Banana Yoshimoto Honeymoon


Banana Yoshimoto.

Honeymoon.

Titolo originale: hanemun.
Traduzione di GIORGIO AMITRANO.

Dedicato a Baliko.

IL GIARDINO DI MANAKA.
Sin da piccola ho sempre amato il giardino di casa mia. Non era
particolarmente grande, ma in rapporto alle dimensioni della casa ricopriva
una superficie abbastanza ampia. Mia madre era appassionata di giardinaggio,
cosć c'erano svariate piante dai frutti commestibili, pietre ornamentali
disposte in forme complicate, e alberi che davano fiori in ogni stagione.
Perci• il giardino aveva diverse facce. E in quel piccolo mondo c'erano molti
posti dove potevo sentirmi a mio agio. Il giardino mi era molto caro, e da
bambina mi sedevo o mi stendevo direttamente per terra con tutti i vestiti.
Poi, diventata grande, quando avevo il tempo di sedermi in giardino, portavo
sempre con me una stuoia da mettere sotto e qualcosa da bere. Stai lć senza
fare niente eppure non ti annoi, si stupivano mia madre, mio padre e Hiroshi,
e io davvero non mi annoiavo: guardavo il cielo cosć vasto, poi il muschio e
le formiche ai miei piedi, e quando tornavo di nuovo a guardare il cielo, il
suo colore e la posizione delle nuvole erano cambiati. Osservavo per un po'
queste impercettibili trasformazioni del mondo, poi guardavo la luce che
colpiva la mia mano, e in questo modo il tempo passava a una velocit
impressionante.
A forza di guardare nel corso degli anni sempre lo stesso paesaggio, ogni
tanto quando ero lć mi capitava di non sapere pi che et avevo. Seduta con la
schiena appoggiata a una roccia, alzavo lo sguardo verso il cielo, i grandi
rami e le foglie, e poi lo posavo sulle formiche, i ciottoli, la terra. Cosć
facendo finivo col perdere anche il senso delle mie dimensioni fisiche, e
questo mi dava una grande felicit. A volte, quando mia madre tornava dalla
spesa e mio padre rientrava dal lavoro prima del solito, mi trovavano in
giardino. I miei genitori sapevano per esperienza che quando il tempo era
bello non mi piaceva stare in camera. Nelle belle giornate ero gi una parte
del giardino. Entrando dal cancello, mi salutavano senza nessuna sorpresa.
A volte veniva anche Hiroshi. Ma lui non entrava mai dal cancello. Scavalcava
la palizzata di bamb. Siccome non ci vedeva molto bene, mi guardava sempre
con un'espressione incerta, socchiudendo gli occhi per essere sicuro che fossi
io. Sorridevo. Anche lui sorrideva. Tutta la nostra storia, da quando ci
eravamo incontrati la prima volta, dall'infanzia fino all'et adulta, Š
scritta in quel sorriso. Quando si fa la stessa cosa per molto tempo, si crea
una strana profondit. I nostri sorrisi ne sono un perfetto esempio. In un
attimo siamo attraversati da una comunicazione cosć profonda che Š impossibile
immaginare qualcosa di pi nuovo e pi bello.
Quando questo accade, mi sembra davvero di trovarmi in un luogo senza pareti e
senza soffitto. Noi, abbandonati da tutto, incluso lo scorrere del tempo, soli
al mondo, ci guardiamo negli occhi. Mi sembra di sentire una musica, di
aspirare il fresco odore dell'erba. Solo i sensi, solo i nostri spiriti, in
questo mondo senza pareti, sotto questo cielo immenso, si confrontano. Senza
et, senza distinzione di sesso, con una sensazione di solitudine, ma di
grande spazio. Quando, dovunque io sia, vengo presa dall'inquietudine, nel mio
spirito ritorno al giardino. Il giardino Š il punto dal quale sono partite le
mie sensazioni, lo spazio, eternamente immutabile, dove trovo la misura delle
cose.

KAMAAGEUDON.
Le nostre case sorgevano in fondo a una stradina, l'una a ridosso dell'altra,
come se fosse stato il destino a progettarle apposta cosć. La piccola casa di
stile tradizionale, vecchia e senza giardino, dove vivevano Hiroshi e suo
nonno, e la casa moderna, prefabbricata, con un grande giardino, comprata da
mio padre e mia madre, che in realt sarebbe la mia matrigna. A dividere le
due case, o pi semplicemente la mia stanza da quella di Hiroshi, c'erano solo
il giardino e una piccola palizzata di bamb.
Io e Hiroshi ci siamo sposati, con rito civile, cinque anni fa. Avevamo tutti
e due diciott'anni. Quando abbiamo annunciato che pensavamo di sposarci,
nessuno ha trovato niente da ridire.
Non abbiamo fatto nessuna cerimonia, ci siamo limitati a far registrare
Hiroshi nel nostro stato di famiglia. A spingerci era stato il timore che il
padre, che Hiroshi non aveva mai incontrato e viveva in America, potesse
venire un giorno a riprenderselo. Senza questo pretesto, forse non ci saremmo
neanche sposati. La nostra vita non cambi• per niente. Non ci furono
particolari capovolgimenti n‚ le nostre giornate diventarono pi interessanti.
Parlavamo di trasferirci prima o poi in un'altra casa nei dintorni, ma intanto
io continuavo a stare con i miei, facendo la solita vita oziosa, e Hiroshi
viveva come sempre con il nonno, e faceva qualche lavoro part time.
Il nonno di Hiroshi Š morto all'inizio della primavera.
Poich‚ Hiroshi aveva detto che non voleva l'aiuto di nessuno per mettere in
ordine gli oggetti del nonno, rispettai questo desiderio e, finito il
funerale, lo lasciai da solo. Tutte le sere in casa sua la luce restava accesa
fino a tardi. Che il padre di Hiroshi non fosse venuto al funerale mi sembrava
molto strano, ma a lui non chiesi spiegazioni. Pensai che se suo padre non si
era presentato al funerale del proprio padre, doveva essere perch‚ aveva rotto
ogni rapporto con la famiglia. Quanto alla madre di Hiroshi, si era separata
dal marito in California e pare che da allora se ne fosse persa ogni traccia.
Avevo sentito che a casa del nonno era arrivata una lettera che diceva: Saluti
a Hiroshi, poi pi niente. Comunque, la sola cosa certa era che tutti e due
avevano abbandonato Hiroshi da piccolo per seguire una nuova fede, ed erano
andati a vivere all'estero.
Nei pomeriggi in cui lui riordinava gli oggetti del nonno, io stavo in
giardino all'ombra di una camelia. Ogni tanto aiutavo mia madre nel suo
lavoro, traduzioni di libri di cucina, o, quando lei era molto occupata, nelle
faccende domestiche, ma poich‚ a parte questo non avevo altro da fare, il
tempo libero non mi mancava. Quando la camelia era in fiore, se la giornata
era bella, dopo aver steso il bucato ad asciugare, mettevo dei fogli di
giornale per terra e me ne stavo lć insieme al mio albero. A occhi chiusi, a
occhi aperti, a piedi nudi, coi sandali. Seduta lć, potevo vedere il cielo
azzurro tra le fessure nel fogliame di un verde intenso. E la camelia
riversava copiosamente, a pioggia, fiori di un rosa che sembrava finto, e
stami e pistilli dalla forma di giocattoli, colorando la terra nera. Quella
combinazione di tinte, per il forte contrasto, risultava molto intensa. Da
quando ero bambina, ogni anno avevo visto quell'albero di camelia ricoprirsi
di fiori, e poi lasciarli cadere senza rimpianti. Niente cambiava mai, solo le
persone ogni tanto sparivano da quel paesaggio. Mai pi avrei rivisto il nonno
di Hiroshi, fragile e bianco nei suoi pantaloni neri, spazzare con una grande
scopa davanti a casa alle cinque del mattino.
Sin da piccolo Hiroshi aveva sempre avuto il terrore che il nonno potesse
morire. Ogni volta che doveva ricoverarsi per qualche giorno in ospedale, per
un'influenza, una frattura, i calcoli alla cistifellea, cioŠ per problemi che
non mettevano a repentaglio la sua vita, lui era sconvolto dalla
preoccupazione. Nel vederlo cosć terrorizzato, io bambina ogni tanto pensavo
che forse immaginare continuamente che pap, mamma e Olive potessero morire
sarebbe stato pi pauroso che se fosse successo davvero.
Nelle notti in cui non riuscivo a dormire provavo a immaginare queste cose,
per• a me bastava svegliarmi la mattina e vedere i miei genitori e il mio
cane, pieni dell'energia della giovinezza, per dimenticare in un attimo tutti
quei pensieri. Hiroshi, invece, vivendo in quella vecchia casa silenziosa
insieme al nonno taciturno, non aveva mai la possibilit di distrarsi dalle
sue angosce. Il paesaggio che Hiroshi vede con gli occhi del cuore Š
infinitamente pi triste del mio, pensavo spesso. Per quanto potessi
stringergli la mano, abbracciarlo forte, quel paesaggio lć non avevo modo di
cambiarlo.
Non che a casa mia le cose fossero sempre andate cosć lisce. Quando mio padre
e la mia matrigna si sposarono e costruirono la casa, io avevo sette anni. Ma
poich‚ vivevano insieme gi da prima, quando io ero ancora troppo piccola per
comprendere, che lei non fosse la mia vera madre lo scoprii che ero gi
grandicella. Fino ad allora avevamo vissuto in un appartamento e non potevamo
tenere cani, cosć quando ci trasferimmo in questa casa i miei presero un
terrier, Olive, che da allora fu per me come una sorellina pi piccola.
Quando era studente, mio padre e alcuni suoi amici avevano preso in affitto
una casa sul mare dove vivevano in una specie di comune economicamente
autosufficiente. Da bravi ragazzi della loro et, disegnavano illustrazioni,
spillavano un po' di soldi ai genitori, si portavano a casa le amiche,
coltivavano le loro verdure, compresa qualche pianta di mari juana, e
fabbricavano mobili. Erano quel tipo di giovani impegnati che, per quanto i
tempi possano cambiare, non si estingueranno mai. Lć mio padre e la mia vera
madre si incontrarono, subito si sposarono e io nacqui. Poi uno degli amici
eredit• il ristorante di famiglia a Tokyo, e mio padre decise di entrare in
societ con lui. Gestire un ristorante era sempre stato il suo sogno. Ma pare
che mia madre, che amava la vita libera e il mare, si sia stufata presto della
vita di Tokyo e se ne sia andata quando io ero poco pi che neonata.
In seguito si spos• con un australiano, and• a vivere a Brisbane, e qualche
anno pi tardi entrammo in contatto, e io andai a Brisbane a incontrarla.
Quando mia madre se ne and•, mio padre aveva gi incontrato quella che sarebbe
diventata la mia matrigna, una frequentatrice abituale del ristorante. Lei si
occupava di cucina, traducendo libri di ricette straniere e insolite, e
collaborando con il ristorante per gli acquisti e la creazione dei menu. Era
una persona molto dolce, che mi voleva bene al punto da non sentire il bisogno
di avere bambini suoi, e mi riempiva d'affetto.
Dopo esserci trasferiti nella nuova casa, conobbi Hiroshi e all'inizio provai
una forte antipatia per lui, che era disprezzato e chiamato frocio dai bambini
del vicinato perch‚, oltre al fatto che non parlava mai, era chiaro di pelle,
magrolino, e delicato come una ragazza. L'idea di doverci fare amicizia solo
perch‚ abitava nella casa accanto mi sembrava insopportabile. Ma anch'io, che
amavo stare da sola e avevo il vizio di dire le cose in faccia, venni presto
messa da parte dagli altri bambini, e non mi rest• nessun altro con cui stare
se non lui.
Vedere Hiroshi che viveva solo con il nonno e lo aiutava nei lavori di casa,
fece esplodere l'istinto da crocerossina della mamma, che lo chiamava a ogni
occasione, e cosć finć con lo stare spesso con noi a merenda e a cena. Per il
nonno, uno che si accontentava di un po' di sake con qualcosa da
sgranocchiare, fu un grande aiuto non dover pi preparare la cena solo per il
nipote.
La seconda a cedere fu Olive che svilupp• per Hiroshi una vera passione.
Vederla cosć innamorata, al punto di impazzire di gioia ogni volta che lui
veniva, scaten•, prevedibilmente, la mia gelosia. Ma dopo un po', pensando che
forse poteva esserci qualche ragione se quel ragazzino era oggetto di tanto
amore, cominciai a studiarlo con attenzione. E osservandolo scoprii che, a
differenza di me che mi limitavo a viziarla, lui si sforzava, con molta
pazienza, di comunicare con lei. Hiroshi, con pazienza e dolcezza
sorprendenti, faceva cose che io evitavo accuratamente, come spazzolarle il
pelo, metterle una pomata se aveva un eczema o pulirle le orecchie. Hiroshi
ama i cani pi delle persone, ecco perch‚ anche Olive gli si Š cosć attaccata,
realizzai. Quando finii di esaminarlo, anch'io ne ero completamente
conquistata. E sebbene fossi ancora piccola, avevo gi tratto le mie
conclusioni: non c'era nessun altro ragazzo puro, sensibile, attento come
Hiroshi. Non ho cambiato opinione neanche adesso. Perch‚ penso che anche oggi
Hiroshi mantenga la stessa purezza e, sebbene sia un po' strano e timido, Š
sensibile e attento.
Credo di aver saputo perch‚ Hiroshi non aveva il pap e la mamma solo molto
tempo dopo averlo incontrato. Quel torrido pomeriggio d'estate, feci una cosa
che non avevo mai fatto. Andai a casa di Hiroshi per chiamarlo, e trovando la
porta aperta entrai senza chiedere permesso. Sembrava che in casa non ci fosse
nessuno. Anche se fuori il sole era abbagliante, il corridoio era
completamente buio. C'era odore di muffa e di incenso. La casa, dall'atmosfera
vagamente straniera, aveva i soffitti molto alti. La luce del giorno entrava
solo dalle fessure. Forse per questo, l'estate e l'energia vitale vi
arrivavano attutite. Non mi piaceva aspettare in quell'ingresso, cosć pensai
di tornare pi tardi, e stavo per uscire quando a un tratto notai, attraverso
la porta della stanza di stile occidentale sulla destra, qualcosa di strano, e
non potendo resistere alla curiosit, avanzai silenziosamente. La porta di
quella stanza era aperta per met, e vidi che lć dentro c'era un altare
dall'aspetto terribilmente sinistro. Capii solo che non era giapponese n‚
tibetano, ma occidentale. Sull'altare c'erano moltissimi oggetti: candele,
ossa, strane pitture, immagini di brutte divinit, foto spaventose, spaghi di
tanti colori, spade e strane cose rinsecchite. Ebbi la sensazione che da
quell'ammasso di cose emanasse un odore sgradevole. Era un odore umido e
pungente. Mi sembrava che penetrandomi nei polmoni si sarebbe diffuso dentro
di me guastandomi. Quell'odore era per me l'esatto opposto della luce del
sole, dell'acqua fresca, degli occhi tondi di un cane.
Senza far rumore uscii dall'ingresso e tornai a casa. Quando pi tardi venne
Hiroshi, disse che siccome quella sera il nonno usciva, lui era dovuto andare
a fare una commissione al posto suo. Io ero muta e non riuscivo a sorridere
come al solito. Poi, in modo forse un po' crudele, chiesi a Hiroshi: perch‚ a
casa tua c'Š quella roba? Lui, con un'espressione molto triste, rispose: sono
cose che mio padre e mia madre hanno lasciato quando se ne sono andati, e noi
abbiamo paura di metterci le mani, quindi le teniamo lć, ma siccome puzzano
ogni tanto cambiamo aria alla stanza. Sć, infatti puzzavano. Per•, scusa se
sono entrata senza chiedere permesso, dissi, e rimasi di nuovo in silenzio.
Poi tutti e due andammo a innaffiare le piante del mio giardino, come facevamo
sempre. Guardammo i piccoli arcobaleni che nascevano in quel mondo solo per
bambini. Iridi tremolanti, cosć vicine che sembrava di poterle toccare con le
dita. Dopo un po', siccome Olive si era tutta sporcata di fango, riempimmo
d'acqua la piscina di plastica e, stringendoci, ci entrammo insieme a lei.
Godendoci il suo pelo bagnato e gli spruzzi d'acqua che brillavano al sole.
I bambini, che non conoscono l'obbligo di dire a tutti i costi qualcosa, a
volte sanno apprezzare il silenzio in modo pi romantico degli adulti. Grazie
al fatto di non parlare, condividono perfettamente le cose.
In quel momento condividevamo un peso. Era estate, c'era il nostro cane, di lć
a poco avremmo fatto una siesta, e al risveglio avremmo trovato pronta la
cena, eppure, in quel pomeriggio di serenit perfetta, su di noi gravava un
peso: a causa di quella roba che c'era a casa sua, Hiroshi era diverso dagli
altri bambini. Il verde era pieno di energia, e sembrava che l'estate dovesse
durare in eterno, eppure avevo la sensazione che qualche cosa di triste fosse
in attesa.
Hiroshi, perch‚ non decidi di fare parte della nostra famiglia, anche se solo
dentro di te? Io lascer• sempre aperta la serratura della mia finestra, e tu
potrai entrare tutte le volte che vorrai, dissi.
Mi piacerebbe. Ma dici davvero?
Feci di sć con la testa.
Allora, ci sto, rispose pronto Hiroshi.
Ed Š stato davvero cosć, lo Š ancora adesso. Credo che lo desiderasse molto,
che volesse sentire da me proprio quelle parole.
In quel momento, quando ci scambiammo quella promessa, ebbi l'impressione che
il cielo si facesse di colpo pi vicino. Olive sembrava di una bellezza
incredibile. Anche Hiroshi sorrideva contento. Non lo avevo mai visto
sorridere in quel modo. Il suo viso radioso era cosć bello che non potr• mai
dimenticarlo. Era pi bello di qualunque viso, per quanto bellissimo, avessi
visto fino ad allora. Sentii di aver fatto la cosa giusta al momento giusto.
Se fossimo stati grandi, si sarebbe potuto dire che era stato il momento in
cui ci eravamo innamorati. Ma eravamo bambini, ed eravamo circondati dal cielo
d'estate, un cielo troppo grande e azzurro per poter fare una cosa cosć
piccola, cosć meschina. Penso che in quel momento io, Hiroshi, Olive e il
giardino abbiamo mostrato al mondo qualcosa di infinitamente bello, come uno
scoppio di fuochi di artificio, e che il mondo si sia innamorato di noi.
Hiroshi, che continuava da solo a fare ordine tra le cose lasciate dal nonno,
prese l'abitudine di venire in camera mia a tarda notte, l'aria di chi Š
distrutto dalla stanchezza, e senza voglia di parlare. Un tempo quando veniva
dalla stradina che faceva sempre, quella che costeggia l'albero di camelia, e,
oltrepassata la palizzata di bamb, attraversava il giardino, Olive nel
sentirlo faceva un balzo sul davanzale per aspettarlo. Ma Olive adesso non
c'era pi.
A notte inoltrata Hiroshi bussava toc-toc alla finestra buia della mia stanza,
e prima che facessi in tempo a rispondere, la apriva, con un salto entrava
dentro e si buttava esausto sul letto. Mezzo addormentata, gli accarezzavo i
capelli e pensavo: ah, se ci fosse Olive! Magari fosse qui a leccargli tutta
la faccia con quella sua linguetta, a saltare sul letto e stendersi sopra di
lui per dormire... ma solo a immaginare la scena mi venivano le lacrime agli
occhi. Se pensavo a Olive che era invecchiata e non ci vedeva quasi pi, Olive
il cui corpo si era irrigidito e alla fine era diventato freddo, e che pure
aveva continuato ad amarci con lo stesso identico slancio di quando era
cucciola, se ricordavo la sensazione di tepore del suo pelo, capivo che non
ero ancora guarita, che dire: La morte Š una cosa naturale, sarebbe stata una
bugia. E' una bugia ancora pi falsa se immaginavo cosa doveva provare
Hiroshi, che dopo Olive aveva perso anche il nonno. Che cosa significasse per
Hiroshi vedere sparire dal suo mondo il nonno e Olive, forse io, cresciuta
senza conoscere grandi dolori, non potevo neanche arrivare a capirlo. Ma pu•
darsi che proprio questo mio modo di essere in qualche modo gli facesse bene.
E cosć in quel periodo, facendomi piccola piccola, dormivo nel lettino
attaccata a Hiroshi al posto di Olive. Lui dormiva tutto teso, rigido come una
pietra, senza nemmeno rigirarsi nel sonno. Spesso, durante la notte, temevo
che la mattina al risveglio sarebbe stato pieno di dolori. Una mattina,
eravamo gi vicini alla primavera, chiesi a Hiroshi: Che ne dici se ti do una
mano?
Mah, sono ancora nella fase in cui piango almeno tre volte al giorno. Non mi
va di farmi vedere piangere, quindi Š meglio di no, rispose.
Quando dice queste cose, non capisco pi se Hiroshi sia debole o forte.
Appena un mese prima Hiroshi aveva in programma di frequentare una scuola per
diventare parrucchiere per cani, ma siccome il nonno si era ammalato, non
c'era pi andato. Aveva un atteggiamento cosć apatico che mi ero quasi
rassegnata al pensiero che non avrebbe mai fatto pi niente e che noi due
saremmo diventati la pi grande coppia di fannulloni sulla faccia della terra.
La parola futuro sembrava essere sparita dalla sua vita. Forse aveva ceduto
sotto il peso dei giorni di terrore nei quali aveva assistito il nonno, dopo
l'inizio della malattia.
Hiroshi riprese a mettere in ordine da solo le cose del nonno. In certi
momenti si sentiva un tale baccano da far credere che stesse ristrutturando la
casa. Io che avevo continuato a osservare tutto questo da lontano, un
pomeriggio, seduta sotto la camelia, quasi sepolta dai suoi petali, tutt'a un
tratto presi una risoluzione, che annunciai a mia madre: Mamma, da stasera
andr• a dormire in quella casa.
Eeh... non Š meglio se Hiroshi viene a dormire qui? Cosć almeno si distrae,
rispose lei.
Credo che casa nostra in questo momento sia troppo allegra per Hiroshi, dissi.
Per lui che passava l'intera giornata a lavorare, soffocando il dolore,
l'ingresso luminoso di casa nostra, le facce sorridenti dei miei, le stanze
ben ordinate e con tutte le luci accese, il giornale gettato con noncuranza
sul tavolo da pranzo, la biancheria piegata, tutte queste cose mi sembravano
troppo intense.
Sin da bambina ero abituata al rumore dei passi di Hiroshi e al fruscćo delle
foglie ogni volta che attraversava il giardino. Ma sapevo che adesso non
avrebbe voluto mettere nemmeno il piede fuori casa: era solo al momento di
dormire, quando non ce la faceva pi a resistere, che suo malgrado veniva a
casa mia.
Era l'oscurit della notte che si annidava nel giardino a rivelarmi quello che
provava davvero Hiroshi. Il rumore dei suoi passi, e l'odore della notte che
portava con s‚, mi trasmettevano la sua sofferenza. Potevo conoscere anche le
cose che lui non diceva.
Quel pomeriggio, quando mi presentai a casa sua, si mostr• chiaramente
infastidito. Io feci finta di niente, entrai decisa e mi misi subito ad aprire
i futon. Hiroshi, senza aprire bocca, riprese a fare ordine. Per tutta la casa
si sentiva ancora l'odore del nonno, un odore pieno di ricordi, caro come una
vecchia stoffa. Poi, facendo il giro della casa, mi resi conto che Hiroshi
aveva proceduto nel suo lavoro a velocit straordinaria. A parte i futon, gli
armadi a muro erano completamente vuoti e ripuliti, come se avesse voluto
cancellare le sofferenze di tanti anni, e dimenticare il pi presto possibile
l'esistenza del nonno. Nella stanza in fondo, quella in stile giapponese che
era stata la sua camera da letto, aveva messo in perfetto ordine tutte le sue
cose che non aveva intenzione di buttare, ben custodite dentro contenitori di
cartone messi uno sopra l'altro senza uno spazio vuoto, come antichi reperti.
Era la stanza dove da piccolo Hiroshi dormiva insieme al nonno. Mi aveva
raccontato che a volte durante la notte, preso dal terrore che il cuore del
nonno potesse fermarsi, stava tutto il tempo con l'orecchio accostato al suo
petto. Guardando la precisione con cui aveva riempito i contenitori, diviso
accuratamente i libri a seconda della misura e li aveva legati con lo spago, e
come aveva accatastato ordinatamente i mobili, la vera tristezza di Hiroshi e
il suo silenzioso affetto per il nonno mi arrivarono dritti al cuore, e non
potei trattenere le lacrime.
n quel momento Hiroshi entr• portando un'altra scatola.
Che hai da piangere? chiese.
La finestra era per met coperta dalle scatole, e l'altra met proiettava sul
tatami un quadrato di sole. Guardando la polvere che danzava in quei raggi,
alzai le spalle. Niente.
Hiroshi si sedette accanto a me.
Sin da piccolo ho sempre cercato di prepararmi a questo momento, perci•
inconsciamente devo aver gi pensato, quando lui era ancora vivo, all'ordine
che avrei seguito. Ecco perch‚ vado cosć spedito.
Non Š per niente una cosa buona.
Ma anche per Olive Š stato cosć. Da quando aveva cominciato a invecchiare, ho
sempre avuto paura che morisse.
Questo lo sentivo un po' anch'io, dissi. Ma Š perch‚ i cani invecchiano a un
ritmo tanto pi veloce del nostro, Š una specie di stregoneria.
Olive Š morta un anno fa, nella stagione dei ciliegi. Quel giorno era
scoppiato tutt'a un tratto, inaspettato, un acquazzone, il cielo si era fatto
plumbeo, ed erano rimbombati i tuoni. Hiroshi non c'era e Olive, che aveva
paura dei tuoni, venne a rannicchiarsi tremante sotto la mia sedia. Mentre le
accarezzavo la schiena dal pelo ormai rigido dicendole: buona, buona, non Š
niente, Olive si addorment• con un respiro sibilante. Dopo un po', contagiata,
mi addormentai accanto a lei.
Quando mi svegliai, era talmente sereno da far venire il dubbio che il brutto
tempo di poco prima fosse stato un sogno, e il sole dorato del tramonto
splendeva in un cielo azzurro e trasparente. A occidente alcune nuvole rosa di
una dolcezza indescrivibile fluttuavano come onde. Il giardino era inondato di
luce, e gli alberi lavati dalla pioggia erano tutti luccicanti.
Olive, facciamo una passeggiata, dissi, e lei subito salt• su con uno scatto
pieno di salute proprio come quando era giovane. Ero felice, perch‚ era una
cosa che non succedeva da tanto tempo. Mi incamminai con lei lungo la strada
ancora bagnata che brillava. A causa dell'acquazzone, i fiori di ciliegio
erano sparsi da tutte le parti. I filari di ciliegi lungo la salita del liceo
vicino casa erano circondati da tappeti rosa fatti di petali appena caduti
dalla forma incantevole. Gli alberi, imbevuti della luce del tramonto, ancora
pieni di fiori appena sbocciati, carichi di gocce d'acqua, apparivano freschi
e lucenti. Per la strada non c'era nessuno, e il paesaggio, completamente
invaso da una splendida luce oro e rosa, non sembrava una visione di questo
mondo.
Olive, che belli i ciliegi, dissi di slancio.
Lei sollev• i suoi occhi neri e limpidi verso di me e mi fiss•. La sua
espressione diceva che pi del sole dorato del tramonto, pi dei ciliegi,
voleva guardare me. Non guardarmi con questi occhi, pensai. Occhi che
contemplano tesori, montagne, mari, occhi che sembravano dire: non ho paura di
morire, mi fa soffrire solo il fatto che non potr• vederti pi. In realt
credo che sia io sia Olive sapessimo. L'atmosfera di quella giornata lo
diceva. Tutto era troppo bello. Anche il pelo di Olive, ormai cosć sciupato,
era dorato. Era come se tutto stesse tornando a quando entrambe eravamo
piccole, come se tutte e due dovessimo vivere in eterno.
Quella sera Hiroshi venne a passare la notte da me, e come sempre io dormii
nel letto, e lui per terra nel futon. Non facevamo che ripetere: dobbiamo
comprare un letto matrimoniale, ma siccome ci mancavano i soldi continuavamo
cosć. Dopo che ci eravamo addormentati, in piena notte Hiroshi ebbe un
terribile incubo. Spaventata, mi alzai. Nel sonno, sembrava cercasse di
lacerarsi con violenza la pelle del collo. Lo svegliai scuotendolo forte.
Che cos'hai?
Aprć gli occhi, e ansimando rispose: Ho sognato che qualcuno cercava di
strangolarmi e non riuscivo pi a respirare.
Poi si infil• sotto le mie coperte, e premette forte il suo corpo contro il
mio. La sua pelle scottava, come se avesse la febbre.
Non Š che hai la febbre? Ti vado a prendere qualcosa da bere? chiesi.
No, lascia, faccio io. Cosć vado anche in bagno, rispose e si alz•.
Finalmente nel buio sembrava tornata la pace. Bastava qualcosa di inusuale nel
comportamento di Hiroshi per farmi temere che un'ombra paurosa fosse calata
sulla nostra vita. Siccome anche l'aria sembrava pi calda del normale, aprii
la finestra. Il vento subito penetr• nella stanza. L'odore dell'erba umida, la
presenza degli alberi, una piccola luna... Fai presto, notte, torna quella di
sempre, pensai. Il cielo appena nuvoloso era ricoperto di stelle che
brillavano. Ma la notte di sempre non si decideva a tornare.
Hiroshi, rientrando in camera senza far rumore, disse: Senti, c'Š qualcosa di
strano, Olive non respira.
Non so perch‚, ma invece di stupirmi pensai: ecco. Ecco, ora capivo perch‚
quel pomeriggio tutto era stato cosć bello, perch‚ Olive aveva quello sguardo.
Capivo anche perch‚ Hiroshi aveva avuto quell'incubo. Ma anche se capivo,
subito i miei occhi si riempirono di lacrime. Come fossero state lć pronte.
Passammo la notte piangendo con il corpo di Olive tra noi, fino al mattino. Un
periodo della nostra vita finiva. Faceva male da spezzare il cuore.
E' tremendo quando muore qualcuno, dissi.
E' una cosa a cui non ci si riesce a rassegnare, rispose Hiroshi.
Penso che per me, pi estroversa, sia gi pi facile. Se voglio fare qualcosa
a modo mio lo faccio senza problemi, mangio bene, dormo molto, e senza neanche
rendermene conto supero le cose pi dolorose. Le mie uniche attivit sono:
curare il giardino, aiutare nei lavori di casa, collaborare nelle traduzioni,
e occuparmi di Hiroshi. Il tentativo di fare dei lavori part time Š fallito e
anche i miei si sono arresi. Per• ho tanti amici giovani ed esuberanti che mi
raccontano quei momenti pieni di pathos quando tra le persone sboccia
qualcosa, descrivendomi l'energia che normalmente si sviluppa in una storia a
due, come quando a primavera l'erba trasforma in un attimo la terra in un
tappeto verde. Sono cose che anche a me sembra di conoscere, perci• posso
scherzarne con loro.
Ma le uniche relazioni profonde di Hiroshi sono state con Olive e con il mio
giardino, entrambi muti, e non ha mai nutrito eccessive aspettative su
qualcosa. Anche se Š capace di chiudersi in ostinati silenzi, non l'ho mai
visto abbandonarsi all'ira o gridare. Credo che le cose che i genitori e la
vita con il nonno gli hanno succhiato e portato via, non potranno mai essergli
restituite, per quanti sforzi io possa fare. So di essere amata da Hiroshi, ma
il suo sentimento per me non ha niente a che fare con quello pieno di velenosa
bellezza che i miei amici maschi provano per le ragazze di cui sono
innamorati. E' come una piccola margherita sbocciata in una corteccia vuota.
Preparo la cena, c'Š qualcosa che ti andrebbe di mangiare? chiesi.
Nella stanza svuotata di tutto, la mia voce aveva uno strano rimbombo. Le
scatole allineate sembravano pietre tombali. Il beige del cartone,
riflettendosi sulla faccia pallida di Hiroshi, gli dava un colorito ancora pi
terreo. Il pavimento di tatami, nei punti in cui era stato liberato dai
mobili, aveva una tinta verdastra, ed emanava un odore di polvere secca.
Avevo provato a chiederglielo, ma ero convinta che Hiroshi avrebbe risposto:
Non mi va di mangiare niente.
Cosć quando, dopo qualche istante di silenzio, rispose: Kamaageudon, fui colta
completamente di sorpresa.
Lanciai quasi un urlo: Eeh?!
Hiroshi ripet‚: Forse l'unica cosa che potrei mangiare sono i kamaageudon.
Piccanti, con un sacco di zenzero. Il brodo dolce, alla maniera di Sanuki.
Va bene, dissi alzandomi, e uscii da quella stanza spaventosamente triste per
andare in cucina. Dalla finestra si vedeva casa mia.
Ebbi la sensazione di vedere quel paesaggio in modo completamente diverso, con
un occhio nuovo. Oltre il vecchio vetro deformato della cucina, oltre il
giardino con il mio caro albero di camelia, pieno di rami di un verde vivido,
e il vialetto cosć spesso invaso dalle erbacce, si vedeva la luce forte e
brillante che proveniva dalle finestre illuminate di casa mia. La luce forte
che i miei genitori, ancora giovani, avevano studiato in modo che fosse vivace
e piacevole, aveva un calore che mio malgrado associavo immediatamente alla
famiglia.
Ero stata tante volte in quella cucina, ma non mi era mai successo di vedere
casa mia da una prospettiva cosć triste. Mi sembr• straordinario il fatto di
vivere in una casa accogliente come quella.
Nel fnigorifero, di zenzero non c'era neanche l'ombra. Solo birra e qualche
pomodoro. Negli scaffali non trovai altro che pacchetti di pasta, perci• mi
infilai le grandi scarpe di Hiroshi e andai a casa mia. Appena misi piede
dentro la casa in cui ero abituata a vivere, le luci mi sembrarono
abbaglianti, come se arrivassi da un altro pianeta. Tutto era troppo luminoso.
La mamma, che era seduta in cucina, mi disse: Manaka, hai una faccia
cadaverica. Non sar che vi fa male stare da soli in quella casa? Non Š che vi
siete lasciati prendere dalla depressione?
Anche a me sembra di stare dentro a una tomba, dissi.
Allora perch‚ non venite a cenare qui? propose lei. La faccia della mamma,
seduta al tavolino, sembrava la stessa di sempre. Sć, decisamente ero io
quella che si trovava su un altro pianeta. Appena un passo fuori del calmo
immutabile paesaggio di questa casa, si affollano spazi dai colori pi vari
prodotti dalle menti delle persone pi varie. Questo pensiero mi diede il
batticuore. La gradazione della profonda, sconfinata solitudine di cui questa
notte Š pervasa.. forse Š per evitare ogni contatto diretto con essa che la
gente decora le proprie case, che si siede all'ombra dei grandi alberi
cercando la loro protezione.
Grazie, ma forse Š meglio che per adesso restiamo lć, risposi. Piuttosto,
posso prendere delle cose per cucinare?
Certo, prendi quello che vuoi. Non sei stanca? Vuoi che prepari qualcosa io?
insist‚ mia madre.
No, tanto pare che voglia mangiare solo udon, risposi, e cominciai a prendere
dal frigorifero il dado, lo zenzero fresco e quello sottosale. Mi era bastato
uscire un attimo da quella casa per sentirmi pi rilassata, come se qualcosa
si fosse sciolto. La tristezza di Hiroshi, per quanto fosse l'ultima cosa che
lui avrebbe desiderato, aveva un peso e un gelo che mi ghiacciavano il cuore.
Fuori il cielo era pieno di stelle, e anche se la primavera era appena
all'inizio, l'aria era calda. Attraversai il giardino, e ritornai in quel
mondo freddo. Hiroshi mangi• un'enorme quantit di kamaageudon.
Sembrava un buco nero capace di risucchiare solo udon. Sopraffatta, finii
subito di mangiare, mentre lui continuava a chiedermene ancora.
La pasta di alta qualit che avevo trovato a casa di Hiroshi richiedeva almeno
dodici, tredici minuti di cottura, perci• ci volle un sacco di tempo. Dopo un
po' avevo gi usato tutte le spezie, ma ancora continuavo ad aggiungere il
brodo, a scaldare l'acqua, cuocere la pasta, scolare, ripetere l'operazione...
E a giustificazione di questa sua voracit insaziabile, Hiroshi sapeva dire
solo: Sono cosć buoni.
Hiroshi, che era sempre stato di poche parole, stava diventando sempre pi
laconico. Continuammo a mangiare udon fino all'una di notte. Seduti l'uno di
fronte all'altra in quella piccola cucina senza televisione n‚ musica.
Non sapendo che dire, mi venne perfino in mente, un po' per scherzo, qualche
frase da moglie tipo: E se ristrutturassimo questa casa? Per renderla pi
luminosa, ma l'atmosfera non era adatta, cosć lasciai perdere. E poi la cosa
importante non Š il contenitore, ma i sentimenti delle persone. Per Hiroshi
era meglio poter ricordare suo nonno. Nella remota ipotesi che avessi deciso
di vivere in quella casa, l'avremmo tenuta cosć com'era fino a quando non
fosse stata divorata dalle termiti.
E tuttavia non so perch‚ sentivo che se ci avessi vissuto, quella casa avrebbe
acquistato calore. Quando sar stato che questa casa Š diventata cosć triste,
cosć desolata? pensai. Non era stato solo dopo la morte del nonno, si
avvertiva una accumulazione di lunghi anni. Un senso di prosciugata tristezza
emanava da ogni piccolo angolo della casa. Eppure, pu• darsi che piano piano
cambier. Non sar per i fiori che ci metter•, o per gli ingredienti che
porter• in cucina, ma baster che le mie cosce, i miei capelli, i miei piedi
nudi, queste parti di me cosć giovani e vive, circolino oziosamente per queste
stanze e, poco alla volta, qualcosa ritorner. Comunque, per tutto il tempo in
cui vidi gli udon bianchi nuotare nell'acqua bollente, e poi rapidamente
scomparire in Hiroshi, ebbi la percezione di una forza vitale che viene
assorbita direttamente. Anche adesso penso che il cibo, passando attraverso
vari processi, si trasforma in energia fisica, ma mentre guardavo quella scena
avevo davvero la sensazione che si mangia, perci• si vive. Dentro il suo
stomaco gli udon, pressati in una massa compatta e trasformati da qualche
forza amorevole e misteriosa, diventavano il sostegno della forza vitale di
Hiroshi. Quando i fiori recisi cominciano ad appassire, anche se si taglia il
gambo, non assorbono pi l'acqua. Se non altro, Hiroshi Š ancora capace di
assorbire, e questo Š gi molto, pensai.

LIBERAZIONE.
Una sera, nella stanza buia, eravamo gi nei futon, Hiroshi disse: Domani non
c'Š bisogno che vieni.
Ogni giorno, anche se il pi era fatto, Hiroshi continuava instancabilmente a
mettere ordine, sembrava quasi temere il momento in cui quel lavoro sarebbe
finito. A cena non facevamo altro che mangiare kamaageudon. Io, non
sopportando pi quella sensazione di impasse, durante il giorno me la svignavo
a casa mia a mangiare del pane o a fare qualcos'altro.
Come mai? chiesi.
La mia voce risuon• in ogni angolo della stanza vuota, come su un
palcoscenico.
Perch‚ devo fare una cosa seccante, disse Hiroshi.
Ho capito. Devi togliere di mezzo quell'altare, risposi d'istinto.
Non sapevo nemmeno io come mi fosse uscito, ma dissi cosć. Chiss come mi era
tornato in mente, quando per tutto quel tempo me ne ero completamente
dimenticata.
Cos'Š questa prontezza da quiz? fece Hiroshi, colto di sorpresa. Non capisco
come hai fatto a indovinare... Comunque sć, se non tolgo di mezzo quella roba,
una stanza rester inutilizzabile, che Š un peccato, e poi quel coso fa senso.
Ti aiuto. Buonanotte, dissi, e feci finta di essermi addormentata.
Era stato il mio ego. Non volevo avere per tutta la vita l'incubo di Hiroshi
che ripuliva da solo quell'altare. Ed ero sicura che sarebbe stato cosć. Ogni
volta che le cose non fossero andate bene tra noi, quella scena mi sarebbe
apparsa in sogno. E sicuramente molto pi vivida che se vi avessi assistito
realmente. A quel punto pensavo che era meglio vederla con i miei occhi.
Inoltre, se non ero in grado di aiutarlo quando doveva fare una cosa cosć
difficile, la parola amico non aveva pi nessun valore.
La mattina dopo il tempo era incredibilmente sereno, come dopo il passaggio di
un tifone. Cosć mi era venuta un po' di voglia di entrare in azione. Mi alzai
presto e innaffiai il giardino. Incontrai mio padre che usciva per andare al
lavoro. Siccome per innaffiare mi ero spogliata ed ero rimasta seminuda, mio
padre a disagio evit• di avvicinarsi. Con un sorriso imbarazzato raggiunse il
cancello e uscć. Fu una scena oltre ogni dire deliziosa.
Guardando le nuvole fluttuanti nel cielo trasparente, che si rifletteva nelle
pozze d'acqua creando arcobaleni, pensai: questo piccolo episodio un po'
comico Š una delle cellule che formano la vita umana. E' difficile stare in
una condizione che permetta di percepire queste cose sottili, ed Š per questo
che a me il cielo, il respiro dei fiori, l'odore della terra sono cosć
necessari. Poi pensai che mi sarebbe piaciuto proporre a Hiroshi di fare un
viaggio. Se non vediamo qualche bel posto, queste sensazioni diventeranno
stagionate e rigide come tsukemono, avrei voluto dirgli. Potremmo andare in
una stazione termale, fare il bagno all'aperto guardando le foglie verdi e la
valle, mangiare cinghiale e un sashimi tremendo criticando la cucina, e vedrai
che ci sentiremo meglio.
Le pietre bagnate del giardino splendevano. Erano molto belle, ma ero stata
presa dal desiderio irresistibile di vedere qualcosa di molto pi grande e
splendido. Mentre mi bagnavo sotto gli spruzzi d'acqua, pregai con forza: che
anche Hiroshi ne abbia voglia, che questo desiderio si realizzi. Pregai con
tutte le mie energie, poi me ne dimenticai subito. Tornata a casa di Hiroshi,
le finestre erano spalancate, e lui si era gi messo al lavoro. Nel vederlo
con la mascherina di garza e i guanti, mi scapp• da ridere.
Sć, ridi, ma quando avrai annusato questa polvere e questa puzza di muffa,
penso che farai la stessa cosa anche tu, disse Hiroshi con una voce ovattata e
minacciosa dietro la mascherina, cosć decisi di seguire il suo esempio e mi
munii anch'io di guanti e mascherina.
Per prima cosa Hiroshi inizi• a smantellare quel grosso altare. Dato che non
era una cosa che potevo fare anch'io, pensai di dividere le cose da buttare
tra spazzatura combustibile e non combustibile. C'era un sacco di roba strana.
Fotografie, bottiglie con dei liquidi torbidi, candele, statuette,
decorazioni, delle specie di stra scritti in caratteri indecifrabili, spade
che sembravano di grande valore, panni intrisi di qualcosa che sembrava
sangue, pi altri oggetti che non si capiva assolutamente cosa fossero. Ero
terribilmente incuriosita ma soprattutto, resa un po' pi consapevole
dall'esperienza, trovavo tutte quelle cose ancora pi repulsive di quando ero
piccola.
Per• il fatto che tutti quegli oggetti incrostati di polvere, considerati dal
punto di vista della spazzatura, si dividessero in combustibili e non
combustibili, era piuttosto comico. Per quanto sacre quelle cose potessero
essere, se uno non ne conosceva il valore, era libero di dividerle affidandosi
a questo semplice criterio... Meno male, almeno c'Š un lato divertente in
questo deprimente lavoro che per il resto vorrei solo finire il pi in fretta
possibile, pensai dietro la mia mascherina.
Ehi, Hiroshi, non hai la sensazione che con la mascherina i pensieri che uno
ha in testa si sentano molto pi chiari? chiesi.
Allora quando chiacchieri troppo, forse far• meglio a mettere la mascherina.
Cafone.
Mentre parlavamo, io muovevo le mani speditamente, ma a un tratto mi bloccai.
Hiroshi mi guard•.
Che Š successo? chiese.
C'Š una cosa che non mi piace, dissi, indicando un piccolo vaso avvolto in un
tessuto rosa, che era nascosto nella parte pi interna dell'altare.
Che roba Š? Secondo te, cosa potrebbe essere?
Non ho idea, ma perch‚ non chiudi gli occhi e lo butti via? suggerć Hiroshi.
Ma la curiosit in me divenne irresistibile, e mi convinse che se non avessi
guardato, quella brutta impressione sarebbe rimasta in me senza poterle dare
forma.
No, voglio vedere, dissi e aprii il coperchio del vaso. Ne uscć un oggetto
incredibilmente puzzolente, avvolto in una specie di garza vecchia imbevuta di
sangue. Pensai che la puzza che si sentiva in quella stanza aveva origine da
lć. Una cosa leggera, un po' appiccicosa, giallastra.
Ma questo... sembrerebbe un osso, un osso umano, dissi.
Guardai Hiroshi e vidi la sua espressione trasformarsi in stupore a una
velocit impercettibile. Quando una persona Š davvero stupita, spalanca gli
occhi cosć lentamente? pensai. Hiroshi, senza una parola, spost• lo sguardo su
quel vecchio osso come per mettere a fuoco il proprio stupore, come se il
tempo si fosse arrestato.
Rapidamente ritrassi la mano. La puzza che emanava era di un tipo che non si
pu• descrivere a parole. La si percepiva chiaramente attraverso la mascherina,
ed era qualcosa che l'istinto rifiutava con tutte le forze di accogliere nel
corpo. Sembrava che la qualit dell'aria della stanza stesse progressivamente
alterandosi.
Ancora stordita, lo ripresi in mano per buttarlo, quando tutt'a un tratto
Hiroshi disse: Aspetta!
In quel momento mi accorsi che stava piangendo. Ma anche se piangeva come un
bambino, con le lacrime che scorrevano inarrestabili sul viso, capii che
voleva comunicarmi qualcosa, che cercava disperatamente di parlare.
Cosa? chiesi.
Hiroshi, soffocando i singhiozzi, rispose: Quell'osso, potrebbe anche
appartenere a mio fratello, perci• non buttarlo, vorrei seppellirlo da qualche
parte.
Nel sentire ci•, anche se non sapevo bene di cosa stesse parlando, quella che
fino a un attimo prima era stata una cosa disgustosa e terrificante, sembr•
trasformarsi di colpo in qualcosa di prezioso.
Ho capito.
Aspettavo che Hiroshi continuasse, ma siccome si asciugava le lacrime cercando
con uno sforzo disperato di controllarsi, non gli chiesi nulla. Invece dissi:
Se Š cosć, potremmo seppellirlo sotto la camelia, accanto a Olive.
Hmm, annuć Hiroshi.
Ma per quanto quel coso si fosse trasformato in un oggetto prezioso,
naturalmente la puzza non era affatto diminuita, cosć lo impacchettai di nuovo
e lo deposi sul davanzale della finestra.
Fu solo verso sera che finimmo di sgomberare la stanza. Poi, nel giardino dove
cominciava a far buio, in silenzio, usando la vanga, restituimmo quell'involto
alla terra. Lo seppellimmo il pi profondo possibile, ma non era come se non
ci fosse mai stato. Sempre senza parlare ci scrollammo la terra dai vestiti.
C'era una sensazione di tranquillit. Mi ricordai di quando avevamo sepolto
Olive. Quella volta era stato cosć triste da farmi chiedere: se alla fine
dobbiamo ritornare polvere, a che serve nascere e vivere? E anche se era Olive
che stavamo seppellendo, non so quante volte avr• pensato: beh? Come mai siamo
in giardino e Olive non Š a scorrazzare qui intorno? Ogni secondo era una
fitta di dolore da non riuscire a respirare. Era una sera limpida pi o meno
come quella volta. Tutto il mondo era impregnato del colore indaco del cielo.
Le stelle erano sparse qui e l ed emanavano una luce intensa. Poich‚ quello
che restava erano soprattutto carte dall'aspetto sinistro, decidemmo di
bruciarle in una parte spaziosa del giardino. Sentendo che il nostro lavoro di
riordino aveva raggiunto il climax, in uno slancio avevo comprato le patate da
fare arrosto. Facemmo un buco in ognuna per metterci il burro e il sale, le
avvolgemmo nei fogli di alluminio battezzandole: le patate maledette e ridendo
facemmo del nostro meglio per spazzare via il segreto della casa di Hiroshi.
Poi accendemmo un piccolo fal•. Il giardino illuminato dalla luce del fuoco
era bello, le fiamme danzavano, tutti quei terrificanti pezzi di carta vecchia
ridotti in polvere si sollevavano fluttuando nell'aria, e il viso bianco di
Hiroshi, illuminato dai riflessi arancione del fuoco sembrava avere acquistato
colore.
Chiamammo anche la mamma, e tutti e tre mangiammo le patate arrostite. Avevo
la sensazione che quell'altare, che era stato addormentato cosć a lungo
fermando il tempo, fosse stato usato per uno scopo positivo.
Sono ben cotte, dissi. Di patate pi di tante non possiamo mangiarne.
Per• siccome stasera siamo stanchi e non abbiamo tanta fame, forse ci
basteranno. Oppure pi tardi potremmo fare l'okayu. Dall'esterno dovevamo
sembrare una famiglia che in una sera di inizio primavera mangia patate
arrostite al fuoco chiacchierando nel modo pi pacifico. E certo nessuno
avrebbe immaginato che fossimo impegnati a bruciare gli oggetti sinistri di
uno strano luogo. Aleggiava una sottile sensazione di libert. Non veniva per•
dal fuoco che continuava a bruciare vivace cambiando sempre forma, ma dal
fatto che Hiroshi, mentre toglieva con un bastoncino di ferro le patate dal
fuoco, sembrava pi forte e allegro di come era abitualmente.
Credo che per lui essersi liberato di quella cosa avesse un grande
significato. Anche se non se ne rendeva conto, probabilmente la sua presenza
lo aveva condizionato. Il vento della sera soffiava dolcemente, ignaro di
polvere e puzza. La miseria, l'orrore, il sollievo, tutto sembrava dileguarsi
nella leggera oscurit del cielo nella sera di primavera.
Quella notte per qualche ragione non riuscivo a prendere sonno. E neanche
Hiroshi, evidentemente, perch‚ non faceva che rigirarsi.
Era come se tutta la casa, ormai completamente ripulita, ci incalzasse
chiedendo: E adesso?
Io non avevo mai fatto l'esperienza di un trasloco, ma pensai che se l'avessi
fatta da adulta, nell'affrontare una notte vuota e nuova come questa, avrei
provato la stessa sensazione di nostalgia. I ricordi di quando ero bambina, di
quando il nonno stava ancora bene e questa casa aveva ancora un po' di
vivacit, si riaccesero uno dopo l'altro. I dolci che mi offriva sempre, le
pennichelle sotto il sole al ritorno dalla piscina, cullata dai rumori
rassicuranti di lui che si muoveva per casa, la tenera immagine di Hiroshi
bambino e del nonno che insieme stendevano il bucato ad asciugare, ricordi
cosć.
Provai a canticchiare sottovoce, ad accendere una piccola lampada per leggere
un libro, spensi, poi ricominciai, ma il sonno non veniva.
Non riesco a dormire, dissi.
Neanch'io, disse Hiroshi.
Nel buio gli occhi spalancati di Hiroshi sembravano nerissimi.
Non ti ho detto una cosa importante, disse.
Mi parler del fratello morto, pensai nel mio futon, come per tenermi pronta.
Ma si trattava di una cosa totalmente diversa. Pare che mio padre sia morto,
poco tempo fa.
Cooosa?
Sentii che la sorpresa aveva spazzato via anche quel poco di sonno che avevo.
Come mai non si Š fatto il funerale? chiesi.
Sembra che ci sia stato un suicidio di gruppo. Per la sua religione, quella
dell'altare. A quanto pare hanno preso il veleno e poi hanno dato fuoco alla
casa, perci• non Š stato possibile identificare i corpi, e non si sa con
certezza, ma Š probabile che ci fosse anche lui, disse Hiroshi con tono
distaccato.
Ero sconvolta anche dal fatto che la notizia era uscita sui giornali, e io non
avevo nemmeno lontanamente immaginato che potesse essere coinvolta una persona
cosć vicina.
Adesso, anche se faccio un brutto sogno, non dovr• pi pensare che possa
avverarsi.
Che sogno? fece Hiroshi.
Niente, dissi e rimasi in silenzio.
Io e Hiroshi una volta siamo scappati di casa insieme. Non Š esagerato dire
che, a parte casi di emergenza come quando aveva accompagnato il nonno
all'ospedale, era stata l'unica volta che Hiroshi aveva preso un treno per
fare pi di qualche chilometro. Non aveva mai passato una notte fuori casa, e
anche alle gite scolastiche aveva sempre trovato qualche scusa per non
andarci.
Era il periodo in cui avevamo da poco cominciato il liceo, ed era l'inizio
dell'estate. Tutto era cominciato con un sogno che avevo fatto.
Avevamo saputo che un amico del padre di Hiroshi sarebbe venuto dalla
California per incontrarlo insieme al nonno. Per noi che vivevamo tranquilli
si trattava di un evento straordinario, ma Hiroshi aveva detto che in realt
lui quell'uomo non voleva incontrarlo. A me, piuttosto che opporre un netto
rifiuto, sembrava opportuno trovare un compromesso, cosć consigliai a Hiroshi
di provare a incontrarlo. Ma una notte, subito prima che quel tipo arrivasse
in Giappone, feci un sogno molto infausto.
Nel sogno, mi svegliavo nella mia stanza. Hiroshi, che fino a poco prima era
stato lć, non c'era. Allora mi precipitavo in giardino a cercarlo. Era sorta
la luna, e c'era un leggero chiarore. Guardavo la casa di Hiroshi: era
completamente immersa nel buio, spenta anche la luce della cucina che di
solito rimaneva accesa. Inoltre, anche la forma della casa era un po' diversa,
non la solita casa di Hiroshi, ma un grande edificio in cemento. Ah, Hiroshi e
il nonno sono andati in America, pensavo nel sogno.
Pi che tristezza, sentivo una certa angoscia. Per farmi coraggio, mi mettevo
a canticchiare a bassa voce. Ma nel sogno la mia voce riecheggiava a volume
anormale, come se mi arrivasse attraverso le cuffie. Turbata da quella
sensazione sgradevole, mi accovacciavo sull'erba. L'aria era fredda,
opprimente, e avevo la sensazione che la notte fosse molto pi buia del
solito. Anche se avrei voluto fuggire via di corsa, un attimo dopo mi
ritrovavo davanti all'ingresso della casa di Hiroshi. Provai a chiamare il suo
nome, ma non ci fu risposta. Poi mi arriv• un fortissimo odore di sangue. Non
c'era da sbagliare, era l'odore denso del sangue. Nonostante fosse un sogno,
mi si impresse chiaramente nella testa. Dentro casa era buio pesto, e sembrava
umido. Tirando fuori un coraggio incredibile, entrai. Entrai a piedi nudi.
L'interno della casa non aveva niente a che fare con la casa di Hiroshi che
conoscevo, ma avanzai. Era sempre buio. Per qualche ragione nel corridoio
c'erano diverse pozzanghere, ma era cosć buio che non riuscivo a distinguere
se fossero rosse o incolori. Sapevo solo che provavo una sgradevole sensazione
e che avrei voluto vedere Hiroshi. Non c'era traccia di persone. Ma aprendo la
porta di una stanza che non conoscevo, vidi lć, appoggiata a una sedia, la sua
giacca. Trovai strano che lui, cosć ordinato, avesse lasciato un suo indumento
in modo tanto sciatto. Lui che, se lasciavo i miei vestiti in giro, li
raccoglieva con aria molto seccata e li appendeva a una gruccia o li
piegava... al pensiero provai un'ondata di tenerezza. Poi di colpo me ne
accorsi. Che se il ricordo di quella sua faccia seccata mi suscitava una tale
tenerezza, significava che tra me e Hiroshi si era creata una incredibile
distanza. Era come quando, nel pensare a una persona morta, ci si commuove
anche per i ricordi pi spiacevoli. Poi presi in mano la sua giacca e provai a
odorarla. In quel momento capii di colpo che Hiroshi era morto. Che in qualche
posto lontano era stato ricoperto di sangue, fatto a pezzi, ucciso, e per
questo tutta la casa era impregnata dell'odore del sangue. Era stata la sua
giacca a dirmelo. Sedetti sul pavimento, e restai un tempo infinito a occhi
chiusi ad aspirare l'odore di Hiroshi. Volevo cancellare l'odore del sangue.
Lo capii con chiarezza. Se la morte ci avesse separati, Hiroshi e me, per un
incidente o un'altra ragione, quello che ci legava non sarebbe cambiato. Che
lo si chiamasse amore, vincolo, promessa, dignit umana, sarebbe rimasto
immutato. Per• sapevo che questa era una morte che allontanava in modo
irreparabile Hiroshi, il suo stesso spirito, da me. Fatto a pezzi, profanato,
non esisteva pi, e quello che rimaneva del vero Hiroshi era solo quella
giacca.
Quando mi svegliai da quell'incubo, cominciai a piangere e finii con lo
svegliare Hiroshi che infastidito mi apostrof•: ma non sarai mica drogata? Ma
io dissi: non andare in America, non incontrare quel tipo mandato da tuo
padre, ho un brutto presentimento. Per calmarmi Hiroshi rispose: Va bene, far•
cosć, e si riaddorment•.
Ero troppo agitata per dormire: avevo la sensazione che quella forza oscura
che esisteva nel mondo, entrando dalla finestra potesse penetrare di nuovo nei
miei sogni, infiltrandosi nelle mie cellule. Fu il respiro di Hiroshi nel
sonno a salvarmi. Sentivo che anche se mi avesse trattato con disprezzo,
insultato, si fosse messo con un'altra ragazza e mi avesse lasciato, non mi
sarei mai sentita cosć triste come nel sogno che avevo appena fatto. Se quella
morte che aveva tritato in un frullatore il significato stesso della sua
venuta al mondo, e l'aveva polverizzato fino a disperderne ogni traccia, fosse
stata voluta dalla natura, avrei finito col rassegnarmi. Ma il pensiero che
forse avrei potuto fermarla e non l'avevo fatto mi era insopportabile...
questa possibilit sembrava non so come essersi insinuata nella realt e non
potevo superare la paura. Ne ero convinta: la religione del padre di Hiroshi
era qualcosa di cattivo. Ero sicura che facevano delle cose terribili.
Qualcosa me lo aveva fatto capire. Non sapevo pi che fare, e presa dal panico
cominciai a tremare.
Fu il respiro di Hiroshi nel sonno, cosć assurdamente forte, a bloccare ci• da
cui venivo trascinata. Adesso ci sono qua io, non Š successo niente, quel
sogno non torner pi, non dovrai pi trovarti in quel posto buio: fu questo
pensiero ad accompagnarmi sana e salva nel sonno. Sapevo con certezza che al
mondo esistono posti tristi, soffocanti e bui come quello. Dove si uccidono le
persone, si guarda la loro carne, si tocca il loro sangue. E una parte che non
prova disgusto per questo Š presente in modo uguale in ognuno. Ma proprio
perch‚ sappiamo di averla, molto naturalmente ci controlliamo per non
seguirla. Per• alcune persone, che ne sono attratte, non riescono a frenarsi.
In quel mondo oscuro le persone sono semplici oggetti, non c'Š un vero
contatto emotivo con nessuno, e sono solo il potere e la solitudine a decidere
le azioni. E a modo suo Š un universo vero e proprio, in grado di competere
con la realt in cui viviamo noi. Non potevo permettere che Hiroshi andasse in
quel mondo, perch‚ proprio a lui era stato somministrato, in forma molto pi
diluita, sin da quando era nato, insieme all'aria.
Quando mi svegliai la mattina seguente, Hiroshi si era gi alzato. E non
capivo perch‚ ma aveva portato un grande borsone. Lo guardai stupita. Quando
vide che mi ero svegliata, disse: Ce ne andiamo di casa per un po'.
Perch‚?
Ancora assonnata, non avevo capito bene cosa intendesse, ma quando mi accorsi
di avere gli occhi gonfi mi ricordai del sogno. E anche di quell'orribile
odore di sangue.
Con il mio carattere, stando qui mi Š difficile rifiutare di incontrare quel
tipo. Faccio i bagagli anche per te? chiese Hiroshi serio.
Tu che non hai mai fatto un viaggio in vita tua, come puoi fare i bagagli
anche per un'altra persona?
Basta pensare a quello che pu• servire.
Ma sei sicuro?
Te l'ho promesso ieri sera, no?
Cosć anch'io preparai in fretta la mia roba, lasciai a mia madre un biglietto
con su scritto solo: Telefono pi tardi, e senza sapere bene neanch'io cosa
stavo facendo, salii con Hiroshi su un treno diretto, chiss perch‚, ad Atami.
Hiroshi inaspettatamente sembrava felice di stare in treno. Mangiava il suo
pranzo, beveva la birra, guardava il paesaggio dal finestrino. Io ero ancora
perplessa per quella situazione da coppia normale in cui mi ero ritrovata
all'improvviso. Ricordo solo di aver ripetuto non so pi quante volte: vedi
che se vuoi, ce la fai. Hiroshi disse: pi tardi telefona a tua madre e
chiedile di dare un'occhiata al nonno. In realt quello di cui ho paura non
sono i viaggi, n‚ i treni, Š quel sogno che faccio spesso.
Quale sogno?
E' un sogno che ho fatto tante volte, gi da quando ero piccolo. Sogno che
mentre io non ci sono mio nonno si sente male e muore. In teoria mi rendo
conto benissimo che anche se succedesse non sarebbe colpa mia, e cose del
genere. Ma ho paura lo stesso. Se non controllo che il nonno stia bene prima
di andare a dormire, lo so che Š assurdo ma vengo preso dall'ansia, anche
adesso per esempio ho il cuore che mi batte forte, e sono agitato.
Allora perch‚ sei voluto partire?
Perch‚ anch'io non ho nessuna voglia di incontrare quell'uomo. Se anche dopo
averti visto piangere, tu che non piangi quasi mai, non riesco a fare quello
che dovrebbe fare un ragazzo della mia et, nemmeno per una volta, vuol dire
che non ho le qualit che ci vogliono per vivere.
Allora capii per la prima volta che Hiroshi pensava diverse cose che non
sapevo, e che in molti aspetti si sentiva inadeguato. Cosć, in quel vagone
illuminato dal sole mi augurai con tutto il cuore che potesse essere sempre
come in quel momento.
Ad Atami il mare era sporco e i palazzi sulle scogliere sembrava dovessero
cadere da un momento all'altro in acqua. Gli alberghi erano tutti pieni o
troppo cari. Le locande, dato che non era alta stagione ed era un giorno
feriale, erano tutte chiuse. Quando Hiroshi disse: stai tranquilla, ho portato
abbastanza soldi, provai un'emozione mai sentita prima. Sembravamo una coppia
di innamorati. Poi ci mettemmo a girare senza meta, mangiammo kamaboko per
pranzo, facemmo una siesta, e siccome non avevamo voglia di fermarci a dormire
ad Atami, riprendemmo il treno e arrivammo fino a Ito.
Hiroshi disse: a Ito c'Š un albergo che si chiama Hatoya, che pare sia dotato
di un carro antincendio. Andiamo lć, se non altro ci sentiremo pi protetti,
dissi io. A Ito bast• chiedere dell'Hotel Hatoya, quello con un carro
antincendio, e subito ci fu indicato. Essendo un albergo molto grande nessuno
si preoccup• di chiederci l'et, e anche il prezzo non era eccessivamente
alto, cosć decidemmo di dormire lć e riuscimmo ad avere una camera coi tatami.
Il verde e il mare, illuminati dal sole al tramonto, che si vedevano dalla
finestra, sembravano disposti come in un giardino in miniatura.
Guarda che bel panorama! disse Hiroshi.
Chi l'avrebbe detto, Hiroshi ammira paesaggi che non conosce, apprezza i
grandi spazi della natura, e non gli dispiace trovarsi in luoghi lontani dalla
sua vita di tutti i giorni... anche se stavamo insieme da tanto tempo, lo
realizzai in quel momento per la prima volta. E lo capii dalla voce eccitata
con cui aveva pronunciato quella frase, come di chi assapora la libert.
Poi telefonai a mia madre e le dissi: Siamo a Ito.
Come come? Dove? disse lei. "Ecco perch‚ da stamattina non vi vedevo. Beh, e
come mai?
Hiroshi non aveva voglia di incontrare quel tipo che viene dall'America. Dice
che teme, se ci parla, di esserne influenzato, spiegai.
Ha paura di tradire noi e il nonno, disse la mamma.
In ogni caso, fate come volete. Adesso la cosa pi importante Š che Hiroshi
faccia quello che sente. Io andr• a chiedere com'Š la situazione, e cercher•
di essere presente all'incontro, cosć vi sapr• dire. Comunque, ove mai dicesse
che vuole portarlo via, se Hiroshi non Š d'accordo, nessuno potr
costringerlo, ti pare?
Vedi come sta il nonno, mi raccomando.
Stai tranquilla. E digli che non penso che siate scappati. Quando sar grande
potr andare a incontrarlo di sua volont. Io penso che Hiroshi sia ferito
perch‚ il padre non Š venuto personalmente.
La mamma non ti delude mai, pensai quella volta. Le cose che io pensavo
oscuramente, lei le esprimeva con grande semplicit. Sentii con forza che,
senza che io e Hiroshi avessimo fatto nessuna fatica, Hiroshi era stato
accettato da tutti, da mio padre, da mia madre e da Olive, ed era subito
diventato un membro della famiglia.
Capivo che Hiroshi cercava istintivamente la sua vera famiglia, anche se
questa non esisteva. E mi ero resa conto da tempo che ci• era inevitabile. Se
non avessi fatto quel sogno, forse mi sarei convinta che sarebbe stato meglio
per lui andare a vivere in America. Che forse decidersi una volta per tutte e
provare a viverci insieme sarebbe stato meglio per lui che continuare a
sognare all'infinito un padre immaginario. Ma anche se questo ragionamento
filava, dopo aver fatto quel sogno, il mio cuore si ribellava. Devo fermarlo,
avevo pensato, anche se sembra da stupidi affidarsi a un sogno, anche se non
ho fiducia in me stessa, devo impedire che quell'orribile premonizione diventi
realt, devo bloccare il desiderio di Hiroshi di incontrare suo padre, a costo
di commettere un errore. Poi pensai che nella vita ci sono dei momenti in cui
non ci si pu• limitare a dire con aria noncurante: se Š quello che lui
desidera... Ci sono situazioni in cui ci si pu• affidare solo all'intuito, e a
costo di agire alla disperata, di mettersi in gioco, bisogna fare
assolutamente una mossa, anche se potr sembrare incomprensibile, anche se
diventer comprensibile solo pi tardi.
In quel periodo avevo dei dubbi sulla mia vita con Hiroshi. Ero stanca di una
persona cosć strana. C'era qualcun altro che mi interessava ed era proprio una
fase in cui le persone intorno a me erano nel pieno delle loro storie d'amore.
Spesso sospiravo sulla lista di cose che non avrei mai potuto fare finch‚
fossi stata con Hiroshi. Arrivai anche a pensare: continuando a vivere in
questo ambiente, anche se mi metto insieme a un altro non riuscir• a separarmi
da lui, quindi forse farei meglio ad andare a vivere da qualche altra parte,
per mettere un po' di distanza tra noi. Fu un periodo, insolito per me, in cui
invidiavo lo scorrere della vita degli altri.
Ma per quanto potessi considerare Hiroshi un ostacolo, non ero cosć stupida da
pensare che una persona insostituibile come lui potesse essere trattata in
modo distratto. Giran domi lo vidi steso a guardare la tiv. Forse aveva
voglia di andare a fare il bagno, perch‚ aveva gi tirato fuori le yukata,
quindi pensai: se posso accontentarlo..., gli riferii le parole della mamma,
poi prendemmo un grande ascensore e ci dirigemmo ai bagni.
Cosa abbastanza straordinaria, trovai la sala delle donne completamente vuota
a quell'ora di sera. Poich‚ era la prima volta che facevo il bagno in una
vasca cosć immensa, non ero capace di rilassarmi. Provai a fare diverse cose,
ma non riuscii a resistere a lungo. Quando tornai in camera, Hiroshi era gi
lć e sembrava di ottimo umore. Me ne accorsi subito, non so come, visto che
non sorrideva n‚ mi disse esplicitamente di essere allegro. Pensai che in
fondo aveva sempre avuto una grande voglia dimettersi in yukata , fare il
bagno termale, prendere il sole sulla spiaggia, stancarsi, gli era solo
mancata l'occasione.
Quella notte andammo a mangiare in yukata in un ristorantino di rmen
dell'albergo, e ci divertimmo molto. Hiroshi and• a fare il bagno almeno tre
volte. Era la prima volta che passavamo la notte insieme in un posto che non
fosse la mia stanza, e per l'eccitazione non riuscivamo ad addormentarci, ma
anche questo era divertente. Avvolti nelle lenzuola inamidate, ci tenevamo per
mano. Avevo una lieve sensazione di malinconia. Sembrava di essere tanto
lontani da casa.
Visto che non dormiamo, perch‚ non facciamo l'amore?
Non sono a mio agio, quindi non mi diventa duro.
Anch'io non riesco a rilassarmi. La stanza Š troppo grande.
La nostra stanza, a casa, Š una specie di nido.
E' vero.
Capii che anche se non li aveva nominati, il padre e la California lo stavano
inseguendo. Sembrava che il buio brulicasse di possibilit.
Per•, non ti spoglieresti nuda? Mi piacerebbe vederti nuda in un posto che non
Š casa tua, disse Hiroshi.
Va bene.
Mi vergognavo un po', ma mi tolsi lo yukata. Alle ragazze di liceo non si
addice, mi faceva sentire mascherata come in una recita per la scuola. Chiss
se quando avr• l'et per stare bene in yukata, noi due staremo ancora insieme,
pensai. Al chiarore della luna la mia pelle era bianca e lo stomaco, a causa
della cena e dei rmen, sporgeva. Stare nuda davanti a Hiroshi era un aspetto
naturale della vita che continuava da tanto tempo. Anche il sesso era
cominciato, in modo del tutto spontaneo, quando eravamo ancora alle
elementari. I miei amici mi dicevano spesso che non sapevano se considerarlo
il massimo della noia o una cosa pazzesca.
Chiss quando mi capiter un'altra volta di vedere una liceale nuda? Hiroshi
rise. A casa, anche se siamo completamente liberi, il tuo corpo nudo Š sempre
protetto, da Olive o da qualche altra cosa.
Sai, in questa situazione ho capito una cosa. Che tu fai parte della nostra
famiglia. Anche se nessuno lo ha dichiarato ufficialmente, l'abbiamo sempre
pensato, dissi, poi ridendo: A parlare nuda mi sembra come se stessi facendo
un proclama.
Anch'io l'ho pensato, e non sai quanto mi commuove. Dć, perch‚ non ci
sposiamo?
Eh?
Sorpresa, istintivamente mi coprii il corpo con lo yukata.
Potremmo sposarci, e io mi farei iscrivere nel registro della vostra famiglia.
Se i tuoi sono d'accordo, potremmo farlo anche subito.
Va bene, credo.
Non pensai se mi andava, non mi andava, se era inevitabile, n‚ mi venne l'idea
pessimistica che era una vita senza possibilit di scelta: in quel momento
provai una sensazione di espansione. La sensazione di uno spazio che si
spalanca di colpo, come se fossi uscita all'aperto, sotto un cielo immenso..
con le stelle, tante cose da mangiare, una bella luce per esempio di candele,
l'aria pulita.. non era poi cosć da buttare, una sensazione di apertura.
Quando provo una cosa simile, vado avanti. Anche questo era destino, pensai, e
decisi che sć, sarei diventata la famiglia di Hiroshi.
Quando torniamo, ne parleremo con loro.
Hiroshi, non Š che sei stato spinto dalla disperazione? chiesi, tanto per
sicurezza.
No, Š solo che voglio chiarire bene qual Š il mio posto, rispose lui. Se non
lo faccio, non potr• cominciare a vivere. Anche entrando nella tua famiglia,
rester• comunque per sempre il bambino abbandonato.
Non mi ero ancora riavuta dalla sorpresa, cosć restai nuda, immersa nei
pensieri, la mano in quella di Hiroshi senza parlare, poi senza accorgermene
scivolai nel sonno. Il giorno dopo passammo tutto il tempo a oziare sulla
spiaggia, dove facemmo amicizia con un autista di taxi. Se stasera fa bel
tempo vi porto a vedere il Monte Fuji di notte, promise. Disse che lui negli
orari di stacco veniva spesso in spiaggia, a sedersi nel localino dove si fa
il pesce essiccato, ma non gli era mai capitato di vedere dei ragazzi della
nostra et che riuscissero a stare cosć a lungo sulla spiaggia.
Capisco cosa vuol dire, pensai. Passare una giornata intera sulla spiaggia Š
meno piacevole di quanto potrebbe sembrare. I vestiti, i capelli, le mani, si
riempiono sempre pi di salsedine e sabbia, il che Š molto fastidioso, la roba
da bere e da mangiare finisce in un lampo, e a quel punto per stare seduti o
stesi senza far niente bisogna modificare un po' la propria percezione del
tempo. Io ho imparato a farlo in giardino, e Hiroshi fondamentalmente non ha
mai niente da fare, quindi a noi riesce senza il minimo sforzo.
E' perch‚ oggi non abbiamo niente da fare, e non dobbiamo andare da nessuna
parte. Stasera pensavamo di tornare ad Atami, spiegai.
E lui: Scappati di casa?
No, siamo in luna di miele. Quando torniamo, faremo l'iscrizione nel registro,
dissi.
Hiroshi taceva con una faccia che sembrava dire: perch‚ non chiudi il becco?
Fu cosć che, per festeggiare, quel signore promise di accompagnarci fino ad
Atami, facendoci vedere lungo la strada il Monte Fuji di notte, per soli
duemila yen.
I viaggi sono interessanti perch‚ succedono queste cose, no? dissi, e Hiroshi
annuć. Da allora nel matrimonio con Hiroshi non ho mai pi conosciuto nessuno
stato di esaltazione, anzi il pi delle volte ho avuto fantasie del tipo: Se
non avessi fatto questa scelta avrei potuto vivere all'estero. Mi sarebbe
piaciuto essere amata appassionatamente e sposarmi con un uomo capace di
guidare qualsiasi mezzo, dalla Porsche ai camion, uno sprizzante di energia ma
simpatico, con cui poter fare un sacco di viaggi, virile, dolce, bello,
biondo, dal naso imponente, e assaggiare ogni sorta di piatti mai visti n‚
sentiti prima, cucinati in casa dalla sua gigantesca mamma...
Ma quel giorno sulla spiaggia di Ito, con il mare grigio, la sabbia ancora pi
grigia, il cielo a tratti plumbeo a tratti quasi bianco, che un vento
piacevole riusciva tuttavia a trasformare in un paesaggio pittoresco, e le
onde che ogni tanto si avvicinavano graziose con spruzzi bianchi di schiuma,
pensai: ah, fino a ieri il nostro rapporto non aveva nessun nome, e oggi
Hiroshi Š il mio fidanzato, e mi commossi un po'.
Ormai Hiroshi non aveva pi bisogno di aspettare i genitori scomparsi, ma se
voleva aveva un posto dove farlo. E' un posto che in realt nessuno di noi
possiede, ma solo a lui era stato negato con tanta determinazione.
La sera il tassista venne davvero a prenderci come promesso. Grazie al vento
che era aumentato, il cielo si era completamente rasserenato, e noi eravamo
stesi sulla spiaggia a guardare le stelle, che per• a causa della enorme luna
piena si vedevano poco.
Allora faceva sul serio, dissi.
E voialtri siete stati sul serio a ciondolare sulla spiaggia per tutta la
giornata? fece il tassista, un signore simpatico e chiacchierone, sinceramente
stupito.
Abbiamo comprato del pesce secco, poi abbiamo cenato da Denny's, dissi.
Naturalmente per• avevo sabbia da tutte le parti e mi sentivo appiccicosa.
Mentre l'auto saliva per una strada tutta curve, arrivati a un punto piuttosto
elevato, il tassista smise di colpo di parlare e disse: Guardate!
Ci voltammo, e lass si vedeva il Monte Fuji, bianchissimo, come sospeso nel
cielo.
Che bello! esclamammo all'unisono, trattenendo il respiro.
Fermammo l'auto in un punto dal quale c'era una buona vista e scendemmo tutti
e tre.
E' la prima volta che lo vedete, ma vi assicuro che il modo migliore di
ammirare il Monte Fuji Š alla luce della luna. In genere quando Š piena come
adesso Š nuvoloso, quindi voi due siete stati fortunati, disse il tassista.
Il Monte Fuji, che si innalzava nel buio, sembrava una creatura vivente che
respirava. La sua bellissima forma tracciava una lunga linea che scorreva fino
alle falde e, illuminata dalla luce della luna, brillava pallida. Era molto
pi suggestivo che di giorno, e sembrava cosć liscio che veniva voglia di
accarezzarlo. Le luci della citt ai piedi del monte cobravano
disordinatamente il suo orlo, e in cielo splendevano la luna e le stelle. Quel
paesaggio era come un dipinto. Sembrava che lass la qualit dello spazio
fosse diversa, come se fosse costruito con materiali pi rarefatti, che a
toccarli si sarebbero dissolti. Era una vista che ti faceva pensare a un
paesaggio appartenente a un mondo di un livello pi elevato rispetto a quello
in cui noi viviamo. Se mi avessero detto: quello non Š il Monte Fuji ma la
luna scesa sulla terra che sta riposando, ci avrei creduto all'istante.
Siamo stati fortunati a vedere questo, pensammo senza dirlo. Era cosć bello
che non riuscivamo a parlare. Avevamo goduto del favore di quell'uomo, che
amava mostrare agli altri le cose belle.
Arrivati ad Atami ci separammo dal tassista e, distrutti e ormai senza pi
soldi, ma ancora pervasi dell'aria del Monte Fuji, ci fermammo in un love
hotel fornito di bagni termali, ci infilammo in un lettaccio orribile, ci
facemmo piccoli piccoli e ci addormentammo come sassi.
Dopo una settimana di questa vita vagabonda, finiti anche gli ultimi
spiccioli, tornammo a casa. Non abituati a viaggiare e con i soldi contati,
sentivamo la fatica, cosć arrivammo a casa giurando che per un po' non
volevamo sentire parlare di viaggi. Nessuno era arrabbiato con noi, l'unica
reazione, se cosć si pu• dire, fu quella della mamma, felice perch‚ le avevamo
portato il pesce secco, che volle subito arrostire per noi. Il messaggero del
padre di Hiroshi aveva parlato solo col nonno e se ne era andato lasciando un
souvenir dall'America. Pareva che l'incontro fosse stato molto spiacevole, ma
nessuno ce lo raccont• in modo dettagliato. A quanto potei capire, il padre
voleva incontrare Hiroshi, e sperava molto che suo figlio volesse recarsi in
America, ma anche se avesse voluto entrare nella sua setta non sarebbe potuto
diventare uno dei leader. Era solo questo che, con molto tatto, il messaggero
era venuto a dire. Pare che il nonno si fosse arrabbiato dicendogli che ormai
erano chiusi i rapporti, e lo avesse invitato ad andarsene. Il padre non aveva
inviato n‚ foto n‚ lettere. Hiroshi, che gi da qualche parte nel suo cuore si
era profondamente rassegnato, pass• a un grado ulteriore di rassegnazione,
quello in cui non te ne importa proprio pi niente.
Hiroshi, mi Š tornato in mente quando siamo andati ad Atami, dissi.
Lui, che era ancora sveglio, rispose: Com'era bello il Monte Fuji, eh!
Da domani che faremo?
Ci penseremo domani. Stasera siamo stanchi, disse. Rest• in silenzio per
qualche istante, poi aggiunse: Ma forse fare un viaggio sarebbe una buona
idea. Anche perch‚ ormai non devo pi preoccuparmi del nonno che aspetta a
casa.
Nel dire queste parole la voce gli tremava.
Il nonno non era assolutamente una persona calorosa n‚ uno che amava i
bambini, ma non lo avrebbe mai mandato in California perch‚ gli era di peso, e
lo aveva sempre protetto senza lamentarsi.
Sć, ci sto. Facciamo un viaggio, andiamo in un posto dove vorresti andare tu.
Per me va bene da qualsiasi parte. Non Š mica che io odio i viaggi o i mezzi
di trasporto, sai.
E se andassimo in un posto dove si possono vedere gli animali?
Sć, perch‚ no?
Le lacrime di Hiroshi scorrevano sul palmo della mia mano, calde. Ormai in
questa casa non c'Š pi niente da fare, possiamo andare dove vogliamo, disse.
Gi, dove si potrebbe andare? sussurrai. Ma sć, ci penseremo domani, e anche
la mia voce fu inghiottita dall'oscurit.

GIORNATE VUOTE.
Al mattino, quando ci svegliammo, avevamo tutti e due gli occhi gonfi, ed
erano gi le undici. Eravamo sbalorditi: di solito ci svegliavamo alle sette.
Sembrava impossibile. Si capiva che dovevamo essere davvero distrutti.
Restai per un po' imbambolata, come se fossi stata abbandonata lć da qualcosa.
Il tempo era bello, cosć riscaldai l'acqua nella vecchia vasca della casa di
Hiroshi, di quelle che non hanno la doccia, e feci il bagno nella luce del
giorno. Il vetro della finestra appannato lasciava filtrare i raggi del sole
sfumandoli. Il mio sguardo si fiss• con nostalgia su quel colore tipico delle
piastrelle di una volta. A un tratto mi accorsi che stavo da tanto nell'acqua
calda che avevo la punta delle dita raggrinzite. La percezione del tempo era
tutta sballata. Mi sentivo priva di energia.
Per riprendermi andai a sedermi da sola in giardino, ma dopo poco Hiroshi
venne a sedersi accanto a me. Erano circa dieci anni che Hiroshi non si sedeva
in giardino.
Non sentendomi a mio agio, cambiavo continuamente posizione.
Cosa pensi tutte le volte che stai qui seduta? chiese Hiroshi.
Quando osservi con attenzione le cose, anche nella pi piccola trovi il sapore
della realt molto pi forte che se guardi il telegiornale, dissi.
Creature che muoiono, che si decompongono, che si trasformano in terra,
insetti che combattono, libellule che si fermano sul bucato, le nuvole che si
addensano nel cielo fino a un attimo prima sereno, i rumori dentro casa che ti
dicono che la mamma Š di cattivo umore, per cui vai in fretta a fare la spesa
per lei... quando si osserva con attenzione, la mente lavora cosć intensamente
che non c'Š pi bisogno di andare a cercare all'esterno.
L'uomo capisce attraverso gli occhi. Ma non basta semplicemente starsene
seduti per vedere tutto cosć chiaramente. Mi sono sempre chiesto con
curiosit: che cosa guarder quando sta lć seduta? disse Hiroshi.
Andiamo a fare una passeggiata? chiesi, alzandomi.
Hmm.
Chiss perch‚, Hiroshi mi sembrava come rimpicciolito. Mi dava la sensazione
che vivesse raggomitolato in se stesso. Era cosć da quando il nonno era stato
ricoverato in ospedale. I suoi occhi avevano l'espressione spenta di chi
preferirebbe non vedere il mondo. Dal giorno in cui aveva finito di fare
ordine dentro casa, era svuotato e ancora pi perso. Il corpo non si era
ancora ripreso dallo shock, solo l'anima veniva a galla, ma sembrava che
vivesse in un sogno. Certo, non si poteva dire che fosse mai stato un tipo
vigoroso, ma lo Hiroshi di adesso sembrava un guscio vuoto. La sua forza si
andava sempre pi assottigliando, e forse lui stesso cominciava a dubitare di
essere vivo.
Anche a me questo a volte succedeva. Soprattutto un tempo, quando andavo
ancora a scuola. A me non Š che accadesse in seguito a qualche fatto triste.
Quando la vita scorreva troppo pacifica, avevo la sensazione che il mio corpo
fosse sospeso nell'aria, e mi passava la voglia di bere e mangiare. In quei
periodi, tutte quelle che in condizioni normali sarebbero state esperienze
intense, come per esempio la malinconia tornando a casa dopo aver accompagnato
all'aeroporto la mia vera madre che ripartiva, lo shock provato nel vedere
Hiroshi parlare con un'altra ragazza, che di colpo fece apparire il mondo in
modo diverso, il torpore al braccio tenuto sollevato durante il bagno per non
far andare l'acqua sulla bruciatura, mi lasciavano indifferente, e la mia
sensibilit si appiattiva. Ecco, la mia energia Š al minimo, pensavo. Adesso
lo sguardo di Hiroshi era come il mio in quei momenti.
Camminando lentamente, arrivammo in un grande parco. C'era tanta gente: chi
faceva jogging, chi andava in bici, alcuni giocavano a badminton, altri
bevevano e mangiavano sui prati. C'erano anche tanti cani. Ma nemmeno quei
cani di tutte le razze che gli passavano davanti, riuscivano a far brillare
gli occhi di Hiroshi, cosć spento.
Comprammo due birre in un chiosco e ci sedemmo sul prato, all'ombra di un
cedro che amavo particolarmente. Anche questo Š un posto dove vengo spesso,
dissi. A me piace camminare, sedermi, parlare con persone che non conosco. Una
volta una giovane madre mi chiese se le guardavo il bambino. Va bene, dissi
io, tanto non ho niente da fare, cosć mi misi a giocare con quel bambino che
avr avuto sć e no un anno, ma passarono sei ore e la madre non tornava. Non
potendo fare altro, continuai a cullarlo e a giocarci fino al tramonto, mi
feci spiegare da una signora che passava come cambiargli i pannolini, gli
diedi del succo di frutta e aspettai, ma ero veramente sulle spine. E se
l'avesse abbandonato? pensai. Poi, dopo che si era fatto gi buio, la madre
arriv• piena di sacchetti per la spesa, disse grazie e mi ficc• in mano una
moneta da cinquecento yen. Io scoppiai a ridere. Ma che cos'erano quei
cinquecento yen? Che cosa mi significavano cinquecento yen? Il punto non Š che
fossero poco o tanto, ma Š che in una situazione del genere erano
completamente fuori luogo. Ma non ho fatto in tempo neanche a dirle: grazie,
non li voglio, che lei si era gi allontanata in tutta fretta, senza neanche
un sorriso. Io ci rimasi come una scema. Poi, sulla strada del ritorno, con
quei cinquecento yen mi comprai una scodella di r&men. Buonissimi.
Tu, Manaka, certo che hai fatto un sacco di cose. Non ho mai pensato
abbastanza a che persona sei. Ero troppo preso da me stesso.
Noi due non parliamo molto. Di solito. Ma Š una cosa buona.
Perch‚?
Perch‚...
Non trovando la risposta, restai in silenzio, quando mi pass• davanti un
terrier. Era bianco proprio come Olive, e si trascinava dietro il padrone.
Il pelo bianco si sporca di pi, ma Š tenuto bene, disse Hiroshi, che si alz•
e and• ad accarezzarlo. Anch'io lo seguii e accarezzai il cane. Provai una
sensazione di felicit nel toccare quel pelo duro, che richiamava tanti
ricordi.
Ne avevamo anche noi uno cosć, spieg• Hiroshi. Mentre lo guardavamo
allontanarsi, esclamammo tutti e due: come sarebbe bello vedere Olive! Fu
l'unico momento in cui Hiroshi fu davvero accanto a me, con un'emozione vera.
Fino a pochi attimi prima era stato solo un guscio vuoto. Pregai che quei
momenti aumentassero ogni giorno, anche solo di cinque minuti alla volta.
Poi piano piano attraversammo il parco e facemmo una passeggiata per la citt.
Era veramente da tanto che non camminavo cosć con lui per la strada.
Vorrei camminare fino ad arrivare lontanissimo, quando si Š stanchi si dorme
meglio, disse Hiroshi.
Andiamo da qualche parte, facciamo un viaggio, dissi.
Dove si potrebbe andare?
A Ogasawara? A Okinawa?
Va bene.
Mi piacerebbe vedere il mare.
A parte Atami e Ito, io il mare l'ho visto solo alla televisione.
Gi...
Perci• quella volta mi colpć un sacco.
Ci sono tanti posti dove il mare Š molto pi bello... Con il cielo azzurro e
la sabbia fine.., andiamo in uno di quei posti lć.
Tu finora dove sei stata?
Riflettei.
Alle Hawaii, a Guam, in Vietnam e in Australia, e poi ci sono state le gite
con la scuola. A parte le gite, per•, sono andata sempre con i miei o con la
mamma vera.
Tutti posti che conosco solo in fotografia, o dai regali che mi portavi.
Possiamo andare anche all'estero. Perch‚ intanto non chiedi il passaporto?
Sć, Š meglio, quando comincer• quella scuola non avr• pi il tempo.
Allora cercher• di fare un po' di soldi per il viaggio.
Anch'io controller• quanti soldi ho da parte.
Sotto la luce brillante del sole parlammo cosć, ma non c'era ancora l'energia
necessaria perch‚ questo progetto diventasse concreto. Capii che era una
fantasia di bambini, o ancora meglio una specie di formula magica. Bastava
buttare lć due chiacchiere piacevoli sul futuro, e almeno per un attimo
soffiava un vento nuovo, e tutti e due riuscivamo a dimenticare quella casa
irreparabilmente desolata.
Poi Hiroshi disse che voleva stare da solo per un po', e anche se durante la
giornata si affacciava, cominci• a passare sempre pi spesso le serate da solo
a casa sua. Per mettere da parte i soldi per quell'ipotetico viaggio,
cominciai a lavorare part time in un supermarket del quartiere.
Dato che si trattava di un periodo breve, e che dovevo solo lavorare come un
automa per alcune ore al giorno, tenendo la cassa e mettendo la spesa nei
sacchetti, la cosa era sopportabile. La sera aiutavo pi spesso mia madre
nelle sue traduzioni. In quei giorni probabilmente cercavo di distogliere lo
sguardo dalla nostra seconda crisi di coppia dopo quella dei tempi del liceo,
quando avevo sognato che Hiroshi era morto. Ero in ansia. Nei momenti di ansia
a stare inattivi la mente si allontana dal corpo, e finisce con alimentare
ancora di pi l'ansia.
E quell'ansia cerca di spingermi a qualche attivit, ma di solito ci• non
porta mai buoni risultati. Anche questo, l'ho imparato in giardino. Ogni volta
che mi veniva il dubbio di sbagliare in tutte le cose che facevo, pensavo al
giardino, dove avevo sempre guardato l'alternarsi delle stagioni: come nella
cerimonia del tŠ, ogni cosa sfuma nella successiva, senza nessun passaggio
superfluo. Lo sbocciare e l'appassire dei fiori, il cadere a terra delle
foglie secche, tutto prima o poi in un punto lontano si ricollega. Possibile
che solo per le persone non sia cosć? pensavo, e ritrovavo il mio equilibrio.
Perci•, smisi di agitarmi ogni volta che Hiroshi entrava in crisi. Facevo
quello che potevo in quel momento, e mi concentravo solo per evitare futuri
rimpianti. Per non compiere cose irreparabili.
Le persone dicono spesso che non esiste niente di irreparabile, forse per
consolare la loro parte pi debole, invece ci sono molte cose irreparabili,
provocate anche da una semplice svista, o da una distrazione. Ce ne rendiamo
conto soprattutto quando Š in gioco la vita. Hiroshi, che non voleva mai
uscire di casa per evitare che qualcosa del genere potesse accadere al nonno,
forse esagerava, ma lo sapeva bene. Per quante cose irreparabili possano
esserci, non si pu• fare altro che continuare a vivere: questo Š tutto quello
che la gente sa dire.
Forse perch‚ ero stanca a causa del lavoro in piedi, per alcuni giorni la sera
dormii nella mia stanza senza incontrare Hiroshi. In realt il fatto che ci
stessimo allontanando mi rendeva cosć triste che anche a costo di uno sforzo
avrei voluto vederlo. Ma pensando che come gli animali selvatici che si
chiudono nelle tane per curare le loro ferite, in quel momento Hiroshi aveva
bisogno soprattutto di stare per conto suo senza preoccuparsi degli altri,
andavo a trovarlo solo qualche volta di giorno per portargli qualcosa da
mangiare. Hiroshi sorrideva ma aveva una brutta cera e con la testa sembrava
essere altrove, anche se provavo a toccarlo era lontano. Quello che ci
separava era pi grande della palizzata di bamb che recintava il giardino o
della finestra della mia stanza. Prendevamo un tŠ o un caffŠ, facevamo qualche
chiacchiera superficiale, discutevamo l'itinerario di quel viaggio che non si
sapeva ancora se avremmo fatto, gli raccontavo episodi divertenti del mio
lavoro, e me ne andavo.
A volte sentivo che continuando cosć, con quel distacco, a poco a poco avremmo
finito con l'allontanarci del tutto. Quella notte non riuscivo a prendere
sonno completamente, e nel mio stato di dormiveglia continuai a fare lo stesso
sogno, svegliandomi infinite volte.
Nel sogno, Hiroshi veniva a bussare alla mia finestra.
Assonnata, aprivo gli occhi pensando: strano, perch‚ bussa se la finestra Š
aperta? Ma guardando mi accorgevo che era ingombra di quegli orribili pezzi di
carta venuti fuori dall'altare e sopravvissuti all'incendio, e non si apriva.
Volevo toglierli ma ero paralizzata e non mi usciva la voce. Allora pensavo:
vediamo, l'origine di questi pezzi di carta Š straniera, quindi ci vorr una
croce, ce n'era una in casa? e in quel momento sentivo il mugolćo di Olive che
era ai miei piedi. Ah, Olive, ci sei tu a proteggerci! e mi svegliavo.
Questo sogno si ripet‚ pi o meno nello stesso modo diverse volte, gettandomi
nella confusione pi totale. E se questa fosse la maledizione per aver
distrutto quell'altare? mi chiesi alzandomi. Il cielo a oriente aveva gi
cominciato a rischiarare.
Era quel momento, subito prima che al di l degli alberi appaia una piccola
luce, in cui Š solo il cielo ad accompagnare il mattino. Avevo una sete
terribile. Guardando il colore del cielo a oriente, mi convinsi che l'unica
bevanda capace di placare la mia sete era il succo di pesca. Perci• con gli
occhi cerchiati di nero e in pigiama arrivai sino al convenience store. Si
sentivano le voci acute degli uccelli. Tornando, bevevo avidamente il succo di
pesca, e intanto pensavo: non mi fa paura la maledizione, ma ho ancora nelle
orecchie il mugolćo di Olive, Š questo che mi stringe il cuore.
Aprii piano il cancello ed entrai nel giardino dove c'era un leggero chiarore.
Anche quando Š cosć minuta, la natura, tra la notte e l'alba, ha qualcosa di
feroce. Gli alberi, prima di bagnarsi alla luce del mattino, conservano la
loro energia e respirano tranquilli con una potenza tale da tenere le persone
a distanza. Una forza selvatica.
Appoggiata alle pietre sotto la camelia, aspettai il mattino. Restava ancora
molto succo, scacciai la fila di formiche che aveva cominciato a formarsi e ne
bevvi. Dolce, freddo, era delizioso.
Poich‚ ero assorta nel guardare il cielo, non mi accorsi dell'arrivo di
Hiroshi. Si avvicin• silenziosamente nella semioscurit, col suo pigiama
azzurro, quasi trasparente, come uno spirito che si fondeva col giardino.
Non riuscivi a dormire? chiesi.
Hmm, in questo periodo non dormo mai, rispose.
E' tremendo stare stesi per ore con gli occhi spalancati, dissi.
Gi. Anche se a non dormire non succede niente di grave, uno si sente sempre
pi oppresso, disse.
Se provassi a bere qualcosa di forte? suggerii.
Le conversazioni all'alba, chiss perch‚, hanno un suono ovattato, e si ha la
sensazione che tutto il mondo sia in ascolto.
Ci ho provato, a bere, ma mi Š venuta la nausea e ho vomitato, cosć Š servito
solo a svegliarmi ancora di pi.
Ah.
Perch‚ invece non mi dai un po di quel succo.
Prendi. Ho comprato anche del tŠ verde e onigiri.
Sć, dammeli.
Hiroshi scol• il succo di pesca fino all'ultima goccia, aprć gli onigiri
facendo crocchiare il foglio di alghe, ne mangi• met insieme a me, e bevve
anche il tŠ. Nell'aria fredda, la sensazione di calore nel punto dove le
nostre spalle si toccavano, mi diede una pace che non avevo mai provato. Dopo
tanto tempo avevo la sensazione di essere davvero con lui.
Sotto i nostri sederi dormivano Olive e l'osso di quello che forse era il
fratello di Hiroshi. Hiroshi invece era vivo nel mondo, ben sveglio, e beveva
un tŠ caldo accanto a me.
Comunque stai tranquillo: verr il giorno che dormiremo per sempre, dissi. A
quelle parole, scoppi• in lacrime.
Piangeva con sofferenza, con tutta la forza del suo corpo, quasi come se
vomitasse. Ma anche se quel pianto sembrava consumarlo, pensai che forse
l'energia vitale di Hiroshi era pi forte di quanto apparisse. Ho sentito dire
che se da bambini non si piange con tutte le forze, la crescita ne sar
danneggiata. Si dice anche che quando il bambino cade e scoppia a piangere,
per il suo sviluppo psicofisico sia meglio non cercare di farlo smettere. Ora
che Hiroshi ha trovato un posto in cui piangere, Š meglio che pianga quanto
vuole, pensai. Scusa, forse sono stata troppo brutale, cercai di scusarmi, ma
lui disse: no, non Š questo.
Se penso che un giorno tu morirai, spieg•. Vengo preso da una paura che non so
controllare, e anche il semplice fatto di uscire, di andare alla scuola, mi
sembra un'impresa impossibile. Ma l'idea che stiano per ricominciare quelle
giornate piene di terrore e di angoscia Š talmente orribile che mi dico: se
devo vivere cosć, preferisco morire insieme a Manaka, ed Š un pensiero che non
riesco pi a bloccare. Non sto parlando di ucciderti o di suicidarci in due,
penso solo a quanto sarebbe bello morire insieme, perch‚ cosć non dovrei
assistere alla tua morte.
Non mi piace per niente. Muori da solo, dissi.
Dentro di me ebbi la netta sensazione che Hiroshi, che non avevo mai pensato
potesse nutrire il minimo pensiero morboso, avesse toccato davvero il fondo.
Siccome non parlava mai di cose che non avesse a lungo elaborato, quando
diceva qualcosa faceva sempre sul serio. Nel fondo del suo essere, le pi
strane fantasie stavano acquistando il sapore della realt.
Anche questo sarebbe un modo per non assistere alla mia morte, no?
Hiroshi rimase in silenzio.
Adesso io sono viva, dissi. E che tu ti preoccupi o no, quando sar il momento
di morire, morir•. Ora che Š morto il nonno, Š venuta a mancare anche la fonte
delle tue angosce, e siccome eri abituato a quello stato di preoccupazione
continua, adesso hai paura di un modo diverso di vivere, Š tutto qui.
In realt io non avevo vissuto la paura dell'attimo in cui il nonno si sarebbe
separato da lui per sempre, e quindi se pensavo allo shock che doveva aver
subito Hiroshi, sentivo una gran pena per lui, ma quelle furono le uniche cose
che potei dirgli.
Potrei provare ad andare da sola in Brasile o in qualche altro posto
particolarmente pericoloso e farti vedere che torno sana e salva. Ma quando
sar il momento, potr• morire anche qui, in questo quartiere. Che tu ti
preoccupi o meno.
Ho capito, disse Hiroshi.
Invece di lasciarti dominare dal modo di pensare a cui ti sei abituato in
tanti anni, cerca di vivere serenamente, come faceva Olive. Vivendo,
sicuramente verr il giorno in cui sentirai di aver dimenticato il trauma di
questo momento. Insomma, ormai dovresti essere stufo anche tu della vita che
hai fatto finora. Se devi trovare un sostituto del nonno per continuare a
vivere nella paura, a un certo punto non saprai neanche pi che vivi a fare.
In tutte le cose, per ogni lato triste ce n'Š anche uno positivo. E' triste
che il nonno sia morto, ma la sua non Š stata una morte dolorosa o terribile.
E tu da adesso non hai pi bisogno di stare sempre in ansia. Perch‚, proprio
ora che la tua vita sta per cominciare davvero, fai dei discorsi cosć lugubri?
Hiroshi seppellć la faccia nel mio petto e pianse disperatamente. Le lacrime
scorrevano sul mio pigiama e sul prato. Sembrava una cerimonia funebre. Ma
anche questo, forse, non sar inutile, pensai. Le lacrime di Hiroshi saranno
assorbite dalla terra e consoleranno i morti. Sicuramente arriveranno fino al
nonno. Tutte le preghiere, il dolore, la solitudine di tanti anni, si
scioglieranno in queste lacrime. Le assaggiai, erano salate.
Nell'aria, come per magia, la chiara presenza della luce bianca del mattino
cominciava a fondersi all'azzurro. Poi l'alba fu quel momento indefinito in
cui qualunque cosa venisse confessata, era perdonata. Nel confine tra sogno e
realt, Hiroshi piangeva tutte le sue lacrime.


BOUQUET.
In quei giorni mi buscai una brutta influenza. Non potei andare al lavoro per
una settimana, e cosć fui licenziata. Ma la cosa peggiore era che a causa
della febbre alta e del forte mal di testa, non riuscivo neanche a dormire.
Andai dal medico che mi fece una grossa iniezione e mi riempć di medicine, ma
non feci che peggiorare, la febbre si abbass• solo per poche ore e avevo
dolori per tutto il corpo.
Hai preso troppo a cuore la situazione di Hiroshi, comment• mia madre. A stare
con qualcuno cosć depresso, anche la persona sana comincia a star male
fisicamente.
In quei giorni la mamma era molto occupata e quindi ero io a cucinare. Ma
stando cosć male, il massimo che potevo preparare era l'okayu. La mamma,
contenta, lo mangiava tutti i giorni. Durante la notte, mi svegliava dicendo:
Š ora di prendere la medicina. Mi portava anche un gelato, e mangiarlo insieme
a lei era il mio unico piacere. Ogni tanto mi venivano le lacrime agli occhi,
perch‚ mi sembrava di essere tornata bambina. Era tanto tempo che non veniva a
svegliarmi di notte con un sorriso, dicendo cose tipo: Io ho troppa voglia di
gelato al tŠ verde, quindi a te ho portato quello alla vaniglia. In effetti
credo che, dopo il mio matrimonio, il pensiero che si era formata una nuova
unit familiare avesse innalzato un muro invisibile tra noi.
Ogni tanto Hiroshi veniva alla finestra, ma siccome con i problemi che aveva
non mi sembrava il caso di trasmettergli quell'influenza cosć brutta, evitavo
di farlo entrare troppo spesso e non lo baciavo.
E poi un mattino, come portato dallo spirito di un racconto di fate, trovai
sul davanzale della mia finestra un piccolo bouquet di fiori di campo.
Probabilmente aveva aperto piano la finestra, e sempre senza far rumore per
non svegliarmi, lo aveva posato sul davanzale. Era un morbido mazzetto, con
tanti trifogli che brillavano ai raggi del sole. Il giorno dopo trovai un mix
di erbe selvatiche e fiori gialli di cui non conoscevo il nome. Ogni giorno
c'era un tipo di fiore diverso. Evidentemente Hiroshi sta andando tutti i
giorni al parco a guardare i cani, pensai. Avevo la sensazione che ognuno di
noi due stesse combattendo per conto proprio in un posto diverso.
Vedendolo tutti i giorni per tanti anni, e avendolo conosciuto fino in fondo
anche nei suoi lati negativi, c'erano molte occasioni in cui mi sentivo
limitata dalla sua presenza.
Allora perch‚ ogni giorno, quando trovavo sul davanzale della finestra uno di
quei piccoli bouquet di fiorellini di nessun valore, quasi mazzetti di
erbacce, posato lć senza che me ne accorgessi, come da un gatto che viene a
lasciare degli uccellini, provavo una fitta al cuore?
Grazie al riposo, stavo molto meglio ed ero di nuovo in grado di mangiare con
gusto cose diverse da okayu e gelati. Quella sera cen• da noi anche Hiroshi.
Mio padre era in viaggio per lavoro. La mamma si mise d'impegno a cucinare
spaghetti alle vongole con molto peperoncino. Io e Hiroshi guardavamo la tiv
nel soggiorno. Era un documentario sul mare e stavano facendo vedere i
delfini. Nuotavano in modo stupefacente, allineati, saltando, giocando,
guizzando, instancabili. Guardavo rapita, in silenzio. Anche Hiroshi guardava
senza parlare.
A proposito, disse Hiroshi qualche istante pi tardi, quando la scena si
spost• dai delfini a un esperto in materia. Ho avuto il passaporto. Se ti va,
andiamo da qualche parte.
E quando l'hai fatto?
Mentre tu eri a letto con l'influenza.
Caspita.
Possibilmente vorrei andare prima che comincino le lezioni, disse Hiroshi.
Ti sei anche iscritto alla scuola? Non Š che stai facendo troppo?
Non posso mica starmene sempre chiuso in casa.
Era la risposta che avrebbe detto un giovane normale.
Perch‚ non andate da tua madre? Anche noi saremmo pi tranquilli, disse la
mamma a voce alta mentre cucinava. Ebbi l'impressione che l'avesse detto tutto
d'un fiato, come se pensasse: ora o mai pi. Forse anche lei non sopportava di
stare a guardarci in quella fase pericolosa.
Andiamo da mia madre, a Brisbane? Credo che ci saranno anche i delfini, dissi.
Per me va bene. Spero solo, dato che Š la prima volta che vado all'estero, di
non diventare una palla al piede.
Non ti preoccupare, tanto io ci sono gi stata.
I viaggi con Hiroshi venivano decisi sempre cosć all'improvviso. Ero ancora
sotto l'effetto di tutte quelle sorprese, ma non trovando qualcosa da dire,
tornai a guardare i delfini in tiv. Seduti intorno al tavolo, io, la mamma e
Hiroshi mangiammo quegli spaghetti piccanti. Erano cosć buoni! Non mi sembrava
vero poter di nuovo apprezzare qualcosa che non fosse l'okayu o il gelato.
Si decise che mi sarei occupata io di acquistare i biglietti e cose del
genere, e Hiroshi and• a casa a prendere il passaporto. Come se niente fosse,
si era tutt'a un tratto creata un'atmosfera come se avessimo sempre vissuto
una vita piena di energia. E poco importava se io ero ancora in pigiama, avevo
perso qualche chilo e non mi reggevo del tutto in piedi.
Manaka, spero proprio di non aver detto qualcosa di inopportuno, disse di
punto in bianco la mamma mentre Hiroshi non c'era. Siccome stavo lavando i
piatti, e non avevo sentito bene, chiesi: Scusa, non ho capito.
Non Š che non volevi andare a Brisbane e ti sei trovata coinvolta per colpa
mia? disse lei.
No, assolutamente. Sono felice, dissi.
Ah, meno male. Avevo la sensazione che aveste bisogno di cambiare un po' aria.
La mamma sorrise e torn• nella sua camera.
E' solo in situazioni del genere che ricordo che tra noi non esistono legami
di sangue. Io invece ero veramente felice di avere ricevuto quella spinta.
Se comportandomi normalmente davo l'impressione di agire controvoglia, forse
c'era un problema, ma a me sembrava sempre, nella maggior parte dei casi, che
tutti agissero con un certo sforzo. Non capivo perch‚ si dessero tanta pena,
n‚ a che cosa mirassero.
Non che la mia vita traboccasse di tutte queste cose meravigliose. Poteva
passare la cosa pi sfolgorante, io mi godevo solo il luccichio della coda.
Nella vita di tutti i giorni, non credo di essere viziata. Non cerco mai di
anteporre i miei umori al lavoro o ai problemi di mia madre, che per me si Š
organizzata in modo da lavorare in casa. Per esempio, per quanto i miei ci
tenessero, non gli ho mai fatto spendere denaro inutile per mandarmi a
un'universit che forse non avrei neanche frequentato. E poi,
fondamentalmente, qualunque sia la situazione, non tratto mai con leggerezza
le cose che dice Hiroshi. Qualunque sia il mio umore, ho considerazione per la
salute. Sono molto realistica. Se non lo fossi, il giardino non mi indurrebbe
alla meditazione. Il paesaggio del giardino sarebbe diventato solo uno
scenario di sogno, la proiezione mentale di una creatura viziata, e anche i
miei, nonostante il loro amore per me e il mio strano stile di vita, in
qualche parte di s‚ avrebbero provato il desiderio di cacciarmi. Quindi anche
da vecchia, avrei passato tutto il mio tempo in giardino, presa solo da me
stessa. Non ero cosć debole. Tuttavia, anche se cercavo di guardare fisso la
realt, c'era una cosa che percepivo: Se continuo a restare cosć come sono
qualsiasi cosa accada, forse mi sar permesso, alla fine di questo sogno cosć
bello e luccicante, di sparire dal mondo.
Questa, per me che avevo vissuto sempre con diligenza, senza grandi eventi e
grandi felicit, era una magća, una grazia che il giardino, la natura e le
piccole gioie mi avevano concesso.
Da allora vivemmo concentrati solo sul viaggio. Quando vidi il passaporto
fiammante di Hiroshi e la sua nuova foto, percepii una specie di allegria che
mi rese felice. Telefonai anche alla mamma di Brisbane. Capii che mirando a
uno scopo, la realt procedeva nel verso giusto.
Hiroshi riprese a dormire nella mia stanza.
Una sera, avevamo appena spento la luce quando un soffio di vento, penetrato
dalla finestra, mi port• al naso l'odore dei bouquet di Hiroshi che stavo
lasciando essiccare. Ricordandomene, dissi: Grazie per i fiori che mi regalavi
ogni giorno.
Mi divertivo a prepararli. Per prendere dei fiori piccolini sono arrivato fino
alla riva di un fiume che sta molto lontano, rispose.
C'erano anche dei quadrifogli, dissi.
E lui: Li ho trovati abbastanza facilmente.
Grazie, mi hanno reso molto felice, buonanotte.
Buonanotte.
Nel buio, il secco profumo dei bouquet che Hiroshi aveva composto per me,
aleggiava piacevolmente.


SECONDA LUNA DI MIELE.
In aereo Hiroshi era muto. Neanche a me piacciono gli aerei, anzi, ma quando
uno sente sulla pelle la pena nascosta nel fondo di un altro, la propria
sembra diventare meno importante. In ogni caso, Hiroshi era un adulto. E su
una cosa ormai decisa, per quanto potesse soffrire, non si sarebbe mai
lamentato. L'ammiravo perch‚ invece di scaricare il suo disagio su di me, se
ne stava chiuso in s‚, il corpo irrigidito, aspettando che passasse. Ma mi
faceva anche pena. Pensai che se quando sto male posso lamentarmi ad alta
voce, Š perch‚ sono cresciuta in un ambiente dove ci• mi era concesso.
Comunque, finalmente atterrammo all'aeroporto di Brisbane, nuovo fiammante,
dove la luce del mattino inondava la terra che, ricoperta da una fitta
vegetazione, si estendeva a perdita d'occhio, e li nell'atrio aspettammo mia
madre. Anche il viso di Hiroshi stava gradualmente riacquistando colore.
In passato gli avevo parlato molto di quanto ero stata bene la prima volta che
ero venuta a Brisbane da sola. Forse quei racconti avevano riposato a lungo
dentro di lui come semi, e alla fine avevano contribuito a decidere la meta
del viaggio. Al momento, mi rendevo conto io stessa che stavo esagerando, per•
ero talmente eccitata che non potevo smettere. Ma adesso pensavo che era stato
un bene parlare. A Hiroshi avevo anche raccontato molto della mia madre vera,
soprattutto dei miei incontri con lei. Con la mia mamma acquisita era
difficile parlarne, perch‚ da un lato sembrava che volesse sapere tutto del
nostro incontro, ma in realt pareva anche un poco volerlo evitare. Perci• le
cose che avevano provocato in me emozioni che andavano al di l di: Mi sono
divertita, ed: E' stato interessante, le raccontavo a Hiroshi.
Suo marito aveva una ditta di cosmetici naturali, e il lavoro di mia madre
consisteva nel disegnare le confezioni, le illustrazioni per la pubblicit, e
cose simili. La ditta progettava di aprire in futuro un punto di vendita anche
in Giappone, perci• ogni tanto loro due ci venivano. Poich‚ mia madre sin
dall'inizio mi aveva scritto o telefonato regolarmente per il mio compleanno e
altre ricorrenze, ho saputo solo molto pi tardi, quando ho cominciato a
osservare le altre famiglie, che quando una madre se ne va di casa, di solito
non intrattiene rapporti cosć tranquilli con la propria figlia. Anche mio
padre e la mia mamma acquisita sembravano molto rilassati al riguardo. Le
lettere di mia madre erano sempre sentimentali, drammatiche, mi chiedeva
consigli. Non sembravano scritte da un adulto, perci• erano interessanti.
Ricordo una sera, durante una sua visita in Giappone, quando io ero ancora al
liceo. Natale era vicino e mia madre volle comprarmi una collana molto
costosa. Il suo gesto, nel momento in cui tir• fuori i soldi dal portafogli,
era cosć simile al mio che rimasi incantata a guardarla. Si parla tanto di
ereditariet, ma Š pi facile capirla se la si pu• osservare con i propri
occhi. Ah, realizzai, le cellule di questa persona vivono dentro di me, e
cercando di riprodurre lo stesso movimento si manifestano all'esterno. Anche
il negoziante, nel vedere mia madre che comprava un gioiello costoso a una
ragazza con l'uniforme alla marinara del liceo, mi disse: com'Š gentile la sua
mamma! Siete proprio due gocce d'acqua. Noi due ridacchiammo.
Siccome ogni pochi anni ci incontravamo, anche quella volta fra noi non c'era
imbarazzo. Mentre cenavamo, io dissi: Š probabile che presto mi sposer•. Lei
chiese: sei incinta? No? Allora, se non sei incinta, mi sembra strano pensare
al matrimonio quando non hai nemmeno finito il liceo. Non ragioni come una
della tua et! E che farai se dopo ti innamori di qualcun altro? Con quanti
ragazzi sei stata finora? Mi sottopose a una raffica di domande del genere,
come avrebbe fatto un'amica. Io risposi: con diverse persone si Š creato un
certo feeling, ma tutte le volte in un modo o nell'altro c'era sempre di mezzo
Hiroshi, e siamo arrivati a questo punto.
Ma siccome tutto pu• succedere, se dovessi innamorarmi di un altro, ne
parleremo al momento. Ah, che tenerezza, sembrate una coppia di vecchi
coniugi, rise mia madre. Quella sua naturalezza, la sensazione del suo sorriso
mi diedero un enorme calore. A sentirmi fare le stesse domande da tutti, e a
ricevere le stesse reazioni, a volte succedeva che anche cose di cui non mi
ero mai preoccupata, si trasformassero di colpo in problema, del resto tutto
ci• che aveva a che fare con Hiroshi era un genere che non si poteva esprimere
facilmente in parole, perci• non mi sentivo mai tranquilla. Ma il viso
sorridente di mia madre mi rasserenava.
Poi, camminando lungo le fredde strade di Ginza dove sembrava dovesse nevicare
da un momento all'altro, la accompagnai all'albergo. Dć, Manaka, fece a un
certo punto mia madre, ti d fastidio se ti prendo per mano? Io risposi:
veramente con l'altra mamma e con Hiroshi non l'ho mai fatto.
Ma lei a forza mi prese la mano. Visto che non potevo fare altro, decisi di
adattarmi alla situazione e godermi la camminata. Il calore della sua mano e
il freddo pungente dell'aria, il respiro bianco dei passanti, la sensazione,
guardando Waki e Mitsukoshi apparire sullo sfondo del cielo notturno, di
essere all'estero, la canzone che cantammo facendo dondolare avanti e indietro
le mani che tenevamo unite: tutte queste cose che sul momento non sembravano
niente di speciale, mi lasciarono una profonda impressione. Era stato bello.
E nel ricordarmene, la gioia Š anche pi forte di quella che sentii allora, il
che mi aiuta a capire l'importanza che lei ha per me.
Quando vidi mia madre all'aeroporto ebbi la grande sorpresa di scoprire che
era incinta. Aveva gi una pancia enorme, come se dovesse partorire da un
momento all'altro. Incredibile, pensai, un bambino per met straniero che ha
il mio stesso sangue, sar sicuramente carino, poi subito mi venne in mente
che la prossima volta che ci saremmo viste avrei potuto tenerlo tra le
braccia, e quasi mi venne un capogiro. Ebbi la sensazione che il mondo fosse
tanto grande, e pieno di infinite possibilit.
Mia madre ci fece salire in auto, e guid• spedita verso il centro della citt.
Poi, arrivati a casa, con una stupefacente rapidit spieg• a Hiroshi chi era e
cosa faceva, ci mostr• le stanze, prepar• il caffŠ, disse: in questo momento
lo studio Š inutilizzato quindi usatelo pure come vi pare, poi aggiunse:
stasera ho un impegno perci• devo andare, ma domani sera ceniamo insieme, eh!
vi telefono io, e uscć. Fu un incontro turbinoso. Siccome ero gi stata nello
studio alcuni anni prima, sapevo pi o meno orientarmi.
Hiroshi era ancora frastornato. Il che era comprensibile. Per lui, che fino a
pochi giorni prima era stato confinato in casa a mettere in ordine le cose
lasciate dal nonno, trovarsi catapultato da un momento all'altro in una casa
piena di spazio e dai soffitti alti, senza giardino n‚ tatami n‚ vento umido,
doveva sembrare tutto un sogno. Sentendomi stanca perch‚ in aereo non ero
riuscita a dormire molto, decisi di riposare un po'. Presi una coperta e mi
stesi sul pavimento, subito raggiunta da Hiroshi che si mise con la testa ai
miei piedi, e cosć sistemati guardammo il soffitto.
Perch‚ non ci mettiamo per bene a letto? chiese Hiroshi con una voce molto
assonnata.
Qui ci sono solo i futon, e non ho la forza di stenderli, risposi. E poi se ci
mettiamo a dormire sul serio non ci sveglieremo prima di domattina. Non ti va
di fare una passeggiata tra un poco?
Il sole Š cosć forte che non riesco a dormire.
Non importa, basta stare stesi per togliere un po' di stanchezza.
Manaka, anche tu un giorno diventerai tutta tette e culo come tua madre?
E' cosć perch‚ Š incinta. Prova a mettermi incinta e vedrai che tette.
Forse Š ancora un po' presto. E poi ci mancano i soldi.
Infatti.
E mentre parlavamo cosć distrattamente, venimmo colti tutti e due da un
invincibile torpore, e un attimo dopo scivolammo in un piacevole sonno. Dalla
finestra penetrava un venticello fresco, e anche a occhi chiusi avvertivo le
gambe di Hiroshi accanto a me. Avevo di nuovo dimenticato quanti anni avevamo.
Anche da bambini facevamo spesso la siesta in questa posizione.
Mi svegliai di colpo, e vidi Hiroshi che mi guardava fisso.
Mi sono svegliato in un posto che non conoscevo, disse. Per• accanto come
sempre c'eri tu, e poi non riuscivo a capire che ora era. Ho avuto una
sensazione stranissima. E' come un sogno che faccio spesso, e poi questo cielo
Š troppo azzurro, mi sembra proprio di stare sognando.
Anche a me, risposi ancora tutta assonnata.
Attenta, hai qua un po' di saliva.
Grazie.
Poco fa, mentre guardavo la tua faccia, ho avuto una visione di te in piedi
sotto la camelia, con le ginocchia sporche di fango, incinta.
Sar una premonizione?
Chiss.
In quel momento credo che tutti e due ci siamo chiesti che cosa stavamo
facendo. La luce del pomeriggio penetrava dalla finestra insieme a un
cambiamento di colori vertiginoso, come a dire: questo momento non si ripeter
pi. I forti raggi del sole trasformavano per incanto in oro tutto quello che
c'era nella stanza, dai mobili al colore del soffitto, tutte cose nuove ai
nostri occhi... Nessuno sa cosa verr dopo. Se fossimo riusciti a liberarci
dal peso della situazione attuale, tante cose si preannunciavano gioiose. Ma
la luce di adesso splendeva pi bella, pi forte di qualsiasi fantasia su un
futuro ancora tutto da scoprire. Era sempre cosć.
Dopo essere arrivati fino a Brisbane, quello che Hiroshi voleva per cena erano
le penne all'arrabbiata. Il percorso che aveva fatto dagli udon a questa nuova
passione per la pasta era cosć trasparente che ne ero intenerita. La voglia di
sapori pi intensi mi sembrava un simbolo del fatto che il suo spirito si
stava rafforzando e cominciava a rivolgersi anche all'esterno.
Sembrava un sogno uscire con i sandali, portandosi dietro giusto il
portafogli. Camminando per strada, di colpo mi ricordai le caratteristiche di
questa citt. L'atmosfera piacevole, la ricchezza, il cielo tanto alto e
trasparente da suscitare quasi una sensazione di noia e di malinconia,
entrarono in me con forza. Ci sono cose di un posto che non si ricordano se
non tornandoci, e io assaporai quel momento di riconoscimento. Dava una
sensazione di libert.
Dopo aver fatto un bel po' di strada, arrivammo in un posto dove sorgeva un
immenso centro commerciale, di una grandiosit incredibile, che sembrava quasi
una localit turistica. Mentre eravamo nel supermarket a fare la spesa, presa
com'ero dal guardare tante cose, e nel vedere come sempre Hiroshi al mio
fianco, mi dimenticai di nuovo di essere all'estero. Proprio in mezzo al
centro commerciale c'era un bar e siccome avevamo sete prendemmo una birra
australiana. Forse anche per la stanchezza, l'alcol mi fece subito effetto e
sentii che ero diventata rossa. Mi girai, e vidi che anche Hiroshi era
rossissimo. Quasi da far pensare che fosse per la luce del tramonto. Le
persone che si aggiravano per quel centro davano l'impressione di essere tutte
nel pieno delle loro attivit, di procedere ognuna verso la propria
destinazione con un'aria allegra. Verso sera tutti sembrano pi felici. Forse
anche le persone sole, confuse nella fiumana di quelle che hanno un posto dove
andare, si sentono un po' consolate. I negozianti, preparandosi alla chiusura,
si liberano dalla stanchezza di una giornata, ristoranti e bar cominciano ad
accendere le insegne, mostrando la loro energia. Nell'assistere a questo
sfoggio di vitalit, comincio a pensare che dalla mia partenza ad adesso,
l'unica ora di pace sia questo momento di passaggio tra il giorno e la sera.
Per la strada le luci si moltiplicano, una dopo l'altra vengono a galla nitide
nel crepuscolo. La sera Š l'ora che comincia a far brillare la vita. La
giornata si fa pi profonda, e il paesaggio rende pi intensi i suoi tratti
speciali. Era cosć bello che tirai un sospiro.
Quando mi girai, vidi che Hiroshi, la faccia sepolta nel sacchetto del
supermarket, piangeva. Lo guardai sbalordita. Lui scosse la testa. Perci• non
dissi niente. Smise subito di piangere, e come se niente fosse chiese: non ti
va un caffŠ? Cosć ci rimettemmo in cammino, alla ricerca di una buona
caffetteria.
Forse Š stato colto di sorpresa dalla bellezza dell'arrivo della sera, pensai.
La sorpresa era un'emozione che negli ultimi tempi non apparteneva a Hiroshi.
E forse l'emozione era traboccata con forza.
Un processo di guarigione Š bello da vedere. Somiglia al mutare delle
stagioni. Le stagioni non cambiano mai in meglio. Semplicemente, seguendo un
corso naturale, le foglie cadono e ricrescono, il cielo si fa pi azzurro e
pi profondo. Allo stesso modo, si pu• stare talmente male da pensare che sia
la fine del mondo, ma quando questa condizione comincia gradualmente a
cambiare, senza che sia successo qualcosa di particolarmente buono, avvertiamo
una forza enorme. Improvvisamente le cose da mangiare riacquistano sapore, e
da un momento all'altro ci accorgiamo di aver ritrovato il sonno: se uno ci
pensa, Š una cosa straordinaria. La sofferenza, seguendo lo stesso percorso
per cui era venuta, scompare con noncuranza.
Il cammino di Hiroshi, da quando il nonno aveva cominciato a star male fino ad
adesso, assomigliava molto a questo. Si pu• essere confinati in una stanza
all'interno di un grattacielo senza vedere montagne n‚ fiumi n‚ mare, ma
finch‚ nel nostro corpo scorre il sangue, l'uomo vive immerso in un flusso che
Š uguale a quello della natura.

SOGNI, KOALA, IL MARE DI NOTTE.
Esattamente come se fossimo in Giappone, io e Hiroshi cenammo con tutta calma,
guardammo un po' alla tiv programmi per noi sconosciuti, facemmo la doccia e
ci preparammo tranquillamente per la notte. Quando, spenta la luce, accesi una
piccola lampada, tutta la stanza si color• del luminoso rosa salmone delle
coperte.
Che bello, in Giappone non c'Š biancheria di questo colore, disse Hiroshi.
Gi, Š vero, pensai, e restammo tutti e due per un po' di tempo a guardare la
stanza. La combinazione della luce fioca e di quella leggera gradazione di
rosa aveva una grazia speciale. Il contatto con le lenzuola fresche, la luce
della lampada che si rifletteva morbida sull'alto soffitto, mi fecero pensare
che la stanza fosse stata costruita ispirandosi a un'idea piena di calore,
vicina a quella della felicit. Nel silenzio, guardando il profilo di Hiroshi
accanto a me, pensai: da quando sono nata, la maggior parte del tempo l'ho
trascorsa con lui.
Pensai che, come Olive per caso era stata allevata a casa nostra e cosć, che
lo volesse o no, aveva trascorso insieme a me tutta la sua vita, anche noi,
allo stesso modo, non avevamo avuto la possibilit di scegliere.
Poi ripensai alla bellezza da togliere il fiato delle luci e del colore del
cielo al centro commerciale allo scendere della sera, che tra le tante cose
belle che avevamo visto meritavano una posizione privilegiata. Il solo ricordo
mi riempiva il cuore di quell'aria trasparente. Da quel momento era gi
passata qualche ora. Quella luce e il tepore della mano di Hiroshi erano gi
diventate ricordo. Non sarebbero tornate pi. Anche la mia mano di adesso che,
alla luce della lampada, splendeva di quel rosa chiaro come la mano di un
neonato, abbandonato piacevolmente il mio corpo alla stanchezza di questa
giornata, al sole del mattino sarebbe svanita. Ma almeno per il momento non
volevo ricordare quella cornice chiamata tempo che esiste nella nostra mente e
nel mondo della ragione.
Hiroshi, in realt ti sarebbe piaciuto vivere all'estero?
Avresti voluto andare in America? chiesi.
No, per niente, rispose lui deciso.
Io tacqui. Anche Hiroshi rest• in silenzio per un po', poi improvvisamente
disse: Come sai volevo fare il parrucchiere di animali, ma forse c'Š in me
qualche cosa di strano.
Che vuoi dire?
A volte, ho la sensazione di capire quello che dicono gli animali.
Ah.
Sorpresa, mi alzai a sedere. La mia ombra si mosse, ingigantita.
Ecco, non ci credi, disse.
Il punto non Š se ci credo o non ci credo... comunque, guarda, domani pensavo
di andare a vedere i koala, e se capisci quello che pensano, dimmelo.
Non sapendo se dovevo considerarlo uno scherzo, insolito per Hiroshi, o
prenderlo sul serio, diedi una risposta neutrale.
D'accordo, domani cercher• di ascoltare i pensieri dei koala... ma adesso
basta, sono all'estero con la ragazza che mi piace e mi metto a fare questi
discorsi, devo essere scemo. Considerando che anche tu prima o poi morirai, Š
meglio fare discorsi pi interessanti.
Sono sempre sufficientemente interessanti, stai tranquillo.
Le parole: la ragazza che mi piace, mi erano arrivate dritte al cuore.
Siamo stati in silenzio per un po', poi dal respiro ho capito che si era
addormentato. Dato che in aereo non aveva mai chiuso occhio, doveva essere
molto stanco. Ultimamente, forse perch‚ ero sopraffatta dal sonno carico di
tensione di Hiroshi, dal suo corpo rigido, perch‚ ero risucchiata dalla sua
tristezza, o solo perch‚ ero malata, non sognavo e la mattina mi svegliavo col
corpo tutto dolorante.
Guardando il sonno di Hiroshi che per la prima volta da tanto tempo non era
agitato dagli incubi, e aveva un respiro forte e regolare, ebbi la sensazione
che anch'io avrei finalmente potuto sognare. Fare un sogno che esprimesse nel
modo pi diretto, non la persona che pensavo di essere, ma il mio cuore.
E fu cosć che feci questo sogno.
Io e Hiroshi ci trovavamo alla soglia di una separazione che sarebbe durata
almeno alcuni anni, e camminavamo su una grande prateria di cui non si
vedevano i confini. Il cielo era di un colore in cui si fondevano arancio,
rosa e rosso. Era probabilmente il momento pi intenso del tramonto. La
ragione per cui avremmo vissuto separati era che la madre di Hiroshi era stata
ritrovata, e poich‚ lei viveva in Olanda lui sarebbe andato a studiare l. Nel
sogno sembrava esserci una ragione per cui non potevo seguirlo. Dopo avere
parlato di questo, eravamo usciti e chiss perch‚, ci eravamo trovati in
quella prateria. Mi sentivo svuotata e desolata, come se su di me si fosse
abbattuta una tempesta.
Stasera cosa mangiamo? chiesi.
Era cosć bello, questo nostro modo di vivere, fu la risposta di Hiroshi.
Pi forte della tristezza, era la sensazione che ci fosse qualcosa di
sbagliato. Se avessi capito che era un sogno, avrei voluto svegliarmi al pi
presto. Ma poich‚ nel sogno quella era la realt, io e Hiroshi, che non
riuscivamo a separarci, continuavamo a camminare all'infinito su quella
prateria. Cominci• a levarsi il vento, mentre il rosso del cielo diventava
sempre pi acceso. Arrivati a una piccola altura, cominciammo a salire in
silenzio, col fiato corto. In basso si vedevano le luci della citt.
Sembravano tante perline bianche scintillanti che venivano a galla a una a una
dalle profondit azzurro indaco del mare. Le punte dell'erba tremando al vento
brillavano dorate. Io mi sedetti, e Hiroshi mi imit•. Nel cielo le nuvole
cambiavano rapidamente colore, mentre si allontanavano fluttuando verso
occidente.
E' cosć bello, dissi.
E un'atmosfera malinconica si materializz• di colpo insieme alle mie parole.
Sento che siamo amanti molto pi di come Š stato finora, disse Hiroshi.
Questo vuol dire che forse non abbiamo seguito l'ordine giusto.
Forse.
Per• ormai Š troppo tardi, dissi io.
Mi vennero le lacrime agli occhi. Seppellii il viso nella spalla di Hiroshi.
Perch‚, anche se la fiducia e l'amore non sono diminuiti neanche un po', provo
una sensazione cosć triste? Anche se il mondo Š cosć bello? pensavo.
Che cosa dolorosa Š lo scorrere del tempo! Io in carne e ossa posso
sopportarlo, ma nel sogno sono delicata, incapace di difendermi... molto pi
fragile, evanescente, e nuda. Quando mi resi conto che stavo pensando cosć, mi
dissi: ah, ma forse questo Š un sogno. Spero che lo sia, prego che sia solo un
sogno. Subito smisi di piangere. Poi, guardando il paesaggio dai colori
sfumati, sentendo l'odore dell'erba e la carezza del vento sulla pelle, pensai
che per essere un sogno era molto vivido. Ma quanto avrei voluto che fosse un
sogno. Per quanto potessi annoiarmi, per quanto potessi esserne stufa, volevo
stare con Hiroshi. Non potere toccarlo ogni giorno sarebbe stato doloroso come
non poter pi toccare Olive, come... sć, come se lui fosse morto.
Sopraffatta dalla bellezza del paesaggio e dalle emozioni troppo forti, non mi
usciva la voce. La sera tardava a scendere, e il cielo a occidente continuava
a splendere bianco. Bianco come le luci al neon. Meglio che non venga, la
sera, pensai. Mi rifiutavo di immaginare il tempo della mia vita senza
Hiroshi.
Poi uno dopo l'altro quei trasparenti rosa e arancio furono riassorbiti dal
cielo. Era di un colore che mi suscitava nostalgia, come se lo avessi visto
prima di nascere.
Ma perch‚ fai certi sogni?! mi dissi, arrabbiata con me stessa, al risveglio.
Cercai Hiroshi, ma non c'era. Probabilmente si era svegliato prima ed era
uscito a fare una passeggiata. Nel vedere accanto a me il suo futon,
accuratamente piegato come lo lasciava sempre Hiroshi, nella luce del mattino
fui presa dall'agitazione. Una vita in cui ci si sente subito persi appena una
persona si allontana, mi fa paura, pensai. Come mi faceva paura vivere con la
costante consapevolezza della presenza dell'altro. Per la prima volta,
credetti di intuire cosa provava Hiroshi quando la sua paura che io morissi
stava sconfinando nella nevrosi.
L'inquietudine del sogno rimaneva ancora dentro di me, e il cuore batteva pi
in fretta. Dal lucernario penetravano dritti i raggi del sole, e gli uccelli
cantavano, cosć numerosi da fare baccano. Il frastuono era talmente forte da
far pensare che non fossero uccelli, ma la radio o un CD a tutto volume.
Mentre bevevo del latte cercando di calmarmi, piano piano la sensazione di
felicit ritorn•. Svegliarsi dopo aver fatto un sogno pauroso in una mattina
serena e fresca e bere del latte da un bicchiere imperlato di goccioline.
Poter pensare con calma a dove saremmo andati quel giorno.
I sogni a volte mi davano la misura di quanto fossi fragile nella mia vita
quotidiana. Pensai che la giovinezza era una condizione destabilizzante. Per
quanto si potesse pensare a noi come a una coppia di vecchi coniugi, entrambi
eravamo pieni dell'energia dei nostri anni, e probabilmente avvertivamo
qualche resistenza nei confronti di questo matrimonio precoce, e della sua
forma indefinita. E ogni tanto, assumendo aspetti diversi, questo disagio si
affacciava nei sogni.
Non avevo paura di quello che poteva accadere. L'unica cosa che temevo era,
come nel sogno, dover affrontare emozioni forti senza il minimo senso di
realt, come un fantasma. Come Hiroshi che, dopo aver subito la morte del
nonno, ed essere stato costretto ad aprire per la prima volta gli occhi su
diversi fatti, adesso andava incontro ai giorni dolorosi in cui avrebbe lavato
tutto questo con le lacrime. Quando torn• dalla passeggiata, Hiroshi disse in
tono noncurante: Mi sono svegliato perch‚ ti agitavi nel sonno, cosć mi sono
fatto coraggio e sono uscito da solo a prendere un cappuccino. Era leggero ma
stranamente era buono, perci• dopo vorrei tornare lć a fare colazione. Offro
io.
Annuii e cominciai a prepararmi.
Insieme a Hiroshi presi il taxi per andare in una specie di zoo dove ero stata
una volta, alcuni anni prima, con mia madre. Era un centro turistico dove
c'erano molti animali australiani rari. Per prima cosa andammo nel posto dove
stavano i koala. C'erano alcuni boschetti di eucalipti circondati da
palizzate, dove i koala, attaccati agli alberi, li rosicchiavano con aria
annoiata. Tutta la zona era impregnata dell'odore delle foglie di eucalipto,
ed era avvolta in un'atmosfera di indicibile languore e mancanza di energia.
Chiesi a Hiroshi: allora? Che cosa pensano i koala?
Niente da fare, pensano solo ed esclusivamente agli eucalipti, rispose
Hiroshi, con una faccia seria che mi fece ridere.
A questo ci arrivo anch'io, dissi.
In quella vasta area immersa nel verde i canguri saltavano, o si raccoglievano
attorno a un albero come un harem con al centro il sultano, con la stessa aria
indifferente dei cervi al parco di Nara. Ce n'erano anche alcuni che facevano
sesso. Questi animali, in Giappone considerati esotici, si muovevano in quello
spazio con la massima normalit, come da noi cani e gatti. Desiderando godermi
la scena del grande prato disseminato di tutte quelle creature, mi sedetti su
una panchina. Hiroshi, lontano, guardava fisso i canguri. Accarezz• i wallaby,
i canguri piccoli, poi dopo un po' venne a sedersi accanto a me.
Sembrano topi. Non mi fanno impazzire, disse, con aria delusa.
Forse bisogna farci un po' l'abitudine, provai a consolarlo.
Dopo qualche istante si avvicin• un em. Era un uccello enorme, imponente, che
assomigliava allo struzzo. Aveva il collo lungo, la testa grande, pi o meno
della misura della mia, occhi nerissimi circondati da certi spuntoni che altro
non potevano essere che ciglia, e aveva un aspetto molto carino.
Non e che ci beccher? dissi fissandolo. Anche Hiroshi lo guardava
affascinato. A quel punto altri em cominciarono ad avvicinarsi a passi rapidi
uno dopo l'altro fino a che fummo completamente circondati. Il loro piumaggio
folto e soffice tremava. Le loro facce serie erano cosć buffe che scoppiammo a
ridere.
Strane creature, strana situazione, dissi.
Si sentiva l'odore degli eucalipti trasportato dal vento. In quel posto
assolato solo il tempo scorreva. La sera ci incontrammo con mia madre in un
ristorante italiano di fronte al porto.
Il pancione di mia madre, che portava un abito bianco di maglia, era molto
vistoso. Anch'io un tempo sono stata lć dentro... pensai. Cenammo bevendo vino
e guardando il panorama notturno e le luci delle navi che si riflettevano
sulla superficie dell'acqua. Hiroshi mangiava come se dovesse recuperare
qualcosa che aveva perduto. Sembra tanto delicatino, eppure ha un ottimo
appetito, comment• mia madre ammirata. Al momento del dolce e del caffŠ,
Hiroshi le chiese: perch‚ quando and• via non prese con s‚ Manaka?
Si arrabbier? pensai, ma subito vidi che sorrideva, con delle belle rughe
agli angoli degli occhi.
Anche adesso avere Manaka mi riempie di orgoglio. Sono orgogliosa di avere una
figlia cosć grande, anche se siamo lontane. Sono stata io a scegliere per lei
questo nome, Manaka, che per me significava voglio che tu sia il centro della
mia esistenza. E poi non Š che io mi sia separata da suo padre perch‚ non mi
piaceva.
Noi restammo in silenzio, mia madre continu•: Per•, ero presente quando la sua
mamma attuale e suo padre si incontrarono. Non so per quale ragione, ma in
quel momento vidi il futuro. Non solo che quei due si sarebbero innamorati, ma
che avrebbero messo su casa insieme, vissuto insieme, e in questa loro vita ho
visto chiaramente anche Manaka. Sono stata sconfitta, pensai. Ci• nonostante,
forse avrei dovuto combattere, se non altro perch‚ c'eri tu, ma mi era
assolutamente impossibile, e cosć cominciai ad andare in giro a divertirmi, a
fare vita di albergo, ad andare a casa degli uomini. Una parte di me non
voleva vedere come si sarebbe evoluta la situazione, un'altra sperava di
essere fermata. Ma avendo visto il futuro, e non essendo capace di eroismi,
avevo paura. Sapevo che le cose tra loro sarebbero maturate in fretta, ma non
sopportavo di assistervi giorno dopo giorno. Orgogliosa com'ero, per me era
una vera tortura. D'altra parte, non c'era modo di ritornare alla pacifica
vita di prima sulla spiaggia, insomma non c'era niente da fare. Non si poteva
far tornare indietro il tempo. Pregai anche che avvenisse un miracolo, ma fra
loro due era destino. Infatti non a caso vanno ancora d'accordo. Se io mi
fossi impegnata con tutte le mie forze, forse sarei riuscita a distruggere
tutto. Forse noi non saremmo qui adesso, e io non avrei questo bambino nella
pancia. Solo in questi momenti credo in Dio.
Mia madre rise. Era la prima volta che sentivo questa storia. Anche in passato
le occasioni non erano mancate, ma lei non me l'aveva mai raccontata. Chiss,
forse Š una confessione importante da fare al marito di sua figlia, pensai.
Un giorno provai a tornare a casa all'improvviso, e li trovai in cucina che
chiacchieravano e ridevano. C'era il rumore di qualcosa che friggeva sul
fuoco, e si sentiva un buon odore. Nonostante fosse casa mia, e ne avessi pi
diritto di chiunque altro, non riuscivo a entrare. Stando lć fuori sentivo
tutto: il tuo pianto, le voci di loro due che ti consolavano, ma non riuscivo
in nessun modo a entrare in quella luce. In me si mischiavano sentimenti
diversi: che faccio, entro dicendo una battuta? oppure provo a gridare: esci
subito da questa casa? Avrei potuto fare qualsiasi cosa, ma mi resi conto che
nessuna avrebbe colmato il vuoto e la solitudine che provavo. Pensai: finora
in un modo o nell'altro ho risolto tante cose, ma qui non c'Š via d'uscita.
Io ero io, e tuo padre era tuo padre, e proprio questo rendeva impossibile
fare qualsiasi cosa. Restai a lungo lć fuori in uno stato di stordimento,
seduta sul pavimento di cemento, affamata, ad ascoltare i rumori della cena.
Poi, quando finalmente mi alzai in piedi e cominciai a camminare, non mi
voltai pi indietro. Presi un treno notturno, ingoiai alcune pillole e mi
buttai in mare.
Co... cosa? dissi sbalordita. Mia madre continu•: Questa storia loro due non
dovranno saperla mai. Li farebbe stare troppo male. Allora, arrivata al punto
dove non si toccava pi, aspettai la morte, ma un po' per lo stato di
sovraeccitazione, un po' perch‚ in quel periodo ne facevo uso quotidiano, le
pillole non mi fecero il minimo effetto, e quindi continuai come una cretina a
mantenermi a galla. C'erano miriadi di animaletti fosforescenti che brillavano
di un colore indefinibile tra il bianco e il verde, il rumore delle onde e
dell'acqua era vivido, il mare tiepido, le luci del porto in lontananza
brillavano come pietre preziose, il golfo disegnava una curva incantevole,
tutto il cielo era ricoperto di stelle.
Com'Š bello, pensai, la terra Š bellissima. E in quel momento,
incredibilmente, un pallone di gomma venne galleggiando verso di me. Io,
ridendo come una pazza, mi ci attaccai. Che altro potevo fare, vi pare? E cosć
galleggiando, trasportata dalla corrente, mi ritrovai da un momento all'altro
vicino alla riva, nel punto dove si toccava. Rassegnata, tenendomi sempre
attaccata al pallone, salii barcollando sulla spiaggia. Il corpo mi pesava
come un masso. Un uomo e una donna vennero di corsa verso di me esclamando:
grazie di avercelo riportato! e prima di andarsene dissero che ogni tanto,
quando ne avevano voglia, venivano a giocare a pallone di notte sulla
spiaggia. Io, inzuppata d'acqua e incapace di articolare bene le parole,
balbettai: prego, non c'Š di che, poi mi buttai in una barca che stava da
quelle parti e mi addormentai. Quando mi svegliai era mattina e avevo dolori
per tutto il corpo. Il sole era abbagliante, e mi sembrava che i suoi raggi mi
perforassero. Con i vestiti ancora appiccicati alla pelle, scalza, presi il
treno.
E poi cosa hai fatto?
Sono andata a casa di un'amica. Per forza, ormai non potevo pi tornare a
casa. Era come se fossi morta. Era molto triste: solo una settimana prima
avevo una famiglia, toccavo il tuo corpicino caldo che odorava ancora di
latte, e credevo di avere un futuro davanti. Ma quando in mezzo al mare di
notte quel pallone era venuto galleggiando verso di me, e mentre attaccata a
esso, veleggiavo leggera verso la riva, avevo provato un'emozione cosć
violenta da non poter trattenere le lacrime. Al mondo non importava niente di
cosa sarebbe stato di me, ma il mondo era affascinante, bello, traboccante di
qualcosa che assomigliava all'amore, e pensai che io che nuotavo lć dentro
senza sapere che cosa ci fosse, non ero per niente da compatire. Mi ero
sentita come un angelo che fluttuava nel mare di notte. Una piccola creatura
tremante, che le luci della citt, l'acqua, le stelle nitide e lucenti avevano
protetto in modo semplice e puro. Mi era sembrato di trovarmi in un luogo
meraviglioso. Mai pi nella mia vita, n‚ prima n‚ dopo, ho visto qualcosa di
una bellezza pi commovente. Da quando sono venuta qui sono stata da tante
parti, Earth Rock eccetera, e ho visto anche tanti meravigliosi posti di mare,
ma non mi hanno mai dato la stessa emozione. Forse sar• io che sono limitata,
concluse ridendo.
Non era una storia triste, ma struggente sć, lo era. Io e Hiroshi, mangiando
la torta annuimmo, ma avevamo la mente piena del mare di notte, e sembrava di
sentire il rumore delle onde.

ISOLA, DELFINI, GIOCO.
La mattina dopo la cena con mia madre, io e Hiroshi prendemmo una nave per
fare un breve viaggio verso un'isola dove si potevano vedere i delfini. La
nave partiva da un piccolo molo dove non c'era assolutamente nulla. La baia,
con il mare trasparente sotto un cielo azzurrissimo, disseminata di fiori
simili ai convolvoli, era una fotografia cosć perfetta da suggerire la parola
ricordo prima ancora di essere saliti a bordo.
La nave, che era arrivata lentissima, avanzava non meno lentamente sul mare
blu. Finalmente avvistammo una piccola isola tutta fitta di vegetazione, e
dopo poco vedemmo anche un imbarcadero di legno. Hiroshi, che aveva preso le
pillole contro il mal di mare, dormiva pacificamente. Con i capelli attaccati
alla fronte sudata che tremavano al vento, sembrava un bambino. Fissando molto
a lungo, intensamente, le sue ciglia, le unghie quadrate delle sue dita,
ancora una volta il mio cuore, perdendo ogni senso storico, ritornava
all'infanzia. Per quale promessa quelle piccole unghie che conoscevo cosć
bene, avevano potuto diventare pi grandi, senza mutare minimamente la loro
forma?
Quando attraverrsammo a piedi l'imbarcadero, vedemmo molti uccelli bianchi
galleggiare sull'acqua azzurra, che mostrava in trasparenza la sabbia chiara
sul fondo. Il mare, visto dall'isola, era liscio e ondeggiava come un liquido
denso. Forse Š cosć calmo perch‚ Š racchiuso tra l'isola e il continente,
pensai. Era talmente bello da rimanere incantati. Hiroshi, che saliva su una
nave e si recava su un'isola per la prima volta in vita sua, era a bocca
aperta.
Sotto il sole che batteva a picco, ci dirigemmo verso i cottage. Erano dei
cottage bianchi dall'aspetto vecchiotto. Dalla finestra si vedevano coppie di
varie nazionalit in luna di miele e appassionati di delfini che passeggiavano
sulla spiaggia, prendevano il sole e facevano tuffi. La luce dell'isola era
cento volte pi bianca che nel continente, e sembrava penetrarti dentro. Sul
soffitto un ventilatore girava lentamente, proiettando una morbida ombra sul
pavimento.
Che meraviglia, non ero mai stata in un posto cosć fantastico. La luce Š
talmente forte, la sabbia bianca, il mare pulito, tutti sono felici.., sembra
di stare in paradiso. E' un posto da sogno, dissi, in un impeto di emozione.
Hmm, anch'io penso che forse volevo venire proprio in un posto del genere. Ma
dato che non so un tubo di viaggi, non avrei mai saputo dove cercarlo, disse
Hiroshi mentre disfaceva ordinatamente i bagagli. Nonostante fosse un viaggio
di appena due notti, si era portato un sacco di roba. Era l'unica cosa che
tradiva la sua inesperienza. Per il resto, era lo Hiroshi di sempre, e non
lasciava trasparire nessuna particolare eccitazione per il fatto di trovarsi
all'estero.
Non conosco bene Hiroshi. Le cose della vita quotidiana, le parti del suo
corpo, le sue fissazioni, le conosco anche nei particolari pi reconditi, ma
quali siano i suoi amici oltre a me, quanta simpatia provi per loro, come
dorma e come si svegli quando Š da solo, quali sono i libri e la musica che
gli piacciono, cosa gli interessi davvero, quale mondo abbia dentro la sua
testa, non lo so bene. Mentre lo guardavo disfare i bagagli e sistemare
ordinatamente gli abiti sugli attaccapanni, sentii quanto era grande la parte
che non conoscevo.
La cosa pi diversa dal Giappone Š la forza del sole. E' talmente abbagliante
che sembra di esserne purificati, che anche la testa diventi tutta bianca,
disse Hiroshi ridendo. Tra un po' vorrei andare a fare una passeggiata. Quando
avr• finito di sistemare i bagagli.
Va bene, risposi.
Io che non avevo portato quasi niente, uscii da sola per andare a un negozio
un po' lontano a comprare qualcosa da mettere e qualche bibita per riempire il
frigorifero vuoto. Camminai a lungo sulla spiaggia, guardando il mare che
scintillava sotto la luce sferzante del sole. La sensazione della sabbia che
mi entrava nei sandali e del sole cocente che mi abbronzava la pelle, mi dava
una felicit irrefrenabile. Dopo aver fatto le mie spese ero un po' stanca, e
siccome avevo sete mi sedetti da sola nel bar lć accanto a bere una birra alla
spina.
Il mare aveva sempre quello stesso colore tanto azzurro da non sembrare vero.
Nel cielo altissimo volavano molti di quegli uccelli bianchi che non
conoscevo. Restai un po' a guardare, poi mi avviai verso la casetta dove mi
aspettava Hiroshi, lungo la stradina che tagliando la fittissima vegetazione
collegava quel posto alla zona dei cottage. Attraverso le fessure tra gli
alberi, accompagnato dall'odore delle piante e della salsedine, si intravedeva
il mare che scintillava abbagliante.
Mentre camminavo sotto quella luce bianchissima, con l'alcol che cominciava a
fare effetto, un po' assonnata, libera da ogni legame col piccolo giardino di
casa mia, circondata da alberi che non avevo mai visto, mi misi a canticchiare
una vecchia canzone quando, tutt'a un tratto, sentii con forza la mancanza di
Hiroshi come non mi era mai successo prima. E pensai freneticamente: no, non
ci dovremo mai separare. Quel pensiero sotto il sole mi diede una specie di
vertigine. Mi fermai a sedere in quello che doveva essere stato un vecchio
attracco per le navi, ora arrugginito, a cui era attaccata un'ancora, e
gustandomi l'aria calda impregnata dall'odore del prato, guardai il mare che
ondeggiava dolcemente.
Molte persone passarono davanti a me ridendo rumorosamente, ma credo che
nessuno provasse una felicit pi intensa della mia in quel momento.
Verso il tramonto, decidemmo di andare fino alla scogliera a vedere i delfini.
Salimmo per una strada che si inerpicava tra piante sconosciute che crescevano
tra l'erba secca. Il cielo, vicino all'imbrunire, aveva una lieve sfumatura
rossa, e sull'orlo della scogliera erano radunati molti amanti dei delfini
muniti di binocoli. Con tutta quella gente sospesa sull'abisso, percossa da un
vento di tempesta, che fissava il mare, sembrava la scena di un film.
Quando dalla cima del promontorio mi si spalanc• la vista del mare, fui
sopraffatta dalle dimensioni mai viste di quel paesaggio. La scogliera era
cosć alta e scoscesa che perfino le gigantesche rocce laggi in basso
sembravano dei ciottoli. Anche il mare sembrava molto lontano. Innumerevoli
onde che si sollevavano formando un disegno triangolare, coprivano il mare
grigio che si estendeva all'infinito come una distesa di rocce. La piccolezza
dell'uomo colpiva il cuore.
Continuando a fissare il punto che tutti indicavano, finalmente vidi i
delfini. Coperti dalle onde che si susseguivano in lontananza, piccoli come la
punta di un mignolo, si intravedevano i loro dorsi lisci. A guardare bene
erano tanti, tantissimi. Ce n'erano anche molti che saltavano in branco.
Allineavano i dorsi e con perfetta sincronia cavalcavano le onde.
Dato che erano pi o meno dello stesso colore del mare all'imbrunire, non era
facile distinguerli, ma quando l'occhio si abituava, si vedevano moltissimi
delfini giocare fino a dove arrivava lo sguardo.
Quel mare spaventosamente vasto, cosć immenso da dare i brividi, che sembrava
un universo, per i delfini non era altro che l'ambiente quotidiano. Il vento
freddo e quel paesaggio aspro fatto di terra gialla... no, mi resi conto che i
delfini non erano degli animali graziosi e inoffensivi, ma creature selvagge
che vivevano in un mondo duro.
Giocano ma... si divertiranno? disse Hiroshi. In mezzo a quelle enormi onde
fredde, io mi sentirei perso e non riuscirei a giocare.
Per i delfini il mare e la casa.
Come fanno, vivendo in un posto cosć aspro, ad aver voglia di giocare con gli
uomini? Sono animali generosi. Dal loro punto di vista, gli uomini dovrebbero
essere creature prive dei requisiti necessari per entrare nel mare.
Forse ci vedono come dei neonati.
Il sole scendeva rapidamente, e tutt'intorno l'oscurit si andava facendo pi
fitta. Il calare della sera fu straordinario, simile all'addensarsi di una
specie di nebbia in cui si fondevano il rosso e l'indaco. I dorsi di quegli
innumerevoli delfini, confondendosi con il colore cinereo delle onde, erano
ormai quasi indistinguibili. Poi, mentre il mare si avvicinava sempre di pi
al nero, noi restammo lć seduti, sopraffatti dal paesaggio, finch‚ gli alberi
intorno a noi non si trasformarono in nude silhouette. Il mare cosć vasto e
lontano sembrava un unico drappo gigantesco che vibrava al vento. La natura,
trasformando il paesaggio, girava piano le sue lancette trasparenti. Anche qui
c'era l'orologio di sempre: la velocit e il meccanismo erano gli stessi del
mio giardino, solo trasposti su una scala immensa.
La sera che incalzava divent• sempre pi scura, e avvolse nel buio la
indeterminatezza del crepuscolo. Si era fatto freddo, e le persone intorno a
noi erano sparite. Tenendoci per mano ritornammo lungo la strada di prima. In
un piccolo emporio bevemmo in piedi un caffŠ caldo nei bicchieri di carta.
Siete venuti a vedere i delfini? ci chiese la negoziante.
Sć, rispondemmo sorridendo. Ah, come sarebbe stato bello se fossimo stati la
semplice coppia di giovani fidanzatini che apparivamo agli occhi della
signora, due che fanno un viaggio insieme, litigano, stanno per lasciarsi, poi
si sposano...
Hiroshi bevve il suo caffŠ sorridendo. La sua felicit era dolorosa. Sul mare
le stelle, grandi e numerose, brillavano. Cenammo nell'unico ristorante
dell'isola, poi, evitando la strada dove avremmo potuto calpestare qualche
serpente, passeggiammo lungo la spiaggia, i piedi che affondavano nella
sabbia. La sabbia bianca, riflettendo indistintamente la luce, emanava un
chiarore soffuso, e sembrava galleggiare. Il mare luccicava nero e ansimava, e
sembrava avvicinarsi molto di pi che durante il giorno.
Io non ho un lavoro, non ho nessuna capacit particolare e nemmeno un hobby
che mi appassioni n‚ niente. Anche Hiroshi Š un semplicione che dice di
parlare con gli animali...
Eppure questo mondo meraviglioso si apre a noi due esattamente come a tutti
gli altri. Dovunque andiamo, lo troviamo con tutta la sua ricchezza, pensai.
Stanchi, ci sedemmo sulla spiaggia, ma la sabbia era freddissima. Affondandovi
la mano, era secca al tatto. Hiroshi, forse assorbito dalla contemplazione
delle stelle, continuava a guardare verso il cielo, il pomo d'adamo che
sporgeva. Il rumore delle onde aveva un rimbombo cosć attutito da fare paura,
e il mare ondeggiava dolcemente, denso come una crema liquida.
Da lontano giungeva fievole una musica.
Che cosce grosse hai. Guarda come affondano nella sabbia, disse Hiroshi.
Dacci un taglio.
Posso chiederti una cosa?
Certo, risposi.
Quella volta, chiese, quando eravamo scappati di casa, quel brutto sogno che
avevi fatto... cosa avevi sognato?
Decisi di omettere qualcosa. Non avevo intenzione di rivelargli tutto il
contenuto del sogno, non finch‚ ci fosse stata la possibilit che Hiroshi
provasse anche il minimo affetto per suo padre. Quindi dissi: Ho sognato che
morivi. C'era un palazzo che non avevo mai visto, e tanto sangue. In quel
palazzo si uccideva e si facevano cose terribili come se niente fosse, era
gente che anche con la luce vede tutto nero. Come posso spiegare... c'era
un'atmosfera cruda, un po' come quella di un love hotel di giorno, solo mille
volte pi concentrata.
Ah. Hiroshi rest• per un po' in silenzio, poi disse: Credo che quello che hai
sognato fosse molto vicino alla realt. Io ti ho detto che mio padre era
morto, no? Pare che a spingere la loro setta fino a questo, sia stato il fatto
che la polizia aveva cominciato a svolgere indagini su alcuni assassinii.
Al tempo del liceo, nel posto dove facevo quel lavoro part time, avevo fatto
amicizia con dei tipi che erano molto informati su queste cose, e anche quando
smisi di lavorare, ogni tanto ci si vedeva. Una volta, andando a una loro
festa, incontrai uno che era stato in California, e che aveva un amico che era
entrato in quella setta. Fu da lui che ascoltai la storia e cosć per la prima
volta seppi che facevano delle cose incredibili. Questo avvenne dopo che
eravamo scappati di casa, ma per la prima volta capii la ragione per cui tu mi
avevi fermato. Il capo di quella setta era una donna, mentre mio padre era uno
dei dirigenti. La fondatrice e i dirigenti in giorni prescritti dovevano
accoppiarsi, concepire un bambino, poi, una volta nato, lo lasciavano morire
di fame, e siccome credevano che in lui albergasse una forza speciale, tutti
insieme lo mangiavano.
Queste sarebbero persone? Non stiamo parlando di api, di uccelli? dissi,
sbalordita. Anche se in realt api e uccelli probabilmente non facevano niente
del genere.
Pare che quando il capo raggiungeva un'et in cui non poteva pi avere
bambini, a generare fosse sua figlia.
Allora forse le pozze di sangue che si vedevano nel sogno non erano di
Hiroshi, ma di quei bambini, pensai.
Dato che io ero l'unico figlio vivente di mio padre, credo che almeno una
volta abbiano parlato di mandarmi a chiamare. Anzi, pare che mio padre fosse
propenso a incontrarmi. Per• tra gli adepti c'erano state delle resistenze ed
Š probabile che quel tipo che era venuto fosse stato mandato in avanscoperta.
A quanto pare l'idea era, se fossi stato uno che non avanzava pretese, di
invitarmi ad andare lć. Ormai Š passato tanto tempo, ma credo che quella volta
sia stato un bene che siamo scappati di casa. Siccome avevo sempre avuto
voglia di rendermi conto di persona della situazione, una volta ci sarei anche
andato. Ma meno male che non l'ho fatto. Ho finito col pensare che era scritto
sin dall'inizio che non ci incontrassimo. Comunque, sul fatto che mio padre e
i suoi amici abbiano ucciso e mangiato alcuni bambini, non ci sono dubbi.
Rifiutavo di crederci, ma il tuo terrore dopo aver fatto quel sogno, e l'osso
che Š venuto fuori da quell'altare hanno distrutto ogni speranza. Anche se in
realt quello che abbiamo trovato a casa mia non apparteneva a uno dei miei
fratelli. Devono averlo portato in Giappone mio padre e mia madre nel periodo
in cui erano entrati in quella setta. Ma questo non cambia il fatto che mentre
io mangiavo allegramente a casa tua, dei bambini del mio stesso sangue
venivano ammazzati e mangiati da gente dal cuore malato. Attesi con avidit,
fatti a pezzi, dissanguati. Morti soffrendo la fame, senza neanche rendersi
conto di essere venuti al mondo.
In questo mondo, ogni tipo di cose accade allo stesso tempo, con una variet
incredibile. E poi, considerati sacri, venivano anche conservati in quel modo.
Perci• ho voluto fare quella sepoltura, in nome dei miei fratelli morti. Anche
se provengo dallo stesso seme, io non sono stato considerato sacro, ma neanche
mangiato e sono cresciuto sano e salvo in Giappone.
Ricordai quella casa, quella casa buia nel sogno. Ricordai quell'atmosfera
cupa. L'atmosfera che segue a una cupa eccitazione.
A che scopo facevano tutto ci•?
Pare che credessero di ottenere dei poteri speciali. Secondo loro cosć
riuscivano ad avere dei grandi poteri in altri mondi e nell'aldil. Il tipo
che mi raccont• queste cose disse che fra tutte le religioni che conosceva
questa era la pi estrema, ma che lć ce ne sono tantissime. Io ero rimasto
talmente scioccato che non sono riuscito a parlarne nemmeno con te.
Quella gente Š pazza.
Sai che cosa si prova a sapere che dentro di te scorre il sangue di qualcuno
che fa queste cose pazze considerandole serissime?
Devo ammettere che non posso saperlo, risposi.
Davvero, che sensazione si doveva provare? pensai come chi cerca di spiare
dentro un buio imperscrutabile. Poi chiesi: E tua madre? Chiss che tipo di
persona era?
Non lo so, ma siccome pare che bazzicasse tante sette, anche adesso far parte
di una di queste. Posso solo pregare che quanto a follia non sia a un livello
cosć alto.
Davvero.
Mi sembrava straordinario che Hiroshi fosse riuscito per un pelo a sfuggire al
destino di una nascita cosć strana. Se quando era piccolo i genitori lo
avessero portato con loro? Se da grande fosse andato lć a fare una visita e
avesse scoperto qualcosa che non doveva scoprire? Se mischiata alla cena gli
avessero dato da mangiare carne umana? Con la sua sensibilit, forse non
avrebbe mai pi potuto vivere normalmente.
Inoltre, pensai, forse le cose che avevamo coltivato insieme, erano pi
importanti di quanto credessi. Grazie al fatto che prima di provare il
desiderio di conoscere tutto l'uno dell'altra, potevamo parlare tra noi di
cose da poco prima di dormire, e grazie al fatto che c'era una persona che,
magari a volte chiudendo un occhio, con amore sapesse perdonare qualsiasi
difetto, in me e Hiroshi non Š mai nata l'aspirazione a diventare qualcosa di
diverso da quello che eravamo. Anche se la televisione, le riviste, la radio,
gli amici, non fanno altro che dirti: cambia, cambia e cerca di migliorare.
Per• Š davvero una fortuna che tu non sia cresciuto lć e non sia stato
coinvolto in quelle cose, dissi.
Ne sono convinto anch'io. E poi, ora che sono rimasto solo io, Š inutile che
continui a trascinarmi dietro questa roba. Non devo stare piegato su me stesso
come un fantasma solo perch‚ conosco quello che Š accaduto, o perch‚ in
qualche parte di me mi sento in colpa. Insomma, devo vivere. Senn• diventer•
veramente un fantasma.
Penso che finora ne hai gi sofferto anche troppo, dissi.
Ma mi rendevo conto che fregarsene sarebbe stato anche pi strano.
Pensai che in verit quella cosa che non aveva niente a che fare con Hiroshi,
oltrepassando il mare, si era trasformata in un'aria opprimente che lo aveva
soffocato. Da ci• che non si vede, che sia buono o cattivo, Š impossibile
liberarsi.
Da quando siamo venuti qui stranamente non abbiamo fatto sesso, anche se
abbiamo detto che doveva essere una luna di miele, disse Hiroshi sorridendo,
mentre guardavamo passare davanti a noi nel buio diverse coppie zuccherose di
novelli sposi.
Perch‚ con tutto quello che facciamo non abbiamo l'energia.
Prima di tornare per• facciamolo almeno una volta.
Facciamo anche un bel bambino, senza mangiarlo?
Mangiarlo mi sembra improbabile, quanto ad averlo... forse potremmo pensarci
pi in l. Intanto, quando torniamo, perch‚ non prendiamo un cane?
Se tu vuoi, anch'io ne sarei felice.
Adesso penso con stupore che anche se era solo un piccolo cane, nella mia vita
Š stata una presenza molto importante. I cani ti restituiscono tutto l'amore
che gli dai. Quando ero piccolo, Olive Š stata la prima a riconoscere senza
nessuna riserva la mia esistenza. Questo Š diventato una forza che in ogni
momento mi ha aiutato a vivere. Fino alla sua morte, e anche dopo, mi ha
comunicato che il mio essere al mondo non era una cosa cattiva. Penso che se
non ci fosse stato questo, quando ero piccolo non sarei riuscito ad avere
fiducia e ad abbandonarmi neanche con te e la tua famiglia. Ma anche se grazie
al legame con voi sono riuscito miracolosamente a sopravvivere, l'immagine di
un bambino che, mentre io vivevo cosć, moriva e veniva fatto a pezzi era
sempre stata nella mia mente, dapprima in modo confuso, quando ancora non
sapevo il motivo per cui la mia famiglia mi aveva abbandonato, e poi
chiaramente, dopo averlo saputo. Quello che mi faceva pi male era il fatto
che vivendo protetto da mio nonno e da te, quel mondo crudele finiva col
sembrarmi qualcosa visto alla tiv, mi diventava indifferente, e lo sentivo
molto distante.
Ma per quanto lo sentissi lontano, non era come se non fosse mai esistito, e
arrivato all'et in cui potevo essere definito adulto, ogni volta che cercavo
di fare qualcosa, mi riaffiorava alla mente rubandomi energia. D'altra parte
in realt quelle non erano le scene crudeli che si vedono sulle riviste o in
un film, ma si trattava di bambini veri, nei quali scorreva il mio stesso
sangue. Sapevo che era successo, ma lo sentivo distante. Ero sempre
confusamente avvolto dalla sensazione che ci fosse in ci• qualcosa di
profondamente sbagliato, e questa sensazione, dopo aver raggiunto l'et in cui
ero libero di prendere le mie decisioni, era diventata sempre pi forte.
C'erano due Hiroshi: uno nato e cresciuto in Giappone senza nessun problema.
Un altro che divideva il destino di mio padre e mia madre e continuava a
sentirsi responsabile di quello spazio malsano nato dalla loro
irresponsabilit. Avevo anche fantasticato di andare a vedere la situazione
con i miei occhi, e denunciarli alla polizia. Ma tutto ci• era troppo lontano
dalla mia vita di tutti i giorni, come se fosse avvolto da una membrana
protettiva. Anche la faccia di mio padre la conoscevo solo in fotografia.
Per me era praticamente un estraneo. Perfino quando venni a sapere
dell'incidente, la sensazione che provai per la morte di un padre che non
avevo mai incontrato fu debole, anzi fui soprattutto felice del fatto che
ormai non avrebbe pi ammazzato nessuno. Disprezzavo me stesso per aver visto
facendo finta di non vedere, aspettando che si arrivasse a un punto di non
ritorno. Anche in quei momenti, l'amore di Olive mi ha insegnato che quello
che preferivo, la mia realt, era il mondo in cui vivevate tu e il nonno.
mm.
Perci•, quando torneremo a casa, prendiamo un cane!
E viviamo insieme a casa mia.
Non voglio dormire nella stanza dove c'era quell'altare.
Pensai che il cuore di quella cosa chiamata persona, che accogliendo dentro di
s‚ diversi paesaggi, si trasforma attimo per attimo come il mare al tramonto,
Š meraviglioso. Ci alzammo e ci incamminammo verso la fila di calde luci
gialle dei cottage. A met strada ci fermammo a guardare il cielo alla ricerca
della Croce del Sud. Anche altre persone stavano facendo la stessa cosa,
ridemmo con quegli sconosciuti e ci mettemmo a cercarla insieme. Quando la
trovammo, scoprimmo che era molto pi piccola di come avevamo immaginato, ma
molto graziosa. Le stelle che componevano la costellazione brillavano a una a
una come diamanti. Augurammo la buonanotte a quelle persone e riprendemmo a
camminare lungo la spiaggia, mano nella mano, cantando, verso il cottage.
Anche senza vivere insieme, la strada che seguiamo Š sempre la strada di casa,
e il luogo dove siamo Š sempre casa.
I delfini erano incredibili. Ce n'erano migliaia.
Dicevano tutti che da quel promontorio si possono vedere anche le balene.
Un'isola in fondo non Š altro che un pezzo di terra che viene a galla nel
mare. Non avevo mai pensato a quanto Š grande tutto il mondo che le sta
intorno. Se non mi fossi affacciato da quel posto cosć alto, forse non avrei
mai realizzato che il mare potesse essere tanto immenso.
Quel mare grigio, dalle onde sconfinate, che visto dall'alto ci era apparso
cosć spaventoso, per i delfini non era altro che un campo di gioco. Cosć tutte
le cose di questo mondo spaventosamente grande in cui viviamo, comprese le
onde invisibili, viste da Dio forse sembreranno un gioco altrettanto piccolo e
selvaggio.
Tante vite tutte simili tra loro sparse da ogni parte, che nuotano
accompagnate da un numero infinito di pensieri. Amano, odiano, uccidono, sono
uccise, aiutano, impediscono, nascono, muoiono, fanno ogni tipo di cose senza
nessun criterio apparente. C'Š chi fa a pezzi e divora dei bambini che
avrebbero potuto vivere a lungo e avere altri bambini, e c'Š chi riceve forza
da un cane che non vive a lungo. C'Š chi progetta all'insaputa di tutti il
suicidio nel mare di notte, e c'Š il respiro pieno di vita di chi Š cresciuto
con pianti e strepiti senza curarsi di quale pancia lo ha partorito. In questa
minestra densa di ingredienti che Š la vita, le cose pi rozze e quelle pi
fragili e delicate accadono tutte allo stesso tempo. E tutte queste cose,
tutte le nostre occupazioni che scandiscono le grandi lancette del tempo in un
piccolo giardino, viste da un luogo alto e tranquillo come quel promontorio,
appariranno forse comiche, risibili, e anche piene di forza, come quei delfini
che allineati, in processione, giocano tra le onde.
Tutti noi, visti da un luogo molto alto, in un mare aspro, freddo, tempestoso,
sommersi dalle onde, nuotiamo, giochiamo senza risparmio, e alla fine
scompariamo e ci dissolviamo da qualche parte di questo immenso mondo.
E sicuramente anche tutto questo sar sembrato di una incomparabile bellezza,
come la scena che prima, sferzati dal vento, avevamo visto trattenendo il
respiro.
FINE.


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