Introduzione
Negli ultimi decenni si è verificata nel panorama dell’arte una notevole
proliferazione di correnti e tecniche artistiche.
Dagli anni ’80 sono sorti numerosi
collettivi artistici
1
, l’arte si è aperta alle più svariate forme di elaborazione
computerizzata, alla meccanizzazione delle opere (a partire da fotografia, cinema,
computer), a modalità d’azione volte ad ottenere il coinvolgimento del pubblico
(iniziate coi Dadaisti negli anni’10, per passare al movimento Fluxus e al
Situazionismo negli anni ’50).
Happenings
2
, performances, installazioni integrano i linguaggi pittorici e scultorei
1
Ricordiamo fra i collettivi artistici Cast, Cristina Show, Dormice, Ethical Bros G.P.
Mutoid, Gahp, Maurizio Bertinetti & Company, O.P.S Old Players Society, OPU, Quinta Parete,
Parrini/Byte/Strano Network, Tessarollo Team, World Lab. (Gabriele Peretta, Art.comm., Roma,
Cooper, 2002, pp. 177-197).
2
Josè
Piene
nel
Dictionaire de poche (1975) definisce l'happening come una
“manifestazione a carattere teatrale, ma concepita e realizzata da artisti, [che] tradisce, allo stesso
tempo, l'ambizione della pittura e della scultura di avvicinarsi, ad un certo momento, alla vita
quotidiana, in ciò che essa ha di più umile e abitudinario, e il desiderio di far scattare i limiti
troppo stretti dell'opera d'arte”. (Josè Pierre citato in Lara-Vinca Masini. L'arte del Novecento.
Dall'Espressionismo al multimediale, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2003, Vol. 5, p.
893.)
dando risalto al linguaggio del corpo (Body art), alla gestualità, utilizzando
nell’opera dai più comuni oggetti di uso quotidiano a quelli altamente raffinati ed
elaborati, la cui realizzazione passa prima attraverso la progettazione
computerizzata.
Le stanze del museo diventano “ambienti”, luoghi in cui l’opera si sviluppa
diffusamente, come nelle installazioni, o semplicemente “accade” come nelle
performance degli artisti. Artisti che sempre più spesso rifuggono i musei per
portare l’arte in contesti differenti, come nella corrente della Land Art, nel
graffitismo, nelle contaminazioni di arte e pubblicità, nella net-art (“pratiche
artistiche in rete”).
Questa Babele delle pratiche artistiche è lo sconcertante scenario che caratterizza
l’arte contemporanea, la quale rifugge spesso ogni contenuto diventando mero
esercizio formale.
Ci siamo rivolti quindi alle poetiche che hanno caratterizzato il passato più
prossimo dell’arte, quelle del ‘900, per comprendere se davvero l’unica
dimensione possibile di quest’arte fosse quella di un nichilismo di fondo celato
dietro artifizi spettacolari, o se in essa vi sia infondo la remota possibilità di uscire
dal circolo vizioso (“l’arte è soltanto una negazione che nega se stessa”
3
) in cui
sembra essersi arenata.
Inalienabile e tuttavia perpetuamente estranea a se stessa, l’arte vuole e
cerca ancora la sua legge, ma, poiché il suo nesso col mondo reale si è
offuscato, dovunque e in ogni occasione vuole il reale precisamente come il
Nulla: essa è l’ Annientazione che attraversa tutti i suoi contenuti senza
poter mai giungere a un opera positiva, perché non può più identificarsi con
alcuno di essi. E, in quanto l’arte è diventata la pura potenza della
negazione, nella sua essenza regna il nichilismo.
4
3
Giorgio
Agamben,
L’uomo senza contenuto, , Macerata, Quodlibet, 2005, p. 85.
4
Ivi, p. 86-87.
L’intera tesi si struttura sulle poetiche dell’opera aperta e del work-in-pogress.
L’apertura che caratterizza l’opera è quella del coinvolgimento consapevole del
fruitore ad integrare le numerose possibilità di interpretazione della stessa nel
momento in cui viene partecipata esteticamente, fino a contemplare la categoria
dell’”indeterminato” come esito legittimo del processo interpretativo.
5
Il processo dell’opera è il radicale cambiamento del suo statuto: opera non più
come prodotto ma come “farsi formativo”
6
, l’”essere-in-opera dell’opera”
7
.
La presente ricerca destruttura il Work-in-progress
dell’opera nei tre “macro-
momenti” che lo costituiscono: la scelta dei materiali su cui verrà plasmata
l’opera, lo sviluppo dell’opera come dispiegamento della stessa e “ciò che resta”
di essa, il multiplo, come testimonianza, residuo del processo quale “evento”
giunto a conclusione.
Ci siamo quindi rivolti, quanto alla questione della presenza di un nucleo di
positività nell’arte contemporanea, all’analisi dell’opera di uno dei suoi massimi
esponenti, l’artista tedesco Joseph Beuys.
Beuys (1921,
Kleve – 1986, Düsseldorf
) è stato l’altra faccia della medaglia
dell’arte votata alla meccanicizzazione afinalistica della tecnologia. Sfruttando
pienamente le modalità del fare artistico del Novecento, egli ha “cortocircuitato”
il meccanismo che ha fatto dell’arte il mero riflesso della società industriale e
post-industriale da cui è sembra essere stata soggiogata, restituendole un
contenuto positivo.
Mentre il ready-made procede infatti dalla sfera del prodotto tecnico a
quella dell’opera d’arte, la pop-art si muove invece dallo statuto estetico a
5
Proprio riguardo all’estrema attualità del tema dell’importanza dello spettatore, si
consideri che il nome della 50° Esposizione D’Arte Internazionale a Venezia (2003) era
significativamente "Sogni e Conflitti - La dittatura dello spettatore"
(http://www.labiennale.org/it/arte/storia/970/it/1453.html).
6
Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Bologna, Zanichelli, 1960, p. 11.
7
Giorgio
Agamben,
L’uomo senza contenuto, op. cit., p. 99.
quello del prodotto industriale.
Mentre nel ready-made lo spettatore veniva, cioè confrontato con un
oggetto esistente secondo lo statuto della tecnica che gli si presentava
inspiegabilmente carico di un certo potenziale di autenticità estetica, nella
pop-art lo spettatore si trova davanti a un’opera d’arte che sembra spogliarsi
del suo potenziale estetico per assumere paradossalmente lo statuto del
prodotto industriale.
8
Per compiere questo salto fuori dalla spirale negativa “opera d’arte-prodotto
industriale”
9
Beuys sposta l’asse del problema, restituendo all’arte lo statuto che
gli è più proprio, quello di luogo della praxis
10
per eccellenza. Richiamandosi alle
teorie di Schelling, l’agire umano è espressione di una volontà creatrice
costititutiva dell’uomo.
Ma se l’arte del Novecento ha mirato alla restituzione dell’arte alla quotidianità,
all’indistinzione di artista e artigiano (concezione emersa sin dalle prime
avanguardie rivoluzionarie) e se il fruitore è chiamato a “costruire” l’opera
(cognitivamente ma anche in termini di partecipazione attiva) al pari dell’artista,
allora l’agire artistico diventa, per Beuys, l’agire di ogni essere umano in quella
che egli chiama la “Scultura Sociale”, ovvero nella società in cui vive. Beuys
attinge dalla realtà per restituire alla realtà.
Egli ha lanciato un appello, quello di essere attivi, partecipi creativamente alla
costruzione del futuro sociale, e l’ha fatto proprio partendo da opere realizzate
secondo i modelli operativi dell’arte Novecento, restituendo così un forte
contenuto a tecniche che sembravano stagnare nel raggiungimento della pura
forma.
8
Ivi, p. 95.
9
Osserva Rosalind Krauss: “Il capitalismo è maestro di détournement, dato che assorbe
ogni protesta dell'avanguardia trasformandola a proprio vantaggio” (Rosalind Krauss, L'arte
nell'era postmediale. Marcel Brothaers, ad esempio, Milano, Postmedia, 2005, p. 39)
10
“Prattein, fare, nel senso di agire”, distinto dalla poesis, “poiein, pro-durre, nel senso di
portare in essere” (Giorgio Agamben, L’uomo senza contenuto, op. cit., p. 103).
Il percorso della tesi muove proprio dal tentativo di comprendere come all’interno
di un panorama artistico frammentario e spesso autoreferenziale, un’artista come
Beuys abbia saputo cogliere nell’arte gli strumenti per arrivare ad un concetto di
“Arte antropologica” e “sociale”.
Perché però passare attraverso l’arte per agire nella società? Perché praticare un
percorso artistico altamente a rischio di essere frainteso o semplicemente non
compreso per esortare gli uomini a riprendere in mano il proprio destino? Il
motivo, come vedremo, risiede nella concezione Schilleriana di educazione
estetica come equilibrio di razionalità e sentimento. Beuys polemizzava con gli
eccessi del razionalismo positivista, con la frammentazione settoriale del sapere
scientifico e con i dogmatismi propri del sistema capitalista e del sistema
comunista. L’arte gli serve quindi come strumento per restituire l’uomo alla sua
naturalità, per riscoprire le sfere di una sensorialità totale, della spiritualità, del
rapporto con la natura e di un pensiero creativo indipendente. Per Beuys la
riscoperta nell’uomo della propria naturale creatività costituiva il fondamento per
la nascita di una via alternativa, una “terza via”.
Il lettore però non si inganni. La scelta di approfondire un artista quale
Joseph Beuys alla luce delle teorie sull'arte non fa di questa tesi uno studio di tipo
struttural-semiologico. Non si propone un tipo di approccio nomologico di tipo
deduttivo, il quale, procedendo dalla teoria propone un analisi del “caso” Beuys
per giungere ad un implementazione della teoria stessa. Né d'altra parte si tratta di
un approccio di tipo induttivo, che parte dall'analisi del variegato panorama
artistico contemporaneo per giungere ad una implementazione delle poetiche che
interpretano l'arte contemporanea.
Il linguaggio dell'arte di Beuys si crea nell'opera stessa e come lo stesso
Beuys ha spesso rimarcato, essa non va “spiegata”. Beuys dà il caso e anche la
regola. L'approccio all'opera di Beuys è quindi abduttivo: l'opera si pone in una
relazione temporale col fruitore/interpretante, il quale integra li ipotesi
interpretative iniziali di tipo induttivo, istituendo con l'opera una relazione che
comporta nuove decisioni come correzioni abduttive dell'ipotesi iniziale. Tale
ipotesi iniziale, “prior theory” o schema concettuale a priori nella teoria di Donald
Davidson, viene corretta in base all'evidenza dell'opera quale evento.
Certainly, each new case can confirm or realize some projection; but in
order to be an event its happening ought to be projection-free, no matter
whether it confirms some predisposed rule or not.
11
Il testo dell'opera di Beuys nasce come oggetto condiviso. Il fruitore integra
l'interpretazione aprendosi empaticamente all'opera e riconoscendovi la novità
dell'evento. Questo è il punto focale in cui si inscrive la creatività del fruitore,
riconosciuta come necessaria alla creazione del testo e non come strumento
accessorio volto ad indagare la volontà dell'artista o il concetto celato dall'opera.
L'abduzione è uno strumento creativo.
La prima parte della ricerca tratta la concezione dei materiali nell’arte
contemporanea. Viene affrontato il cambiamento avvenuto a cavallo tra l’800 e il
‘900, in cui all’interesse per ciò che era raffigurato nel quadro si affianca quello
per le proprietà plastiche e cromatiche del dipinto. A tale atteggiamento si
accompagna una sempre maggiore indagine introspettiva degli artisti che passano
11
Marcello La Matina, “What is a philosophy of language about? Symbols, time,
otherness”, Rivista italiana di linguistica e di dialettologia, IV, Pisa-Roma, Istituti editoriali e
poligrafici internazionali, 2004, p. 26.
dalla rappresentazione del reale all’”espressione” artistica di emozioni e stati
interiori. In seguito alla trattazione di come sia avvenuto storicamente tale
cambiamento, proponiamo un’analisi teorica del passaggio dal concetto di
“rappresentazione” a quello di “espressione”, combinando le teorie di Ernst
Gombrich esposte in Arte e illusione. Studio sulla psicologia della
rappresentazione pittorica e di Nelson Goodman in I linguaggi dell’arte. Questo
percorso ci permette di analizzare i materiali utilizzati da Joseph Beuys nelle sue
opere, “campioni” esemplificativi, in quanto nella maggior parte dei casi
termodinamici, del suo concetto di calore e “modellamento plastico” come
strumento di evoluzione spirituale.
Nella seconda parte analizziamo i fattori che intervengono nell’opera
intesa come processo, Work in progress. Esaminiamo quindi il ruolo del “caos”
utilizzato consapevolmente dagli artisti come fattore di innesco dell’attività
creativa che avviene secondo il processo di “schema/correzione” analizzato da
Gombrich. Vediamo quindi come Beuys colleghi questo fattore ai concetti di
Chaos e Kosmos di Nietzsche e all’intervento formativo dell’artista sulla materia
come attività di ordinamento del Chaos. Gli altri fattori presi in considerazione
nell’opera-processo sono tempo, movimento e spazio. Tempo e movimento
passano nel Novecento dall’essere rappresentati, quindi evocati, all’essere
elementi costitutivi dell’opera stessa, in quanto questa si svolge processualmente,
come opera-in-movimeto, subendo modifiche che avvengono in un determinato
arco temporale. Allo stesso modo l’opera amplia i propri confini spaziali, creando
veri e propri “ambienti” o intervenendo sullo spazio naturale e urbano.
Le opere di Beuys sono eventi, nel caso delle varie performances, o sono
opere che, inscrivendosi nel ciclo della natura, si sviluppano secondo il ritmo delle
stagioni. In molti casi sono delocalizzate, in quanto la stessa opera viene realizzata
in luoghi differenti. Talvolta l’opera è un viaggio.
Nella terza parte trattiamo l’ultimo stadio dell’opera, la sua conclusione.
Poiché l’opera è spesso un “evento”, di essa non restano che residui,
testimonianze sotto forma di multipli. Analizziamo quindi il significato del
multiplo nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera, secondo le teorie
esposte da Walter Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica. Trattiamo quindi come si pone il concetto di multiplo in relazione al
concetto di “autenticità” dell’opera d’arte, secondo i criteri stabiliti da Goodman
in I linguaggi dell’arte. Anche rispetto alla serialità dell’opera vediamo come
Beuys utilizzi i multipli in funzione della volontà di diffondere il proprio
messaggio di “Arte Antropologica” e “Plastica Sociale”.
In ultima analisi trattiamo l’attività politica, di insegnamento e sociale che
l’artista ha svolto nel corso della sua vita. Aggiungiamo inoltre in Appendice un
documento, Appello per l’Alternativa (1978), redatto dallo stesso Beuys, in cui
egli espone sinteticamente un’analisi della crisi della società occidentale e le
relative proposte di cambiamento. Con tale documento speriamo di fornire una
panoramica delle teorie elaborate dall’artista riguardo all' idea di praticare un
modello di sviluppo alternativo.
1. I MATERIALI DELL'ARTE
CONTEMPORANEA
1.1. L’arte concreta
1.1.1. Opere polimateriche
In Europa con “arte contemporanea” in senso allargato si intende il
periodo che va dall'Impressionismo a oggi. Negli Stati uniti invece si suddivide
questo periodo in “modern art”, che va dall’impressionismo alla seconda guerra
mondiale, e “contemporary art” che va dagli anni ’40 a oggi.
12
La rottura con
l’arte del passato, caratterizzata dalla volontà di imitazione dell’oggetto reale,
avviene con l’affermarsi del concetto di avanguardia. Tale nozione era già
presente fra gli artisti e i critici d’arte negli ultimi decenni dell’ 800
13
ma
l’effettiva rottura con l’immagine imitativa si ebbe soltanto negli anni ’10 del
Novecento. In particolare la coscienza di un’emancipazione rispetto al passato si
manifesta con la pubblicazione di Lo spirituale nell’arte di Kandinskij (1912).
14
La svolta definitiva, soprattutto nell’uso dei materiali artistici e nella
demolizione dei confini fra pittura e scultura, nell’apertura dell’arte d’elite alla
12
AA.VV.,
Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a
oggi, Milano, Mondatori Electa, 2005, p. 7.
13
Théodore Duret titolava nel 1885 una raccolta di scritti sulla pittura Critica
d’avanguardia (Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti,
2002,Torino, Einaudi, p. 5); Gaugain ricorre al termine “avanguardia” in una lettera del 1888 a
Schuffenecker (Ivi, p. 35).
14
Denys Riout , L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, op. cit., p.22.
cultura di massa, avviene nella seconda metà degli anni ’50.
15
A partire dagli anni
’60 la categoria delle “arti plastiche” viene sempre più a sostituirsi a quella di
avanguardia grazie all’aprirsi dell’arte a mezzi espressivi diversi dalla pittura e
dalla scultura, inglobando materiali e tecniche fino ad allora lontane dal campo
dell’arte.
16
Utilizzando materiali che non fossero soltanto quelli delle “belle arti”
17
,
caratterizzate dal ruolo passivo del fruitore che si limitava a guardare, le opere più
radicalmente innovative si prestano ad essere “vissute” nella compartecipazione
quasi sinestesica di tutti i sensi del fruitore
18
.
Si fondono nell’opera parole, gesti, suoni, luci, oggetti e materiali, azioni
che rendono l’opera “polimaterica” e partecipativa, incompiuta non nel senso di
non-finita ma di opera perennemente in corso
19
, creando rapporti nuovi tra l’opera
e il pubblico.
Il Quadrato nero di Malevic (1915) e la nozione di “ready-made”
inventata da Duchamp (1913)
20
hanno affrancato definitivamente l’arte dal
concetto di “mimesis”. Le immagini rappresentative non erano più il centro di una
configurazione artistica e gli oggetti vennero presentati nell’opera senza alcuna
mediazione, nel loro statuto di “oggetti”, radicalizzando l’operazione iniziata da
15
AA.VV.,
Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a
oggi, op. cit., p. 7.
16
Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, op. cit., p. 6.
17
Fra quelli più comunemente usati Riout individua la pittura ad olio o ad acquarello, il
carboncino, la punta metallica, la grafite, il pastello, lo stucco, la pietra, il bronzo, il legno ecc.
(Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, op. cit., p. 140).
18
“Sinestesia” è, nella definizione di Gombrich “il travalicare delle impressioni dalle forme
proprie di un senso a quelle di un altro” (Ernst H Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla
psicologia della rappresentazione pittorica, 1965, Einaudi, Torino, p. 446).
19
Come evince Riout il non-finito “sarebbe solo una diversa modalità del compiuto”
mentre l’opera perennemente in corso rovescia il dogma della creazione. (Denys Riout, L’arte del
ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, op. cit., p. 162).
20
La definizione di ready-made ci è data dallo stesso Duchamp nel suo Dictionnaire
abrége du surrealisme (1938): “Oggetto d’uso comune innalzato alla dignità di oggetto d’arte per
la semplice scelta dell’artista” (Duchamp in Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo.
Protagonisti, temi, correnti, op. cit., p. 132).
Picasso e Braque quando introdussero frammenti di oggetti reali nel quadro (i così
detti papier collé).
Si capisce come questo estendersi smisurato delle possibilità di
utilizzazione dei più disparati materiali e l’affrancamento dalla “mimesis” abbia
offerto agli artisti una immensa libertà di creazione e abbia comportato il
proliferare di correnti artistiche spesso difficilmente distinguibili tra loro.
L’indistinzione non riguarda soltanto le correnti artistiche, ma pure le
stesse arti in quanto l’opera accoglie in sé suoni, testi, video, gesti, propaggini di
musica, letteratura, teatro, cinema, fotografia che rielabora in un unico complesso
artistico di cui spesso non è facile identificare la natura. La contaminazione, lo
shock visivo, l’uso di tecniche innovative, il flusso di immagini di contro alla
staticità della pittura spesso rendono quest’arte espressione estrema della società
dei media, a volte essa si fa esasperazione ironica e beffarda della società globale
e delle sue rovine.
Beuys nella consapevolezza del malessere della società contemporanea, ha
percorso la strada dell’intemperanza nichilistica e provocatoria di ispirazione
dadaista (il movimento Fluxus a cui egli prese parte è storicamente correlato al
movimento Dadaista
21
), assimilandone la “pars destruens”
22
volta a negare l’arte
come istituzione – Arte con la A maiuscola – e, prendendo le mosse da questa, ha
intrapreso un iter positivo e formativo volto alla rigenerazione del malessere
21
“Dadaismo (-s-) s.m. Atteggiamento artistico-letterario del primo Novecento basato sulla
negazione di tutti i valori razionali e riconosciuti e sull’esaltazione di queli istintivi, elementari,
infantili, gratuiti e arbitrari dell’individuo [Dal fr. dadaïsme, der. di dada]” (Giacomo Devoto /
Gian Carlo Oli, Il dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1993, p. 520).
Il movimento Dada nasce nel 1916 a Zurigo e termina con un evento tenutosi a Parigi nel
1920. (Marta Ragozzino, Dada, Firenze-Milano, Giunti, 1994, p. 17, pp. 44-45).
22
“La critica ha tradizionalmente diviso l’esperienza dadaista in due “parti”: una “pars
destruens” – una fase iniziale nella quale trionfa la negazione – e una “pars construens” – una fase
successiva nella quale, invece è il momento della costruzione a trionfare” (Marta Ragozzino,
Dada, op. cit., p. 6 ).
sociale e umano, alla romantica ricongiunzione di arte e vita, al “rifluire del fare
artistico nella totalità dell’esperienza dell’uomo”.
23
Dice infatti Beuys parlando di Sibirischen Symphonie 1. Satz (Sinfonia
siberiana Sezione 1), una performance Fluxus del 1963:
Dick Higgins capì che questa azione non aveva assolutamente a che fare col
neo-Dada o coi tentativi neo-Dada di scioccare i borghesi.
24
L’apertura dell’arte a questi materiali complica ulteriormente il già
problematico discorso sul linguaggio artistico: se nell’artista permane una volontà
di comunicare, cosa comporta l’adozione di tecniche che quantomeno distanziano
notevolmente ogni possibile tentativo di configurare i tratti pittorici per formare
un linguaggio, come cercarono di fare gli astrattisti?
Vedremo in seguito come i materiali dell’opera rientrino nella categoria di
“campioni” secondo Goodman.
Prima cercheremo di capire che cosa sia avvenuto all’inizio del XX°
secolo che ha comportato il cambiamento nella concezione dei materiali e come
questo abbia influito nel fare artistico che ne è seguito.
23
Marta Ragozzino, Dada, op. cit., p. 8.
24
Massimo Donà, Joseph Beuys. La vera mimesi, Cinisello Balsamo, Silvana, 2004, p 166.