RELAZIONE SULL'ATTIVITÀ DELLA ROTA ROMANA
NELL'ANNO GIUDIZIARIO 2006
I. Annotazioni generali
1. Il Collegio Rotale ed il personale della Rota Romana
Il 15 novembre 2006 S. E. il Decano Mons. Antoni Stankiewicz è stato elevato alla dignità episcopale dal Santo Padre, che lo ha nominato alla sede titolare di Novapietra. Il 16 dicembre ha ricevuto la consacrazione nella Basilica Vaticana da Sua Em.za il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Sua Santità.
Il Collegio Rotale attualmente si compone di 19 Prelati Uditori ovvero Giudici, di cui 9 italiani, 2 polacchi, 2 statunitensi, 2 libanesi, 1 tedesco, 1 francese, 1 brasiliano, 1 scozzese. I Giudici sono coadiuvati da 2 Promotori di giustizia, 2 Difensori del vincolo e dalla Cancelleria.
Il 12 ottobre 2006 è cessato dall'incarico per raggiunti limiti d'età il Prelato Uditore Mons. José María Serrano Ruiz.
Il 31 gennaio 2006 il Santo Padre ha nominato Difensore del Vincolo il Sac. Alessandro Perego.
Nel corso del 2006 alcuni gravi lutti hanno colpito il Tribunale Apostolico: sono deceduti i Decani emeriti, S. E. l'Arcivescovo Raffaello Funghini (17 maggio) e S. Em. il Card. Mario Francesco Pompedda (18 ottobre), nonché il Difensore del vincolo Mons. Pius Eheobu Okpaloka (15 novembre).
2. Cause pendenti
Al 1o gennaio 2006 le cause in esame erano 1151, al 31 dicembre 2006 le cause pendenti ammontavano a 1164.
3. Petizioni ed archiviazioni
Nel decorso Anno Giudiziario le petizioni sono state 313, aventi ad oggetto prevalentemente cause di nullità del matrimonio, ed inoltre cause di separazione, pensione alimentare e custodia dei figli, cause iurium, ereditarie e penali. Sono state archiviate complessivamente 122 cause (contro le 111 del 2005).
4. Sentenze, Decreti di Turno e Decreti del Decano
Nell'Anno Giudiziario 2006 sono state emesse 296 decisioni, di cui 172 sentenze definitive nullitatis matrimonii (96 pro nullitate, 76 pro vinculo); alle sentenze affermative vanno aggiunti 17 decreti di conferma della sentenza affermativa di primo grado a norma del can. 1682, § 2.
Sono stati, inoltre, emanati 92 decreti incidentali di Turno e 15 decreti del Decano.
5. Gratuito patrocinio
Delle 172 sentenze definitive, 105 riguardano cause in cui una o entrambe le parti hanno beneficiato del gratuito patrocinio, con un rapporto che tocca il 61%.
6. Visite al Tribunale
Le visite culturali alla Rota Romana, sia degli operatori dei tribunali ecclesiastici, sia dei giuristi laici, si mantengono frequenti e comprendono anche molti gruppi provenienti dall'estero. In particolare, nell'anno trascorso hanno visitato il Tribunale 27 gruppi tedeschi, due gruppi provenienti dall'Argentina, due dalla Polonia, uno dal Canada, uno dalla Spagna, uno dalla Slovacchia ed uno dagli Stati Uniti, oltre a diversi gruppi delle Pontificie Università Romane.
Hanno inoltre visitato il Tribunale i Vescovi delle Conferenze Episcopali del Ghana e dell'Irlanda in visita ad limina Apostolorum.
7. Studio Rotale
L'8 novembre è stato solennemente inaugurato l'anno accademico dello Studio Rotale. Ha tenuto la prolusione, sul tema «Natura e sacramento nel matrimonio canonico, secondo Giovanni Paolo II nei Discorsi alla Rota Romana», S. E. Mons. Francesco Saverio Salerno, Segretario Emerito del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Lo Studio Rotale è frequentato da 140 alunni, di cui 50 laici, 79 laiche e 11 presbiteri, provenienti dalle seguenti nazioni: Italia, Germania, Polonia, Spagna, Slovacchia, Nigeria, Argentina, India, Corea e Libano.
Hanno conseguito il diploma di Avvocato Rotale nella sessione estiva 12 candidati, in quella autunnale 11 candidati.
II. Giurisprudenza di merito*
1. Impedimenti matrimoniali
1.1. Impotenza copulativa (can. 1084)
Una sentenza affermativa è stata pronunciata in materia di impotenza psichica dell'uomo, in un caso in cui il matrimonio era durato solo pochi mesi. In diritto la decisione conferma i tradizionali principi giurisprudenziali relativi al capo in questione, dalla distinzione dell'impotenza in organica o strumentale (derivante da un difetto fisico o anatomico) e funzionale (con l'eventuale specificazione in relazione all'origine, cioè patologia neurologica, circolatoria, sistemica o psichica), assoluta o relativa, ai requisiti legali dell'antecedenza e della perpetuità (quest'ultima di difficile prova nei casi di impotenza psichica).
In facto la sentenza ha dichiarato sussistere in capo all'uomo convenuto una forma di impotenza psichica relativa alla persona della moglie. Lo stesso convenuto, pur essendosi sottratto all'accertamento peritale, ha dichiarato di non aver potuto consumare il matrimonio a causa di un di rifiuto psicologico verso la moglie (che egli imputa al contesto familiare), sfociato in una forma di nevrosi. La versione è stata avallata dal perito psichiatra nella perizia rotale, in cui si fa cenno ad una costituzionale immaturità psico-affettiva, erotica e sessuale dell'uomo.
L'incapacità copulativa del convenuto è stata superata in una successiva unione. La perpetuità è stata riconosciuta, però, in connessione col carattere relativo dell'impotenza, secondo la consolidata massima giurisprudenziale secondo cui in questi casi non sono da attendersi sviluppi positivi dai reiterati tentativi di unione, bensì solo un inasprirsi dei contrasti, che aggravano e rendono definitiva l'incapacità dell'uomo di unirsi alla moglie.
La sentenza si è pronunciata negativamente sul capo dell'impotenza della donna, aggiunto tamquam in prima instantia (A. 86/06).
2. Incapacità consensuale
Le cause trattate per incapacità consensuale ai sensi del can. 1095 hanno raggiunto ormai un numero preponderante rispetto a quelle trattate per altri capi nel Tribunale della Rota Romana. Frequentemente i due capi di cui al n. 2 e al n. 3 del can. 1095 vengono trattati congiuntamente, anche se si riscontra una maggiore ricorrenza del primo nelle cause provenienti da determinate aree geografiche. Le sentenze affermative in materia di difetto di discrezione di giudizio, però, sono nettamente di meno, sia in valore assoluto che percentualmente alle cause trattate, rispetto a quelle affermative per incapacità di assumere gli obblighi coniugali.
2.1. Grave difetto di discrezione di giudizio (can. 1095, n. 2)
La discrezione di giudizio, osserva una sentenza, implica qualcosa di più che il semplice uso di ragione. Il contraente non solo deve conoscere la natura del matrimonio (cf. can. 1096), ma è anche necessario che egli sia in grado di ponderare il significato e l'importanza dell'atto che sta per porre, con cui si perfeziona la reciproca donazione e accettazione nell'ordine della coniugalità. Infatti il Legislatore stabilisce che oggetto della discrezione di giudizio sono i diritti e doveri essenziali del matrimonio, chiaramente definiti, mentre l'ignoranza di cui parla il can. 1096 riguarda solo la sostanza del matrimonio, intesa nei suoi connotati minimi. Inoltre la norma sull'ignoranza in re matrimoniali attiene solo all'aspetto intellettuale, come facoltà di conoscere un determinato oggetto, mentre la discrezione di giudizio abbraccia anche la capacità di valutare criticamente e di scegliere liberamente (A. 13/06).
Il difetto di discrezione di giudizio non può essere invocato nel caso in cui il nubente, semplicemente, non abbia valutato tutti gli elementi di ordine etico, sociale, religioso, pubblico e privato del matrimonio. Né la nozione canonica di debita discrezione postula uno stato perfetto di capacità intellettuale, volitiva e affettiva, cioè il possesso di una maturità piena; esige piuttosto quel minimo necessario che sia proporzionato al consenso matrimoniale (A. 49/06).
Si afferma in una sentenza che il difetto di discrezione, specialmente ove si tratti di difetto di libertà interna, può derivare dal «combinato disposto» di una qualche anomalia psichica e di particolarissime circostanze, che spingono il soggetto a porre un atto che altrimenti non avrebbe posto. Nondimeno, anche in questo caso si richiede, se non la gravità dell'anomalia in sé considerata, almeno l'esistenza certa di essa, che renda il nubente incline alla fragilità, di modo tale da essere poi spinto dalle circostanze ad autolimitare la propria libertà (A. 38/06).
In diverse sentenze si ritrovano puntualizzazioni in materia di libertà interiore e del suo possibile difetto.
Una decisione evidenzia che la libertà dell'uomo è limitata e condizionata da fattori esterni: il luogo d'origine, l'educazione, la professione, il carattere e così via. Nondimeno la libertà stessa non viene soppressa, salvo che si provi che la persona abbia fatto una scelta in assenza di motivi, o solo per un motivo irragionevole. La motivazione irragionevole ricorre solo in presenza di un qualche disturbo psichico (A. 54/06, cf. A. 100/06).
Rileva un'altra sentenza che nonostante vari fattori psico-affettivi influiscano sulla facoltà elettiva --- ad esempio, tensioni emotive, turbamenti, impulsi d'indole ossessiva, carenze subconscie ---, non qualunque restrizione della libertà interna o di scelta rende nullo il consenso matrimoniale, ma solo quella che inficia la libertà sostanziale, ovvero la capacità di attività critica, riflessiva e volitiva, o lede gravemente la libertà effettiva, cioè la libertà di scegliere tra le possibili alternative (A. 35/03).
Pertanto anche le persone segnate da lievi mende caratteriali o da tratti disarmonici di personalità, fattori che riducono in qualche modo, ma comunque non grave, le facoltà deliberativa ed elettiva, possono emettere un valido consenso nuziale. Sarebbe infatti rischioso riservare l'istituto matrimoniale solo alle persone fornite di doti psichiche e di facoltà critiche eccelse: ne farebbe le spese lo ius connubii, che per diritto naturale gode della più ampia estensione (cf. can. 1058; A. 74/04).
È degna di menzione una sentenza che ha affrontato il tema della «libertà responsabile». Il caso riguardava un uomo che fin dalla prima adolescenza, a causa della prematura perdita del padre, aveva dovuto farsi carico di gravi responsabilità familiari ed aveva, di conseguenza, sviluppato un forte senso del dovere. Secondo la tesi attorea i precedenti esistenziali avrebbero generato in lui un estremo rigore, che avrebbe poi provocato un difetto di libertà interiore al momento delle nozze, celebrate per timore di un nuovo insuccesso, dopo due precedenti fidanzamenti non andati a buon fine. Il Turno ha rigettato tale argomentazione ed ha ribadito il principio secondo cui un forte senso di responsabilità morale, di per sé stesso ed in assenza di impulsi interni anomali o patologici (esclusi, nel caso, oltre che dai dati obiettivi, anche dall'indagine svolta dal perito rotale), non può mai considerarsi causa del difetto di libertà interna (A. 11/06).
Sotto il profilo probatorio, è da menzionare una sentenza che mette in guardia i periti dal retrodatare i disturbi postnuziali al tempo delle nozze, se non sulla base di validi presupposti medico-scientifici; e li invita, nel formulare le proprie diagnosi, a non trascurare i dati forniti dal presunto incapace e dai suoi testi, fondandosi quasi esclusivamente su quanto allegato dall'altra parte. Infatti, sull'onda del risentimento per la presunta ingiustizia subita, da questa possono provenire sproporzionate amplificazioni dei fatti, che possono facilmente adombrare una qualche anomalia (A. 65/03).
Un'altra decisione osserva che i medici che abbiano eventualmente curato le parti e poi vengano chiamati in giudizio a deporre, sebbene qualificati professionalmente, formalmente devono comunque considerarsi testi e non periti. Il perito infatti è un soggetto chiamato dal giudice (o dalla parte, e ammesso dal giudice) per esaminare la parte, studiare gli atti e poi rispondere ai quesiti posti dal magistrato; se mancano tali passaggi, si tratta piuttosto di una testimonianza, il cui valore sugli aspetti tecnici è più che altro indiretto (A. 56/05).
Occorre sempre --- si ricorda in una sentenza --- esaminare il fondamento filosofico-antropologico della perizia: sono infatti da rigettare le opinioni che, basate su presupposti teorici falsi (cioè divergenti dalla dottrina cristiana), necessariamente si traducono in un'interpretazione dei fatti, a sua volta, in qualche modo falsa e distorta (A. 74/04).
La produzione giurisprudenziale esaminata dimostra una notevole indipendenza critica dei Giudici rispetto alle conclusioni peritali. Infatti, sulla scorta di un esame globale degli atti (cf. can. 1579, § 1; art. 212, § 1 DC), talora gli Uditori sono giunti a dare una risposta affermativa al dubbio concordato, nonostante la perizia concludesse negativamente (A. 12/06), mentre molto più frequente è la risposta negativa, pur in presenza di una o più perizie favorevoli alla tesi della nullità (A. 65/03, A. 23/04, A. 56/05, A. 101/05, A. 19/06, A. 30/06, A. 46/06, A. 59/06).
La maggior parte delle sentenze negative, invece, gode del conforto dell'opinione peritale, almeno nel grado rotale, che ha consentito di escludere la presenza di qualsiasi anomalia psichica significativa (A. 24/04, A. 35/04, A. 74/04, A. 38/05, A. 53/05, A. 81/05, A. 100/05, A. 115/05, A. 6/06, A. 18/06, A. 25/06, A. 35/06, A. 38/06, A. 44/06, A. 49/06, A. 54/06, A. 72/06, A. 81/06, A. 94/06).
Le sentenze affermative hanno riscontrato nelle parti interessate il ricorrere delle seguenti anomalie psichiche: immaturità affettiva (A. 95/05, A. 124/05), talvolta sfociata in nevrosi paranoide e abuso di alcol (A. 99/05); sindrome ansioso-depressiva con comportamenti ossessivi (A. 13/06); personalità isterica (A. 55/05); disturbo dell'adattamento con umore depresso (si trattava, nel caso, di un vedovo: A. 8/06); grave immaturità psico-affettiva e sessuale (A. 7/06, 37/06), talora associata a nevrosi egoistica, con connotazioni narcisistiche (A. 25/05) e istrioniche (A. 120/05); disturbo di personalità narcisistico (A. 92/05); disturbo di personalità borderline (A. 35/03, A. 13/06); disturbo di personalità dipendente (A. 35/03); dipendenza dalla madre (nel caso, viene ritenuto incluso nel capo di difetto di discrezione di giudizio quello dell'incapacità di assumere gli obblighi coniugali; A. 122/05); anomalia della personalità con gravi turbe del carattere in soggetto affetto da menomazioni fisiche (A. 23/04).
Dal punto di vista processuale, va ricordata una sentenza che ha sostenuto l'ammissibilità della concordanza aeque principaliter, e quindi non solo in subordine, del capo di difetto di discrezione e dei capi attinenti alla simulazione (nella specie, esclusione del bonum sacramenti e del bonum fidei); il che potrà utilmente avvenire in quei casi in cui la simulazione trova fondamento in modo peculiare nella personalità del nubente ed in particolare nelle anomalie di essa, tenuto conto che non di rado la causa simulandi si ritrova talmente radicata nell'indole del soggetto, da originare una forma d'incapacità. Anche in questi casi, comunque, ad entrambi i capi si deve rispondere in maniera esplicita, di modo che la reiezione dell'uno dei due risulti in modo chiaro (A. 35/04).
2.2. Incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio (can. 1095, n. 3)
Una sentenza sintetizza come segue i profili di questo motivo di nullità:
a) si deve trattare di una vera incapacità, non essendo sufficiente a dichiarare la nullità una semplice difficoltà, sebbene grave;
b) tale incapacità non deve ammettersi, se non abbia origine in una solida anomalia di ordine psichico;
c) trattandosi di incapacità naturale, soltanto recepita dal diritto positivo della Chiesa, nell'ordine giuridico rileva solo in quanto attenga agli obblighi essenziali del matrimonio, non agli elementi che ne garantiscano la più felice riuscita. Per individuare tali obblighi essenziali si deve far riferimento ai fini istituzionali del matrimonio (bonum coniugum e bonum prolis) e alle proprietà essenziali dello stesso (bonum fidei e bonum sacramenti; A. 11/02).
Nello stesso senso, un'altra sentenza precisa che il giudizio deve vertere sulla capacità minima necessaria a prestare il consenso, non su una capacità tale da garantire la completa e appagante armonia degli animi (A. 84/06).
Si specifica anche --- è una massima ormai consolidata nella giurisprudenza --- che non è richiesto il carattere perpetuo dell'incapacità (A. 13/06).
Diverse sentenze cercano di definire gli obblighi connessi al bonum coniugum. In proposito afferma una decisione che il bonum coniugum esige un minimo di amore, di rispetto dell'altrui dignità, di reciproca assistenza e richiede che la copula coniugale sia posta in modo umano. Chi non è in grado di attingere un amore veramente coniugale, è incapace di assumere gli obblighi attinenti alla communitas vitae et amoris (A. 13/06). Altrove vengono evidenziati come attinenti al bonum coniugum gli obblighi di convivenza, di dialogo, di assistenza, di reciproco aiuto, di mantenimento (A. 84/06).
Precisa una sentenza che nel pronunciare la nullità è necessario che venga indicato l'obbligo matrimoniale a cui l'incapacità si riferisce, onde evitare che le sentenze ex capite incapacitatis ob causas naturae psychicae risultino così vaghe da comprendere tutti i casi di esito negativo del matrimonio (A. 119/05).
Ricorre in alcune decisioni la critica alla teoria della c.d. incapacità relativa (A. 104/06), identificata con l'incompatibilità caratteriale (A. 99/05). Una sentenza ha apertamente rigettato le conclusioni peritali che sostenevano l'esistenza di un «disturbo collusivo di coppia» (A. 87/06).
Del pari, un'altra ha respinto l'ipotesi, avanzata --- seppur cautamente --- dal perito rotale, di un'incapacità relativa, di una difficoltà, cioè, aggravata fino a raggiungere valore invalidante dai tratti abnormi della comparte. In tale sentenza si argomenta che l'uomo è per sua natura un essere sociale che crea, promuove, coltiva e consolida le relazioni con gli altri mediante atti distinti e ripetuti; pertanto l'incapacità matrimoniale non è incapacità nei riguardi della persona, bensì è incapacità di porre quegli atti mediante cui il nubente si pone in relazione con l'altro. La possibilità della relazione coniugale, di conseguenza, viene meno quando una parte non è in grado di compiere quegli atti o l'altra di riceverli (A. 36/05).
In un caso si è dovuta affrontare la difficoltà nascente dall'affermazione di un perito che aveva definito l'incapacità del soggetto «relativa», spiegando tale asserzione nel senso che l'incapacità sussisteva nei confronti di qualsiasi matrimonio, tuttavia non poteva escludersi che una persona con un grado di maturità o dedizione superiore al normale avrebbe potuto forse sostenere una relazione coniugale con il soggetto in questione.
Il Turno ha criticato tale ragionamento, evidenziando che se l'incapacità sussiste nei riguardi del matrimonio con qualunque comparte fornita di ordinarie doti di maturità, essa deve senz'altro considerarsi assoluta e non relativa. Infatti --- hanno osservato i Giudici --- se è vero che il matrimonio comporta sempre difficoltà e pesi da sopportare, la vocazione matrimoniale non è di per sé una vocazione al martirio (A. 45/05).
Con riguardo agli aspetti probatori, si legge in una sentenza che la gravità dell'anomalia può essere desunta da diversi indizi, anche dalla natura dei farmaci prescritti (A. 104/06). Tuttavia, le certificazioni rilasciate da medici non specialisti in materia psichiatrica o psicologica sono da vagliare con cautela e, secondo le circostanze, possono anche non essere prese in considerazione (A. 12/06).
Sotto il profilo indiziario, si rileva ancora come difficilmente un'anomalia davvero grave possa rimanere latente per lungo tempo. Pertanto, se il disturbo psichico non appare nei primi anni dopo le nozze, è arduo affermarne la gravità e quindi gli effetti invalidanti sul consenso nuziale (A. 73/05).
In verità --- annota nel medesimo senso un'altra sentenza --- è difficilissimo ipotizzare che un uomo o una donna che soffre di un'anomalia incapacitante possa condurre per molti anni una convivenza coniugale normale e serena. C'è invece da attendersi che gli effetti dell'incapacità, se non proprio dall'inizio della vita matrimoniale, si facciano comunque sentire dopo non molto tempo, divenendo fonte di disagi sempre più gravi per i coniugi (A. 7/05).
Il fatto che la parte eserciti un ufficio di responsabilità (nel caso si trattava di un medico ospedaliero) sicuramente fonda una presunzione di capacità sufficiente, che tuttavia ammette la prova del contrario (A. 104/06).
Anche nelle cause trattate in base al capo in questione è dato registrare un atteggiamento dei Turni giudicanti non succube delle deduzioni peritali, ma impegnato ad effettuare una valutazione d'insieme della fattispecie. Da ciò è derivata, in qualche caso, una pronuncia affermativa pur in presenza di una perizia rotale negativa (A. 11/02, A. 84/05, A. 121/05, A. 12/06), in altri, al contrario, una decisione pro vinculo malgrado la perizia orientata in senso affermativo (A. 56/05, A. 101/05).
In un caso è stata valorizzata, ai fini della decisione affermativa, la perizia effettuata in sede civile sulla persona del convenuto, che era rimasto assente dal giudizio (A. 58/04).
Le causae naturae psychicae riconosciute nelle cause che hanno avuto esito affermativo sono le seguenti: disturbo di personalità narcisistico (A. 92/05), in un caso associato ad abuso di alcol (A. 61/05), in un altro a disturbo del controllo degli impulsi aggressivi (A. 45/05); abnorme dipendenza dalla famiglia d'origine (A. 11/02, A. 69/06); grave immaturità (A. 22/04, A. 121/04, A. 53/06), in particolare con forte dipendenza dalla madre (A. 105/05, A. 118/05) o dal padre (A. 121/05); sindrome schizofrenica di tipo schizoaffettivo (A. 100/06); sindrome psicotica (A. 104/06); disturbo di personalità antisociale associato a dipendenza da cannabis (A. 109/05); disturbo di personalità borderline (A. 13/06, A. 79/06); immaturità affettiva, associata a stato nevrotico di tipo narcisistico-esibizionistico (A. 84/06); disturbo bipolare (A. 64/06); paranoia alcolica (A. 17/06); disturbo di personalità misto, con prevalenza dei tratti narcisistici e paranoici (A. 46/05); personalità isterica (A. 46/05); gioco d'azzardo patologico (A. 36/06); disturbo depressivo reattivo post luctum (A. 52/05); sindrome ansioso-depressiva (A. 58/04); sindrome psicotica in soggetto con disturbo misto di personalità (A. 48/05); disturbo di personalità passivo-aggressivo associato a dipendenza da alcol (A. 102/05); disturbo di personalità ossessivo-compulsivo (A. 84/05); disturbo di personalità dipendente ed evitante (A. 96/05); disturbo di personalità «in parte di tipo della personalità dissociata [...] in parte di tipo istrionico» (A. 58/06).
Una sentenza affermativa tratta ampiamente dell'anomalia psichica nota come «pseudologia fantastica», consistente nell'irrefrenabile impulso a falsificare la realtà, ponendo in luce come essa si opponga in modo sostanziale alle esigenze di verità poste a fondamento della comunicazione interpersonale e, quindi, al bene dei coniugi, che solo nella verità può essere conseguito (A. 94/05).
Le pronunce negative in taluni casi hanno ammesso la presenza di un'anomalia, però non di livello grave all'epoca delle nozze, e solo successivamente aggravatasi (alcolismo, A. 50/06; debole costituzione nervosa, A. 63/06). In generale, comunque, la decisione pro vinculo discende dalla riconosciuta insussistenza della causa psichica (A. 48/03, A. 95/04, A. 7/05, A. 36/05, A. 73/05, A. 119/05, A. 20/06, A. 35/06, A. 49/06). In più casi vengono messe in luce le circostanze estrinseche che hanno portato alla crisi coniugale, a prescindere quindi da qualsiasi anomalia psichica.
Tra le sentenze negative se ne segnalano alcune che hanno comunque svolto un approfondimento in diritto sulla causa naturae psychicae presa in considerazione (paranoia e disturbo di personalità ossessivo-compulsivo, A. 73/05; narcisismo, A. 20/06).
3. Difetti e vizi del consenso
3.1. Simulazione totale del consenso (can. 1101, § 2)
La simulazione totale --- si legge in una sentenza --- consiste nella totale assenza di volontà matrimoniale, che può verificarsi sotto diverse forme; ad esempio nel rifiuto pervicace della persona della comparte come compagno di vita, oppure dello stesso vincolo coniugale e del suo valore obbligante. O ancora, può consistere nell'invincibile ripudio del sacramento, così che il contraente sia disposto a rifiutare il matrimonio piuttosto che ad accettarlo nella sua forma e nel suo significato sacri.
Si tratta di forme, per così dire, estreme di simulazione. Più frequentemente si potranno riscontrare le forme implicite di esclusione, in cui la volontà del nubente si appunta in primo luogo ed essenzialmente sul conseguimento di un fine soggettivo, incompatibile con la «causa giuridica» del matrimonio, o, comunque, assorbente rispetto alla stessa intenzione matrimoniale (A. 51/05).
Nel solco della giurisprudenza tradizionale, si afferma che chi nella manifestazione del consenso esclude con positiva intenzione il matrimonio stesso, non può allo stesso tempo escludere uno dei suoi elementi o proprietà essenziali, come l'indissolubilità, la fedeltà o l'apertura alla procreazione, giacché il matrimonio simulato di fatto non esiste. Può invece verificarsi il contrario, se la persona accetta il matrimonio e non lo esclude totalmente, escludendo tuttavia uno dei suoi bona. Cosicché la simulazione totale esclude la possibilità delle simulazioni parziali, sebbene ciò non impedisca di addurre nelle cause di esclusione totale le simulazioni parziali come capi di nullità subordinati (A. 62/05).
Al fine di ritenere provata la simulazione totale --- asserisce una sentenza --- è necessario stabilire che il nubente non intendeva instaurare con la comparte alcun genere di vita comune, che la celebrazione del matrimonio e l'espressione del consenso sono state fittizie e prive di oggetto e che sono state messe in atto per il conseguimento di finalità incompatibili con la realizzazione della comunità di vita. Pertanto è importante anche stabilire la causa contrahendi, che spesso può indicare se si tratta veramente di simulazione totale. Ad esempio, chi sposa solo per conseguire l'eredità della comparte, rende manifeste in questo proposito sia la causa simulandi che quella contrahendi. La causa simulandi poi, che è interna all'animo della persona, viene rivelata non solo dalle parole del contraente, ma anche e soprattutto dai suoi comportamenti.
La sentenza ha riconosciuto nella parte simulante non la volontà di contrarre matrimonio come comunità di vita, ma solo quella di avere una compagna per i viaggi di svago ed una persona con cui condividere l'acquisto della «casa dei sogni», grazie all'aiuto della madre di lei. Essendo stata data risposta affermativa riguardo alla simulazione totale, non è stata riconosciuta, di conseguenza, l'esclusione dell'indissolubilità (A. 62/05).
Nell'investigare l'esistenza della simulazione totale --- annota una sentenza --- gioverà ricercare tutte quelle circostanze che indicano la mancanza di una genuina disposizione coniugale, cioè della volontà di attuare col coniuge una intima e globale condivisione di vita, dalle più importanti alle più piccole e quotidiane manifestazioni di solidarietà coniugale.
Nel caso deciso dalla sentenza ora riferita, è stata riconosciuta l'esclusione totale, almeno implicita, del matrimonio da parte della donna, motivata dalla grave infedeltà dello sposo, palesatasi già prima delle nozze. Tra gli elementi circostanziali si indicano l'assenza, fin dall'inizio, di fiducia, di concordia e di progetti comuni tra le parti e la coabitazione in casa alla stregua di estranei. Il matrimonio durò appena un anno (A. 51/05).
Una sentenza affronta il tema della «positività» dell'atto di volontà richiesto per la simulazione, specificando che all'atto di volontà si oppone non la volontà negativa, che è comunque volontà, bensì l'inerzia della volontà medesima; per porre la simulazione, quindi, si richiede che la volontà passi dall'inerzia all'atto simulatorio (A. 57/04).
La prova può raggiungersi per presunzioni, in mancanza di confessione giudiziale ed extragiudiziale. La sentenza --- resa in una causa avocata alla Rota inde a prima instantia a causa degli eventi bellici che travagliavano il paese d'origine --- valorizza, nell'assenza della parte simulante, le eloquenti circostanze della vicenda: la donna, dopo una lunga convivenza (arricchita anche da diversi figli), durante la quale aveva artatamente procrastinato la celebrazione del matrimonio, essendo intervenuto l'arresto dell'uomo per motivi politici, nel corso della detenzione di lui si diede ad una vita libertina, e non si riunì al compagno che dopo un anno dalla sua liberazione, cedendo alle insistenze dei figli. Celebrate finalmente le nozze canoniche, dopo appena una settimana abbandonò nuovamente il marito, ritornando alla precedente vita dissoluta. Il Turno ha ritenuto che l'insieme di tali comportamenti non potesse spiegarsi, se non con l'intenzione di escludere totalmente il matrimonio (A. 57/04).
È stata pro nullitate, per simulazione da ambo le parti, una sentenza riguardante il caso di due giovani che, avendo contratto il vincolo civile, rifiutavano quello religioso, giacché respingevano l'indissolubilità e l'apertura alla procreazione. Le nozze canoniche furono celebrate solo per esaudire le pressanti richieste dei familiari, ed assicurarsi così il loro indispensabile appoggio abitativo. La sentenza sembra ammettere una compatibilità logica della simulazione totale con quella parziale (bonum sacramenti e bonum prolis, nel caso; A. 88/06).
È invece negativa una sentenza che ha indicato tra gli elementi di fatto contrari alla simulazione la lunga durata della convivenza, l'amore fra i coniugi prima e dopo le nozze e l'assenza della causa simulandi (A. 73/05).
Decise negativamente anche due cause di simulazione totale, nelle quali non si è riscontrata l'intenzione contraria della parte convenuta all'accettazione del vincolo coniugale e delle connesse obbligazioni (A. 118/05, A. 62/06).
3.2. Simulazione parziale (can. 1101, § 2)
3.2.1. Esclusione del bonum sacramenti
Una sentenza ribadisce la possibile modulazione della volontà contra bonum sacramenti in diverse forme di intenzione: contro la stabilità o permanenza del vincolo (è il caso del c.d. matrimonio a prova), ovvero contro la perpetuità del medesimo (ipotesi del matrimonio contratto a tempo, determinato o indeterminato) ovvero ancora contro l'indissolubilità in senso stretto (quando il nubente si riserva la facoltà di rescindere il vincolo a proprio arbitrio; A. 8/04).
Può aversi anche un atto di volontà implicito, quando l'oggetto della volizione è compreso in un altro, verso cui la volontà si volge direttamente. L'atto implicito peraltro differisce dalla volontà interpretativa, poiché questa in realtà non sussisteva nel momento in cui veniva posto l'atto giuridico, mentre il primo sussisteva realmente, sebbene incluso in un altro atto di volontà (A. 136/04).
Non si applica, relativamente a questo capo, la distinzione tra esclusione del diritto ed esclusione dell'esercizio del diritto (A. 98/05, A. 83/06), che l'indissolubilità per sua natura non ammette (A. 1/06); pertanto invalida il matrimonio non solo l'intenzione di non assumere l'obbligo della perpetuità del vincolo coniugale, ma anche l'intenzione di non osservarlo (A. 29/06).
Nel caso di esclusione ipotetica dell'indissolubilità --- si osserva, nel solco della consolidata giurisprudenza --- ipotetico è non l'atto di volontà, bensì la circostanza futura, verificandosi la quale il nubente si riserva di infrangere il vincolo (A. 136/04).
Viene suggerita una peculiare cautela nel valutare la confessione del preteso simulante. Avviene, infatti, normalmente che ci si sposi con un certo timore sull'esito futuro dell'unione; tuttavia prevale la volontà nuziale. Se successivamente i timori trovano conferma negli accadimenti, può avvenire che la parte, in buona fede, essendo venuto meno l'amore, interpreti come deliberata intenzione contro il vincolo quella che era una semplice trepidazione riguardo alla possibile infelicità futura (A. 64/04).
Una sentenza ammonisce a non istituire indebite equazioni tra l'errore sull'indissolubilità (che, se radicato, può determinare l'oggetto stesso del consenso) e l'esclusione implicita. L'errore che determina la volontà può tradursi in una volizione implicita o anche esplicita, ma stabilire un nesso pressoché necessario tra errore ed esclusione implicita comporta il rischio di minare le fondamenta della teoria canonica del consenso. In generale, infatti, l'errore determina solo un'intenzionalità abituale, vale a dire una semplice predisposizione alla simulazione, che può prendersi in considerazione come causa remota di questa (A. 3/06).
Per restare in materia di causa remota simulandi, in un caso si è notato che il fatto che il simulante abbia ricevuto una formazione cattolica in famiglia non toglie che possa aver maturato una mentalità divorzista, tenendo conto che al giorno d'oggi spesso gli agenti esterni influiscono sui giovani più della famiglia stessa; e questi, volenti o nolenti, vengono influenzati dall'ideologia corrente, avversa alla Chiesa e ai valori della famiglia, diffusa attraverso i mezzi di comunicazione. Nel caso di specie la parte simulante aveva maturato un concetto del matrimonio come di una relazione di mutua assistenza e di convivenza: una sorta di società di fatto, la quale più che convivenza more uxorio potrebbe definirsi paraconiugale (A. 29/06).
In un altro caso si è rivelata determinante proprio la causa remota simulationis, consistente nelle radicate convinzioni ateistiche della parte simulante, che accettò di celebrare il rito canonico (previa licenza ex can. 1071, § 1, n. 4 e prestando le cauzioni previste, ai sensi dei cann. 1071, § 2 e 1125) solo «per fare compagnia» alla comparte, ma senza sentirsi vincolata dal carattere indissolubile del matrimonio (A. 31/06).
Tra le causae proximae della simulazione sono state indicate: la sopravvenuta mancanza d'amore verso la promessa sposa (A. 104/05); le perplessità sulla donna, accentuate dall'aborto da questa compiuto contro la volontà del fidanzato (A. 1/06); i timori sul futuro adattamento della sposa al modo di vivere del fidanzato, per la diversità di professione (A. 3/06); il difetto di vero amore sponsale (A. 8/04).
Il rapporto prenuziale tumultuoso, però, non è di per sé indicativo dell'esclusione quando è ricollegabile ad un'indole passionale (nel caso tra i fidanzati intercorreva «una passione violentissima»; A. 64/04).
L'importanza centrale della causa prossima emerge anche dalle svariate sentenze che si pronunciano negativamente rilevandone la carenza (A. 101/05, A. 57/06, A. 78/06).
In tema di causa contrahendi si evidenzia come l'amore fra le parti si opponga alla simulazione (A. 64/04, A. 83/06); non così, però, la mera attrazione erotica o l'affetto mutevole, che si presentano di ambiguo significato (A. 136/04). Di fatto un simile amore risulta compatibile con la simulazione, particolarmente con l'esclusione ipotetica dell'indissolubilità (A. 116/05).
Fra le circostanze che militano a sfavore della simulazione vengono ricordate il desiderio di concepire figli, il modo di comportarsi nella vita comune una volta verificata l'ipotesi, la lunga durata della vita coniugale, le cause del naufragio sopravvenute ed estranee alla volontà della parte (A. 83/03). Molto spesso, invero, la decisione negativa rimarca come la fine del matrimonio sia dovuta a vicende esclusivamente postnuziali (A. 64/04, A. 112/05, A. 78/06).
Una sentenza ha osservato che non è credibile la simulazione nel caso in cui un soggetto si sposi spinto dal senso di colpa e dal desiderio di riparazione per aver precedentemente indotto la comparte a compiere un aborto; infatti anche la simulazione è un gesto moralmente assai riprovevole, e non è plausibile che sia stata posta in essere da chi celebra le nozze proprio per scaricare la coscienza da un grave peso (A. 98/05).
3.2.2. Esclusione del bonum prolis
In materia di esclusione del bonum prolis è ricorrente la distinzione tra esclusione del diritto ed esclusione dell'uso o esercizio del diritto: in concreto si tratta di stabilire se si tratti di un rifiuto assoluto della prole ovvero di una semplice procrastinazione della generazione. Mentre il primo, infatti, denuncia la negazione del diritto, la seconda generalmente comporta un abuso del diritto regolarmente concesso (A. 129/03, A. 110/05, A. 66/04, A. 22/06, A. 26/06, A. 91/06). L'esclusione temporanea della prole, pertanto, non vizia il consenso (A. 114/05), in particolare nei casi di «paternità responsabile» (A. 125/05).
Nondimeno, si osserva in una sentenza, l'intento di abusare del diritto in perpetuo si traduce in realtà in una esclusione del diritto medesimo (A. 136/04).
In senso analogo, una continua e pervicace dilazione della procreazione, pur in assenza di un ragionevole motivo, è equiparabile ad una esclusione implicita dell'ipsum ius (A. 74/05).
La volontà di differire la procreazione per un tempo certo e determinato, dipendente dal realizzarsi di un evento parimenti certo e temporalmente determinato --- specifica una sentenza ---, non osta alla validità del consenso. Se invece la dilazione della generazione è condizionata, cioè legata alla realizzazione di un evento incerto, si considera alla stregua di un'esclusione (A. 4/05).
Altri casi in cui l'esclusione ad tempus invalida il consenso sono quelli in cui essa si traduce in una reale limitazione del diritto, ovvero ricollega quest'ultimo ad un evento futuro incerto o arbitrario, giacché in tal caso l'esclusione è suscettibile di diventare perpetua, se la condizione non si adempie (A. 18/05). Il che vale anche se il nubente rimette la propria intenzione circa la prole alla volontà della comparte, soprattutto se questa a sua volta fa dipendere la propria volontà di procreare da un evento futuro incerto (A. 4/06).
Anche l'apposizione di una condizione contra bonum prolis, quantunque si tratti di una circostanza temporanea, induce la presunzione dell'esclusione del diritto stesso (A. 136/04), similmente se l'esclusione temporanea viene posta mediante un patto tra i nubendi (A. 129/03).
Una sentenza ricorda la connessione logica e psicologica tra l'esclusione della prole e quella dell'indissolubilità: chi esclude la perpetuità del vincolo può essere portato ad escludere anche la prole, per evitare ai figli il danno dell'assenza di uno dei genitori, ovvero per essere più libero di recuperare la propria indipendenza (A. 104/05).
In tema di prova, si è affermato che la confessione extragiudiziale è da ricercare fra le persone più prossime al simulante, non tra gli estranei; anzi non di rado accade che la stessa comparte sia tenuta all'oscuro dell'intenzione simulatoria, soprattutto se il simulante sa che essa desidera fortemente la procreazione e che, in mancanza, non celebrerebbe il matrimonio. La confessione ha una peculiare forza probatoria se è contenuta in un documento scritto (A. 18/05).
Nell'assenza della parte accusata di aver simulato, o nel caso che questa neghi l'esclusione, se i testi non sono in grado di riferire molto, assumono grande rilievo il comportamento, l'indole e gli antecedenti biografici del presunto simulante, nonché le circostanze che hanno provocato il dissidio tra i coniugi e quindi la separazione (A. 97/05).
La causa prossima della simulazione è stata ravvisata, a titolo d'esempio: nell'indole della comparte, ritenuta inadeguata al compito di madre (A. 104/05, A. 110/05, A. 22/06), nella dedizione alla carriera, nella proiezione verso l'impegno pubblico e nella carenza di amore genuinamente sponsale (A. 66/04), nelle difficoltà della relazione interpersonale, dovute al carattere arrogante e scontroso dello sposo (A. 136/04), nel terrore del parto per la donna, nel difetto dei presupposti di reciproca intesa (A. 4/06).
Fra le circostanze pro nullitate vengono segnalate: la tenacia nella prassi anticoncezionale e la brevità della convivenza (A. 22/06); l'aborto tentato o realizzato (A. 2/06); la vita sessuale rarefatta (A. 104/05); l'uso della copula esclusivamente nei periodi infertili (A. 74/05).
Fra le circostanze che depongono a sfavore dell'esclusione sono state invece ricordate: il non uso di cautele contraccettive e le visite mediche affrontate per ottenere la procreazione o almeno per verificare la fertilità (A. 4/05); l'uso di un metodo contraccettivo di incerta efficacia (coitus interruptus: A. 91/06); l'accettazione della prole nelle unioni contratte successivamente (A. 26/06), salvo che l'esclusione fosse strettamente legata alla persona della comparte (A. 104/05).
Una sentenza è negativa per il mancato riscontro della causa simulandi prossima e remota, essendo peraltro rimasta assente dal giudizio la convenuta, asserita simulante (A. 114/05).
3.2.3. Esclusione del bonum fidei
Una sentenza, dopo aver compiuto un'ampia rassegna dell'insegnamento magisteriale ed una sintesi dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in materia di unità e fedeltà nel matrimonio, critica l'opinione dottrinale che fa rientrare nel concetto di bonum fidei anche l'esclusività della comunicazione affettiva e spirituale, in quanto tipicamente contrassegnata dall'inclinazione sessuale. Gli agganci in tal senso, sia nel testo evangelico (cf. Mt 5, 28), sia nei documenti conciliari (cf. GS 49) hanno un valore schiettamente morale e pastorale; sotto il rispetto giuridico il bonum fidei abbraccia solo l'obbligo all'esclusivo esercizio della sessualità (A. 111/05).
Non dissimile l'argomentazione di un'altra sentenza che applica al bonum fidei il noto testo conciliare in cui la relazione coniugale viene descritta come intima unione delle persone e delle azioni, mediante la quale i coniugi si prestano reciprocamente aiuto e servizio, sperimentando e vieppiù rafforzando il sentimento di tale unità (cf. GS 48). Il bonum fidei --- osserva la sentenza --- viene così mostrato nella sua immagine più completa, comprendente l'elemento della comunione di vita e dell'aspetto dinamico e progressivo. La decisione avverte però che si tratta di elementi integrativi, la cui mancanza, o anche la positiva esclusione, non invalida il matrimonio. Il bonum fidei nella sua essenzialità comporta il diritto-dovere esclusivo e perpetuo agli atti propri della vita coniugale (A. 83/03).
Nell'ambito della distinzione tra atto positivo di volontà esplicito ed implicito, si evidenzia che l'esclusione del bonum fidei è implicita nell'intenzione di condurre (o continuare a condurre) uno stile di vita dissoluto, oppure di riservarsi la libertà di intrattenere relazioni sessuali con qualunque persona del medesimo o dell'altro sesso (A. 111/05).
Anche nel campo dell'esclusione del bonum fidei viene ribadita la distinzione, di derivazione tomistica, tra esclusione del diritto (che invalida il consenso) ed esclusione dell'uso o dell'esercizio del diritto (che non ha valore irritante) (A. 71/06). La distinzione è congruente con le dinamiche dell'agire umano, le quali dimostrano come nell'esercizio della libertà la persona possa vanificare gli obblighi regolarmente assunti, creando così uno iato tra l'ordine del fatto e l'ordine del diritto (A. 111/05).
Riveste molta importanza, nell'ordine della prova, l'esame degli antecedenti biografici del simulante; ad esempio, la persona che non ha ricevuto una regolare educazione e si è mostrata propensa alla molteplicità delle relazioni o priva di remore morali, risulta proclive ad escludere la fedeltà dal matrimonio (A. 111/05).
In un caso la sentenza affermativa poggia sulla riserva del simulante di disporre liberamente del proprio corpo, scaturente da un radicato habitus orientato alla licenza in materia sessuale (A. 111/05).
È stata decisa affermativamente anche una causa in cui è emersa la volontà dell'attore di proseguire il rapporto con una persona diversa da quella che si trovò costretto a sposare, per l'intervento di una gravidanza non voluta (A. 76/05).
Simile la ratio decidendi di una sentenza affermativa per esclusione dell'unità del matrimonio da parte dell'attore. Questi, emotivamente assai legato all'amante, fu indotto dalle insistenti pressioni dalla madre, che non aveva un buon concetto della giovane, a celebrare le nozze con un'altra ragazza di buona famiglia. La simulazione è stata ritenuta risultare, nel caso, dai fatti più che dalle parole; già a pochi giorni dalle nozze l'uomo manifestava di non poter fare a meno dell'amante, al punto di proporre alla moglie una convivenza a tre. Grande peso è stato riconosciuto alla causa remota simulationis, ravvisata nella stessa indole del simulante, ritenuto per peculiare costituzione psicologica quasi incapace di «decidere» nel senso etimologico, cioè di operare un taglio, una scelta netta tra le varie opzioni: egli voleva rispettare la volontà dei genitori, sposando la ragazza da questi preferita, senza rinunciare tuttavia alla propria volontà, continuando così il rapporto con l'amante. La simulazione viene definita, nel caso, implicita e virtuale (A. 124/04).
In un caso la sentenza è stata affermativa, fondandosi sia sulla esplicita confessione del simulante, sia sugli evidenti riscontri obiettivi, in particolare sulla riconosciuta mulierositas dell'uomo (che praticava anche il lenocinio), la quale a sua volta affondava le radici in un ambiente d'origine completamente amorale (A. 101/04).
Definita invece negativamente una causa in cui l'assunto della nullità poggiava esclusivamente su una relazione adulterina --- non iniziata in epoca prenuziale --- coltivata per qualche tempo nel corso di una vita matrimoniale durata quasi quarant'anni (A. 71/06). Così anche ha ricevuto risposta negativa un altro caso in cui l'unico argomento addotto era l'adulterio della donna, peraltro non sufficientemente provato (A. 35/04).
Negativa pure una sentenza in cui la relazione parallela dell'attore con una precedente amante era stata ripresa, in epoca postnuziale, alla stregua di semplice evasione dal ménage coniugale, e non era ricollegabile ad un'intenzione presente al momento delle nozze (A. 83/03).
3.2.4. Esclusione del bonum coniugum
Il capo in questione è stato trattato solo in una sentenza. Esso era stato proposto tamquam in prima instantia davanti alla Rota, in un caso in cui già si discuteva dell'incapacità della parte convenuta relativamente al medesimo bonum. Secondo il ragionamento della difesa, gli argomenti allegati in favore dell'incapacità avrebbero dovuto valere anche per sostenere l'esclusione del bonum coniugum.
Il Turno ha rigettato tale argomentazione, rilevando l'assenza dei tradizionali mezzi di prova (confessione giudiziale ed extragiudiziale, causa simulandi prevalente sulla causa contrahendi, circostanze). Inoltre la sentenza mostra di ritenere difficile --- pure in linea di diritto --- la configurazione autonoma del bonum coniugum separatamente dai bona agostiniani; anche sulla base di tale presupposto, considerando che il convenuto aveva regolarmente assunto ed espletato gli obblighi inerenti a questi ultimi, il Turno risponde negativamente (A. 56/05).
3.2.5. Esclusione della dignità sacramentale
Si registra una sentenza negativa per esclusione della dignità sacramentale. In diritto la decisione ricorda la dottrina dell'inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento ed argomenta che la mancanza di fede, di per sé, non comporta l'esclusione del matrimonio-sacramento.
I requisiti di validità del sacramento vengono esaminati partitamente dal lato del ministro e del suscipiente (le due figure, come è noto, nel nubente coincidono).
Sotto il primo profilo, ricorrendo ad una similitudine arguta, si sostiene che anche colui che non annette alcun valore salvifico al rito può nutrire l'«intenzione di fare ciò che fa la Chiesa», al medesimo modo in cui un viaggiatore, unendosi ad una danza sacra degli aborigeni al solo scopo di ricavarne una documentazione fotografica, e senza pertanto riconoscerne possibili effetti soprannaturali, ciò nondimeno ha l'intenzione di prendere parte alla cerimonia dei nativi, adeguandosi al loro costume.
Dal lato del suscipiente si richiede la volontà di ricevere il sacramento: la mancanza di fede preclude la fruttuosità del sacramento stesso, ma non la valida ricezione. Quanto alla questione se la carenza di fede comporti necessariamente il difetto dell'intenzione di ricevere il sacramento, si inclina per la risposta negativa. Il problema viene toccato per quanto attiene al battesimo (degli adulti), citando una sentenza dei primi anni settanta, che, sia pure dubitativamente, aveva concluso per la validità del sacramento (coram Pinto, sent. del 28 giugno 1971, RRDec., vol. LXIII, p. 596, n. 19). Riguardo al matrimonio, invece, si ricorda che è sufficiente l'intenzione di contrarre il patto coniugale, non si richiede quella di celebrare e ricevere un sacramento: altrimenti non dovrebbero ritenersi validi, per questo motivo, i matrimoni celebrati dai cristiani riformati, che non credono alla sacramentalità del patto nuziale. Le nozze sono valide, se chi le celebra, anche senza fede, e magari solo per compiacere ai familiari, ha comunque l'intenzione di contrarre il vincolo matrimoniale.
La mancanza di fede viene piuttosto in considerazione, in materia matrimoniale, come retroterra ideologico per l'esclusione del matrimonium ipsum, o, più frequentemente, del bonum sacramenti, mentre abbastanza raramente opera come causa remota di esclusione della dignità sacramentale.
La causa viene decisa negativamente, riscontrando, malgrado l'assenza di fede e, conseguentemente, un sostanziale disinteresse per gli aspetti soprannaturali del matrimonio, la presenza di una vera volontà nuziale nella parte pretesa simulante.
La causa è stata trattata, come appare dall'argomentazione seguita dalla sentenza, secondo lo schema logico della simulazione totale (A. 28/06).
Va rammentata una sentenza pronunciata in tema di esclusione totale, la quale nella parte in iure ha, invece, riproposto la plausibilità dell'esclusione della sacramentalità come ipotesi di simulazione parziale, e non necessariamente di simulazione totale, tenuto conto della concreta intenzione del soggetto, il quale può ritenere, discostandosi dalla verità oggettiva, che il sacramento sia qualcosa di accessorio nel matrimonio, e quindi rifiutarlo, malgrado abbia, comunque, la volontà di contrarre (A. 62/06).
3.3. Errore su qualità direttamente e principalmente intesa (can. 1097, § 2)
Una sentenza, relativa ad un matrimonio celebrato nel 1968, applica la norma sull'error redundans contenuta nel Codice abrogato (can. 1083, § 2 CIC 1917). In essa si sostiene comunque --- recependo il criterio interpretativo alfonsiano, trasfuso nell'odierno can. 1097, § 2 --- che l'errore in qualitate ridonda in errore di persona (divenendo così errore sostanziale) quando la qualità viene intesa in modo primario e principale, assurgendo ad oggetto del consenso, di modo che, difettando la qualità stessa, l'oggetto stesso del consenso vien meno.
La sentenza precisa che deve provarsi, ai fini di una decisione affermativa, l'esistenza di un errore circa le qualità desiderate al momento delle nozze: spesso infatti si verifica che la parte dopo il matrimonio esiga nell'altro contraente doti eccelse, alle quali non aveva affatto pensato al tempo dello scambio del consenso.
La decisione è negativa per il capo di error qualitatis. Invero, si è trattato, nel caso, di un errore sulla personalità globale del convenuto (rivelatosi di profilo morale affatto scadente), mentre non si è riscontrata una specifica intenzione prevalente dell'attrice rivolta a una certa e determinata qualità dell'uomo; l'attrice semplicemente ignorava la vera indole del promesso sposo.
Occorre peraltro precisare che, nel caso, la nullità è stata pronunciata per un altro capo (esclusione del bonum fidei da parte dell'uomo; A. 101/04).
Alla regola alfonsiana fa riferimento anche un'altra sentenza --- questa affermativa --- resa circa un matrimonio celebrato sotto il Codice piano-benedettino, in cui la qualità direttamente e principalmente intesa è stata individuata nella fertilità della donna. La sentenza riprende il principio secondo cui è sufficiente un'intenzione implicita in qualitatem (A. 75/05).
Annota un'altra sentenza che la dizione del can. 1097, § 2 segue la medesima ratio del can. 126 (il quale sancisce, fra l'altro, la nullità dell'atto per errore «qui versetur circa id quod eius substantiam constituit»): se infatti la qualità riveste così grande importanza da costituire un elemento essenziale nel progetto coltivato dal contraente, l'errore di fatto incide sulla sostanza del matrimonio, che l'assenza della qualità può rendere nullo. La sentenza rammenta l'influsso della giurisprudenza rotale sulla attuale formulazione della norma e passa in rassegna le tappe principali dell'evoluzione giurisprudenziale.
Nel caso di specie è stato ritenuto sussistere l'errore dell'attore sulla probità di costumi della donna, che dopo le nozze si rivelò dedita alle compagnie e ai divertimenti, nonché infedele (A. 68/05).
Una sentenza negativa osserva che non si può affatto parlare di assenza nella donna di qualità desiderate dall'uomo; piuttosto il modo di concepire e valutare il matrimonio da parte dell'attore (quasi un concetto da «padre-padrone») ha minato sin dall'inizio la vita matrimoniale (la sentenza è, infatti, affermativa per incapacità dell'uomo di assumere gli obblighi coniugali; A. 84/06).
In un'altra decisione negativa si mette in evidenza che il consenso non viene invalidato se la qualità desiderata, presente al tempo delle nozze, viene poi meno dopo qualche tempo: in un caso siffatto, il contraente al momento del matrimonio non è caduto in errore. Anche per questo motivo (il convenuto, infatti, per alcuni anni si dimostrò un buon marito) la domanda attorea viene rigettata, oltre che per l'assoluta genericità dell'intenzione dell'attrice (così formulata: «io richiedevo come qualità minima in C. che fosse un “uomo”, ossia un soggetto adulto, maturo»; A. 18/06).
È negativa, infine, una sentenza che ha definito un caso in cui non risultava plausibile l'intentio directa et principalis verso la qualità, né si evidenziava alcuna reazione del preteso errante. La sentenza svolge, in diritto, alcuni rilievi critici sulla formulazione della norma vigente --- in particolare circa l'inciso «etsi det causam contractui» --- e si pronuncia a favore dell'applicabilità retroattiva del canone (A. 22/04).
3.4. Dolo (can. 1098)
Una sentenza, di notevole respiro sistematico, ricostruisce gli elementi costitutivi della fattispecie del dolo individuandone quattro:
a) la macchinazione dolosa, che può essere positiva o negativa (omissiva) e posta in essere dal nubente o da un terzo; deve essere comunque indirizzata nei confronti dell'altro nubente;
b) l'errore nella parte che è vittima del dolo. Se non vi è un nesso causale tra la condotta dolosa, commissiva od omissiva, e l'errore del deceptus, non consegue la nullità;
c) la qualità, che deve essere tale da poter turbare gravemente la comunione di vita coniugale; può trattarsi dell'assenza di un requisito importante per la regolare vita matrimoniale o della presenza di una qualità negativa che la compromette seriamente (ad es. una grave malattia come l'AIDS). L'inciso «suapte natura» indica la necessità di valutare la gravità secondo un criterio obiettivo (pur non escludendo la valutazione, in subordine, anche secondo un metro di estimazione soggettiva). Non deve tenersi conto dell'inganno su qualità per loro natura non gravi, anche se di fatto sorgono gravi difficoltà per la particolare personalità dell'ingannato o per la negligenza degli ordinari mezzi umani e soprannaturali. D'altro canto, è sufficiente che sussista la possibilità dell'influsso negativo sulla convivenza matrimoniale, non è necessario che si verifichi di fatto;
d) la finalizzazione dell'azione dolosa alla celebrazione del matrimonio. Sotto l'aspetto processuale, si tratta di un requisito che costituisce una seria difficoltà nell'ordine della prova. Tuttavia il giudice potrà, in linea di fatto, presumere in talune circostanze l'esistenza (almeno subordinata) della finalità matrimoniale del dolo, quante volte esista un obbligo morale di rivelare la verità, sebbene esistano anche altri motivi che spingono il deceptor al silenzio.
La sentenza si interroga anche sulla ratio della norma ed opportunamente distingue la ratio legis, nel senso del motivo che ha indotto il Legislatore a porre la norma, dalla ratio nullitatis, cioè dalla ragione di indole giuridico-sistematica che sta alla base della sanzione di nullità. Sotto il primo profilo possono considerarsi i motivi di equità, di tutela della libertà di scelta matrimoniale e anche di sanzione punitiva nei confronti dell'inganno, che tuttavia non sono sufficienti a spiegare l'effetto invalidante del dolo nel sistema matrimoniale.
Sotto il secondo aspetto, la ratio nullitatis viene individuata nella volontà del Legislatore. Tuttavia la sentenza qui riferita esamina anche l'effetto del dolo consistente nell'immutazione o alterazione sostanziale dell'oggetto del consenso nuziale, talvolta suggerito dalla giurisprudenza. Tale tesi viene sottoposta a critica, osservando in primo luogo che il dolo in quanto tale non provoca un'immutazione dell'oggetto sostanziale del consenso: può bensì verificarsi, causato dal dolo, un errore sostanziale sulla persona (can. 1097, § 1) o sulla qualità della persona direttamente e principalmente intesa (can. 1097, § 2), ma in questi casi la ratio della nullità risiede esattamente nell'errore sostanziale (causa directa nullitatis) e non nel dolo medesimo (causa indirecta nullitatis). Dal dolo in quanto tale non deriva la nullità ex natura rei.
Inoltre, sebbene il dolo si opponga senza dubbio alla formazione del foedus irrevocabile quo vir et mulier sese mutuo tradunt et accipiunt sotto il profilo antropologico e psicologico, sotto quello strettamente giuridico va ricordato che è sufficiente che le volontà degli sposi convergano sull'oggetto formale del consenso, cioè il matrimonio stesso da contrarre.
La sentenza condivide perciò la posizione secondo cui la norma irritante stabilita nel can. 1098 è di diritto meramente positivo.
Viene quindi ribadita l'irretroattività del can. 1098, e, operando una puntualizzazione rispetto al responso dato nel 1986 dal Presidente della Commissione per l'interpretazione del Codice, secondo cui taluni casi in cui viene invocata la norma sul dolo potrebbero risolversi positivamente facendo appello al diritto naturale, si precisa che in tali casi è opportuno far riferimento alla causa diretta della nullità (ad es. l'errore sostanziale), piuttosto che alla causa indiretta, ovvero al dolo.
La decisione, in punto di fatto, è negativa, giacché --- anche a prescindere dall'irriducibile contrasto fra le versioni delle parti --- non riconosce la gravità potenzialmente perturbante delle qualità allegate: precedente paternità dell'uomo convenuto (i figli erano ormai maggiorenni ed indipendenti, inseriti inoltre nel contesto della famiglia fondata dalla loro madre, quindi l'uomo non aveva obblighi di natura materiale verso di essi) e abbandono della Chiesa Cattolica (si era trattato di un abbandono fittizio, finalizzato solo a sottrarsi all'obbligo fiscale in favore della Chiesa stessa).
La sentenza osserva, infine, che la forte reazione psicologica della donna non giova più di tanto sotto il profilo probatorio, atteso che è derivata più da una sua peculiare suscettibilità che dall'obiettiva gravità delle qualità oggetto del presunto inganno (A. 9/02).
Un'altra sentenza ribadisce che l'influsso del dolo sul consenso matrimoniale promana in via diretta ed immediata dall'errore dolosamente indotto e solo indirettamente dall'azione fraudolenta. Tale sentenza è negativa per il capo di dolo. Anche in presenza dei precipui elementi obiettivi della fattispecie (presenza prenuziale nell'uomo convenuto di una qualità negativa --- la dedizione incontrollata al gioco d'azzardo --- e grave influsso perturbante di questa sul consortium vitae coniugalis), non è stato ravvisato l'elemento soggettivo, ovvero l'intenzione dell'uomo di indurre in inganno la donna. Ciò in dipendenza sia dalle peculiari circostanze in cui venne celebrato il matrimonio, che non era pianificato (intervenne però un'imprevista gravidanza della donna), sia dalla sincera convinzione del convenuto di poter controllare --- come peraltro avvenne per qualche tempo --- la propria dipendenza dal gioco.
Giova precisare che questa soggettiva convinzione non attenuava la gravità obiettiva della patologia, tanto che la sentenza è affermativa per il capo di incapacitas assumendi obligationes essentiales matrimonii ex parte viri (A. 36/06).
È invece affermativa per il capo di dolo una sentenza che affronta il caso --- sociologicamente interessante --- di un uomo italiano che si recò in un paese dell'Est europeo per trovarsi una sposa «docile e mansueta» e raggirò una ragazza, saldamente legata alla pratica religiosa, facendole credere di essere partecipe di un simile fervore e rassicurandola sulla futura prassi di fede che avrebbero condotto in comune, una volta in Italia. La realtà fu diversa: tra molte altre privazioni e soperchierie la donna dovette subire il divieto di frequentare la Chiesa, giacché in realtà l'uomo era indifferente --- se non avverso --- alle questioni spirituali.
La sentenza contiene interessanti annotazioni sulla gravità della qualità «religiosità», tanto sotto l'aspetto oggettivo (è più difficile che si costituisca una profonda comunione di vita tra coniugi che divergono nel campo del sentimento religioso, dal quale derivano tanti riflessi sia nell'atteggiamento interiore sia nella condotta di vita), quanto sotto quello soggettivo, quando si tratta di una persona radicata nella fede (vissuta anche a prezzo di persecuzioni nell'ex blocco comunista), e per la quale la pratica religiosa costituisce anche un mezzo per conservare il proprio equilibrio interiore, in condizioni di sradicamento culturale (nel caso la parte si era, appunto, trasferita in Italia dall'Est europeo; A. 95/04).
3.5. Error voluntatem determinans (can. 1099)
Una sentenza ha trattato questo capo --- l'errore verteva, nell'ipotesi accusatoria, sull'indissolubilità e sulla sacramentalità del matrimonio --- unitamente all'esclusione delle medesime, definendo negativamente tutti i capi accusati. La decisione ripropone, in diritto, i consolidati principi giurisprudenziali per cui l'errore determina la volontà solo quando è così profondamente radicato da provocare la ferma adesione dell'intelletto alle idee erronee, e da presentare alla volontà l'oggetto del consenso matrimoniale solo nella sua erronea configurazione. Si deve comunque verificare un atto positivo della volontà che aderisca alla falsa opinione al punto di assumerla come termine.
In punto di fatto, non è risultata provata la presenza nella parte pretesa simulante di opinioni eterodosse riguardo al matrimonio o avverse alla Chiesa e ai sacramenti (A. 56/06).
3.6. Condizione (can. 1102)
Una sentenza mette in grande rilievo la prossimità tra i due capi dell'errore sulla qualità directe et principaliter intenta, di cui al can. 1097, § 2 e la condizione, considerando entrambi i capi nella luce del personalismo che informa la dottrina del matrimonio proposta dall'ultimo Concilio; tanto l'errore quanto la condizione si pongono come obices nel processo di libera scelta interpersonale che conduce alle nozze.
La sentenza in parola, rovesciando l'argomentazione di una precedente decisione rotale resa nella stessa causa, sostiene che non è corretto riportare, in via generale, la condizione de futuro potestativa ad una condizione de praesenti (avente ad oggetto la sincerità della promessa circa il fatto dedotto in condizione); nel solco di tale ragionamento ritiene che l'attore abbia fatto rientrare nell'oggetto stesso del suo consenso matrimoniale proprio la circostanza desiderata (l'astinenza della sposa dal fumo) e non semplicemente l'impegno della comparte in tal senso. Quand'anche l'uomo si fosse persuaso della sincerità della donna, per sua natura la condizione non poteva ridursi alla promessa, atteso l'influsso perturbante che il tabagismo poteva esplicare nella costituenda comunità coniugale; pertanto, necessariamente la circostanza medesima dell'astinenza dal tabacco doveva entrare nell'oggetto stesso del consenso. Il Turno ha evidenziato la gravità sia soggettiva (l'attore soffriva di malattie respiratorie) sia oggettiva del tabagismo, non a torto oggi assimilato alla dipendenza da droghe e potenziale causa di malattie mortali.
Il Turno ha ritenuto di sciogliere la difficoltà derivante dalla non tempestiva reazione dell'attore alla scoperta del defectus condicionis facendo riferimento alla presenza di una figlia, nata nel frattempo, e alle remore dell'uomo, impiegato in ambiente ecclesiastico, a palesare le proprie difficoltà matrimoniali (A. 61/06).
Un'altra sentenza ha trattato della condicio de futuro de prole habenda, configurandola, sulla scorta della giurisprudenza tradizionale, come una condizione risolutiva e, pertanto, assimilandola ad una esclusione ipotetica dell'indissolubilità. La peculiarità del caso risiede nel fatto che il capo, aggiunto tamquam in prima instantia, è stato trattato proprio insieme all'esclusione del bonum sacramenti, che veniva discusso in grado d'appello. Ciò ha autorizzato il Turno, anche per evitare ripetizioni, a svolgere un'argomentazione congiunta riguardo ai due capi, ambedue decisi pro vinculo (A. 24/06).
3.7. Costrizione (can. 1103)
Una sentenza ha pronunciato la nullità di un matrimonio contratto da due giovani (la ragazza ancora minorenne) sotto la costrizione esercitata dal padre della sposa, la quale era rimasta gravida in seguito a rapporti prematrimoniali. Il metus è stato riconosciuto sussistere per ambo le parti: reverentialis per l'attrice, communis per il convenuto (che fu minacciato di denuncia penale, data l'età minore della giovane). L'aversio per quanto riguarda l'attrice era diretta in compartem (seguì al forte disappunto di essersi trovata incinta a dispetto delle rassicurazioni del giovane, di diversi anni più grande, con cui intratteneva una relazione); per quanto riguarda invece il convenuto, in matrimonium (egli non nutriva sentimenti di rifiuto verso la ragazza, ma non intendeva sposarsi così presto).
La decisione applica il can. 1103, malgrado le nozze fossero state celebrate pochi mesi prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice, rilevando la sostanziale equivalenza tra la nuova norma e quella abrogata (A. 14/05).
Un'altra sentenza ha deciso negativamente la causa per il capo di metus e affermativamente ai sensi del can. 1095, nn. 2-3. Nel caso la dipendenza dell'attrice dalla madre raggiungeva una consistenza strutturale, tale appunto da integrare l'incapacità consensuale (A. 122/05).
4. Forma del matrimonio
4.1. Nullità del matrimonio per difetto di forma (can. 1108)
Una sentenza ha dichiarato la nullità per difetto di forma canonica nel caso di un matrimonio celebrato da una cattolica con un non battezzato davanti al ministro di una comunità acattolica. La donna frequentava da diversi anni la comunità stessa, essendosi allontanata dalla pratica cattolica fin dagli anni della prima adolescenza, dopo aver ricevuto tutti i sacramenti dell'iniziazione cristiana. Il Turno ha comunque ritenuto che non integrassero un «atto formale di defezione dalla Chiesa Cattolica» --- atto che, a mente del can. 1117, esime i fedeli cattolici dal rispetto della forma canonica --- né la frequenza della comunità acattolica, né la ricezione in essa di un nuovo «battesimo», attuata dalla donna intorno ai diciassette anni.
Secondo quanto affermato nella sentenza --- la quale pure riconosce che la questione è ancora dibattuta in dottrina --- la defezione con atto formale deve intendersi avvenuta quando il soggetto dichiara formalmente all'autorità ecclesiastica cattolica --- che deve accogliere tale dichiarazione --- di volersi separare dalla Chiesa, manifestando il fine di tale separazione, che non deve essere altro che quello della separazione stessa (non, ad esempio, un fine economico).
La decisione non manca di precisare che, sotto un profilo strettamente teologico, è in ogni caso inconcepibile una cancellazione dell'incorporazione salvifica a Cristo e alla Chiesa avvenuta col battesimo (A. 22/05).
4.2. Esistenza del matrimonio celebrato in forma straordinaria (can. 1116)
Dopo diversi decenni la Rota è tornata a decidere una causa exsistentiae matrimonii; si doveva cioè stabilire se un matrimonio fosse stato realmente e validamente celebrato con la forma straordinaria di cui al can. 1116, § 1, n. 1, in mortis periculo. La causa è stata intentata dalla donna, già convivente more uxorio dell'uomo ed asserita coniuge in extremis, contro gli eredi di costui, al fine di ottenere la dichiarazione della celebrazione del matrimonio da annotare nei registri parrocchiali, dopo il rifiuto della Curia e una prima sentenza negativa del tribunale ecclesiastico locale.
Il Turno ha precisato gli elementi legali della fattispecie del matrimonium in extremis: a) presenza di due testimoni; b) grave incomodo che impedisca la presenza dell'assistente competente; c) pericolo di morte. I Giudici hanno ritenuto sussistere tutti gli elementi (i testimoni erano presenti, e percepirono il dialogo tra le parti, sebbene ignari della forma straordinaria del matrimonio; era impossibile raggiungere il parroco, che si trovava fuori sede; l'uomo morì meno di un'ora dopo lo scambio del consenso, il che dimostra l'oggettiva gravità delle sue condizioni di salute).
Tuttavia, la sentenza è negativa perché secondo i Giudici l'uomo non espresse un consenso de praesenti, bensì de futuro, non essendo affatto conscio del pericolo di morte in cui si trovava. Da questo punto di vista, la coscienza del rischio di morte, sebbene non espressamente richiesta dal canone, deve ritenersi requisito implicito di sussistenza del consenso. La volontà nuziale della donna, invece, è stata ritenuta valida e vera, malgrado ella non conoscesse la possibilità della forma straordinaria. Da questo punto di vista, in iure si fa riferimento alla previsione del can. 1100 sulla scientia vel opinio nullitatis che non osta di per sé alla validità del consenso.
In diritto la sentenza ha svolto molte interessanti osservazioni pure dal punto di vista procedurale, ad esempio circa l'inapplicabilità del can. 1675 (dal che deriva che la causa exsistentiae matrimonii può trattarsi in via autonoma e non solo se pregiudiziale ad una causa relativa a diritti consequenziali allo stato coniugale), nonché della presunzione di cui al can. 1060 sul favor matrimonii, che assiste solo i matrimoni di cui risulta la legittima celebrazione; mentre nel caso di specie la celebrazione del matrimonio è esattamente il fatto che deve essere provato.
È da segnalare che il Turno ha ammonito gli eredi del defunto, ai sensi del can. 1689, a rimettere all'attrice una congrua parte dell'eredità, tenuto conto dell'intenzione più volte manifestata dall'uomo di sposarla, e del fatto che le nozze erano già state stabilite per una data di poco posteriore alla morte dell'uomo (A. 63/05).
5. Cause penali
5.1. Diffamazione (can. 1390, § 2)
È stata pronunciata una sentenza di condanna per diffamazione a carico di un presbitero che, mediante la divulgazione di una lettera aperta, aveva accusato il Vescovo diocesano di essere omosessuale e di avere sollecitato il medesimo scrivente ad atti disonesti. Il Turno in diritto ha ripetuto i consolidati principi giurisprudenziali in materia di diffamazione, delitto rientrante nel genus della detractio e consistente nella rivelazione senza giusta causa di un crimine vero ma occulto ovvero di un crimine falso (nel qual caso si parla propriamente di calunnia).
Il fatto materiale della diffusione dello scritto diffamatorio era, in realtà, provato per tabulas. Il Turno ha rilevato che non ricorreva alcuna giusta causa per divulgare le accuse contro il Vescovo, le quali, semmai, andavano indirizzate alla competente autorità. Tali accuse, peraltro, non erano minimamente provate, ma frutto di insinuazioni circolanti solo nell'ambito di gruppuscoli ostili al Vescovo: così è stato respinto anche il principale argomento difensivo, cioè che la buona reputazione del diffamato fosse già lesa presso la comunità.
I Giudici non hanno mancato di indicare la radice del delitto nella personalità del reo, di indole impulsiva e violenta, non nuovo all'uso della calunnia, nonché il movente concreto, risiedente nella frustrata ambizione di fare carriera nell'ambito della Curia diocesana. Al reo è stata inflitta la pena medicinale della sospensione, fino a quando non compia una legittima ritrattazione.
Sono da notare alcuni rilievi critici della sentenza circa il modus procedendi nell'istanza inferiore: in particolare il processo era stato inteso ed istruito quasi alla stregua di un processo contenzioso avente come parte attrice non il promotore di giustizia, come avrebbe dovuto essere, bensì lo stesso Vescovo denunciante e parte lesa (A. 26/05).
6. Cause trattate a norma del can. 1682, § 2
6.1. Decreti di conferma
Si può osservare che la maggior parte dei decreti di conferma attengono a fattispecie di incapacità consensuale e di esclusione, soprattutto del bonum sacramenti e, in minor misura, del bonum prolis.
I decreti che confermano sentenze affermative per incapacità generalmente prendono in considerazione, oltre alle conclusioni favorevoli della perizia, anche le particolarità esistenziali della vicenda.
In un caso di incapacità ex can. 1095, n. 3 ex parte conventae si è osservato che l'assenza di sintomi evidenti non esclude l'esistenza, in forma latente, e la gravità dell'anomalia psichica. Nel caso, i sintomi esplosero dopo otto anni; tuttavia il perito aveva chiarito che la malattia (disturbo schizo-affettivo) era inerente alla persona fin dall'infanzia e si era consolidata nell'adolescenza, dando vita a una «personalità premorbosa». Significativamente, in sede civile la figlia minore era stata affidata al padre. Imposto alla donna il divieto di nuove nozze (B. 123/05).
L'affidamento della prole al padre si era verificato anche in un altro caso d'incapacità ex can. 1095, n. 2 della donna (sindrome bipolare). Il tribunale di primo grado si era fondato anche sulla perizia eseguita nel giudizio civile (B. 109/05).
Un decreto ha ratificato una sentenza affermativa per difetto di discrezione di giudizio solo nella convenuta, non invece nell'attore. Dalla perizia si evinceva a carico della donna un disturbo di personalità con tratti narcisistici ed istrionici (B. 30/00).
Analogamente un altro decreto ha confermato parzialmente la sentenza di primo grado: l'incapacità ai sensi del can. 1095, nn. 2-3 è stata ritenuta provata solo per l'attrice, non per il convenuto. Si è riscontrata una grave immaturità affettiva, attestata fra l'altro da mentalità e contegno ostentatamente liberistici (B. 51/06).
Un decreto ha confermato la sentenza di prima istanza solo quanto al difetto di discrezione nell'attrice, e non con riguardo all'incapacitas assumendi. Si trattava di una personalità disturbata; tra le circostanze anomale che accompagnarono le nozze, vi fu quella di un sacerdote che consigliò il matrimonio per fugare una paventata presenza diabolica (B. 105/05).
Nel ratificare una sentenza per incapacità di assumere gli obblighi coniugali in capo al convenuto (cui era stato diagnosticato un disturbo di personalità borderline) si sono tenute presenti, fra l'altro, le condanne penali --- per lesioni e minacce nei confronti della moglie e tentato omicidio nei confronti di un sacerdote amico di famiglia --- riportate dall'uomo (B. 17/06).
Confermata un'altra sentenza affermativa ex can. 1095, nn. 2-3 riguardante l'attore; ricorreva, nella fattispecie, una grave immaturità affettiva, originata da una famiglia gravemente malfunzionante. Il matrimonio era durato appena un anno (B. 66/06).
Un decreto ha ratificato una sentenza affermativa per il capo di incapacità di assumere gli obblighi coniugali da parte dell'attore, aggiunto in grado d'appello tamquam in prima instantia. Nel decreto si lamentano la qualità non impeccabile della sentenza e le mende dell'istruzione suppletiva; il Turno ha inteso in qualche modo completare le argomentazioni della sentenza affermativa. È stata riscontrata nell'attore una fobia di paternità, espressione di profondi disturbi psicologici e di immaturità psico-affettiva. L'uomo era impedito ad accettare il bonum prolis, sebbene si fosse sinceramente impegnato in tal senso (in primo grado, infatti, la sentenza era stata negativa circa la simulazione; B. 99/05).
Sono state confermate due sentenze affermative per esclusione dell'indissolubilità e contestualmente della prole (B. 111/03, B. 118/05); nel secondo caso ricorreva un'esclusione condizionata del bonum prolis.
In un caso, invece, pur ratificando la sentenza affermativa quanto all'esclusione del bonum sacramenti, riguardo alla prole si è riconosciuta una semplice volontà di differimento (B. 65/06).
Di grande importanza la mentalità «illuministica e agnostica» dell'attore in un caso in cui è stata ratificata la sentenza pro nullitate per esclusione dell'indissolubilità (B. 106/03). In un altro caso, invece, grande rilievo è stato dato al percorso biografico dell'attore, che aveva già contratto due precedenti unioni --- anche generando figli --- da cui si era poi svincolato (B. 25/06).
Un ulteriore caso di conferma per lo stesso capo di riserva contra perpetuitatem, sempre da parte dell'uomo, concerneva un matrimonio celebrato solo a causa dell'imprevista gravidanza della donna (B. 38/05).
Un decreto ha confermato la sentenza pro nullitate per esclusione del bonum sacramenti da parte dell'attrice, capo aggiunto in appello. In primo grado la sentenza era stata negativa per il capo di condicio de futuro (la quale verteva sul cambiamento dei costumi dell'uomo e sulla generazione della prole); il Turno ha evidenziato come si trattasse, in realtà, di un'esclusione ipotetica dell'indissolubilità, chiaramente rilevabile anche negli atti di primo grado (B. 126/05).
Confermata una sentenza affermativa per esclusione del bonum fidei. È emerso da diverse testimonianze (nonostante il diniego della convenuta) che si trattava di una “swapping couple” (praticava, cioè, il c.d. scambio di coppie). L'uomo era abituato ad una notevole promiscuità sessuale fin da molto giovane e perseverò nei suoi costumi anche dopo le nozze (B. 61/04).
6.2. Decreti di rinvio ad esame ordinario
Due decreti di rinvio ad esame ordinario hanno avuto ad oggetto sentenze emesse in Rota su capi giudicati tamquam in prima instantia. Nel primo dei due (relativo a una sentenza affermativa per esclusione del bonum sacramenti) si è ritenuto non sufficientemente composto il dissidio tra le deposizioni nel grado rotale e quanto era emerso nelle istanze precedenti. Si è suggerito inoltre di sentire altri testi, magari i consulenti che consigliarono d'intraprendere il processo (B. 70/04).
L'altro decreto concerne una sentenza affermativa sul capo di cui al can. 1095, n. 3, aggiunto nel corso dell'istanza. Tra le difficoltà evidenziate, il fatto che l'attore non integrò la propria deposizione dopo l'ammissione del nuovo capo, l'insufficienza dei riscontri testimoniali, la circostanza che dalla perizia --- e, conseguentemente, dalla sentenza --- non emergesse con chiarezza il requisito della gravità dell'anomalia («sindrome di Münchausen»; B. 3/06).
Un corposo numero di decreti di rinvio riguarda sentenze affermative per incapacità consensuale a tenore dei nn. 2 e 3 del can. 1095. In molti casi viene messa in rilievo la non evidenza della causa psichica dell'incapacità (B. 30/97, B. 65/05, B. 94/05, B. 103/05, B. 108/05, B. 113/05, B. 5/06, B. 14/06, B. 15/06, B. 18/06, B. 24/06).
Frequentemente tra le cause del rinvio si trova la mancata effettuazione della perizia canonica, non supplita nemmeno dall'acquisizione di documenti clinici (B. 37/03, B. 88/05, B. 108/05, B. 113/05, B. 124/05, B. 125/05, B. 4/06, B. 5/06, B. 14/06, B. 15/06, B. 24/06, B. 53/06), o l'inadeguata elaborazione della perizia stessa, recepita nella sentenza (B. 30/97, B. 42/04, B. 65/05, B. 74/05, B. 100/05, B. 112/05, B. 121/05, B. 30/06, B. 33/06, B. 36/06, B. 43/06, B. 44/06, B. 49/06). In alcuni casi al posto della vera e propria perizia canonica erano presenti deposizioni di medici curanti o consulenti psicologi (B. 120/05, B. 42/06); in più casi viene anche criticato lo svolgimento globale dell'istruttoria o ne vengono messe in luce le irregolarità (B. 44/06, B. 55/06).
Non di rado viene censurata, talora anche in modo molto severo (B. 46/06), la redazione della sentenza, inadeguatamente motivata in diritto o in fatto (B. 55/05, B. 82/05, B. 103/05, B. 120/05, B. 125/05, B. 2/06, B. 4/06, B. 18/06, B. 33/06, B. 49/06, B. 53/06).
In qualche caso il Turno giudicante ha inteso formulare delle precisazioni in linea di diritto, ad esempio affermando che è espressione di un inaccettabile orientamento deterministico sostenere tout court l'incapacità di coloro che crescono in famiglie divise o incomplete (B. 108/05) o che la questione, nel caso, riguardava la valutazione della personalità della comparte piuttosto che dei diritti e doveri coniugali (B. 100/05).
Significativo anche il richiamo secondo cui i giudici devono tendere ad appurare la verità, non a dichiarare ad ogni costo la nullità; sottostare alle pretese delle parti in presenza soltanto di futili motivi induce una falsa tranquillità di coscienza, con grave danno per la comunità ecclesiale (B. 15/06).
Tra i motivi di rinvio figurano anche ricorrentemente il contrasto fra le versioni delle parti, non risolto in modo convincente, ma superato con l'acritica adesione alla versione dell'attore (B. 103/05, B. 113/05, B. 121/05, B. 124/05); la parzialità dell'istruzione o l'indebita sottovalutazione degli elementi pro vinculo (B. 37/03, B. 55/04, B. 74/05, B. 104/05, B. 115/05, B. 24/06, B. 43/06); l'inetta difesa del vincolo ad opera del difensore ad essa preposto (B. 112/05, B. 5/06).
In un caso tra gli argomenti che hanno spinto il Turno a non confermare veniva indicata la ritrattazione della deposizione di uno dei testi, fatta davanti ad un notaio (B. 97/05).
Le sentenze affermative per esclusione del bonum sacramenti rinviate ad esame ordinario generalmente non offrivano certezze quanto alla causa simulandi (B. 20/05, B. 115/05, B. 13/06).
In un caso l'affermativa per esclusione dell'indissolubilità sembrava basarsi sul cambiamento di confessione religiosa della convenuta (con l'adesione alla «chiesa unitariana»), che però avvenne dopo le nozze (B. 35/06).
Nel rinviare ad esame ordinario una sentenza affermativa per l'esclusione del bonum prolis è stata evidenziata l'utilità dell'acquisizione di una perizia psicologica, se veramente l'esclusione della prole ha una radice nella stessa personalità della donna (B. 37/06).
Alcuni decreti di Turno hanno rinviato ad esame ordinario sentenze affermative in materia di dolo.
In un caso la sentenza affermava la retroattività del can. 1098, ma il Turno ha mosso obiezioni al riguardo, argomentando che nel caso sarebbe piuttosto applicabile la norma sull'errore sostanziale (cf. can. 104 CIC 1917). Tale errore si verifica nell'ipotesi dell'errore non solo sull'identità fisica della persona, ma anche su qualità che individuano la persona, giusta il disposto del can. 1083, § 2 CIC 1917 (error redundans). I giudici di primo grado, nel caso, hanno ritenuto che fosse provata la graviditas ab alio, ma non si sono chiesti se si trattasse realmente di un errore sostanziale, tale da irritare il consenso ex iure naturae. In verità appare chiaro che l'attore all'epoca delle nozze non si pose domande sulla paternità, si sposò per amore, né successivamente disconobbe la figlia o fece altre rimostranze. Le difficoltà interpersonali sarebbero nate solo da una infedeltà della donna (B. 91/05).
In un altro caso non è risultato sufficientemente provato che la sterilità della coppia dipendesse in realtà dal marito, convenuto. Inoltre il Turno ha osservato che la potenzialità perturbatrice della qualità deve essere ponderata anche soggettivamente, valutando, cioè, quale peso attribuisce ad essa la parte ingannata. Nel caso, la donna attrice aveva solo un'intenzione vaga e indeterminata di procreare (B. 98/05).
Infine, in un caso il dolo verteva sull'esistenza stessa della gravidanza; ma in realtà il ricorrere o meno della gravidanza non era stato sufficientemente appurato, e comunque non sembrava fosse stata effettivamente questa la causa delle nozze. Inoltre non si evinceva la reazione del presunto deceptus (B. 102/05).
Rinviata ad esame ordinario anche una sentenza pro nullitate ex capite metus; sono stati messi in evidenza molti indizi contrari, tra cui la nascita di un figlio diversi anni dopo il matrimonio (B. 96/05).
Non è stata ratificata, infine, una sentenza affermativa per impedimento di consanguineità (terzo grado collaterale secondo il computo germanico accolto dal Codice del 1917: ora sesto grado, secondo il computo romano), non dispensato. In un primo momento la nullità era stata dichiarata con processo documentale. Dopo l'appello del difensore del vincolo, la Rota non aveva confermato la sentenza ed aveva rinviato gli atti al tribunale di primo grado per il processo ordinario; qui era stata di nuovo pronunciata la nullità. Questa nuova sentenza non è stata confermata a motivo della problematicità della prova della consanguineità nel caso concreto (B. 116/05).
III. Giurisprudenza di rito
1. Ammissione di nuovi capi
Alcuni decreti riguardano l'ammissione di nuovi capi tamquam in prima instantia, e precisamente: grave difetto di discrezione di giudizio (B. 106/05, B. 6/06, B. 47/06), talvolta con la specificazione del difetto di libertà interna (B. 7/06), ed incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali (B. 106/05, B. 114/05, B. 39/06, B. 47/06, B. 57/06). Tranne che in un caso (B. 47/06), nello stesso decreto di ammissione del nuovo capo viene riformulato il dubbio di causa.
In due casi il nuovo capo (incapacità di assumere gli oneri coniugali) non è stato ammesso. In uno di essi il rigetto è stato motivato principalmente con la carenza in essa dell'indicazione dei fatti e delle prove a sostegno (B. 62/06); nell'altro, il difensore della parte istante è stato invitato ad introdurre eventualmente il capo presso il tribunale di primo grado (B. 63/06).
2. Ammissibilità del ricorso
Un decreto ha dichiarato inammissibile il ricorso alla Rota contro il decreto del Presidente del tribunale di primo grado, che rigettava l'istanza di ammissione di un nuovo capo in corso d'istanza. In tale caso --- ha precisato il Turno --- si dà il ricorso al Collegio, non l'appello al tribunale superiore. Respinta anche la domanda di avocazione alla Rota, giacché non è stato ravvisato alcun possibile pregiudizio per la regolare istruzione e decisione della causa (B. 23/06).
Non si dà ulteriore appello --- ha stabilito un altro decreto --- contro la parte negativa di una sentenza, una volta che la parte affermativa di essa sia stata confermata con decreto in secondo grado (B. 1/06).
Un decretum Turni ha negato l'appellabilità e, conseguentemente, la proponibilità della querela di nullità avverso un decreto collegiale del tribunale di primo grado col quale si stabiliva di risolvere contestualmente alla decisione sul merito della causa la questione di nullità del decreto di nuova concordanza del dubbio, sollevata dalla difesa di parte convenuta. Il decreto sostiene, infatti, che si tratta di decisione sprovvista di vis sententiae definitivae (can. 1629, n. 4). Lo stesso Turno ha ritenuto non doversi suggerire al Decano l'avocazione della causa in Rota, così come richiesto dalla ricorrente (B. 86/05).
Un Turno ha affrontato il ricorso contro un decreto collegiale del tribunale di primo grado, col quale era stata rigettata l'eccezione di nullità e la subordinata istanza di revoca del decreto presidenziale di ammissione del libello, proposta per carenza degli elementi essenziali del libello stesso (indicazione di facta et probationes ai sensi del can. 1504, n. 2, in connessione col can. 124, § 1).
La difesa di parte convenuta ricorrente sosteneva trattarsi dell'appello nell'actio nullitatis del libello (e conseguentemente del decreto di ammissione). Il Turno invece, sviluppando un'articolata argomentazione, ha sostenuto che come mezzo di impugnazione degli atti processuali nulli si dà non l'actio, bensì l'exceptio nullitatis; la prima è data dall'ordinamento a tutela dei diritti sostantivi, la seconda a tutela delle facoltà processuali. Se si ammettesse l'actio nullitatis (coi relativi gradi di appello) riguardo agli atti processuali, si creerebbe una irrazionale disparità di trattamento con quelle fattispecie che il Codice vuole siano decise expeditissime, quindi senza ulteriore possibilità di ricorso (v. il reclamo contro il rigetto delle prove).
L'eccezione di nullità, risolta negativamente dal Collegio di primo grado, non è appellabile ai sensi del can. 1629, n. 4, in quanto non ha vigore di sentenza definitiva, cioè non pone termine al giudizio né ad un grado di esso (cf. can. 1618).
Infine il Turno ha osservato che non regge l'ipotesi di nullità del decreto collegiale per violazione del contraddittorio. Infatti, anche se il Collegio ha risolto immediatamente la questione di nullità sollevata (invece di limitarsi, come avrebbe dovuto correttamente, a valutarne previamente l'ammissibilità), comunque lo scritto introduttivo della parte convenuta ricorrente equivaleva ad una ben sviluppata memoria difensiva e quindi il suo diritto di difesa non è stato leso.
Il Turno ha quindi disposto il rinvio della causa al tribunale di primo grado perché proceda nel suo regolare iter (B. 19/06).
Un decreto ha confermato il rigetto, operato dal Presidente del tribunale di primo grado, dell'istanza di riassunzione della causa da parte del genitore ed erede della parte convenuta defunta. Il Turno non ha riconosciuto il ricorrente come portatore di un interesse legittimo, dal momento che la volontà della parte convenuta, manifestata in più occasioni, era contraria alla causa. Secondo i Giudici rotali, le motivazioni addotte dal ricorrente non sono congruenti con i requisiti posti dal can. 1675 per l'instaurazione della causa di nullità post mortem coniugis (B. 16/06).
3. Abbandono dell'appello
Un decreto è stato emesso in una causa iurium orientale, avente ad oggetto l'amministrazione di una pia volontà (c.d. wakf), la cui titolarità è contesa tra un Vescovo eparchiale ed una congregazione religiosa. Il precedente Turno rotale aveva dichiarato con sentenza la lis finita; contro tale sentenza la parte attrice aveva proposto querela di nullità ed appello. La querela di nullità era stata rigettata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in Congresso; il ricorso alla Plenaria non era stato coltivato, e così era stato dichiarato deserto. La parte attrice aveva allora richiesto per due volte la commissione pontificia per la trattazione della causa, con esito negativo.
A questo punto la parte convenuta instava per l'esecuzione della sentenza; ma, su richiesta della parte attrice, il Ponente del Turno a quo rimetteva la causa al Turno superiore. Il Ponente del Turno ad quem stabiliva trattarsi preliminarmente la questione de lite finita.
Secondo la parte convenuta, che aveva sollevato la relativa eccezione, la causa era passata in giudicato perché la parte attrice non aveva proseguito l'appello interposto contro la sentenza rotale. Il Turno, però, ha osservato che il termine di un mese per la prosecutio appellationis, stabilito per i tribunali inferiori, non si applica in Rota, ove vige la norma speciale (art. 104, § 1 NRRT) che fa decorrere il termine mensile per la prosecuzione dell'appello dalla notizia legittimamente ottenuta della costituzione del Turno.
Nel caso, la prosecutio era stata fatta prima ancora della costituzione del Turno d'appello. Inoltre entro il termine legale la parte attrice aveva presentato l'istanza per la contestazione della lite, atto ritenuto equipollente alla prosecutio. A proposito della prosecuzione, il Turno ha precisato anche che l'esposizione dei motivi d'appello, sebbene prescritta dalla legge, non è tuttavia a pena di nullità dell'atto.
Tutto ciò considerato, l'eccezione di lite finita è stata respinta (B. 28/06).
4. Querela di nullità
Un decreto ha confermato la nullità degli atti del processo di primo grado, già pronunciata dal tribunale d'appello, per difetto di citazione del convenuto, anche se ha effettuato alcune precisazioni circa la motivazione. Nel caso, il convenuto, il cui domicilio era sconosciuto, era stato citato mediante editto. Tale mezzo, secondo i giudici del tribunale locale d'appello, era da ritenersi invalido in quanto non previsto dal Codice vigente né da alcuna legge particolare. Il Turno rotale ha rilevato che, anche se non espressamente sancita, la citazione per edictum --- prevista fra l'altro dall'art. 59 delle Norme Rotali --- deve ritenersi anche attualmente legittima, essendo ricompresa tra i modi tutissimi cui fa riferimento il can. 1509, § 1 (cf. can. 130, § 1 DC). Si tratta comunque di una modalità residuale, a cui ricorrere solo previa la constatata impossibilità di rintracciare il convenuto.
Nel caso la nullità è stata ritenuta derivare, piuttosto, dalla carenza di elementi essenziali della citazione edittale, che non indicava né il petitum (la dichiarazione di nullità del matrimonio) né la causa petendi (il capo accusato; B. 68/06).
In una causa iurium è stata dichiarata --- in sede d'appello contro un decreto del giudice a quo che l'aveva rigettata --- la nullità della sentenza di primo grado per più ragioni, tra cui principalmente quella dell'incompetenza assoluta del tribunale (can. 1620, n. 1). La parte attrice, una associazione di fedeli, aveva convenuto una Arcidiocesi davanti al tribunale d'appello, sulla base del disposto del can. 1419, § 2, che assegna appunto a tale tribunale la competenza nel caso si debba giudicare di diritti o beni patrimoniali pertinenti a persone giuridiche rappresentate dal Vescovo diocesano. Il Turno ha osservato che tale disposizione non si applica alla persona giuridica «diocesi», per la quale la competenza in primo grado è stabilita in favore della Rota Romana dal can. 1405, § 3, n. 3. La competenza del tribunale d'appello può valere per altre persone giuridiche rappresentate dal vescovo diocesano (ad es. il seminario, una scuola o un ospedale cattolico).
Il Turno ha messo anche in evidenza il probabile difetto di legitima persona standi in iudicio (can. 1620, n. 5) sia in capo all'associazione attrice, in quanto priva di personalità giuridica canonica, sia in capo all'Arcidiocesi, spettando, verosimilmente, la titolarità del bene di cui si discuteva alla parrocchia piuttosto che all'Arcidiocesi stessa. Anche in questo caso sarebbe stato incompetente il tribunale adito, dovendosi invece adire il tribunale diocesano.
Infine il Turno ha rilevato le irregolarità --- potenzialmente lesive del diritto di difesa delle parti --- commesse sia nel giudizio di merito, sia nel successivo giudizio sulla querela di nullità proposta in via principale presso il giudice a quo.
Non ha mancato il Turno di invitare le parti a ricercare una composizione della controversia, magari mediante un giudizio arbitrale, onde evitare ulteriori danni al bene pubblico, come potrebbe accadere in caso di prosecuzione della lite nel foro civile (B. 60/06).
In un caso sono state trattate congiuntamente le questioni della nullità e dell'eventuale conferma della sentenza affermativa di primo grado. La nullità della sentenza era stata accusata per violazione del diritto di difesa, in quanto non era stato notificato alla convenuta il decreto di pubblicazione degli atti. Tuttavia il Turno ha osservato che la convenuta era stata dichiarata assente, dopo essere stata più volte invitata a prendere posizione sulla causa. Respinte anche le censure attinenti alla motivazione. Comunque la causa è stata rinviata ad esame ordinario per chiarire alcune circostanze problematiche relative all'esclusione del bonum prolis da parte dell'attore (gravidanze sopravvenute; B. 117/05).
La nullità ob ius defensionis denegatum non è stata riconosciuta in un altro caso, in cui peraltro la parte convenuta era sempre stata assistita da un avvocato d'ufficio. Alcuni atti non vennero pubblicati, ma in ogni caso erano noti al patrono e non furono determinanti ai fini della decisione.
Un altro motivo di nullità ipotizzato consisteva nel fatto che il tribunale d'appello aveva pronunciato sentenza affermativa esclusivamente in base ai capi introdotti tamquam in prima instantia. Non si è ritenuto che il tribunale avesse agito in fraudem legis, nel caso. Nella formula del dubbio erano presenti anche i capi già trattati in primo grado, anche se poi rinunciati dall'attore. È vero che la rinuncia non sembra essere stata ammessa, e quindi il tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi anche su quei capi; nondimeno, la causa almeno in parte (cf. can. 1620, n. 8) è stata definita e quindi la sentenza non è nulla (B. 34/06).
In un decreto viene criticata la redazione di una sentenza di primo grado, che constava della sola parte dispositiva, mentre per la motivazione si rinviava al voto del giudice ponente, reso così pubblico, contro il disposto del can. 1609, § 2.
Nel caso il Tribunale d'appello aveva disposto il rinvio ad esame ordinario, senza curare la redazione del decreto motivato in iure e in facto, e il giorno dopo aveva fissato la sessione per la sentenza definitiva, saltando tutti i necessari passaggi intermedi. Si è rimarcato che non tanto il difetto del decreto, di carattere ordinatorio, provoca la nullità della sentenza di secondo grado, quanto la mancata celebrazione del secondo grado ordinario del processo, che conculca il diritto di difesa delle parti.
Il Turno ha osservato che, in mancanza di impulso proveniente da almeno una delle parti, il giudice dovrebbe archiviare la causa, giacché non gli è lecito, una volta esaurita la fase preliminare della ratifica, nella quale può procedere ex officio, farsi diligentior da sé solo e condurre la causa a conclusione. La diligenza del giudice, per quanto lodevole, non deve offuscare il principio secondo cui la definizione del processo rimane nella disponibilità delle parti private, a cui in ultima istanza fa capo l'interesse sottostante. Gli atti sono stati rinviati al tribunale di secondo grado, perché prosegua nell'ordinario esame a norma di legge (B. 75/05).
In un decreto vengono approfonditamente trattate le problematiche della pubblicazione della sentenza alle parti e della sua trasmissione al tribunale superiore, in correlazione all'eventuale appello della parte soccombente.
Per l'esercizio del diritto di difesa --- vi si afferma --- è essenziale che alle parti sia integralmente notificato il testo integrale della sentenza. Il rischio, presente in alcuni contesti, che una delle parti (generalmente quella che si oppone) possa usare la sentenza per intentare cause penali o civili presso i tribunali secolari, può essere arginato tenendo presente il disposto dell'art. 254, § 2 DC, cioè esponendo i fatti con prudenza e misura, evitando offese alle parti, ai testi e agli altri protagonisti del processo, e, al limite, anche omettendo la citazione diretta delle deposizioni e dei nomi dei testi (è sufficiente il rimando ai relativi luoghi degli atti).
La pubblicazione della sentenza, perché sia legittima, deve includere anche l'espressa indicazione dei modi di impugnazione, non escluso l'appello alla Rota Romana.
I termini per l'appello non decorrono se non sia effettuata la legittima intimazione della sentenza, quindi, ad esempio, se sia solo comunicato il dispositivo o non siano date adeguate informazioni sui mezzi di impugnazione. Per la validità dell'atto di appello, poi, è sufficiente che venga espressa al giudice a quo la volontà di appellare.
Se poi il tribunale d'appello territoriale tratta la causa nonostante sia stato interposto appello alla Rota Romana, agisce invalidamente per difetto assoluto di competenza.
La prosecuzione dell'appello, in caso di sentenza affermativa sulla nullità del matrimonio, non è soggetta ai termini di cui al can. 1633, ma può consistere anche nelle osservazioni che la parte presenta contro la conferma della sentenza. La prosecuzione deve essere fatta davanti al giudice ad quem; è ammesso che la parte la presenti al giudice a quo, cui spetta inoltrarla al tribunale superiore (cf. art. 284, § 2 DC); ma è illegittimo che il giudice inferiore la pretenda, a pena di considerare l'appello deserto.
Nel caso di specie, si verificò proprio questa irregolarità: il tribunale di primo grado, non ricevendo la prosecutio, considerò l'appello alla Rota deserto e trasmise gli atti al tribunale d'appello locale.
Il decreto annota, peraltro, che anche la procedura seguita nel tribunale d'appello fu irregolare, non essendo stata comunicata alle parti in maniera sufficientemente chiara la facoltà di presentare osservazioni a norma del can. 1682, § 2. Inoltre le osservazioni del difensore del vincolo, contenute in una sola frase, concludevano per la conferma; ed il decreto di ratifica, di una sola pagina, sembrava usare una formula preconfezionata (B. 31/06).
Diversi sono i casi in cui sono state trattate congiuntamente nova causae propositio e querela di nullità.
In uno di questi l'ipotesi di nullità avanzata discendeva dal can. 1620, n. 6, per difetto di autenticazione del mandato procuratorio. Il Turno ha rilevato che anche in mancanza di tale autenticazione, è certo dagli atti che la parte convenuta era cosciente dell'attività svolta dalla patrona in suo favore (B. 119/05).
In un altro caso la nullità della sentenza è stata riconosciuta, quindi riguardo alla questione del nuovo esame si è statuito non proponi. Il motivo di nullità allegato è stato il diniego del diritto di difesa, per mancata notificazione del decreto di pubblicazione degli atti. La notificazione era stata omessa dal tribunale perché la convenuta era stata dichiarata assente, avendo dichiarato di non voler intervenire nel processo.
Il Turno ha osservato innanzitutto che non consta della legittima notificazione del decreto di assenza; né, malgrado la comunicazione dell'avvenuta deliberazione della sentenza, questa risulta ritualmente notificata. La radice della nullità risiede comunque nell'omessa notifica del decreto di assenza. Rilevano peraltro i Giudici che anche le citazioni non potevano considerarsi veramente tali, essendo solo generici inviti a concordare un giorno per la deposizione. Pure il decreto di ratifica, peraltro non redatto a norma di legge, risulta nullo di nullità derivata (B. 127/05).
Similmente in un altro caso è stata dichiarata la nullità di entrambe le decisioni affermative precedenti. La questione di nullità era stata sollevata d'ufficio con precedente decreto del Turno. In diritto il decreto afferma che la pubblicazione degli atti deve intendersi in modo sostanziale, non formale, per cui non c'è vulnus al diritto di difesa se gli atti sono già tutti noti alle parti, malgrado non sia emesso il relativo decreto. Nel caso di omessa pubblicazione di qualche atto, il diritto di difesa è violato se tale atto è posto a fondamento della sentenza.
In punto di fatto, si è rilevato che uno dei capi di nullità risulta aggiunto in corso d'istanza, ma non è chiaro in quali circostanze; inoltre non consta che sia stato mai notificato alla convenuta. La pubblicazione degli atti e la conclusione in causa risultano decretate lo stesso giorno. La pubblicazione degli atti è stata fatta solo agli avvocati, ma la convenuta non era assistita da alcun patrono. La marchiana violazione del diritto di difesa ha provocato la nullità della sentenza di primo grado; la quale --- annota ancora il Turno --- non è stata nemmeno notificata per esteso alla convenuta.
Il decreto di ratifica risulta nullo di nullità derivata, ma anche perché emesso da un tribunale privo di giurisdizione, avendo la donna, nel frattempo, legittimamente appellato alla Rota.
La causa è stata rinviata al tribunale di primo grado perché proceda secondo legge (B. 67/06).
Affronta ancora il tema della violazione del diritto di difesa per mancata pubblicazione di atti un altro decreto. La mancata pubblicazione di alcuni atti, vi si afferma, lede sostanzialmente il diritto di difesa (cf. can. 124, § 1) se gli atti non pubblicati rivestono un peso decisivo nella pronuncia della sentenza. Non v'è dubbio che anche il votum del perito sugli atti debba essere pubblicato. Il decreto in esame critica, in proposito, la prassi, ricorrente nei tribunali della regione ecclesiastica da cui proviene la causa, di inserire il voto peritale tra gli acta processus, piuttosto che tra gli acta causae, allo scopo di eludere l'obbligo di pubblicazione. Tale qualificazione formale esterna non incide, comunque, sulla reale natura del documento.
Nel caso il voto del perito non era stato, appunto, pubblicato al convenuto, che si opponeva. Si aggiungeva l'incertezza sul ruolo del perito stesso, negli atti definito anche di volta in volta «assessore» e «uditore» (fra l'altro era stato lui a svolgere l'esame giudiziale delle parti). La motivazione della sentenza rendeva evidente che essa poggiava in maniera sostanziale sulle conclusioni peritali, integralmente recepite.
Il Turno pronuncia anche la nullità della sentenza di secondo grado, che risulta nulla non solo di nullità derivata, ma anche perché emessa mentre la causa legittimamente pendeva presso la Rota Romana, e solo per errore del tribunale di primo grado --- che aveva frainteso il senso del decreto di rinvio a esame ordinario --- era stata trasmessa al tribunale territoriale d'appello (B. 50/06).
È stata decisa una querela di nullità proposta per modum exceptionis dal promotore di giustizia contro la sentenza negativa del tribunale d'appello. Questo aveva emesso un decreto di rinvio ad esame ordinario senza motivazione in iure e in facto; fin qui, rileva il Turno, si tratterebbe di una nullità sanabile ai sensi del can. 1622, n. 2. Nel caso, però, la condotta del tribunale d'appello ha comportato una lesione del diritto di difesa di entrambe le parti, giacché il decreto non indicava le difficoltà che avevano impedito la ratifica e, conseguentemente, i modi per completare o corroborare la prova.
Inoltre, nella stessa data è stato emesso il decreto di conclusione in causa. In tal modo le parti non sono state citate per la nuova concordanza del dubbio, che non ha avuto affatto luogo; non è stata riconosciuta ad esse la facoltà di presentare ulteriori prove né è stato loro assegnato un termine per esibire le proprie difese. Ne consegue la nullità della sentenza di secondo grado per violazione del diritto di difesa ai sensi del can. 1620, n. 7. La causa è stata rinviata al tribunale d'appello, perché proceda secondo legge.
Il Turno specifica anche, in iure, di ritenere proponibile la querela di nullità per modum exceptionis anche nel corso del procedimento d'appello, e non solo, come reputa una diversa opinione, per impedire l'esecuzione di una sentenza non più impugnabile (B. 70/06).
Un decreto ha dovuto dirimere l'eccezione di nullità degli atti coram Rota sollevata dalla parte convenuta per violazione del diritto di difesa, in dipendenza dalla mancata notifica della citazione per la nuova concordanza del dubbio (nella quale era stato inserito un nuovo capo di nullità, previamente ammesso dal Turno). Il Turno ha rilevato che in Rota, in virtù di una norma particolare (art. 58, § 1), prevalente sul diritto comune in virtù dell'approvazione pontificia in forma specifica, il decreto del Ponente col quale si stabilisce il dubbio vale sia come citazione che come contestazione della lite. Nel caso il decreto risulta regolarmente notificato prima dell'espletamento del supplemento di istruttoria, pertanto l'eccezione è stata respinta. Da notare, peraltro, che il Ponente aveva citato la convenuta per ripetere, ad cautelam, la concordanza del dubbio, ma questa aveva espresso la volontà di non partecipare; salvo poi sollevare l'eccezione di nullità (B. 9/06).
In una sentenza de merito è stata decisa anche una serie di questioni incidentali, sollevate dalla parte convenuta. Tra di esse si segnala quella attinente alla nullità della perizia d'ufficio per violazione del diritto di difesa, per non essere stati ammessi i periti di parte. Il Turno, nel rigettare la nullità eccepita, ha rilevato che il giudice ha la facoltà, non l'obbligo di ammettere i periti di parte prima dell'esecuzione della perizia d'ufficio. Comunque, nel caso, le parti erano state poste in condizione di presentare i propri quesiti e la possibilità di nominare i periti di parte fu data, con decreto del Ponente, successivamente all'esecuzione della perizia d'ufficio: la parte convenuta, però, non se ne avvalse (A. 8/06).
In un'altra sentenza, ribattendo a quanto ritenuto dai giudici del grado inferiore, si ritengono ammissibili e dotate di valore di prova le dichiarazioni della parte convenuta raccolte in carcere dal solo giudice istruttore, in assenza quindi del notaio. Secondo il Turno gli atti relativi non sono nulli a norma del can. 1437, tenendo conto che sono stati poi sottoscritti dal notaio del tribunale e che, comunque, il Codice ammette le prove di qualsiasi genere, purché utili e lecite (can. 1527, § 1), e consente, in determinati casi, di raccogliere la deposizione della parte o del teste «in qualunque altro modo legittimo» (can. 1528; A. 101/04).
In una causa iurium erano stati impugnati di nullità due decreti dei Ponenti succedutisi nel corso dell'istanza, coi quali era stato disposto il pagamento di una somma giornaliera per alimenti (adeguata col secondo decreto) a carico di un istituto religioso in favore di una sodale legittimamente esclaustrata. Si allegava dalla parte convenuta l'incompetenza del Ponente ad emettere simili decreti. Il Turno (videntibus quinque) ha precisato che, sebbene la Rota sia costitutivamente un tribunale collegiale, nondimeno la figura del Ponente è del tutto peculiare, giacché riassume in sé le funzioni che nei tribunali inferiori spettano al presidente del collegio, all'istruttore e al relatore. Ciò non significa, certo, che egli sia il padrone assoluto della causa e che i congiudici entrino in scena solo al momento della sentenza definitiva; anzi le competenze del Turno sono molteplici ed abbracciano, fra l'altro, la decisione di tutte le questioni incidentali.
Tuttavia, attesa l'indeterminatezza della potestà del Ponente, è corretto presumere la validità dei suoi atti in tutti quei casi in cui non sia prescritta per legge la competenza del Turno. In particolare, il Ponente deve ritenersi competente riguardo all'emissione dei decreti provvisori. È vero che la prassi rotale riserva ordinariamente al Turno l'adozione di simili provvedimenti, ma ciò da solo non induce l'illegittimità di un decreto emesso dal solo Ponente. A favore della legittimità si può certamente allegare l'urgenza del provvedimento, non rara in materia di alimenti (e talora posta a base dei decreti di sospensione dell'esecuzione della sentenza emessi dal Ponente dopo la richiesta di nova causae propositio).
La nullità dei decreti de quibus era stata accusata anche in base al principio «lite pendente, nihil innovetur»; in proposito il Turno ha precisato che il principio in questione non si applica ai provvedimenti provvisori e urgenti. L'eccezione di nullità dei decreti, pertanto è stata rigettata sotto entrambi i profili.
Si è quindi passati a trattare il merito del ricorso avverso il secondo dei decreti impugnati; il Turno ha affermato che il decreto medesimo ha perso vigore dal momento in cui la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha revocato il decreto di esclaustrazione. Da quel momento alla religiosa ricorrente il sostentamento deve essere prestato non più tramite un sussidio economico, ma mediante la partecipazione alla vita comune, per cui le eventuali controversie successivamente sorte in quell'ambito devono essere risolte in via amministrativa e non giudiziale. Sembra, peraltro, che l'Istituto convenuto stia adempiendo ai propri obblighi in tal senso; quanto alla causa pendente in Rota, le parti sono state invitate ad addivenire ad una composizione amichevole (B. 24/06).
Un Turno ha respinto la querela di nullità di una sentenza per difetto di motivazione (cf. can. 1622, n. 2). Nel relativo decreto viene ribadito che la sentenza non deve necessariamente prendere in esame in modo esplicito tutti gli argomenti apportati dalle parti. L'accoglimento delle ragioni esposte da una delle parti indirettamente suona come rigetto di quelle, contrastanti, addotte dall'altra (B. 70/05).
5. Conformità sostanziale delle sentenze
Un Turno ha dichiarato la conformità sostanziale fra la sentenza di primo grado, pro nullitate per difetto di discrezione di giudizio in entrambe le parti, ed una successiva sentenza rotale, emessa dal Turno precedente, che aveva dichiarato la nullità per incapacità delle stesse di assumere gli obblighi coniugali essenziali. Nella formula del dubbio era stata inserita la questione della conformità e, quatenus negative, la questione sul merito della nullità ex can. 1095, n. 3, da giudicare in terza istanza.
La sentenza in esame, in diritto, osserva che il capo di nullità (ovvero la causa petendi), intorno a cui verte, finalmente, la questione della conformità, è un nome (nomen iuris) e per ciò stesso difetta di quella consistenza che è propria degli enti fisici ed anche degli istituti giuridici; per cui è piuttosto facile rinvenire sotto un nome fatti o eventi che sono compresi anche in un altro. Tenendo conto, inoltre, della natura personale e interpersonale del matrimonio, non può escludersi che gli stessi fatti vengano valutati attribuendo loro un diverso nome e una diversa considerazione.
Può, così, pronunciarsi la conformità delle sentenze quando i capi in questione siano connessi da un legame logico, oppure quando in entrambe le sentenze risultino dimostrati gli stessi fatti giuridici, sebbene inquadrati sotto capitoli diversi di nullità.
La connessione tra i due capi di cui al n. 2 e al n. 3 del can. 1095 si direbbe logica, giacché il difetto di discrezione sembra includere anche l'incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali, essendo una causa naturae psychicae che impedisce, nell'atto del consenso, di assumere gli obblighi che dovranno poi essere adempiuti. Si obietta, è vero, che la causa del difetto di discrezione, magari transeunte, può non inficiare l'abituale capacità del soggetto di farsi carico degli oneri del matrimonio; ma l'obiezione non è dirimente, giacché, essendo i doveri matrimoniali per natura perpetui, chi è incapace di assumerli nell'atto del consenso (e quindi, di fatto, non li assume), deve ritenersi incapace una volta per sempre.
In ogni caso la conformità non deve pronunciarsi su base meramente teorica, bensì ponderando le prove raccolte nelle precedenti istanze, per valutare se il difetto di discrezione e l'incapacità di assumere gli oneri coniugali siano stati pronunciati sulla base dei medesimi fatti.
Nel caso di specie il Turno ha acclarato che entrambe le sentenze affermative si fondavano sulla grave immaturità psicoaffettiva delle parti. È stato sottolineato che le conclusioni di entrambi i periti intervenuti nella causa suggerivano il ricorrere sia del grave difetto di discrezione, sia dell'incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali.
La sentenza conclude rilevando che si sarebbe anche potuta pronunciare, nel merito, la nullità ex can. 1095, n. 3, addivenendo al medesimo effetto della doppia conforme; ma si è preferito dichiarare la conformità sia perché posta come prima questione nella formula del dubbio, sia perché nell'ultimo grado di giudizio in realtà non si era posta alcuna attività istruttoria, limitandosi così ad una revisione del materiale probatorio già acquisito (A. 11/05).
Sempre in tema di conformità delle sentenze, si segnala che un Turno, nell'emettere una sentenza negativa in tema di condicio, ha ritenuto sussistere la conformità sostanziale fra essa ed una prima sentenza negativa, emessa sul capo di esclusione dell'indissolubilità; si è però astenuto dal dichiarare formalmente tale conformità, per non dare ansa ad accuse di violazione del diritto di difesa (A. 24/06).
6. Nuova proposizione della causa
I decreti della Rota Romana in materia di nova causae propositio esibiti nel corso di questo anno giudiziario esprimono una tendenza assai rigorosa nella valutazione dei presupposti di tale mezzo straordinario di impugnazione. In effetti, tra i decreti esibiti nel periodo preso in considerazione, solo uno ha concesso il nuovo esame della causa, tutti gli altri hanno risposto negativamente.
Nella parte in iure di due decreti si osserva che il rimedio in questione trova la sua naturale applicazione in particolare dopo due negative, quando nei due gradi le prove proposte dalla parte attrice si sono rivelate insufficienti a vincere la presunzione legale di validità del matrimonio. Se vi sono state due affermative, invece, occorre che i nuovi documenti presentati --- ovvero, la scoperta di un falso commesso o la ritrattazione di una precedente deposizione pro nullitate --- siano in grado di infirmare radicalmente gli argomenti che hanno convinto i giudici (B. 93/05, B. 69/06).
Un decreto ha ribadito la natura di rimedio straordinario della nova causae propositio, che deve essere concessa solo come riparazione di un'ingiustizia manifesta. Nel caso specifico, si allegava il presunto atteggiamento pregiudizialmente negativo del giudice di prima istanza, che non è stato ritenuto come provato. Venivano anche indicati due nuovi testi, che però sarebbero stati informati solo indirettamente dei fatti di causa; inoltre non veniva specificato in cosa avrebbero potuto giovare ai fini del rovesciamento delle sentenze precedenti. Infine, si proponeva una nuova perizia: ma questo elemento di prova, ha osservato il Turno, è in spe non in re. I Giudici hanno, conclusivamente, notato l'insussistenza di gravi mende nell'istruzione e nella definizione nei precedenti gradi di giudizio (B. 10/06).
In un altro caso l'istanza di parte conteneva solo censure e recriminazioni sulle sentenze già emesse, oltre alla riproposizione di argomenti già esaminati. L'attrice presentava una perizia, condotta però non sul convenuto --- asserito incapace --- ma su lei stessa. Il Turno ha rilevato che la donna sembrava in realtà voler presentare un nuovo libello, cosa che rientrava nel suo diritto, sempre che ella intendesse iniziare un nuovo iter giudiziale (B. 21/06).
Altre istanze sono state rigettate perché non contenevano nessun argomento o prova nuova, ma solo critiche alle sentenze emanate (B. 38/06), ovvero perché le dichiarazioni testimoniali allegate erano del medesimo contenuto delle deposizioni già acquisite, quindi non avrebbero potuto mutare le decisioni già rese (B. 122/05).
In un caso, tra gli argomenti apportati, uno sembrava volgere in favore della nullità già dichiarata con duplice sentenza conforme; un altro, relativo alla presunta conciliazione economica intervenuta ante processum fra le parti non pareva afferire, comunque, al merito della causa di nullità. Infine le dichiarazioni testimoniali addotte non contenevano elementi di novità (B. 92/05).
Un decreto ha rilevato, in punto di diritto, che ci potrebbe essere fondamento per il nuovo esame della causa se qualcuno dei partecipanti al processo avesse omesso di riferire qualche circostanza che riteneva di secondaria importanza e che poi, in una ricostruzione globale della vicenda, si è rivelata di un certo peso. In questo caso il ricorrente deve indicare questa nuova e importante circostanza, che fonda almeno la probabilità del nuovo esame. Non giovano, invece, le mere censure alle sentenze. Nel caso si è riscontrata solo una reiterazione di argomenti già allegati. L'attore, comunque, è stato invitato a rivolgersi ad un avvocato canonista per un adeguato approfondimento della vicenda (B. 54/06).
Similmente è stato invitato ad adire il tribunale di primo grado un ricorrente che aveva proposto dei capi da trattare tamquam in prima instantia congiuntamente a quelli di cui richiedeva il nuovo esame, che però è stato negato, per difetto di prove ed argomenti nuovi (B. 89/05).
Interessante una fattispecie in cui la nova causae propositio era stata richiesta, dopo la morte di entrambe le parti --- si trattava di un matrimonio celebrato nel 1950 ---, dalla figlia, desiderosa di riabilitare la memoria del padre (le due sentenze erano state affermative per amentia dell'uomo). Nel rigettare l'istanza, il Turno ha rilevato che i documenti prodotti non erano incompatibili con la fondatezza del capo deciso affermativamente, e le critiche relative alla credibilità toccavano testi non presi in considerazione nella precedente sentenza affermativa rotale (B. 69/06).
In un altro caso, ribattendo punto per punto alle argomentazioni del convenuto ricorrente, è stato osservato che l'allegato atteggiamento pregiudiziale del presidente del tribunale di primo grado non sembra aver influito, in realtà, sulla decisione; che la mancata esplicazione del tentativo di riconciliazione, previsto dal can. 1676, non inficia la validità giuridica degli atti; che i giudici non si sono fondati solo sulla perizia, ma sul complesso degli atti; che la perizia, a sua volta, anche se indulge alla terminologia psicanalitica, non mostra di aderire a tesi deterministiche, contrarie all'antropologia cristiana. L'insistenza della pronuncia giudiziale sul vissuto coniugale, come terreno di verifica dell'incapacità, non toglie che sia stato dato adeguato rilievo all'iter di maturazione delle parti e alle dinamiche della loro relazione prenuziale (B. 45/06).
Un decreto ha respinto l'istanza riaffermando il principio secondo cui l'opportunità di una nuova perizia di per sé non costituisce argomento grave (B. 27/06).
Sempre in tema di perizia come nuova prova, un Turno giudicante ha affermato che la perizia eventualmente prodotta rileva solo se apporta elementi nuovi, ritrovati mediante nuovi strumenti di indagine, non se presenta solo una diversa interpretazione di fatti già noti. Nel caso, venivano addotti sia argomenti intrinseci (si criticava la sottovalutazione delle perizie da parte dei giudici inferiori e la mancata motivazione del loro rigetto) sia estrinseci (una perizia redatta secondo la metodologia dell'«analisi gruppale»). Quanto ai primi, il Turno ha rilevato che non risultava provato un errore sostanziale in decernendo dei giudici inferiori; quanto alla perizia esibita, ha rimarcato che essa non apportava elementi realmente nuovi, e forse sottintendeva una tendenza larvatamente deterministica, oppure una forma di incapacità relativa, rigettata dalla comune giurisprudenza (B. 111/05).
Negato il nuovo esame della causa in un caso, in cui si allegava, come primo argomento, l'error iuris operato nei gradi precedenti, nei quali i giudici avrebbero deciso in base al capo di dolo piuttosto che in base a quello, accusato, di error qualitatis (relativo alla sanità della convenuta). In proposito si è rimarcato che, trattandosi di una fattispecie di errore doloso, il dolo è stato preso in considerazione solo come causa dell'errore, il quale ha costituito il motivo ultimo di nullità realmente applicato. È stata, inoltre, ritenuta inconferente la circostanza che l'attore avesse confezionato, alla vigilia delle nozze, tre chartulae da utilizzare come prova alla bisogna. Ulteriore argomento ritenuto non determinante, la conoscenza dell'aborto per motivi terapeutici subito dalla convenuta (che avrebbe indicato la mancata reazione dell'uomo); il Turno ha ritenuto che l'uomo non fosse a conoscenza del reale motivo dell'interruzione di gravidanza (assunzione di farmaci potenzialmente teratogeni per curare la malattia psichica). Sono state, infine, ritenute non utili ai fini del nuovo esame le aspre critiche rivolte al difensore del vincolo nel decreto di ratifica e la questione sollevata circa la liceità dell'acquisizione della prova: liceità che, secondo il Turno, deve essere valutata secondo parametri interni all'ordinamento canonico, e non sulla base della legislazione civile (c.d. legge sulla privacy; B. 93/05).
In un altro caso, vertente sull'esclusione dell'indissolubilità da parte dell'attore, secondo il Turno le lettere e cartoline dell'uomo prodotte dalla convenuta ed esprimenti sentimenti d'amore, non hanno apportato elementi di giudizio nuovi: l'attrazione erotica dell'attore verso la moglie era già nota. Quanto ai nuovi testi indicati, non erano state specificate le circostanze sulle quali essi avrebbero potuto riferire. Per il resto, il ricorso non faceva che riproporre critiche già svolte verso le sentenze (B. 119/05).
È stata invece concessa la nova causae propositio in un caso di esclusione del bonum sacramenti, in cui la donna convenuta era fortuitamente tornata in possesso di una serie di lettere dell'attore, di epoca prematrimoniale, che esprimevano amore per la fidanzata e un forte spirito religioso. Venivano inoltre indicati due nuovi testi in grado di riferire sulla relazione prenuziale. Insieme alla concessione del beneficium novae audientiae è stata disposta la sospensione dell'esecuzione del decreto di ratifica (B. 11/06).
7. Decreti diversi
In una causa libanese --- proveniente dal paese in cui sono in vigore i c.d. statuti personali --- un decreto ha rigettato l'istanza del genitore tesa ad ottenere la revoca o almeno la riduzione della pensione alimentare stabilita in favore del figlio, a causa delle proprie mutate condizioni economiche. Il Turno ha affermato che la pensione deve essere commisurata alle necessità del figlio, non alle condizioni economiche del padre. L'obbligo di versare la pensione non cessa quando il figlio raggiunge la maggiore età, ma solo quando questi è in grado di procurarsi i mezzi di sussistenza, cosa che non può fare fino alla fine degli studi universitari (B. 61/06).
Un decreto ha rigettato l'istanza di un patrono di riformare il c.d. «estratto conto», in quanto non si tratta di un atto del giudice, bensì del contabile ed è retto dalle norme del relativo ufficio (B. 52/06).
In un decreto si è proceduto alla correzione di un errore materiale nella formula del dubbio (B. 59/06).
IV. Decreti del Decano della Rota Romana
Alcuni decreti di S. E. il Decano hanno avuto ad oggetto l'ammissione della rinuncia all'appello prima della costituzione del Turno; contestualmente è stata disposta l'archiviazione della causa (Rep. 261/04, Rep. 132/05, Rep. 210/05, Rep. 250/05, Rep. 293/05, Rep. 319/05).
Un decreto decanale ha ordinato la restituzione delle copie informi di alcuni decreti precedentemente rilasciate e la cancellazione dei medesimi dai siti internet sui quali erano stati pubblicati senza autorizzazione (C.S. 29/75).
Sono stati respinti a limine alcuni libelli, per incompetenza della Rota Romana:
-- una denuncia per delitti contro l'incolumità e la libertà personale asseritamente commessi da una Arcidiocesi. Il relativo decreto osserva che l'azione penale può essere istituita contro le persone fisiche, non contro le persone giuridiche e quindi, nel caso, avrebbe dovuto essere intentata piuttosto contro l'Arcivescovo; la competenza per le cause penali contro i Vescovi, però, è riservata al Romano Pontefice (Misc. 2005);
-- una denuncia per diffamazione presentata contro un Arcivescovo. Ancora una volta è stata evidenziata la competenza esclusiva del Romano Pontefice, trattandosi di causa penale (Rep. 72/05);
-- una denuncia presentata contro un Arcivescovo per asserita omissione di atti afferenti alla potestà ecclesiastica (can. 1389, § 2). Identica motivazione dei precedenti: competenza riservata al Romano Pontefice (Rep. 219/05);
-- una denuncia per diffamazione rivolta contro un sacerdote. In questo caso è stato rilevato che la Rota è competente a giudicare solo le cause delle persone ecclesiastiche che non hanno superiori al di sotto del Romano Pontefice; nel caso, la denuncia va presentata davanti all'Ordinario (Rep. 26/06);
-- un ricorso di alcuni monaci orientali, che chiedevano l'annullamento delle ammonizioni canoniche ricevute da parte del superiore ed un «risarcimento morale» consistente nello stabilimento di un monastero sui iuris in cui potersi trasferire. La domanda si inseriva nel contesto di una controversia sorta tra i monaci, già facenti parte di una «missione» destinata alla catechesi in una certa area geografica, e le autorità dell'ordine, che avevano decretato la soppressione della missione stessa; non volendo ottemperare a tale decisione, alcuni dei denuncianti erano anche stati dimessi ed avevano quindi fatto ricorso alla Sede Apostolica.
Il decreto decanale osserva: a) che le ammonizioni canoniche traggono origine da un atto della potestà esecutiva e quindi i relativi ricorsi vanno trattati in via amministrativa, a norma dei cann. 996-1006 CCEO; b) che l'eventuale trattazione in via giudiziaria della dimissione va fatta davanti al tribunale dell'autorità immediatamente superiore a quella che ha confermato la dimissione stessa (can. 501, §§ 2 e 4 CCEO; Rep. 9/05).
V. DATI STATISTICI*
VANNO COPIATI DAL VOLUME
L'ATTIVITA' DELLA SANTA SEDE NEL 2006, pp. 778-785
* La relazione sulla giurisprudenza di merito, di rito e sui decreti decanali è stata compilata dall'avv. Domenico Teti.
* I dati statistici sono stati raccolti ed elaborati da Mons. Robert Golebiowski.