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I. Il campo d’indagine della fonetica e fonologia.
La fonetica fa parte della grammatica descrittiva della lingua italiana. Il codice fondamentale della
lingua è orale. Il codice è un sistema dei segni destinato a rappresentare le informazioni dal mittente
al ricevente. L’acquisizione naturale del linguaggio è rispettata in pieno da bambino che prima
impara reagire ai suoni del linguaggio usato della gente e poi impara ad imitarli per poter
comunicare con le altre persone. Dunque inizialmente si impara a capire una lingua parlata poi si
passa a usarla cioè a parlarla. Questi sono stadi fondamentali. E poi eventualmente si impara a
leggere una lingua scritta. E in fine si comincia a scriverla. Questi sono stadi complementari,
aggiuntivi e non indispensabili. Lo dimostra il fatto che moltissime persone non sanno leggere,
scrivere anche se sanno parlare perfettamente la loro lingua. Da altra parte esistono le lingue parlate
che non hanno ancora forma scritta. E l’uso che si fa di lingua parlata e comunque molto superiore a
quello della lingua scritta. La lingua parlata è dunque la forma fondamentale a comunicare tra gli
uomini. Mentre la lingua scritta è solo un mezzo che si usa per fissare il parlato a scopi pratici. Ma
si deve rendere conto che la scrittura non è sempre um modo chiaro e univoco di rappresentare la
forma fonica di una lingua. L’italiano stesso in cui in generale l’ortografia corrisponde abbastanza
fedelmente alle reale pronucia, causa spesso i dubbi sulla posizione dell’accento di parola.
L’ortografia è arte di scrivere senza errori, secondo le regole. L’ortopeia è giusta pronuncia dei
suoni. L’uomo è dunque riuscito a sviluppare un sistemo complesso di comunicazione. E sopratutto
per questo si distingue agli animali. Questo sistema serve per scambiare informazioni con gli altri
individui delle stessa specie. Tal sistema di comunicazione è diventato da André Martinent e
chiamato linguaggio articolato. In quanto sul piano del significante costituito dai suoni del
linguaggio viene articolato ad un primo levello in unità portatrici di significato cioè i morfemi, a
secondo livello in unità che non comprendono in sé nessun significato ma che combinandosi tra
loro formano le unità dotate di significato e le unità del secondo livello sono i fonemi e le loro
realizzazioni effetive nella lingua parlata sono gli allofoni. Significante è un’immagine acustica.
Significato è un concetto. Ogni realizzazione fonica oltre a costituire um messaggio concettuale
prettamente linguistico convoglia anche una quantità di altre informazioni dette estralinguistici
come p.es. l’età, il sesso, la personalità, lo stato sociale a talvolta anche lo stato di salute del
parlante. Alcune caratteristiche fisiche individuali permettono di riconoscere una persona
ascoltandola senza vederla e senza percepire distintamente quello che dice.
II. Metodo fonetico.
Ovviamente nello studio di una lingua straniera si incontrano varie difficoltà da superare. La prima
riguarda la capacità di percepire i suoni della lingua studiata perché gli individui differiscono molto
in questo. Ci sono le persone che sanno distinguere molti suoni facilmente e sentire anche le piccole
differenze e riprodurre suoni uditi altre volte confrontando mentalmente suoni familiari e nuovi.
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Quando si incomincia lo studio di una lingua straniera si tende a sentire i suoni di quella lingua in
termini dei suoni della propria lingua. Ma dopo un po’ d’esercizio si può iniziare a confrontare i
nuovi suoni della lingua che si studia, con quelli già familiari ed a scoprire somiglianze e differenze.
Per riuscire a pronunciare bene una lingua straniera si deve esercitare l’orecchio a riconoscere i
nuovi suoni. Studiando le lingue è fondamentale esercitarsi a riconoscere molti suoni e molte
sfumature del suono. Ovviamente non si può riuscire ad imitare e usare in modo opportuno e
conveniente di una lingua straniera se non si riesce prima a distinguere tali suoni. La seconda
difficoltà da superare per acquisire una buona pronuncia di una lingua straniera consiste in produrre
i suoni della nuova lingua poiché ogni lingua ha un certo numero di suoni caratteristici. Molto dei
quali sono estranei alla lingua madre dell’apprendente. Chi studia deve imparare a produrli ciò
comporta nuove abitudini articolatorie che bisogna acquisire con esercizi particolari talvota molto
complicati. L’apprendente deve dunque rendersi conto delle proprie capacità perecettive e
articolatorie esercitandosi a riconoscere i suoni, i fonemi della propria lingua e le varie realizzazioni
dei fonemi stessi da parte sua e di molte altre persone che pur parlando la stessa lingua usano o
possono usare suoni più o meno diversi oppure più o meno coretti.
III. Suoni e significati
Occupandosi dei suoni della lingua si sta facendo riferimento a una delle proprietà fondamentali del
linguaggio cioè alla seconda articolazione. L’analisi linguistica a questo livello della grammatica si
concentra sul meccanismo in base al quale a partire da un numero finito e limitato dei suoni è
possibile comporre un numero infinito di significanti e veicolare attraverso questi. L’associazione
tra significanti fonici e significati rappresenta una caratteristica essenziale del linguaggio.
Caratteristica che appare del tutto evidente e naturale, invece è più complicato il modo in cui si
caratterizzano i suoni della lingua cioè la loro natura interna, il loro potere distintivo e le loro
possibilità combinatorie. Quando parliamo non solo produciamo ed interpretiamo significanti
sempre nuovi. La nostra mente gestisce e codifica in maniera del tutto rapida e precisa una serie
degli altri segnali sonori quali l’accento, la lunghezza, il ritmo e l’intonazione. Il fatto che parlante
non si renda affatto conto di quanto sia straordinaria una simile capacità, rappresenta una prova
evidente a fovore dell’innatismo del linguaggio che è anche una prova a favore del fatto che la
competenza fonologica fa parte del corredo genetico. Infatti ogni bambino nei primi mesi di vita è
in grado di apprendere qualsiasi lingua umana. L’apprendimento dei segmenti di suoni e il modo in
cui questi si combinano per trasportare significati fa parte di una coscienza inconsapevole,
connaturata, esistente in ogni essere umano.
IV. Oggetto d’indagine della fonetica e fonologia
La fonetica e la fonologia sono parti della linguistica che hanno come oggetto di studio i suoni
linguistici. È importante innanzitutto rendersi conto di come sono fatti fisicamente i suoni emessi ed
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interpretati perché il significato primario della lingua è di carattere fonico-acustico. La fonetica
studia i suoni dal punto di vista fisico in rapporto essenzialmente all’articolazione o alla loro
trasimissione idipendentemente dalla loro appartenza alla lingua. La fonetica si interessa di tutti i
suoni aprezzabili della lingua, significativi e non singnificativi. La fonetica provvede a descrivere
compiutamente i suoni. La fonetica suddivide la sua area d’indagine in tre campi principali:
- la fonetica articolatoria che studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono prodotti
dall’apparato sonatorio umano
- la fonetica acustica che studia i suoni del linguaggio in base alla loro consistenza fisica in quanto
onde sonore che si paragono in un mezzo cioè si occupa della trasmissione dei suoni
- la fonetica percettiva, detta anche uditva, studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui
vengono percepiti dall’apparato uditivo umano.
La fonologia invece è parte integrante della competenza grammaticale di una lingua e si occupa del
valore astratto, mentale che i suoni hanno all’interno di un sistema linguistico. La fonologia studia i
suoni ben distinti secondo la fuzione. La fonologia esamina il valore nella consapevolezza che non
tutti i suoni prodotti dai parlanti di una lingua hanno lo stesso statuto fonologico. La fonologia al
contrario della fonetica si occupa esclusivamente dei suoni che sono in grado combinandosi tra loro
distinguere significati che hanno il potere distintivo. L’analisi fonologica di un enunciato prodotto
oralmente prevede come prima tappa la segmentazione del flusso sonoro. L’analisi acustica mostra
che il parlato è infattti continuo e essenzialmente privo di fratture al suo interno. Ciascun parlante si
mostra in grado di individuare i segmenti che compongono un enunciato e che corrispondono a
quelle entità mentali che costruiscono l’inventario fonologico della propria lingua. L’interferenza
con il sistema grafico deve esser tenuta presente specialmente se si tratta di scrittura alafabetica cioè
identificazione del suono con la lettera. È frequente in cosidetto parlante ingenuo cioè privo di una
coscienza metalinguistica specifica. La metalinguistica riguarda le funzioni della lingua mediante le
quali il parlante assume il codice della lingua per rifflettere sul codice stesso o per descriverlo.
In rapporto al dominio d’analisi si distingue tra fonologia segmentale in cui l’importanza è data al
segmento o singolo suono considerato sia come elemento unitario che come entità a sua volta
scomponibile in tratti simultaneamente presenti. E poi abbiamo la fonologia soprasegmentale o
prosodica in cui l’analisi riguarda elementi superiori al singolo elemento come la sillaba, l’accento
lessicale che ha come dominio la sillaba in senso proprio e la parola in senso contrastivo. Poi
abbiamo l’intonazione che riguarda una serie di sillabe. Come riferimento alla teoria avanzata da
Ferdinand de Saussure all’inizio dei 900, si può dire che la fonetica si occupa della sostanza fonica
della lingua mentre la fonologia studia la forma linguistica. Pur rappresentando livelli autonomi
d’analisi e di rappresentazione la fonetica e la fonologia sono strettamente correlate l’una all’altra
visto il comune oggetto di studio sia punti di vista differenti.
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V. Apparato fonatorio
L’apparato fonatorio umano riguarda i polmoni, la laringe, la lingua, il palato, il naso, i denti e le
labbra. Gli organi della fonazione sono preposti anche ad altre funzioni come p.es. la nutrizione o la
deglutizione. E perché siano essi usati per l’articolazione dei suoni devono sfruttare le funzioni
nervose muscolari specificate a questo scopo. In italiano come nelle altre lingue i suoni vengono
prodotti solo durante respirazione. L’aria che proviene dai polmoni risale attraverso la trachea nella
cavità orale e fuoriesce dalle labbra o dal naso. Nel percorso per l’uscita, l’aria incontra una serie
degli ostacoli formati dagli organi fonatori nei vari punti dell’articolazione. I suoni nascono con la
partecipazione di tre gruppi di organi della fonazione:
- apparato respiratorio a cui appertengono i polmoni, la trachea, il bronco, il diaframma e le corde
vocali
- la cavità gutturale
- la cavità nasale
- la cavità orale a cui appartengono le labbra, i denti, gli alveoli e la lingua. Nell’articolazione
paretcipano tre parti della lingua: anteriore, posteriore e centrale. Il palato, il velo e infine l’ugola
questi sono elementari organi d’articolazione che servono direttamente a pronunciare e differenziare
i suonI emessi. All’interno della cavità orale c’è una serie di organi mobili e fissi che giocano ruolo
fondamentale nella caratterizzazione fisica dei suoni.
I principali organi fissi sono:
- i denti (sopratutto quelli superiori) che intervengono p.es. nell’articolazione di “t” italiana col
contatto della punta della lingua. I denti intervengono anche nell’articolazione di “f”, questa volta
c’è contatto delle labbra.
- gli alveoli nei quali sono infissi i denti superiori che costituiscono quella zona del palato
immediatamente dietro ai denti che si può facilmente individuare con la punta della lingua o con un
dito, p.es. la “t” inglese si articola con la punta della lingua contro gli alveoli.
- il palato duro cioè la parte della volta palatina dietro la zona alveolare costituita da una struttura
ossea, p.es. la “ɲ” italiana è articolata col dorso della lingua e contro il palato. La parte in cui si
incomincia ad avere una struttura rigida viene chiamata prevelo. Poi si ha il palato vero e proprio
quindi il prepalato. A sua volta la zona prepalatale è suddivisa in alveolare e postalveolare che
interessano le articolazioni eseguite con la punta o con la corona della lingua.
I principali organi mobili sono:
- le labbra che accostandosi tra di loro producono p.es. la “p” o “n”
- la lingua è un organo più importante che interviene a formare quasi tutti i suoni. In realtà il più
piccolo spostamento della lingua può cambiare talmente un suono al punto di renderlo
irriconoscibile oppure cambiarlo in un altro suono.
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Le parti principali della lingua sono:
- la punta o l’apice poi la corona. Quando la bocca è chiusa e si tocca con la punta della lingua i
denti superiori e le labbra, la corona si trova contro gli alveoli
- il dorso che si suddivide in quattro parti: predorso, medio dorso, postdorso e la radice.
La punta interviene nell’articolazione di “t” italiana, la corona per “s” italiana, il predorso insieme
alla punta nell’articolazione di “e” ed “o”, la corona per la “ʃ”, il medio dorso per la “ʎ” e il
postdorso per la “k” p.es. casa. La radice si usa per i suoni faringali dell’arabo mentre il predorso da
solo senza l’intervento della corona produce tutta la serie dei suoni prepalatali caratteristici per le
lingue slave.
Il velo – si dice palato molle che normalmente quando si respira, si trova nella posizione abbassata,
e invece generalmente alzato a modo di toccare le pareti faringali e impedire all’aria di uscire
attraverso le narici. Per i suoni nasali il velo è però abbassato come quando si respira.
All’estremità si distingue l’uvola che serve ad articolare la varietà di “r”.
Le corde vocali sono delle membrane simili a due sottili labbra elastiche situate nella laringe
all’altezza del pomo d’Adamo. Durante la normale espirazione rimangono separate e rilassate
mentre nella fonazione possono contrarsi e tendersi avvicinandosi o allontanandosi una dall’altra e
bloccando in tal modo il passaggio dell’aria. Queste vibrazioni cicliche e velocissime delle corde
vocali determinano i cosidetti suoni sonori.
La differenza tra i suoni consiste nella partecipazione delle corde vocali che aggiunge la voce ad
una determinata articolazione degli organi fonatori. Lo spazio tra le corde vocali aperte viene
chiamato glottide. Corde vocali possono esser chiuse completamente da non far uscire l’aria
proveniente dai polmoni quindi non poter vibrare. L’aria compressa esce bruscamente producendo
un colpo che udiamo anche durante la tosse e non è dato lo stretto contatto delle corde vocali né
sordo né sonoro. Le corde vocali possono esser tenute separate tra di loro sicché l’aria può passare
attraverso il glottide senza far vibrare le corde vocali producendo così dei suoni sordi (p, t, k, f, s,
sci, ci). Le corde vocali possono esser tenute tra di loro sicché quando passa l’aria esse vibrano
producendo suoni sonori come le vocali italiane e consonanti come “b, g, d, v, z”.
VI. Produzione dei suoni
I suoni vengono prodotti mediante l’espirazione con un flusso d’aria egressivo. L’aria fluisce dai
polmoni attraverso i bronchi e la trachea e raggiunge la laringe. Nella laringe che è un organo a
forma piramidale si trova la glottide che a sua volta contiene le corde vocali. Flusso d’aria passa poi
attraverso la faringe ed entra nella cavità orale dove sono gli organi fissi e mobili. Oltre che
attraverso la cavità orale l’aria che fluisce dalla faringe può passar attraverso la cavità nasale. In
seguito all’abbassamento del velopalatino quando l’aria fuoriesce anche dalla cavità nasale vengono
prodotti i suoni nasali. In ognuno dei punti compresi fra la glottide e le labbra l’aria che fluisce dai
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polmoni può subire delle costrizioni da parte degli organi della fonazione ottenendo così diversi
segmenti di suono che costituiscono la sostanza fisica di una parola. Oltre ai suoni polmonali
egressivi che sono più diffusi tra le lingue del mondo, esistono anche altre due tipi di flussi d’aria
che possono dare luogo alla fonazione. Il flusso ingressivo in cui il suono viene realizzato durante
l’inspirazione e dunque l’aria proviene dall’esterno. Mentre l’aria proviene dalla glottide che dai
polmoni vengono prodotti dei suoni cosidetti avolsivi oppure schioccanti o scioccanti. Poi ci sono
suoni interiettivi e i suoni di incitamento, tipici delle lingue dell’Africa centrale e meridionale.
VII. Articolazione dei suoni
Nel percorso dalla glottide verso l’esterno l’aria può essere bloccata. Se questo si verifica, il suono
prodotto sarà quello di una consonante. Nell’articolazione di una consonante l’aria può esser
bloccata nei vari punti e con varie modalità. In particolare i suoni consonantici di qualsiasi lingua
possono esser definiti facendo riferimento a tre parametri fondamentali.
1. La sonorità è data dalle vibrazioni delle corde vocali. Il suono viene detto sordo quando la
fonazione avviene in assenza dei vibrazioni.
2. Modo d’articolazione cioè la maniera in cui l’aria esce dalla cavità orale, considerato lungo un
continuum che va da un massimo come nelle fricattive e ancora nelle approssimanti . Altrimenti i
vari organi della fonazione cioè le labbra, lingua, velopalatino, possono esser posizionati in modi
diversi nella produzione di suono e questi vari assetti che gli organi assumono nell’articolazione del
suono sono detti modo di articolazione.
3. Il punto d’articolazione cioè il luogo in cui gli organi della cavità orale toccano e determinano
l’ostruzione. Altrimenti il flusso d’aria per produrre un suono può esser modificato in diversi punti
dell’apparato vocale (p.es. le labbra, denti alveoli ecc.) e ognuno di questi punti è chiamato
giustamente punto d’articolazione.
Al contrario nell’articolazione delle vocali l’aria fluisce liberamente verso l’esterno e non incontra
gli ostacoli. Descrivendole non si riferisce dunque agli stessi parametri delle consonanti. Bensi
esclusivamente alla diversa conformazione che assume la cavità orale a seconda delle posizioni
assunte dagli organi molli. In particolare per identificare le vocali si fa riferimento al grado di:
1. l’avvanzamento o arretramento della lingua. Precisamente della punta della lingua, questo tratto
distingue le vocali anteriori come la “e” e la “i”, posteriori come la “o” oppure la “u” e centrali
come la “a” italiana. Le vocali italiani sono anche tipicamente caratterizzate dall’arrotondamento
delle labbra.
2. l’inalzamento oppure abbassamento del corpo della lingua. Se la lingua si trova in una posizione
di riposo otteniamo le vocali medie come la “e” o la “o”. Altrimenti si producono vocali alte come
la “i” e la “u” o le vocali basse come la “a”. L’apposizione in cui vengono articolate le vocali
secondo questo duplice asso verticale e orizzontale viene illustrato mediante uno schema chiamato
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per la sua forma trapezio fonetico. Il trapezio fonetico è importantissimo nello studio delle vocali
nelle lingue straniere. Per mostrare chiaramente le differenze con le vocali della propria lingua,
evidentemente non basta conoscere in teoria l’esatta posizione delle vocali di una lingua. È
fondamentale aver presente il timbro con cui si presenta alla percezione di una vocale o un suono in
generale di ogni nuova vocale per poter provarla ricorrendo agli esercizi che consistono nello
spostare verticalmente e orizzontalmente la lingua e nell’assegnare la giusta posizione e la forma
delle labbra. In pratica il metodo fonetico del trapezio e il suo supporto scientifico che costituisce il
processo naturale che permette al bambino di riprodurre i suoni che sente dopo che sia riuscito con
moltissimi esercizi a trovare l’articolazione esatta corrispondente ad una certa impressione uditiva,
cioè quello che si sente.
X. Consonanti dell’italiano
I diversi modo concorrono alla produzione dei suoni:
OCCLUSIVE – il suono è prodotto tramite un’occlusione momentanea dell’aria a cui fa seguito una
specie di esplosione. Queste consonanti sono dette occlusive o esplosive o anche momentanee e
sono “b, p, t, d, k, g”
FRICATIVE – per produrle l’aria deve passar attraverso una fessura piuttosto stretta producendo
così una certa frizione. A differenza delle occlusive le fricative sono suoni che si possono
prolungare nel tempo e dunque si chiamano anche continue e sono “f, v, s, z, ʃ”
AFFRICATE – sono suoni che iniziano con un’articolazione di tipo occlusivo e terminano con
un’articolazione di tipo fricativo e sono “ts, dz, tʃ, dʒ”
NASALI – per la produzione dei suoni nasali il velopalatino si posiziona in tal modo da lasciar
passare l’aria attraverso la cavità nasale e sono “m, n, ɲ”,
LATERALI – per produre il suono laterale dentale la lingua si posiziona contro i denti e l’aria
fuoriesce dai due lati della lingua stessa. L’italiano ha due laterali “l” che è una liquida laterale
dentale e “ʎ” che è una sorda laterale palatale in cui caso il dorso della lingua si avvicina al palato.
VIBRANTI – la produzione di vibrante avviene mediante le vibrazioni dell’apice della lingua o
quelle dell’ugola. L’italiano ha un vibrante “r” che essendo realizzata questa “r” tramite più
vibrazioni viene chiamata anche polivibrante.
APPROSSIMANTI – sono suoni in cui gli organi articolatori vengono avvicinati senza contatto. Le
approssimanti dell’italiano sono le semiconsonanti [j] e [w]. Queste sono un po’ a metà strada tra
consonanti e vocali. La fuoriuscita dell’aria è più ostruita di quanto non avvenga per la produzione
delle vocali. In italiano “i” e “u” sono semiconsonanti quando sono seguite da una vocale tonica p.
es. piede [pjede], può [pwɔ] e sono semivocali quando seguono una vocale tonica p.es. sei [sɛi],
pausa [pauza].
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L’italiano utilizza sette punti d’articolazione. In italiano in generale non ci sono consonanti
interdentali, uvulari, faringali e glottidali, ma invece sono i suoni:
BILABIALI – il suono è prodotto tramite l’occlusione cioè la chiusura di entrambi labbra come [p,
b, m, n]
LABIODENTALI – il suono deve attraversare una fessura che si forma appoggiando i denti
superiori al labbro inferiore [f, v]
DENTALI - la parte anteriore della lingua cioè la punta tocca la parte interna dei denti come p.es.
[t, d]
ALVEOLARI – la punta della lingua tocca o si avvicina agli alveoli e vengono prodotti le
consonanti come: [s, z, ts, dz, j, l, n, r]
La lingua si avvicina senza toccare gli alveoli per i suoni come s, z [s, ts, dz] e invece tocca gli
alveoli per i suoni come [l, n]
PALATOALVEOLARI – la punta della lingua si avvicina algi alveoli e ha il corpo arcuato. Questi
sono [ʃ, tʃ, dʒ]
PALATALI O ANTERIORI – sono i suoni prodotti con la lingua che si avvicina al palato come [j,
ʎ
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VELARI O POSTERIORI – sono i soni prodotti con la lingua che tocca il velopalatino come [k, g].
IX. Vocali dell’italiano
I parametri per classificare le vocali sono all’altezza della lingua cioè quando la lingua si alza o si
abbassa verso il palato rispetto alla posizione di riposo. L’avvanzamento o arretramento della lingua
o l’arrotondamento o meno delle labbra. La produzione delle vocali comprende realizzazione di
questi movimenti in modo teso o rilassato. Se la lingua assume una posizione alta si producono i
suoni come [i, e, u] se assume una posizione bassa si producono suoni come [a]. Se la lingua è in
posizione avanzata si produce una [i] o una [e], se è in posizione arretrata si produce una [i] o [o].
Se le labbra sono arrotondate si producono vocali come [i, e]. In italiano le vocali [e, o] possono
esser sia semiaperte sia semichiuse, e c’è una sola [a] che è sempre aperta. Questo dà luogo ad un
sistema eptivocalico (che comprende in sé sette elementi). Il sistema è eptivocalico solo per alcuni
italiani regionali come il toscano, ma ci sono delle aree come la Sicilia e la Sardegna dove in linea
di massima si ha solo una vocale media anteriore e solo una vocale media posteriore. Queste varietà
regionali hanno il sistema di cinque vocali che sono sopratutto chiuse.
X. Le associazioni di vocali – dittongo e trittongo
Il dittongo è un suono formato da due vocali pronunciato distintamente con una sola emissione di
voce. Sono le unità formate da una [i] o da una [u] senza accento. I dittonghi come “ia” “ie” “iu”
“io” e dittonghi “ua” “uo” “ui” si chiamano dittonghi ascendenti perché in essi la sonorità aumenta
passando dal primo al secondo elemento. Invece i dittonghi dove la vocale precede la [i] o [u] come
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nei gruppi “ai” “ei” “oi” “au” “eu” la sonorità diminuisce passando dal primo al secondo e questi
sono dunque chiamati discendenti. La [i] e la [u] dei dittonghi discendenti vengono chiamate
semivocali preché sono più vicine al suono vocalico per distinguerle dalle semiconsonanti e si
trovano nei dittonghi ascendenti. Si notano anche i dittonghi mobili “uo” e “ie” e si chiamano così
perché perdono le semiconsonanti quando l’accento si sposta sull’altra sillaba, p.es.
muovere:movimento, suono:sonoro, scuola:scolaro, buono:bontà, muore:morì, piede:pedestre,
lieve:levità, pietra:petroso, Siena:senese, siede:sedevano, cielo:celeste. È da notare il fatto che
nell’italiano contemporaneo c’è la tendenza a render il dittongo mobile sempre meno mobile ed a
conservare “uo” e “ie” anche nelle forme in cui non erano previsti. Si vede la riduzione di mobiltà
negli esempi come le parole composte e gli stessi avverbi che terminano in “mente” conservano lo
stesso dittongo come p.es. boungiorno, fuoribondo, fuoriuscito, muovamente, lievemente. Nei verbi
come nuotare, vuotare si tende a ridurre la mobiltà per evitare ogni possibile ambiguità con le forme
corrispondenti dei verbi notare e votare. L’influenza di alcuni vocaboli molto comuni ha fatto
mantenere i dittonghi anche nei derivati, p.es. pieno:pienezza, fiero:fierezza, fuori:fuoriché. E così i
superlativi come “novissimo” e “bonissimo” sono meno usati rispetta di concorrenti “nuovissimo” e
“buonissimo”. Per una radicata tradizione le parole come “chiedere”, “lievitare” e “risiedere” si
mantiene il dittongo in tutte le formi comuni.
Il trittongo è un suono formato da tre vocali pronunciate con una sola emissione di voce. È però
neccessario che due delle tre vocali siano [i] o [u] e l’unione di questi vocali sempre atone di una
qualisiasi altra vocale generalmente accettata, p.es. suoi, guai, miei. Sono cosidetti dittonghi
apparenti i gruppi come “qua”, “que”, “qui”, “quo” perché la vocale [u] non conta mai quando
segue la lettera “q” e si considera un semplice segno grafico, p.es. quando, quindi, quota ecc. Lo
stesso vale per la vocale [u] che forma con la lettera “g” un suono gutturale p.es. guardo, guida ecc.,
e tanto non formano trittongo “gu, gi, ci, gli, sci” perché le vocali [u] e [i] sono segni grafici p.es.
quei, guai, figliuolo.
Iato – quando due vocali pur essendo contigue non formano un dittongo si parla di iato cioè la
dissociazione vocalica che viene da una parola latina “iatus” che significa distacco o apertura. Un
iato è la successione di due vocali che si pronunciano con due distinte emissioni di voce. Dunque i
gruppi delle vocali sono pronunciati staccati. C’è iato p.es. quando non ci sono né la [u] né la [i]:
paese, corteo. Quando la [i] o la [u] sono accentate: spia, paura, spiare, pauroso (anche qui si
mantiene iato perché è derivato). I prefisso “ri” come in “riavere” o “riunione” si pronuncia con iato
perché si continua a sentire una certa separazione tra due elementi della formazione.
XI. Le associazioni di consonanti
Digramma – è una parola che deriva dal greco “dis” e “gramma” cioè “bis” più “lettera”. Indica
l’uso dei due diversi graffemi per rappresentare un solo fonema. I digrammi dell’italiano sono sette:
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gl, gn, sc, ch, gh, ci, gi. Nel digramma “gl” per ottenere questo digramma deve esser seguito della
vocale [i]. Ne risulta che fonema /ʎ/ rappresentato nella scrittura dal digramma “gl” in posizione
intervocalica si presenta sempre rafforzato. Se manca [i] “gl” conserva la pronuncia velare [g] e
liquido di [l]: glaciale, globo, gloria. In alcuni casi anche anche “gli” non forma digramma p.es.
glicine, negligenza, geroglifico. Si deve distinguere tra il gruppo “gl+i” finale di sillaba, come in
“degli” o “mogli” che è un vero digramma, è il gruppo “gli” che incontriamo in tutti gli altri casi,
p.es. foglia, scegliere ecc. Perché in queste parole la [i] non si pronuncia e si nota un trigramma cioè
una successione “gli” per indicare fonema /ʎ/. È interessante di osservare anche /ɲ/ che è un
digramma di tutte le vocali: gnocco, magnifico, regno, ognuno; come si può vedere nelle
trascrizioni fonetiche. Il fonema /ɲ/ al pari di fonema /ʎ/ quando si trova fra due vocali è sempre
rafforzato. Digramma “sc” indica un suono similante, palatale che si trova in “scendere”, “pesce”,
“uscio”. Nei casi in cui dopo il gruppo “sc” ci sia una [i] bisogna distinguere come già per “gl/gli”
tra un vero e proprio digramma e un trigramma “sci” indicanti entrambi il fonema [ʃ]: sciroppo,
sciare, e la [i] si pronuncia e c’è in questi casi il digramma “sc”. Sia invece un trigramma nelle
parole come “lasciare” in cui la [i] è puro segno e non viene pronunciata. Tra due vocali questo
gruppo “sc” indica sempre un suono rafforzato. Il rafforzamento avviene anche nelle parole che
hanno “sc/gn” nelle posizione iniziale quadno siano precedute da una parola terminata di vocale
perché non sia pausa nella pronuncia: uno gnocco, io scendo ecc.
La geminazione – raddoppiamento riguarda solo i consonanti. È un fenomeno molto frequente nella
lingua italiana. In pratica tutte le consonanti possono esser raddoppiate tranne “h” e pertanto la loro
geminazione provoca cambiamento del significato come nelle parole: sete:sette, pene:penne,
somma:soma, cane:canne. Fra tutte le lingue l’italiano mantiene il maggiore numero di parole con la
doppia consonante. La tendenza a raddoppiare la consonante interna è dovuta a influssi vari sia
dialettali che stranieri. Ma è legata specialmente all’evoluzione dal latino, p.es. febbre:febbris,
sopratutto:sopra totum. È anche legata all’assimigliazione di due consonanti diverse p.es.:
autumnus:autunno, donna:domina, inlecito:illecito. Non esistono le regole fisse di raddoppiamento.
XII. Fono, fonemo e le varianti allofoniche.
Ovviamente ogni lingua sceglie un numero di suoni usati nel linguaggio articolato tra i suoni che
l’apparato fonatorio può produrre. Questi suoni sono, allora, detti foni cioè rumori del linguaggio
articolato. I foni sono categorie teoretiche di suoni concreti foneticamente simili, rappresentanti da
un simbolo fonetico; ciascuna entro le quali collocano i vari suoni delle lingue. I fonemi hanno
valore linguistico quando sono distintivi cioè quando contribuiscono a differenziare dei significati.
Così [p] e [t] non sono solo suoni dell’italiano, ma aiutano a formare coppie minime cioè coppie di
parole che si differenziano solo per un suono nella stessa posizione. Oppure che oppone due fonemi
tra loro in uno stesso contesto fonico. Es. premo/tremo, tappo/tatto, cane/pane, top/tot, pale/tale.
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Due foni che hanno valore distintivo sono detti fonemi. Un fonema è un segmento fonico che ha
una funzione distintiva. Non può esser scomposto in una successione di segmenti di cui ciascuno
abbia una tale funzione. È definito solo dai caratteri che abbiano valore distintivo. Tali caratteri si
dicono pertinenti. Il fonema è un’unità astratta che si realizza in foni. I fonemi vengono
rappresentati tra barre oblique /t/, mentre i foni vengono rappresentati in parentesi quadre [t]. Il
fonema è un’unità che si colloca ad un livello astratto, e dunque si lascia la parola francese ‘langue’
cioè la competenza. I foni si collocano al livello di parole e dunque ad un livello concreto.
Langue – competenza /t/
Parole – esecuzione fonico [t]
La langue è un sistema di regole che costituisce il sapere grammaticale dei parlanti, grazie al quale
essi sono in grado di formare e anche di capire un’infinità di frasi. E poi parole è la manifestazione
concreta della competenza grammaticale degli utenti della lingua, negli usi linguistici realizzati
nelle diverse situazioni e sottoposti a diverse costrizioni psicologiche ed anche comunicative. Si
notano i suoni che sono intercambiabili e suoni che non lo sono. I suoni intercambiabili sono quelli
che non possono apparire nel medesimo contesto dunque nella stessa posizione. I suoni non
intercambiabili sono logicamente quelli che non possono comparire nello stesso contesto p.es. pare :
bare, possono comparire in posizione iniziale di fonema /a/.
XIII. Le regole fonetiche
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di una determinata lingua
Trubeckoj, russo padre della fonologia, nel 1939 ha già proposto una serie di regole di cui più
importanti sono:
I – quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono esser scambiati tra di loro
senza mutare il significato delle parole e renderle irriconoscibili allora questi due suoni sono
realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi p.es. vero : nero, /v/ /n/ ricorrono nelle stesse posizioni
e se vengono scambiati, si ottiene parole con significati diversi e dunque /v/ e /n/ sono fonemi
d’italiano.
II – quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si possono
scambiare fra di loro senza causare variazione di significato della parola, questi due suoni sono
soltanto varianti fonetiche, facoltative di un unico fonema. P.es. roba [r] alveolare – roba [R]
(francese) uvulare
In italiano possono esser scambiati suoni intercambiabili però lo scambio non dà luogo a due parole
con significato diverso. I due suoni non sono fonemi diversi ma sono due varianti di un solo
fonema, cosidetti varianti libere.
III – quando due suoni di una lingua simili dal punto di vista articolatorio non ricorrono mai nelle
stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello stesso fonema, p.es. naso/ancora,
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calcio/libro, la /n/ alveolare e la /n/ velare di ‘ancora’. Le due /n/ non possono esistere nelle stesse
posizioni perché la /n/ velare si trova solo e soltanto prima della consonante velare nasale e la
nasale dentale mai davanti alla consonante velare. È dunque non sono due versioni diverse ma
variante dello stesso fonema.
La linguistica statunitese ha usato invece due nozioni di distribuzione contrastiva e di distribuzione
complementare. La distribuzione contrastiva avviene quando due foni possono comparire nello
stesso contesto e si ottengono così due parole di senso diverso allora i due foni sono in distribuzione
opposta e i due foni sono realizzazioni di due fonemi diversi. Quando invece due foni non possono
mai ricorrere nello stesso contesto, ma il fono che cambiamo ricorre in una serie di contesti e l’altro
fono ricorre in un’altra serie di contesti. Se questi due foni sono foneticamente simili si tratta di due
allofoni dello stesso fonema. Attraverso queste procedure si giunge all’inventario dei fonemi di una
lingua e tale inventario è diverso da lingua a lingua perché si va da lingua con poco più di decina di
fonemi a lingue che superano il centinaio di fonemi. L’italiano ne ha circa trenta.
XIV. Le strutture fonologiche della parola
Si fa distinzione fra fonologia segmentale e quella soprasegmentale detta prosodia.
Nella fonologia segmentale importanza è data al segmento o al singolo suono, considerato sia come
elemento unitario sia come entità a sua volta scomponibile in tratti simultaneamente presenti.
Invece la fonologia soprasegmentale esamina il campo di analisi superiore al singolo elemento. La
sillaba è un suono o l’unione di suoni che si pronciano con un’unica emissione di voce. Una sillaba
oppure insieme di sillabe che siano portatrici di significato, forma una parola. Una sillaba può esser
costituita di una sola vocale o di un dittongo o trittongo, o da una vocale seguita da una consonante
o viceversa p.es. ur-to, da una vocale unita a più consonanti p.es. stret-ta oppure da un dittongo
unito a più consonanti p.es. truo-go-lo. Una sillaba può risultare formata da una lettera a un
massimo di sei lettere p.es. stin-ta, spraz-zo, schian-to. Secondo il numero delle sillabe una parola si
può distinguere in monosillaba, bisillaba, trisillaba, quadrisillaba e polisillaba. La più lunga parola
soltanto in tono scherzoso è precipitevolissimevolmente che risulta di ben undici sillabe.
La sillaba è un’unità perché interessa più segmenti. Nel corso del tempo è stata definita in vari
modi, ma sostanzialmente ci sono definzioni di tipo fonetico o fonologico. Secondo la definizione
fonetica la sillaba rappresenta un’unità prosodica costituita da uno o più foni aglomerati intorno ad
un picco d’intensità (picco - valore o momento di massima intensità). P.es. nella parola “patata” si
osservano tre picchi di corrispondenza delle tre consonanti. Ad ogni picco corrisponde una sillaba.
Gli approcci fonologici alla sillaba assumono in genere che ci sia una correlazione fra sillaba e
parola e che le restrizioni sulle sequenze possibili all’inizio di sillaba valgono anche per l’inizio di
parola e che lo stesso avvenga per le restrizioni sulla fine della parola e della sillaba. In quest’ottica
la sillaba è vista come un’unità prosodica di organizzazione dei suoni. La sillaba minima è costituita
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in italiano da una vocale che si potrebbe chiamare il nucleo sillabico. Il nucleo può essere preceduto
da un attacco e seguito da una coda. Il nucleo più coda costituiscono la rima. La sillaba costituita da
un attacco sillabico e da un nucleo sembra esser il tipo di sillaba più diffuso e comune a tutte le
lingue. La sillaba dunque simbolizzata con segno σ (sigma cioè una lettera greca che simbolizza la
sillaba). La sillaba ha una struttura interna che si può rappresentare in modo seguente:
L’attacco può esser costituito da una o più consonanti. Invece il nucleo può esser costituito da un
dittongo. E poi una sillaba è aperta o libera se è privata di coda (se alla fine non si trova una
consonante) e finisce dunque in vocale, p.es. ha o ma. Altrimenti è detta chiusa o implicita come nel
caso delle sillabe “con” o “an”. Ci sono lingue in cui il nucleo può esser costituito da sonoranti: r,
m, n, l. Il caso dello slovano “Trst” che voul dire Trieste oppure dell’inglese “bottle” o “garden”
dove il nucleo sillabico nel primo caso è una liquida e nel secondo è nasale. Un componente
obligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo. In italiano l’attacco e coda possono esserci o
meno. Che la sillaba abbia struttura interna lo si può verificare dal fatto che nella cosidetta aplologia
(cancellazione di sillaba in composizione) le regola tiene conto solo di una parte della sillaba stessa.
morfo + fonemico = morfonemico; eroico + comico = eroicomico
La regola d’aplologia si formula nei termini seguenti. Si cancella la sillaba finale di prima parola,
davanti ad una sillaba di una parola che inizia con una sillaba uguale:
cavalli + leggeri = cavalleggeri; esente + tasse = esentasse; ostrica + cultura = ostricultura
La regola d’aplologia tiene conto solo dell’attacco sillabico e va formata diversamente della prima.
Si cancella la sillaba finale prima di una parola che iniza con una sillaba con attacco uguale.
XV. Tratti distintivi
Ogni fonema può esser analizzato insieme di tratti distintivi che definiscono quel fonema è in
opposizione a tutti gli altri. Considerando delle forme come “patto/batto/matto” si sente ancora che
sono forme diverse con significanti, però sono un po’ meno diverse di “tatto, ratto”. Analizzando
infatti maggiormente le caratteristiche dei fonemi in questione ci si può render conto che /p/ e /b/
sono abbastanza simili. In effetti hanno lo stesso modo e punto d’articolazione (occlusive, bilabiali),
ma hanno diverso grado /p/ è sordo e /b/ è sonoro. Ciò che li distingue è dunque per il suono /b/ la
vibrazione delle corde vocali in più rispetto al suono /p/. Hanno dunque il cosidetto tratto distintivo
in questo caso la sonorità che li differenza. Mentre hanno tutti gli altri tratti in comune.
Considerando “batto” e “matto” si rivela ancora che c’è l’aggiunta di un altro elemento, tratto
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distintivo cioè la nasalità in quanto /m/ è bilabiale e sonora come /b/ ma è pronunciato col velo
palatino abbassato. Nel caso di “patto” e “ratto” si osserva che /p/ e /r/ hanno in comune solo il fatto
d’esser consonanti mentre tutti gli altri tratti sono diversi. /P/ è occlusivo, bilabiale e sordo mentre
/r/ è alveolare, polivibrante e sonoro.
Dall’altra parte si trovano alcune somiglianze p.es. “patto” e “tatto” si distinguono solo per il punto
d’articolazione (bilabiale, dentale) e ugualmente “batto” e “gatto” (bilabiale, velare). In tutti questi
esempi i fonemi consonantrici per quanto simili o dissimili suppongono costantemente tra loro,
mentre contrastano invece con quelli vocalici perché la sostituzione di elementi fonologici può
avvenire solo all’interno delle stesse categorie. Se volesse sostituire una vocale al posto di una
consonante e viceversa si avranno dei cosidetti nonsegni italiani come “eatto” o “oatto”.
Bloomfield osserva il riguardo ai suoni e ai fonemi che i caratteri distintivi ricorrono in fasci,
ognuno dei quali è definito fonema e le caratteristiche distintive ricorrono insieme a quelle non
disntintive dalle quali è impossibile separarle. Inoltre i fonemi di una determinata lingua non sono
suono effetivi cioè da identificare direttamente, ma semplicemente caratteristiche sonore che il
parlante è stato abituato a riconoscere e a produrre. Le caratteristiche sonore definiscono un campo
più o meno ampio di realizzazioni foniche. Le caratteristiche non distintive in un messaggio fonico
solo molto più numerose varie rispetto a quelle distintive, dal punto di vista linguistico che restano
limitate a relativamente costanti. Infatti i parlanti stranieri che si siano in grado di riprodurre le
caratteristiche di una lingua, riescono a farsi capire, ma generalmente parlano con un accento
straniero, che risulta da una distribuzione errata delle caratteristiche non distintive che presentano
un’ampia gamma di variabilità avendo pure il limite perché il fonema deve mantenersi distinto da
tutti gli altri fonemi della stessa lingua. Poiché ogni lingua o varietà di una lingua ha i propri fonemi
stabiliti attraverso caratteri distintivi differenti, i parlanti stranieri tendono a usare le realizzazioni e
valori della propria lingua che possono apparirgli uguali, ma i quali generalmente sono al di fuori
delle realizzazioni allofoniche accettabili del fonema straniero che cercano di riprodurre in questo
caso ciò che consente la comunicazione è la capacità del nativo di ricostruire o interpretare
messaggio distorto o falsato. La confusione è ancora maggiore quando due o tre fonemi della lingua
straniere assomigliano a solo fonema della propria lingua materna perché l’apprendimento della
lingua in infanzia abitua a ignorare le differenze non linguistiche della propria lingua, le difficoltà
diventano più sensibli quando la lingua straniera usa distintivamente dei tratti che non sono
distintivi nella lingua materna. I fonemi di una lingua sono individuabili attraverso la cosidetta
prova di commutazione in parole o forme che differiscono per un singolo fono, dette coppie
minime, come in italiano: male:mele, mela:tela, pane:cane, dato:dado ecc.
Quando una parola di senso compiuto inseguita alla sostituzione di un fono con l’altro si ottiene
un’altra parola di significato diverso oppure una forma morfologicamente diversa della stessa base
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nominale o verbale alla variazione fonetica corrisponde una distinzione fonologica cioè ai due foni
scambiati corrispondono due foni distinti. L’esistenza di coppie minime in italiano dimostra giusto
che /m/ /t/ /a/ /e/ /c/ sono fonemi perché hanno un significato.
XVI. La fonologia soprasegmentale
Si parla di quella perché ci sono fenomeni fonologici che non possono esser attribuiti ad un
segmento e che lo oltrepassano e che sono detti appunto soprasegmentali. Come è già detto, la
sillaba è un elemento che interessa anche più segmenti cioè l’accento lessicale che ha per dominio il
senso proprio e la porta in senso costrittivo. L’intonazione coinvolge una serie di sillabe ma
sicuramente l’intonazione non può esser analizzata all’interno di una sola unità segmentale. Gli
studi di carattere prosodico si sono sviluppati recentamente, sia per l’italiano sia per le altre lingue
naturali. Nell’ambito della fonologia soprasegmentale si considera l’accento, l’intonazione, il tono e
la lunghezza.
L’accento è una proprietà di sillabe e non di segmenti. La ogni parola isolata c’è una sillaba fonetica
che si distingue dalle altre per maggior rilievo fonetico. Una sillaba tonica è più prominente di una
sillaba atona perché è realizzata con maggiore forza ed intensità. L’accento consiste infatti nel far
emergere della catena fonica una sillaba o meglio il nucleo di una sillaba per durata intensità e
altezza melodica. L’accento italiano è di natura intensivo e si realizza con l’augmento della forza
espiratoria durante la pronuncia del nucleo vocalico di una sillaba. Rispetto ad altre lingue che non
l’hanno, oppure non lo fanno cadere su una determinata sillaba l’italiano ha un accento mobile cioè
la cui posizione nelle parole composte di più di una sillaba, può variare, e in genere non è
prevedibile, se non in presenza di determinati morfemi desinenziali e di suffissi. Si deve rilevare
che l’accento in italiano ha anche un valore fonologico. Lo spostamento dell’accento cambia
significato delle parole. L’accento serve a distinguere parole o forme altrimenti identiche, p.es.
subito:subito, ancora:ancora. L’accento italiano può cadere sull’ultima sillaba (accento ossitonico
oppure si chiama parola tronca, ossitona). In queste parole l’accento deve esser segnato grafico. Può
cadere sulla penultima sillaba (parossitonico, parola piana, parossitona) o sulla terzultima sillaba
(proparossitonico, parola sdrucciola, proparossitona). Le parole formate di più di tre sillabe e
sopratutto le parole composte spesso oltre ad accento primario portano un accento secondario sulla
prima o seconda sillaba. Esistono anche in italiano alcune parole sezna accento, si tratta dei
monosillabi deboli come le preposizioni o in particolare le forme pronominali “mi, ti, ci, lo, si ecc.’’
dette clitici che combinandosi tra loro sono stretamente unite alle forme verbali le quali possono
precedere, come “lo vedo” o “glielo dico”, o seguirili saltandosi a queste parole anche nella graffia
come “parlami, eccoci ecc.”. Queste sono dette proclisi, le forma proclitiche che procedono sono le
forme enclitiche, enclisi. Quando si hanno due o più pronomi uniti a formare un’unica parola col
verbo a cui si appoggiano, troviamo l’accento sulla quartultima sillaba (p.es. prendetevelo,
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andandosene) e anche su quella cinqultima (p.es. mettimicelo). Questo sulla quartultima possono
anche avere alcune forme dei verbi alla terza persona del presente o del congiuntivo come “abitano”
in cui la desinenza “no” non viene computata dal punto di vista sillabico.
L’intonazione è un effetto percettivo di tipo melodico prodotto dai picchi e dagli avvalamenti
(riduzioni di audità) perciò non è uniforme. L’intonazione è ciascuna delle altezze tonali in cui si
può produrre un suono articolato. Parlando non si pronuncia le parole singolarmente, ma si
uniscono in gruppi fonici più ampi detti gruppi tonali. Il gruppo tonale cioè una porzione di discorso
delimitato da due pause e caratterizzato dall’andamento melodico, costituisce una misura
fondamentale dell’analisi intonativa. L’intonazione viene chiamata appunto melodia o una curva
melodica o contorna intorno intonativo. Sebbene ciascuna porzione di una frase si sia caratterizzata
da una determinata curva melodica, il profilo intonativo fondamentale viene rintracciabile nella
parte terminale dell’enunciato stesso. L’intonazione ha grande rilevanza sintattica come si può
capire leggendo ad alta voce tipi diversi di frasi come una dichiarativa, interrogativa. L’andamento
di una porzione dell’enunciato prende il nome di tonia cioè il profilo d’intonazione di una frase. Gli
studiosi hanno idividuato cinque tonie fondamentali:
1. Una tonia conclusiva caratterizzata da un andamento discendente.
2. Una tonia interrogativa caratterizzata dall’andamento ascendente.
3. Sospensiva caratterizzata da andamento ascendente-discendente con la sillaba finale sul tono più
alto della parte iniziale dell’enunciato.
4. Per le frasi parentetiche si ricorre una particolare tonia caratterizzata da un andamento
discendente analogo di quello della tonia conclusiva, realizzato però sul tono più basso della parte
iniziale.
5. Per citare le parole in forma di discorso diretto si ricorre un procedimento diverso esattamente
inverso, rispetta a quello usato per gli incisi. In questo caso la frase contenente “verbum dicendi” ha
un andamento sospensivo mentre la citazione ha l’andamento di una tonia conclusiva realizzata
però sul tono più alto.
Le dichiarative hanno una curva melodica con l’andamento finale discendente mentre le
interrogative hanno il finale ascendente. L’interrogativa è ottenuta cambiando le curva melodica sia
spostando il sogetto e dunque abbiamo qui cambiamenti sintattici. In italiano è possibile e molto
usato formare interrogative solo attraverso l’intonazione. Si osservi che la punteggiatura offre un
aiuto molto limitato per decifrare le curve melodiche degli enunciati. Vengono solo segnalate solo
interrogative con un punto di domanda e le imperative e le esclamative col punto esclamativo.
Il tono è la variazione di altezza nella pronuncia che in alcune lingue come in cinese, vietnamita
serve a distinguere le vocaboli con significati diversi. Il tono è colorito di un suono. Il tono, si può
dire, è grado d’elevazione di voce. Una sillaba può esser pronunciata con altezze di tono diverse. La
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parola ‘ma’ può esser realizzata con una pronuncia molto bassa o alta. In italiano però a queste due
differenti pronuncie non corrisponde un cambiamento di significato. Le lingue dove a differenza
d’altezza di pronuncia corrispondono variazioni di significato, vangono chiamate tonali. Nel cinese
mandarino la stessa sillaba può esser realizzata con quattro toni diversi e ad ogni realizzazione
diversa corrisponde un significato diverso. Il sistema dei toni è molto complesso. L’altezza tonale è
del tutto relativa, infatti essa dipende da molte variabili estralinguistiche, p.es. sesso, età ecc. Per cui
una bambina ha in genere i toni più alti del maschio adulto.
L’altezza relativa a cui vengono pronunciati vari toni e dunque pertinente. Si osservi che sbagliare
un tono in una lingua tonale è come sbagliare una consonante in una lingua occidentale. Le lingue
tonali sono molto numerose e si agruppano in tre grandi aree linguistiche: lingue amerindie, la
maggior parte delle lingue africane e tutte le lingue del gruppo tibetano.
La lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono relizzati i suoni. Non tutti suoni
hanno la stessa durata cioè la pronuncia nel tempo. Di norma le vocali alte sono più brevi delle
vocali basse, una fricativa sonora è più lunga di una occlusiva sorda, una vocale non finale in sillaba
aperta è più lunga di vocale atona in sillaba aperta sia chiusa. Si confrontino due “a” – a
(preposizione) e “a” dalla parola “casa”. È più lunga quella della parola “casa”. In certe lingue la
lunghezza vocalica assume valore distintivo come per esempio nel latino: lēvis:lĕvis;
popūlus:popŭlus. Nell’italiano la lunghezza vocalica non è distintiva, non ci sono due parole con
significanti diversi che si differenzino con vocale lunga o breve. In italiano la lunghezza
consonantica ha carattere distintivo. Rispetto alla lunghezza delle lingue del mondo possono avere
diverse opzioni: in finlandese è distintiva sia lunghezza consonantica che quella vocalica e in
olandese è distintiva solo la lunghezza vocalica. Infine esistono le lingue come il greco moderno in
cui non è distintiva né la lunghezza vocalica né quella consonantica. La lunghezza si può esser usata
per scopo poetico.
XVII. I pricipali fenomeni fonologici
L’inserzione:
L’epítesi (anche detta «paragòge») è un fenomeno di fonetica storica che consiste nell’aggiunta
d’una vocale o d’una sillaba alla fine d’una parola.
amant (lat.) → (*aman) → amano
David → David(d)e
L'epèntesi è un fenomeno di fonetica storica che consiste nell’aggiunta di una vocale o di una
sillaba all’interno di una parola.
asma → ansima
medesmo → medesimo
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La pròstesi o pròtesi (dal greco próthesis, derivato da protithénai, «porre avanti») è un fenomeno di
fonetica storica che consiste nell'aggiunta di un elemento non etimologico, una vocale o una sillaba,
all'inizio di una parola.
laurum (lat.) → alloro
vulturium (lat.) → avvoltoio
La cancellazione:
L'apòcope (anche detta troncamento) è un fenomeno fonetico che consiste nella caduta della vocale
o della sillaba finale della parola.
Una parola che ha subìto troncamento è detta tronca.
Spesso una parola tronca è anche ossitona, cioè è una parola che ha l'accento sull'ultima sillaba.
Esempi sono parole come "città" (da "cittade"), "libertà" (da "libertade") o quomodo > como (più
tardi come, per fusione con la congiunzione e), mentre parole come "caffè" o "tribù" non devono la
loro ossitonia ad un troncamento. In italiano le parole tronche terminanti per vocale devono
obbligatoriamente avere l'accento grafico. Non devono avere l'accento grafico, invece, le parole
tronche terminanti per consonante. Esempi in italiano sono:
Qual buon vento; Un buon amico; Fior di latte; Qual è?; Sul far della sera; Gran bel giorno; Nessun
altro; Un amore come pochi.
L'apocope differisce dall'elisione, che provoca la caduta della vocale finale di una parola per evitare
un accostamento cacofonico con la vocale con cui inizia la parola successiva. In questo caso si
segna l'apostrofo.
Ad esempio nel dire "un'amica" eliminiamo la a dell'articolo una che è richiesto, nel dire "un
amico" non vi è elisione perché diremmo parimenti "un tavolo".
Tra i pochi troncamenti che vogliono l'apostrofo, troviamo po' (per "poco"), imperativi
monosillabici: da', di', fa', sta', va'
L'afèresi è un fenomeno di fonetica storica che consiste nella caduta d'una vocale o d'una sillaba
all'inizio di parola.
Esempi:
obscurum (lat.) → scuro
questa sera → stasera
episcopus (lat.) → vescovo
instrumento (lat.) → strumento
La síncope è un fenomeno di fonetica storica che consiste nell’eliminazione d’una lettera o d’una
sillaba all’interno della parola.
calidus (lat.) → caldo
verecundia (lat.) → vergogna
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vetulus (lat.) → (*veclus) → vecchio
domina (lat.) → donna
La metatesi (dal greco metathesis "transposizione") è un processo di mutamento fonetico per cui
l'ordine di successione di due fonemi viene rovesciato. Si verifica spesso in presenza di [r] e di [l] e
talvolta l'inversione succede tra questi due suoni.
Questo fenomeno fonetico succede all'interno di una parola si deve a che certi suoni sono attirati o
rifiutati da altri. La metatesi può essere di due tipi:
Metatesi reciproca
La metatesi reciproca si produce come scambio di due fonemi contigui. Talvolta tra le consonanti
nasali, le consonanti vibranti e le consonanti laterali. Difficile, ma non impossibile che si dia
Esempi di metatesi reciproca
Dall'evoluzione del latino all'italiano si ha:
lat. āera > aira > aria (metatesi di r per vocale).
lat. arbŏre(m) > albero (scambio di /r/ per /l/).
Dall'evoluzione del latino varie forme dialettali:
loc. lat. de ĭntro > dentro (in italiano) ma in genovese: drento (/r/ per /l/).
Metatesi semplice
Una sola consonante nasale, vibrante, o laterale può cambiare posizione all'interno di una parola. La
ragione di questo fenomeno si trova nell'inconsistenza di questi fonemi oppure la difficoltà di
trovarsi a contatto con un altro suono dissimile nel segmento e la conseguente difficoltà da parte del
parlante a pronunciarle. La consonante r è la più sensibile al cambiamento.
Esempi di metatesi semplice
Dall'evoluzione del latino all'italiano si ha:
lat. cŏmula(m) > *comla > *cloma > chioma.
lat. măgida(m) > maida > madia (metatesi di /d/ per vocale).
lat. sĕmper > sempre (m. di /r/).
lat. venēnu(m) > veneno > veleno (m. di /l/).
In forme vive di vari dialetti mediani:
lat. pĕtra(m) > petra (pietra).
lat. căpra(m) > crava (capra in genovese).
lat. cŏrvu(m) > crövo o cröo, per caduta de la /v/ (corvo in genovese)
Da parole straniere:
fr. fromage > formaggio.
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LE VOCALI:
Anteriore
Centrale
Posteriore
Arrotondamento
Alte (chiuse)
i
u
i
Medie
(semichiuse)
e
o
e
Medie
(semiaperte)
ɛ
ɔ
Basse (aperte)
a