che non è un atto di volontà), bensì all'inerzia o alla passività della volontà, che non si traduce in una attiva esclusione (A. 76/01, A. 51/01).

Per indicare il transito dall'inerzia alla simulazione si richiede di volta in volta che l'atto di volontà sia posto «fermamente», «assolutamente», «seriamente», «veramente», «espressamente», «categoricamente», «esplicitamente», «in realtà». Tutte queste espressioni avverbiali indicano che la simulazione è qualcosa di positivo, da non confondersi con la mera assenza di volontà. Tuttavia i diversi avverbi contengono significati diversi. Tutte le espressioni sembrano insistere molto sulla manifestazione dell'atto positivo di volontà; ma invero l'atto di volontà inizia e non di rado ha termine nell'interiorità dell'uomo, per cui non viene nemmeno espresso all'esterno (il che ne rende difficile la prova). Bisogna guardarsi, inoltre, dal confondere l'atto positivo con l'atto esplicito. Moltissime decisioni rotali, infatti, ammettono la volontà o l'intenzione implicita (A. 122/00). L'esclusione per atto implicito --- viene precisato --- si ha quando la volontà del nubente si indirizza ad un oggetto che contiene in sé la negazione dell'indissolubilità (A. 38/03).

La forza probatoria della confessione del simulante è proporzionale alla di lui credibilità, che deve essere verificata sia dal punto di vista esterno che interno (A. 51/01).

Il tradizionale schema probatorio deve essere adattato al caso, nel senso che, trattandosi sempre di una questione di fatto, ciascun fatto ha una propria storia, dialettica, protagonisti e circostanze singolari. Da ciò deriva che deve sempre essere investigata la concreta condizione esistenziale in cui versava, al tempo delle nozze, colui al quale viene imputata la simulazione (A. 59/03).

In un caso è stata attribuita grande rilevanza alla causa simulandi, particolarmente alla remota, apparentemente difficile a cogliersi, essendo l'asserita simulante persona partecipe ed impegnata nelle attività parrocchiali e dell'oratorio; tuttavia il substrato della simulazione è stato ravvisato nel carattere del tutto estrinseco e formale di tale apparente religiosità, frutto più che altro dell'ossequio ad una tradizione, passivamente recepita, tipica della provincia italiana (A. 59/03).

È importante, invero, considerare il modo generale di atteggiarsi della volontà nell'asserito simulante. Infatti, l'antropologia insegna che ciascuno prende quelle decisioni che maggiormente si attagliano alla sua personalità, per cui è necessario vagliare l'indole e la formazione di colui che è accusato della simulazione (A. 122/00).

In un caso è stato considerato come argomento a favore della simulazione il carattere deciso e determinato della parte simulante, forte indice di coerenza tra le convinzioni nutrite (contrarie alla perpetuità del vincolo) e le azioni poste (A. 51/01).

L'amore verso la comparte, addotto come causa contrahendi, non è di per sé incompatibile con l'esclusione dell'indissolubilità, ma ne rende più difficile la prova, e tanto più quanto più intensa è la forza della passione. Infatti la logica del vero amore esige la perpetuità del legame (A. 76/01).

I documenti redatti dal contraente prima delle nozze, con l'intenzione di precostituire una prova in caso di giudizio di nullità del matrimonio, sono documenti privati e talvolta possono avere grande importanza. Tuttavia non sono di per sé decisivi, ma il loro peso probatorio dev'essere valutato dal giudice in relazione a tutti gli altri atti di causa e al complesso delle circostanze. In applicazione di questo principio, si è negato il valore probatorio di una chartula (biglietto postale) spedito dal nubente ad un conoscente avvocato in vista di una futura eventuale nullità, sulla scorta di tutte le altre risultanze istruttorie, da cui emergeva la forte volontà matrimoniale del preteso simulante (A. 114/02).

bb) Esclusione del bonum prolis

Sentenze: 23, delle quali 9 pro nullitate, 14 pro vinculo.

In conformità alla consolidata giurisprudenza si afferma che la volontà contro il bonum prolis invalida il matrimonio solo quando esclude la fecondità o la prole in suis principiis, ovvero l'intentio prolis; mentre non sortisce l'effetto della nullità la mera esclusione della prole in se stessa, che appartiene solo all'uso del matrimonio, tenendo presente che la sterilità non proibisce né dirime il matrimonio (cf. can. 1084, § 3). Invero la fecondità è ad un tempo dono di Dio e fine del matrimonio; ma nell'ambito del bonum prolis si intende solo la fecondità strutturale o potenziale, ovvero l'ordinazione delle potenze naturali alla procreazione, non la fecondità effettiva, vale a dire la generazione della prole, che è un effetto di tale ordinazione.

Il matrimonio viene reso invalido solo dalla ricusazione essenziale della fecondità, che spoglia del tutto la mutua donazione dei coniugi del carattere procreativo, o lo limita sostanzialmente. Il diritto coniugale, tuttavia, non viene leso dal proposito di osservare in certi tempi degli intervalli di continenza, allo scopo di esercitare la paternità e maternità in modo responsabile. Parimenti non viene compromesso il diritto coniugale dall'intenzione di abusare di esso nell'esercizio dell'intimità coniugale, mediante atti artificialmente privati della fecondità: infatti l'abuso può coesistere col diritto validamente concesso ed accettato. Si presume che sussista abuso del diritto coniugale, se la generazione viene differita a tempo determinato o viene soltanto limitato il numero dei figli. Mentre, se viene esclusa assolutamente e in perpetuo la generazione della prole, si presume sia stato escluso lo stesso diritto coniugale (A. 49/02).

La validità della distinzione di origine tomistica tra esclusione del diritto ed esclusione dell'uso del diritto, spesso riconfermata, è sostenuta anche in una sentenza nella quale si afferma che i rilievi critici relativi ad essa, presenti nella stessa giurisprudenza rotale, sembrano riportare la questione all'accertamento di fatto, e quindi non intaccano la validità sul piano teorico della distinzione medesima (A. 132/03).

In qualche sentenza si rileva che abbastanza spesso nei Tribunali ecclesiastici si confondano la limitazione del consenso e l'abuso del diritto e si ribadisce che la limitazione del numero dei figli o la dilazione delle procreazione non possono invalidare il matrimonio (A. 67/00).

Varie sentenze riportano la massima secondo cui la dilazione a tempo indeterminato della generazione consente di parlare di vera e propria esclusione (A. 103/03, A. 132/03, A. 30/04).

L'esclusione del bonum sacramenti concorre spesso con quella della prole. Vi è infatti un'intima connessione psicologica e logica tra il rifiuto della perpetuità del vincolo e la rivendicazione della libertà dal compito di genitore ed educatore. Chi al momento delle nozze ha il fermo proposito di sciogliersi dal vincolo coniugale, per lo più nutre anche l'intenzione di impedire la procreazione durante la convivenza, per non essere poi onerato della cura della prole una volta sciolto il consorzio matrimoniale. In queste evenienze l'esclusione dell'indissolubilità diviene causa dell'esclusione della prole, anche se le due simulazioni discendono dalla medesima causale. In simili casi si presume che sia stato escluso il diritto alla procreazione, e non solo il suo uso, sebbene l'esclusione sia temporanea (A. 49/02).

Nell'ambito della prova indiretta dell'esclusione della prole, una sentenza ha valorizzato, tra gli elementi psicologici della causa simulandi, la cura quasi maniacale della donna per la propria forma fisica, faticosamente raggiunta attraverso diete e farmaci, che essa non intendeva nuovamente mettere a repentaglio con una gravidanza (A. 67/00).

Interessante una sentenza che ha pronunciato la nullità, anche a fronte dell'esiguità della prova diretta, basandosi essenzialmente sul contegno postnuziale del convenuto simulante, il quale ha negato pervicacemente alla moglie gli atti aperti alla generazione ed ha anche rifiutato di sottoporsi a terapie per migliorare la vita intima della coppia (A. 121/03).

cc) Esclusione del bonum fidei

Sentenze: 9, delle quali 3 pro nullitate, 6 pro vinculo.

Una sentenza compie un'ampia ricognizione della giurisprudenza canonica in materia di bonum fidei, ribadendo la distinzione concettuale tra la proprietà dell'unità del matrimonio e l'obbligo della fedeltà e sottolineando come l'esclusione dell'una quanto dell'altro provochi la nullità del consenso (A. 86/01). Peraltro i due aspetti, per quanto distinti, mantengono una stretta congiunzione: l'unità esige che il consorzio venga stabilito solo con una persona, e la fedeltà richiede la totalità del dono di sé da compiere solo verso l'altra parte (A. 28/04).

Si conferma inoltre la validità della tradizionale distinzione tra esclusione del diritto ed esclusione dell'esercizio del diritto; analogamente si esprime pure un'altra decisione (A. 49/01).

Viene ribadita anche la necessità di un atto positivo di volontà diretto all'esclusione e l'esigenza di distinguere quest'ultimo dall'esitazione, dal dubbio, dalla riluttanza. Le circostanze più rilevanti ai fini della prova non sono quelle postnuziali (come gli adulteri durante la vita matrimoniale), ma quelle precedenti alle nozze, giacché l'esclusione trae la sua ragione e la sua efficacia dalle cause antecedenti alla celebrazione del matrimonio e non da eventi successivi ad essa (A. 38/02).

Tra le circostanze successive, nondimeno, vanno valutate attentamente la notevole brevità della convivenza e l'improvviso allontanamento della parte dalla casa coniugale (A. 65/04).

Quanto più è sincero l'amore verso la comparte, si osserva in una sentenza, tanto meno è credibile la simulazione; al contrario questa diviene plausibile quando il soggetto è combattuto tra l'amore verso la comparte e il sentimento che nutre verso un'altra persona (A. 36/04).

Da segnalare una sentenza che ha pronunciato la nullità per esclusione dell'unità del matrimonio, proprietà essenziale che viene esclusa quando taluno si riserva il diritto di avere più di una moglie o di un marito, ovvero di concedere il proprio corpo ad altre persone a propria discrezione (A. 89/03).

dd) Esclusione del bonum coniugum

Sentenze: 2, delle quali 1 pro nullitate, 1 pro vinculo.

Una sentenza afferma che il bonum coniugum, al quale il matrimonio è istituzionalmente ordinato, a maggior ragione oggi che è stata soppressa la gerarchia dei fini di cui al previgente Codice, è da ritenersi elemento essenziale del patto coniugale e pertanto la sua esclusione ne causa la nullità. Il contenuto di tale bene del matrimonio rimanda al diritto alla comunione di vita e di amore ed a quegli obblighi che garantiscono l'instaurazione di un'intima comunione delle persone e delle opere, mediante la quale i coniugi si prestano mutuo aiuto e servizio (cf. Gaudium et spes, n. 48).

L'atto positivo di volontà in questa forma di esclusione si dirige contro la ricerca della crescita incessante della comunione umana e cristiana, nella direzione di una più completa unità dei corpi, delle anime, dei cuori e delle volontà.

La semplice intenzione di conseguire un fine soggettivo (finis operis) anche in questo caso di per sé è compatibile con un valido consenso nuziale, purché il fine inteso in modo principale non sia contrario all'essenza del matrimonio, o comunque non sia inteso in modo assorbente ed esclusivo. Di fatto la sentenza pronuncia affermativamente riconoscendo una forma di simulazione implicita, per aver la donna convenuta celebrato il matrimonio solo al fine di ottenere dei benefici di ordine economico (A. 51/04).

ee) Esclusione della dignità sacramentale del matrimonio

Sentenze 3, tutte pro vinculo.

Una sentenza rammenta come la mancanza di fede viva, di per sé, non osti alla valida celebrazione del matrimonio, giacché il matrimonio sorge, con tutti i suoi tratti essenziali, inclusa la dignità sacramentale, tra i battezzati, dal semplice consenso: il nubente che vuole un vero matrimonio implicitamente lo vuole con tutti i suoi elementi essenziali.

La mancanza di fede, pertanto, acquista rilievo giuridico solo se si traduce in uno dei seguenti fatti:

a) in un errore sulla dignità sacramentale che determini la volontà (da non confondere con la simulazione);

b) in una simulazione totale del consenso, alla quale la giurisprudenza tradizionale riconduce sempre l'esclusione della sacramentalità;

c) in una simulazione parziale, nella quale la sacramentalità venga rigettata alla stregua di una proprietà o di un elemento essenziale del matrimonio. Ciò peraltro è possibile solo dal punto di vista psicologico, giacché in una prospettiva ontologica la dignità sacramentale si identifica col patto nuziale. Questa possibilità, ammessa dalla giurisprudenza rotale recente, rappresenta solo la visione soggettiva del nubente, dal momento che colui che simula esclude realmente ed attualmente in toto il vero matrimonio (A. 49/04).

Appoggiandosi sul recente magistero pontificio secondo cui «non si può configurare accanto al matrimonio naturale un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali», e pertanto «un atteggiamento dei nubenti che non tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimonio, può renderlo nullo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale» (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana del 31 gennaio 2003), una sentenza prende decisamente posizione contro la possibilità di continuare a configurare l'esclusione della dignità sacramentale come una figura di simulazione parziale (A. 117/03).

Un'eco di tale posizione si ritrova in un'altra sentenza, la quale però richiama anche gli argomenti a favore dell'autonomia del capo di esclusione della dignità sacramentale in quanto proprietà essenziale del matrimonio. In ogni caso si ammette che il caso rimane di difficile configurazione teorica e di ardua verificazione pratica; dal punto di vista della prova, è necessario ravvisare una causa simulandi consistente, se non nell'odio verso la Chiesa e i suoi riti, almeno in un fermo disprezzo della fede e della prassi cristiana. Non possono ritenersi sufficienti una generica insofferenza, e meno ancora, una mera carenza di senso religioso (A. 96/03).

c) Errore determinante la volontà (can. 1099)

Sentenze: 1, pro vinculo.

Una sentenza ha preso in considerazione il caso di una donna la cui formazione era avvenuta negli anni della contestazione giovanile (1968 e seguenti). Si è affermato che nel caso di questi giovani, che si sono formati in un clima di sovvertimento dei valori comunemente accettati e delle istituzioni divine ed umane, potrebbe avvenire che l'errore derivante dal contesto sociale ed intimamente penetrato nella mentalità del soggetto, non solo pervada l'intelletto, ma, in quanto radicato, passi anche nel campo della volontà, irritando il matrimonio.

In punto di fatto, però, il Turno non ha ritenuto sufficientemente provata l'efficacia irritante dell'errore voluntatem determinans sulla dignità sacramentale, anche se ha valorizzato la forma mentis della donna come substrato dell'esclusione della fedeltà: la decisione è infatti affermativa per questo capo (A. 49/01).

d) Errore sulla persona (can. 1097, § 1)

Sentenze: 1, pro vinculo.

Per quanto alcuni autori ritengano che l'errore di cui al can. 1097, § 1, si riferisca ad una più ampia nozione di persona, desumibile dal complesso di qualità --- soprattutto sociali e morali --- che valgano ad identificarla, la sentenza --- negativa --- segue l'opinione comune, secondo cui la norma si riferisce all'errore sull'identità fisica della persona. La sentenza critica la decisione affermativa del Tribunale inferiore per aver operato confusione tra il primo e il secondo paragrafo del can. 1097, osservando che, quand'anche il dubbio fosse stato concordato in relazione all'errore sulle qualità, non sarebbe comunque risultata provata alcuna intenzione specifica dell'attrice verso una determinata qualità della comparte. Inoltre, non si ravvisa nel caso alcuna reazione della donna alla scoperta del presunto errore (A. 124/03).

e) Errore sulla qualità della persona direttamente e principalmente intesa (can. 1097, § 2)

Sentenze: 6, delle quali 1 pro nullitate, 5 pro vinculo.

Una sentenza pone in luce che l'errore è un giudizio falso nascente dall'ignoranza, anche se deve essere tenuto distinto sia da quest'ultima, sia dalla condizione. Si distingue un errore di diritto, ricadente sull'esistenza, la natura giuridica, l'interpretazione o la sfera applicativa di qualche norma, e un errore di fatto, che ricade su un fatto, una persona o una circostanza: nel can. 1097 § 2 si tratta di questa seconda specie di errore.

L'errore di per sé rimane nell'intelletto e può avere forza irritante solo se l'atto di volontà si dirige in una qualità che si trova in modo diretto e principale nell'oggetto del consenso, di modo che quello che obiettivamente è accidentale (la qualità) diviene soggettivamente sostanziale.

La qualità deve essere inerente alla persona dell'altro nubente, non è rilevante l'errore che cada su qualche circostanza che, per quanto dipendente dalla volontà della comparte, rimane comunque esterna ad essa. L'atto di volontà rivolto verso la qualità può essere implicito: ad es. la donna che vuole sposare un medico, implicitamente intende che il futuro sposo sia laureato.

La qualità deve comunque essere intesa a preferenza della persona.

La prova dell'errore su una qualità direttamente e principalmente intesa risiede nell'indagine sulla volontà prevalente del presunto errante; si tratta, infatti, di un atto di volontà, che può essere anche implicito, rivolto alla qualità piuttosto che alla persona dell'altro nubente. Tale volontà si evince indirettamente attraverso il criterio dell'estimazione, mediante cui si comprende la considerazione che il soggetto aveva per una determinata qualità, nonché tramite la reazione manifestata dal soggetto subito dopo la scoperta dell'errore (A. 38/03).

f) Dolo (can. 1098)

Sentenze: 5, delle quali 3 pro nullitate, 2 pro vinculo.

Una sentenza passa in rassegna gli elementi che secondo la legge canonica devono congiuntamente ricorrere perché il dolo esplichi efficacia invalidante:

a) il dolo deve essere determinante, vale a dire che deve sussistere il nesso di causalità tra il consenso e l'errore dovuto all'inganno.

b) Il dolo deve essere grave, nel senso che l'oggetto dell'inganno deve essere una qualità che possa perturbare gravemente il consortium totius vitae. La qualità deve essere valutata con un criterio obiettivo, cioè tenendo conto della natura e dei beni del matrimonio; ma a nessuno sfugge l'importanza del criterio anche soggettivo, ovvero l'importanza attribuita alla qualità dal nubente: invero il consorzio coniugale è costituito dall'unione di due persone nella loro singolarità.

c) Il dolo deve essere estrinseco, cioè commesso da un soggetto libero, che si tratti dell'altro nubente o di qualunque altra persona.

d) La legge richiede infine che il dolo sia diretto, cioè finalizzato alla celebrazione del matrimonio. La forma diretta del dolo indica l'intenzionalità, che peraltro può anche rimanere implicita. Essa può esplicarsi anche in modo omissivo o negativo.

Alcuni richiedono anche il carattere dell'ingiustizia del dolo: ma è evidente che l'ingiustizia, più che un requisito del dolo, costituisce la ratio della norma: infatti il dolo caratterizzato dalle note contemplate nel canone arreca offesa sia alla libertà del nupturiens sia alla natura di comunione di vita ed amore propria del matrimonio, dal momento che la mutua donazione che avviene col consenso non può farsi che per il tramite dell'immagine intenzionale che ciascuno dei nubenti ha dell'altro (A. 38/03).

Non è sufficiente l'azione dolosa --- si osserva in un'altra sentenza (A. 51/01) --- ma si richiede inoltre la finalità specifica dell'inganno, vale a dire «ad obtinendum consensum». Certamente ogni inganno arreca danno alla persona, per cui la considerazione del fine talora viene considerata superflua. Nondimeno il Legislatore ha voluto indicare espressamente il fine inteso dal decipiens. Si è affermato che in tal modo si stabilisce senza dubbio il nesso di causalità tra il dolo e il consenso matrimoniale, di modo tale che il matrimonio venga realmente celebrato per effetto del dolo, e del dolo diretto. Questo nesso di causalità si richiede anche nel caso del dolo omissivo; tale nesso, infatti, può essere sia positivo sia negativo (esempio di causalità positiva: un uomo è indotto alle nozze dall'erronea supposizione della capacità procreativa della donna. Esempio di causalità negativa: l'uomo ignora la sterilità della donna, e la sposa per altri motivi, ad esempio per amore. Tuttavia, tra il suo errore e le nozze vi è un nesso di causalità negativa, perché l'uomo non avrebbe sposato la donna, se fosse stato reso edotto della sterilità di lei).

La prova del dolo può essere diretta e indiretta. La prima scaturisce dalle dichiarazioni delle parti e dei testi; la seconda principalmente dal comportamento della parte ingannata verso l'altra parte ed il matrimonio, dopo la scoperta della verità. Se il deceptus abbandona subito la comparte, la presunzione sta per l'induzione in errore doloso. Se al contrario continua pacificamente nel matrimonio, si presume non abbia subito nessuna azione dolosa (A. 51/01).

La comune giurisprudenza del Tribunale Apostolico ritiene che il nuovo can. 1098 sia di diritto positivo, per quanto radicato nel diritto naturale, quindi sprovvisto di efficacia retroattiva (A. 38/03).

g) Condizione (can. 1102)

Sentenze: 3, delle quali 1 pro nullitate, 2 pro vinculo.

Una sentenza ha applicato il can. 1092 n. 3 del Codice del 1917, essendo stato il matrimonio di cui si trattava celebrato nel 1976. La decisione ha passato in rassegna i tradizionali principi giurisprudenziali, in particolare in relazione alla condizione potestativa, osservando che, se l'oggetto formale della condizione è l'adempimento di una prestazione, la condizione è de futuro sospensiva; se è invece la promessa, la condizione è de praesenti. La costante giurisprudenza rotale ha sempre considerato tale condizione come de praesenti, ed avente ad oggetto la sincerità della promessa; ciò si addice maggiormente alla natura del sacramento. Anche in questo caso, comunque, la mancata esecuzione di quanto promesso fornisce un argomento presuntivo contro la serietà dell'impegno preso.

La sentenza ha preso in esame anche la condizione risolutiva, rilevando la sostanziale sovrapposizione della figura all'esclusione ipotetica dell'indissolubilità. Nel caso di specie, dato che l'intenzione dell'attore, piuttosto che sulla riserva del diritto di divorziare, si appuntava sullo scioglimento del vincolo nel caso di futura infedeltà della donna, il dubbio ricomprendeva entrambi i capi, i quali peraltro hanno ricevuto risposta negativa.

Interessante in diritto --- relativamente alla prova --- l'annotazione circa il criterium reactionis: occorre tener presente che talvolta la parte cerca di salvare sia l'oggetto dedotto in condizione, sia il matrimonio stesso (A. 40/04).

Un'altra sentenza --- anch'essa negativa (A. 90/01) --- considera in diritto le motivazioni che spingono il Legislatore, da un lato, a riconoscere la volontà condizionata (evitare il rischio di supplenza del consenso), dall'altro, a negare efficacia al matrimonio sotto condizione futura (tutela della dignità del sacramento).

In un'altra sentenza --- essa pure negativa --- si ricorda l'importanza dell'elemento psicologico del dubbio ai fini della credibilità della condizione (A. 126/03).

h) Timore (can. 1103)

Sentenze: 8, delle quali 3 pro nullitate, 5 pro vinculo.

Una sentenza ripete i principi tradizionali della giurisprudenza in materia di timore sottolineando la ratio della norma, che risiede nella tutela della libertà del nubente. Vengono anche ribaditi i tratti peculiari del timore reverenziale. Nel caso di specie il capo di metus reverentialis non si considera provato --- la stessa difesa attorea aveva rinunciato a trattarlo in fase di discussione --- mentre la nullità viene dichiarata in base al grave difetto di discrezione di giudizio, sub specie di mancanza di libertà interna (A. 41/03).

Un'altra sentenza pone in luce come l'incussione di timore provochi offesa non solo alla libertà del nubente, ma anche alla dignità del sacramento ed evidenzia come la tutela della libertà di scelta con la nuova norma trovi un'estensione più ampia di quanto avvenisse con la norma del Codice del 1917. Si ripete, infine, il consolidato principio giurisprudenziale per cui, nel concorso tra i capi di timore e di simulazione, va affrontato per primo quest'ultimo, giacché, una volta provata la mancanza del consenso, è superfluo trattare di un eventuale vizio del medesimo (A. 50/03).

Anche in un'altra sentenza si chiarisce che il metus integra un'ipotesi di vizio e non di difetto del consenso. In tale decisione si rammenta come il timore, da semplicemente reverenziale, in date occasioni divenga misto, attesa la gravità obiettiva del male minacciato dal congiunto. Nel caso di specie l'espulsione dalla casa familiare in un contesto di estrema povertà --- si trattava della Polonia nel periodo della dominazione sovietica --- è stato ritenuto un male obiettivamente grave per un giovane economicamente dipendente dal genitore (A. 100/03).

Nell'ambito della prova una sentenza ha affermato che aversio e coactio non si implicano necessariamente a vicenda. Infatti, può essere che il nubente celebri il matrimonio, anche se controvoglia, senza però sottostare alla volontà altrui, ma superando autonomamente la repulsione per cause diverse dalla costrizione esterna (A. 122/03).

4. Difetto di forma canonica (can. 1108)

Sentenze: 1, pro vinculo.

Una sentenza, trattandosi di un matrimonio celebrato nel 1982, ha applicato la legge previgente (CIC 1917). In diritto si ribadisce il significato della forma canonica, discendente dalla rilevante importanza sociale del matrimonio e si svolge una concisa ricognizione dei principi relativi alla facoltà di assistere alle nozze ed alla eventuale supplenza di tale facoltà.

Il caso presentava alcune peculiarità, in particolare l'atto di matrimonio risultava sottoscritto dal Vicario cooperatore (munito di delega generale), mentre alle nozze aveva assistito un altro sacerdote. Tuttavia, il Turno ha osservato che questa irregolarità documentale, per quanto censurabile, non nuoce alla validità del matrimonio, purché il reale assistente fosse munito della facoltà. Di fatto i Giudici hanno ritenuto che la delega ad assistendum fosse stata concessa e quindi la sentenza ha risposto negativamente al dubbio concordato (A. 97/03).

5. Cause trattate a norma del can. 1682, § 2

Le cause preliminari trattate ai sensi del can. 1682, § 2 sono state 83 delle quali 30 si sono concluse con decreto di conferma e 53 con decreto di rinvio all'esame ordinario.

La competenza a trattare con le forme del processus brevior le cause decise con sentenza affermativa in prima istanza (o nei gradi successivi tamquam in prima instantia) è caratteristica della Rota in quanto Tribunale d'appello. Anzi, nel caso di concorso --- vale a dire: se, nonostante la trasmissione d'ufficio al Tribunale territoriale d'appello, una delle parti ha richiesto che dell'eventuale ratifica veda la Rota Romana --- prevale sempre la competenza del Tribunale Apostolico. Ciò è stato ribadito in un decreto il quale ha criticato un Tribunale d'appello per aver ritenuto la propria competenza, in quanto la provocatio alla Rota della parte convenuta soccombente non era stata proseguita nelle forme proprie dell'appello. Il Turno ha sostenuto che, trattandosi della questione preliminare di cui al can. 1682, § 2, non è necessaria la prosecuzione dell'appello né è richiesta altra attività di parte, essendo facoltativa la presentazione di animadversiones; in ogni caso rimane ferma la competenza della Rota (B. 19/03).

a) Decreti di conferma di sentenza affermativa

Un decreto conferma la precedente sentenza rotale positiva riconoscendo il narcisismo dell'attore; viene annesso notevole significato alla perizia espletata in Rota, che si fonda su testimonianze più circostanziate di quelle a disposizione dei periti dei gradi precedenti (B. 16/04).

Un decreto conferma la sentenza affermativa emessa per il capo di difetto di discrezione di giudizio (sub specie di difetto di libertà interna) riconoscendo che la scelta matrimoniale, nelle condizioni esistenziali in cui versava l'attrice, non fu un atto di libertà, ma di disperazione (B. 79/04).

In un caso la ratifica è stata parziale: la sentenza di primo grado, affermativa per difetto di discrezione di giudizio in utraque parte, è stata confermata solo per quanto attiene all'attore; avendo presenti, inoltre, la condizione seriamente anomala di quest'ultimo (padre alcolista, abusi sessuali patiti in famiglia, uso di droghe), non è stato ritenuto necessario l'intervento di un perito (B. 73/04).

Nella conferma di due sentenze affermative per l'esclusione della fedeltà (una) e dell'indissolubilità (entrambe) ha avuto grande peso la considerazione dell'indole egoistica ed amorale del simulante (B. 19/03, B. 78/03).

Rilevante, invece, per la conferma di una sentenza positiva per esclusione della prole a tempo indeterminato, la gravità della causa simulandi prossima, ovvero i disturbi psichici della convenuta, che hanno fondato anche la pronuncia positiva --- del pari confermata --- ex capite incapacitatis (can. 1095, 2-3).

Da segnalare il decreto che ha confermato una sentenza affermativa proveniente da un Tribunale africano; il Turno ha osservato che, nonostante la non particolare accuratezza dell'istruzione, sussistono gli elementi essenziali per dichiarare l'esclusione dell'indissolubilità da parte del convenuto, avendo di mira soprattutto la sua radicata mentalità poligamica (B. 37/04).

Viene confermata una sentenza positiva per il capo del dolo, con espresso riconoscimento della gravità della qualità relativa alla professione religiosa del soggetto (B. 66/04).

Viene ratificata anche una sentenza affermativa per difetto di forma canonica (B. 34/04).

b) Decreti di rinvio ad esame ordinario

Un decreto ha rinviato ad esame ordinario ritenendo che la sentenza affermativa avesse indebitamente sopravvalutato la circostanza della gravidanza prenuziale dell'attrice, affermando il grave difetto di discrezione di giudizio anche in assenza di qualsivoglia accertamento peritale sull'esistenza di una grave anomalia (B. 90/04). In un altro decreto si è evidenziato che è in contrasto con la retta antropologia cristiana il sostenere il difetto di libertà interiore, sic et simpliciter, in conseguenza della responsabilità avvertita, per la propria educazione cattolica, di dover contrarre il matrimonio per rispetto della ragazza resa gravida e del nascituro (B. 2/04).

Il mancato esperimento della perizia d'ufficio in casi d'incapacità psichica figura anche tra i motivi di rinvio di altri decreti (B. 22/04, B. 56/04, B. 84/04). In taluni casi la perizia è stata ritenuta insufficientemente chiara (B. 82/04) ovvero fondata su mere ipotesi piuttosto che su fatti provati (B. 45/04), o ancora non coerente con il complesso degli atti (B. 31/04). Talvolta è stata criticata la recezione acritica nella sentenza affermativa di perizie non coerenti o formulate in termini di mera probabilità (B. 115/03, B. 11/04, B. 21/04). Un decreto ha invece censurato il modus procedendi del perito che ha ritenuto di soprassedere all'esame diretto della parte (B. 14/04); un altro ha rilevato che, pur essendo la sentenza di primo grado affermativa per l'incapacità consensuale dell'attrice, il parere peritale esistente in atti riguarda invece il convenuto (B. 116/03). Ricorre anche la critica relativa alla mancata determinazione degli obblighi matrimoniali che la parte o le parti non sarebbero state capaci di assumere (B. 54/04, B. 84/04).

Un Turno ha sottolineato la grave difficoltà --- trascurata dalla sentenza affermativa ex capite defectus discretionis iudicii --- derivante dalla lunghissima durata del matrimonio, ben 46 anni (B. 18/04). Simili difficoltà --- anche se non con tempi così estesi di durata della convivenza --- si rinvengono spesso nelle cause provenienti dall'area dell'America settentrionale, e non solo.

In qualche caso è stata ritenuta non provata la causa psichica della presunta incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali (B. 8/04); ovvero la prenuzialità della causa di natura psichica (B. 110/03). Un Turno ha annotato la necessità di confrontare lo stato psichico attuale delle parti con quello dell'epoca delle nozze, ormai lontana (B. 5/04).

Una sentenza affermativa per incapacità della convenuta (ex can. 1095, 2-3) non è stata confermata in quanto il Turno ha ritenuto che i giudici --- come peraltro il perito --- si fossero supinamente uniformati alle sole allegazioni dell'attore (B. 13/04).

In un caso di sentenza affermativa per errore determinante la volontà (can. 1099) il Turno non ha ratificato la sentenza, obiettando alcune difficoltà non prese in considerazione dal Tribunale inferiore: ovvero la solida formazione cattolica del presunto errante, la lunga durata della convivenza (23 anni) e la confusione operata dai giudici tra errore di diritto e simulazione (B. 103/03).

Una sentenza affermativa per error qualitatis non è stata confermata per la difficoltà di stabilire la qualità principalmente intesa e per difetto di prova certa sia sull'intenzione prevalente della presunta errante, sia dell'assenza delle qualità nel convenuto al momento delle nozze (B. 75/03).

In un caso di esclusione della prole ad tempus, il Turno ha ritenuto che non vi fosse la certezza dell'esclusione dello ius (B. 67/04). Sempre in materia di esclusione del bonum prolis, in altri decreti si rilevano i problemi di credibilità delle parti e dei testi (B. 29/04) e si evidenzia una circostanza pro vinculo, ovvero il ricorso del preteso simulante a consulti medici riguardo ad una possibile sterilità (B. 63/04, B. 123/03).

Non è stata ratificata una sentenza positiva per esclusione del bonum fidei, fondata essenzialmente sul comportamento postnuziale del convenuto, che dal canto suo negava la simulazione (B. 56/03).

In un caso concernente la condizione de futuro, per le contraddizioni di parti e testi e la presenza di molti indizi contrari, la prova non è stata ritenuta sufficiente (B. 32/04).

Alcune sentenze affermative per il capo di metus non sono state confermate, non ravvisandosi i requisiti probatori dell'aversio e della coactio esterna (B. 52/04, B. 122/03); in un altro caso è stato rilevato, dal complesso delle circostanze, che la presunta metum patiens non risulta dotata di un'indole fragile (B. 61/01).

Generalmente i decreti di rinvio indicano le attività istruttorie da espletare nel corso del nuovo esame della causa (rinnovo della perizia, prove testimoniali). In qualche caso si procede direttamente alla concordanza del dubbio in grado ulteriore (B. 8/04).

Da segnalare infine un decreto che ha rinviato ad esame ordinario una causa di separazione proveniente dal Libano, ritenendo insufficiente la prova della responsabilità della moglie. Il Turno ha precisato che l'eventuale conferma può riguardare il dubbio principale della causa, ovvero la separazione e la relativa colpa, senza necessariamente abbracciare anche le statuizioni accessorie in tema di alimenti (B. 40/04).

6. Cause «iurium»

Una causa decisa concerneva una richiesta di risarcimento presentata da un professore del seminario che riteneva illegittima la propria rimozione dall'ufficio per motivi attinenti alla rettitudine dei costumi, con la conseguente lesione della buona fama. Il seminario si difendeva sostenendo, tra l'altro, che le procedure ordinarie di rimozione non erano state seguite dal momento che la provvisione dell'ufficio di professore non si era mai perfezionata con atto scritto.

La sentenza definitiva ha stabilito che la provvisione dell'ufficio si era perfezionata, nonostante la mancanza di atto amministrativo consegnato in scriptis, giacché nel caso la forma scritta non era richiesta per la validità né dal diritto comune né da quello particolare, e pertanto l'attore, illegittimamente allontanato senza l'osservanza della procedura prevista dalla normativa particolare, ha diritto al risarcimento del danno sotto tale profilo. Non sussiste invece l'asserita diffamazione, per difetto sia dell'elemento oggettivo (in quanto non è stato divulgato il motivo della rimozione), sia dell'elemento soggettivo del delitto (ossia dell'animus diffamandi). Pertanto sotto tale riguardo la domanda risarcitoria è stata respinta (A. 134/03).

Un'altra sentenza ha ribadito il principio generale dell'obbligo del risarcimento del danno a carico di colui che con atto doloso o colposo arreca ingiusto pregiudizio ad un terzo. La fattispecie concerneva la riparazione del danno in materia matrimoniale, che secondo la legislazione libanese ricade nella competenza del giudice ecclesiastico. Il Turno ha però ritenuto che i danni patiti dalla donna avessero già ricevuto equo e sufficiente ristoro in sede civile, con la sentenza di divorzio (A. 112/01).

Una sentenza interlocutoria, resa in una causa libanese, ha mutato il regime di affidamento dei figli minori, originariamente disposto in favore del padre, assegnando la custodia alla madre. Tale decisione è stata presa in applicazione della legge sullo Statuto Personale che prevede la perdita della custodia da parte del genitore affidatario in caso di apostasia o di abbandono della confessione cattolica (A. 125/03).

III. Giurisprudenza di rito

1. Competenza del Tribunale d'appello

In una sentenza viene criticato il modus procedendi di un Tribunale di secondo grado che, dopo la rinuncia dell'attore ai capi dimessi negativamente in prima istanza, aveva proseguito l'istruttoria solo in relazione al capo introdotto in appello tamquam in prima istantia ai sensi del can. 1683. Si osserva, infatti, che il tribunale d'appello non gode in proprio della competenza a conoscere del nuovo capo, ma la acquista solo in virtù della connessione con i capi da trattare in seconda istanza, pertanto tale competenza sussiste finché perdura tale connessione e viene meno se i capi appellati sono rinunciati (A. 122/03).

Peraltro un decreto ha negato la nullità della sentenza emanata dal Tribunale d'appello solo su un capo trattato tamquam in prima instantia, accusata per incompetenza assoluta del giudice (can. 1620, n. 1). Nessun luogo del Codice, si legge nella motivazione, afferma che la competenza del Tribunale d'appello relativamente ai capi nuovi sussiste solo se risulta acquisita la competenza (mediante l'appello e la citazione) riguardo ai capi trattati nelle istanze precedenti (v. infra: B. 24/04).

2. Ammissione e reiezione del libello

In una causa la parte attrice aveva esibito al Tribunale di secondo grado un'istanza che si presentava come libello introduttorio, ma in realtà aveva ad oggetto anche dei capi di nullità già giudicati negativamente con sentenza dello stesso Tribunale. Questo, pertanto, rigettava il libello asserendo che la sentenza era passata in giudicato e l'attore non aveva proposto nuove prove od argomenti. Essendo l'attore ricorso contro tale provvedimento di rigetto, il Turno rotale ha sostenuto che la reiezione del libello è fondata, ma non per i motivi erroneamente esposti dal Tribunale d'appello, bensì per l'incompetenza del medesimo, che ha già pronunciato sui capi accusati, a trattarli nuovamente in prima istanza; tuttavia ha ammesso l'istanza in quanto appello fuori termine contro la sentenza negativa (B. 10/04).

In una causa iurium il Tribunale diocesano aveva rigettato il libello ritenendosi incompetente in quanto la Fondazione convenuta sarebbe stata «di diritto pontificio» e quindi, non avendo essa superiore al di sotto del Pontefice, unico giudice competente sarebbe stata la Rota Romana (cf. can. 1405, § 3, n. 3).

Il Turno ha osservato che l'espressione «di diritto pontificio», oltre ad essere più appropriata in altri ambiti (segnatamente gli istituti di vita consacrata, cf. can. 589), non comporta l'esenzione dalla giurisdizione ordinaria: l'erezione da parte di un'autorità non implica la concessione di una partecipazione alla natura giuridica dell'autorità erigente. Pertanto, è stata affermata la competenza del Tribunale locale, anche se, in virtù della complessità della questione, è stata suggerita l'avocazione della causa presso la Rota fin dalla prima istanza (B. 35/03).

3. Ammissione di un nuovo capo di nullità

In una sentenza si rammenta che in Rota spetta al Turno, ai sensi dell'art. 55 § 2 delle Normae, decidere sull'ammissione o reiezione di un nuovo capo --- si tratta, infatti, di un nuovo libello --- e quindi il Ponente non può inserire il nuovo capo nella formula del dubbio con proprio decreto (A. 122/03).

Quanto al merito dei capi ammessi alla trattazione tamquam in prima instantia, la quasi totalità riguarda il difetto di discrezione di giudizio o l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, salvo alcuni sporadici casi in cui sono stati ammessi l'esclusione della prole (B. 23/04), l'esclusione dell'indissolubilità e l'impedimento di crimine (B. 47/04).

In un caso è stata negata l'ammissione di due capi non attinenti alla nullità del matrimonio, bensì alla responsabilità della separazione e alla concessione della pensione alimentare; è stato, infatti, sostenuto che la norma che consente l'ammissione di nuovi capi nelle cause matrimoniali (nel caso il can. 1369 CCEO), contenendo un'eccezione alla legge (can. 1320 CCEO; cf. can. 1639 CIC) è di stretta interpretazione e pertanto non può applicarsi al di fuori dell'ipotesi di nuovi capi di nullità del matrimonio (B. 26/04).

4. Ammissibilità del capo di cui al can. 1095, 3 dopo duplice sentenza negativa sul capo di cui al can. 1095,2 nello stesso soggetto

Una sentenza coram quinque ha affrontato la questione dell'ammissibilità del capo di incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio nonostante una duplice sentenza negativa sul grave difetto di discrezione di giudizio nello stesso soggetto. La questione era stata deferita alla Rota dalla Segnatura Apostolica, dopo due decisioni difformi dei tribunali locali, delle quali l'una affermava l'improponibilità dell'azione (anche se utilizzando la formula non corretta del «difetto di legittimazione dell'attrice»), l'altra invece la riteneva ammissibile.

Il Turno, pur esprimendo apprezzamento per l'impegno argomentativo del Tribunale di prima istanza, che aveva negato la proponibilità dell'azione, ha confermato però la linea espressa dalla Curia di secondo grado, sostenendo la formale diversità dei presupposti di cui ai numeri 2 e 3 del can. 1095. Tale diversità --- è stato sostenuto --- era già emersa nell'interpretazione giudiziale prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice; una delle motivazioni avverso alla proposizione del nuovo capo risiedeva, infatti, nel dato temporale: il primo processo era stato celebrato sotto la vigenza del Codice Piano-Benedettino, che non conosceva, secondo i giudici appellati, l'attuale distinzione dei capi.

Tra gli argomenti contrari all'ammissibilità del capo era stato anche addotto il fatto che l'attrice nel precedente processo aveva già sostanzialmente allegato elementi di fatto attinenti all'incapacità di assumere gli obblighi coniugali; il Turno tuttavia ha ribattuto che non si può presumere l'intenzione delle parti o del giudice di trattare anche questo secondo capo, in difetto di una formale mutazione della formula del dubbio, o comunque di un'altra modalità legittima che renda palese siffatta intenzione, e ciò in dipendenza del carattere di ordine pubblico che governa l'attività processuale (A. 11/04).

5. Capacità processuale degli acattolici

Una sentenza ha ribadito la capacità processuale degli acattolici, già peraltro ammessa sotto il previgente Codice. In questo caso, è stato osservato, si tratta di una capacità di essere parte derivante non da una propria capacità giuridica in forza del battesimo nella Chiesa cattolica e dell'incorporazione ad essa, ma da una capacità partecipata o indiretta, in ragione del matrimonio, la cui validità il coniuge acattolico interessato sottopone al tribunale ecclesiastico per ottenere la dichiarazione della libertà di stato e poter, quindi, celebrare un nuovo matrimonio con una parte cattolica (A. 83/02).

6. Legittimazione ad agire degli eredi nelle cause matrimoniali

In una sentenza è stata affrontata la questione della legittimazione ad agire della sorella (istituita erede universale per testamento) del coniuge defunto. La sentenza ha ribadito la regola codiciale che ammette tale legittimazione (can. 1675, § 1). La parte convenuta --- la quale in sede civile aveva impugnato il testamento --- aveva eccepito che comunque l'eventuale sentenza di nullità non avrebbe potuto conseguire effetti civili, atteso che in base all'accordo di revisione del Concordato con lo Stato italiano solo i coniugi possono richiedere la delibazione. Il Turno ha sostenuto che l'efficacia civile della sentenza canonica è questione riservata al foro civile; però, ciò non toglie, nell'ordinamento canonico, il carattere pregiudiziale della domanda di nullità rispetto alla questione ereditaria.

Tra l'altro la sentenza ricorda un decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica del 20 ottobre 2003 a mente del quale la preclusione ad agire degli eredi, in quanto norma che restringe il diritto di azione, sottostà a stretta interpretazione, e quindi la pregiudizialità della causa canonica va intesa in senso ampio, quando sussista anche la semplice probabilità che il foro civile la riconosca (A. 126/03).

7. Legittimazione del Promotore di Giustizia e del Difensore del Vincolo a proseguire la causa dopo la rinuncia o la perenzione

In un decreto, emesso dal Turno d'appello, si è negata la legittimazione del Promotore di Giustizia ad impugnare il decreto del Turno precedente, a sua volta confermatorio della decisione del Ponente con cui si dichiarava la perenzione della causa per inattività delle parti. Il decreto ha negato il ricorrere dei presupposti per la legittimazione: infatti, il Promotore di Giustizia era intervenuto nel caso, su richiesta del Ponente, ma non era parte originaria del processo di nullità del matrimonio e quindi non godeva dei poteri d'impulso processuale propri della parte. D'altro canto, nemmeno l'esistenza di una sentenza pro nullitate integra l'ipotesi di nullità divulgata che giustifica il potere d'azione del pubblico ministero (cf. can. 1674, n. 2); prescindendo dalla considerazione che, anche in quel caso, l'iniziativa giudiziaria va esercitata sotto la moderazione dell'Ordinario del luogo, l'ipotesi peraltro si riferisce a pseudo-coniugi che convivono con pubblico scandalo, mentre nel caso in esame risultava che le parti fossero legalmente separate (B. 46/04).

Analoghi argomenti si ritrovano in un decreto del Turno che rigetta il ricorso del Promotore di Giustizia avverso il decreto di perenzione emesso dal Ponente. In questo decreto si specifica tra l'altro che l'ipotesi di cui al can. 1674, n. 2 riguarda la notizia della nullità divulgata prima dell'inizio del processo; solo in questo caso il Promotore di Giustizia può agire, supplendo alla negligenza, all'imperizia o all'esitazione delle parti (B. 101/03).

Un altro decreto ha confermato il decreto del Ponente con cui si rigettava a limine l'appello proposto dal Difensore del Vincolo contro la decisione del Turno che aveva ratificato la rinuncia all'istanza proposta concordemente dalle parti. Si osserva nella decisione in esame che al Difensore del Vincolo non compete il potere di proseguire la causa se vengono meno le parti, cioè i coniugi. Tra l'altro vi sarebbe il rischio di ottenere una sentenza di nullità, con la conseguenza per la parte pubblica di aver agito contro il proprio munus (B. 124/03).

8. Computo dei termini per l'appello

Un decreto ha precisato che il termine di quindici giorni stabilito per l'appello, essendo inteso come tempo utile, non comprende le domeniche, giorni di chiusura degli uffici del Tribunale, e che comunque per l'osservanza del termine è sufficiente l'invio dell'appello mediante il servizio postale pubblico (B. 9/04).

9. Conformità delle sentenze

Un Turno ha dichiarato la propria sentenza, affermativa per il capo di incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali essenziali nella convenuta, aequipollenter conforme a quella pro nullitate emessa in primo grado per il capo di difetto di discrezione di giudizio nella medesima, affermando che entrambe si fondano sugli stessi fatti (A. 98/03).

10. Querela di nullità

Svariati decreti hanno avuto ad oggetto la nullità delle sentenze rese nei gradi precedenti. Tra quelli che hanno pronunciato affermativamente predomina il motivo di nullità derivante dalla lesione del diritto di difesa (can. 1620, n. 7, spesso in connessione con il n. 4), per difetto di citazione (B. 119/03, B. 57/04, B.64/04), di pubblicazione degli atti (B. 119/03, B. 57/04), per mancata partecipazione al processo del Promotore di Giustizia in un incidente de nullitate sententiae (B. 64/04) o per una serie di gravi violazioni processuali (B. 43/04) che in taluni casi hanno fatto sì che sussistesse solo un simulacro di processo (38/04).

In qualche caso si è ritenuto che la sentenza impugnata non abbia definito neppure parzialmente la controversia (can. 1620, n. 8), per avere lasciato uno dei dubbi senza risposta (B. 36/04) o per non aver specificato a quale delle parti fosse da ascrivere il difetto di discrezione di giudizio (B. 119/03).

Negata da altri decreti la nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa (B. 33/03) e per difetto di legittimo mandato (can. 1620, n. 6), essendosi riscontrate, nel caso, solo irregolarità formali del mandato procuratorio, peraltro da ritenersi sanate dal contegno della parte che aveva scientemente ratificato l'introduzione della causa presso un Tribunale diverso da quello erroneamente indicato nel mandato, presentandosi a deporre presso tale diversa Curia di giustizia (B. 9/04).

Un decreto (a sua volta confermatorio di un precedente decreto rotale) ha negato che sussista la nullità della sentenza, emessa dal Tribunale di secondo grado solo su un capo aggiunto in appello tamquam in prima instantia, per incompetenza assoluta (can. 1620, n. 1). La regola sancita nel can. 1683, infatti, introduce, per le cause matrimoniali, un'eccezione al principio generale dell'incompetenza assoluta del giudice di secondo grado (can. 1440). In questo genere di cause, per valutare la competenza del Tribunale d'appello, non bisogna tanto insistere sul concetto di connessione delle cause --- e quindi delle azioni --- giacché si tratta di cumulo di causae petendi diverse, più che di azioni diverse: infatti il petitum (la nullità del matrimonio) non muta (B. 24/04).

Una sentenza ha rigettato la querela di nullità della sentenza di primo grado per difetto di legitima persona standi in iudicio (can. 1620, n. 5) da parte dell'attore, il cui stato psichico, secondo l'assunto della convenuta che aveva proposto il gravame, avrebbe richiesto la costituzione del curatore. I giudici hanno evidenziato che il difetto di discrezione di giudizio --- trattavasi, nel caso, di mancanza di libertà interna --- era circoscritto all'epoca delle nozze (A. 76/03).

In un caso era stata richiesta la nullità delle sentenze di primo e secondo grado e, in subordine, la nuova proposizione della causa; il relativo decreto, avendo ritenuto sussistente la nullità, ha stabilito «non proponi» in relazione al nuovo esame della causa, pur evidenziando che da tale ultima domanda di parte deriva la competenza del Turno a vedere della nullità in via preliminare, e che, peraltro, gli argomenti addotti pro nullitate sententiae avrebbero potuto sostenere anche la domanda subordinata (B. 36/04).

Un decreto ha trattato congiuntamente la nullità della sentenza e l'eventuale ratifica ai sensi del can. 1682, § 2: ancora una volta, dichiarata la nullità, si è risposto «non proponi» al dubbio relativo alla conferma della sentenza (B. 119/03).

In una causa iurium la nullità delle sentenza dei gradi inferiori è stata trattata insieme alla restitutio in integrum (B. 50/04). Il Turno ha rigettato tutte le domande, ivi compresa quella di nova causae propositio, incongruamente avanzata, dal momento che non poteva parlarsi di causa sullo stato delle persone (la controversia verteva sulla sospensione di un sodale da una confraternita: tale provvedimento, solo lato sensu analogicamente accostabile alla dimissione di un religioso, non causa cambiamenti nello stato del soggetto).

11. Nuovo esame della causa

Competenza propria della Rota, come tribunale di terzo grado, è la concessione del nuovo esame della causa dopo due sentenze conformi.

Un decreto, dopo aver ripetuto i principi giurisprudenziali relativi alla materia --- che negano l'accoglimento all'istanza fondata solo su censure aventi ad oggetto la qualità dell'argomentazione delle sentenze precedenti --- ha confermato la decisione della Rota di Madrid che aveva negato il nuovo esame dopo due sentenze pro nullitate (B. 72/04).

Il beneficium novae audientiae è stato negato anche da un altro decreto, atteso che le censure si appuntavano sulla motivazione piuttosto che sul dispositivo delle precedenti decisioni affermative (B. 48/04).

Altri decreti hanno ammesso invece la novae causae propositio: uno soltanto relativamente ad un capo (il difetto di discrezione di giudizio dell'attore), sulla scorta di una perizia privata che colma le obiettive lacune dell'accertamento peritale d'ufficio eseguito in primo grado e non ripetuto in appello (B. 6/04); uno sulla base di nuove prove testimoniali (B. 48/00); uno per le incoerenze logico-argomentative della perizia di primo grado e per la dichiarazione di un testimone qualificato che afferma di non essere mai stato interrogato, nonostante la sua deposizione figuri in atti (83/00); un altro, infine, appoggiandosi sulla dichiarazione del perito d'ufficio intervenuto nel processo, il quale afferma che la sua perizia è stata falsamente interpretata e travisata nel significato dalla sentenza negativa (B. 37/01).

In una sentenza si è posto in evidenza come anche la nuova e più adatta interpretazione di una norma possa aprire la strada ad una nuova trattazione della causa, se i giudici precedenti non l'hanno tenuta presente. Nel caso si è messa in luce l'interpretazione dell'esclusione del bonum fidei come negazione dell'esclusività della donazione coniugale (e non più solamente dell'unità del vincolo) ammessa soprattutto a partire dagli anni sessanta dello scorso secolo, e maggiormente coerente con la dottrina del Vaticano II sul matrimonio (A. 87/03).

12. «Restitutio in integrum» dopo il duplice rigetto del libello

Una sentenza interlocutoria è stata pronunciata in una causa iurium avente ad oggetto la petizione di un docente, dimesso dall'incarico in una università cattolica. Il docente chiedeva sia la reintegrazione nell'ufficio, sia la riparazione dei danni patrimoniali e morali (conseguenti alla lesione della buona fama). Il libello introduttorio era stato rigettato due volte dai Tribunali territoriali. Pertanto, si è instaurata in Rota la questione preliminare sulla concessione o meno della restitutio in integrum contro la duplice reiezione del libello.

La sentenza affronta in diritto l'ammissibilità dell'impugnazione nel caso di specie, osservando che, se la prassi ammette il rimedio straordinario anche nelle cause matrimoniali, a maggior ragione esso deve essere consentito nelle cause iurium. La decisione passa, poi, in rassegna i principi desunti dal magistero pontificio e dal sistema canonico in tema di tutela dei diritti dei lavoratori. Nel merito essa non ammette la restitutio in integrum in base alla considerazione che, essendo già stata trattata la questione dai Tribunali civili ed essendosi formato il giudicato sulle decisioni di questi ultimi, il giudice canonico è tenuto ad astenersi da ulteriori pronunce sullo stesso oggetto (per il principio del ne bis in idem), pertanto, non sussistono motivi per ritenere ingiusta la reiezione del libello (A. 7/04).

13. Decreti di S. E. il Decano

Sono da segnalare alcuni decreti del Decano, in primo luogo di rigetto del libello o del ricorso per incompetenza della Rota Romana. Per tale motivo sono state, segnatamente, rigettate le domande di risarcimento intentate contro dei Vescovi per diffamazione e abuso della potestà ecclesiastica, in un caso, e per frode, nell'altro; è stato rilevato che la questione del risarcimento dei danni implica il preliminare accertamento della responsabilità dei Vescovi, e questi ultimi nelle cause penali sono soggetti alla giurisdizione personale del Romano Pontefice (Rep. 86/03, 313/00).

Sempre per incompetenza del Tribunale sono state respinte le domande di un religioso che aveva impugnato il decreto di un Ordinario con cui gli venivano revocate le facoltà di predicazione e confessione (trattasi infatti di controversia da risolvere in sede amministrativa: Rep. 168/02) e di una associazione di fedeli che agiva per la rivendicazione di un bene contro una parrocchia e la Caritas diocesana (la competenza in questo caso è del tribunale di primo grado: Rep. 252/03).

In due casi l'incompetenza del Tribunale è stata dichiarata in relazione all'inappellabilità del provvedimento giudiziale (decreto reso expeditissime dal collegio, con cui si confermava il decreto presidenziale di rigetto di nuove istanze istruttorie: Rep. 134/04) ed alla carenza di interesse a ricorrere (la parte convenuta aveva impugnato il rigetto, in primo grado, della petizione attorea: Misc. 3/2001).

Sono state respinte le richieste di avocazione della causa in primo grado alla Rota Romana, per difetto dei presupposti (particolari circostanze di luoghi o di persone, in vista del bene delle anime: cf. art. 52 delle Normae R. R. T.): in un caso in cui l'avocazione era stata richiesta in considerazione delle motivazioni del decreto di rinvio ad esame ordinario emesso dal Tribunale d'appello (Rep. 58/04), ed in un caso in cui la richiesta era motivata dal comportamento tenuto dal giudice istruttore nei confronti della parte e del suo patrono; si è osservato in questo caso che il Codice offre altri possibili rimedi (ricusazione del giudice --- cann. 1449-1451 ---, richiesta di sanzioni contro lo stesso --- can. 1457, § 1 ---, segnalazione del caso al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica --- can. 1445, § 3, n. 1: Rep. 69/04).

In una causa iurium è stata respinta la richiesta di affidare la trattazione dell'appello al Turno di tutti gli Uditori (videntibus), e, in considerazione del fatto che nel grado precedente il Turno era stato di cinque giudici, si è disposto di costituire per l'appello un Turno di sette Uditori.

Con decreto del Decano è stata resa nota, infine, la dichiarazione del Collegio Rotale del 9 dicembre 2004 con cui si chiarisce che al patrono d'ufficio non compete la facoltà di chiedere l'ammissione di un nuovo capo di nullità, in difetto di un'esplicita petizione della parte in causa.

IV. Dati statistici

vanno ripresi dal volume:

«L'attività della Santa Sede nel 2004», pagg. 820-826

52

53



Wyszukiwarka

Podobne podstrony:
ref 2004 04 26 object pascal
antropomotoryka 26 2004 id 6611 Nieznany (2)
2004 07 Szkoła konstruktorów klasa II
brzuch i miednica 2003 2004 23 01
2004 06 21
dz u 2004 202 2072
Mathematics HL May 2004 TZ1 P1
Deklaracja zgodno¶ci CE 07 03 2004
biuletyn 9 2004
Prawo telekomunikacyjne 2004
2004 10 11 prawdopodobie stwo i statystykaid 25166
PONTIAC SUNFIRE 1995 2004
Å‚acina arkusz1 2004
2004 MCH A1 pro2004 id 603780 Nieznany (2)
PN EN 1990 2004 AC Podstawy projektowania konstrukcji poprawka

więcej podobnych podstron