litis contestatio


Mariusz Czajkowski, lezione V: litis contestatio.

Tribunale Ecclesiastico Armachano

Armachana

Nullità del matrimonio: Prel. N.S.

(ROSSI - NERI)

Prot.

La Querela nullitatis

(can. 1619-1627, can. 1669 CIC; art. 269-278 Istr. “Dignitas Connubii”)

Il 27.7.1966 il sig. Mario Rossi e la sig.ra Franca Neri si sposavano ad Armagh. Nel 1992 seguiva la separazione di fatto e quella legale.

Desideroso di recuperare la propria libertà di stato, il 15.7.1998 il sig. Rossi si rivolgeva al Tribunale Ecclesiastico Armachano presentando il seguente libello:

«Il sottoscritto Mario Rossi chiede che si dichiari la nullità del matrimonio da lui contratto con la sig.ra Franca Neri».

Costituito il collegio, raccolta la testimonianza pre-iudiciale dell'attore, il Presidente scriveva alla parte convenuta nel seguente modo:

«Voglia la Signoria Vostra esprimere la propria mens circa la richiesta presentata dal sig. Mario Rossi (cfr. allegato)» ed allegava il suddetto libello dell'attore.

Trascorsi 9 giorni, il Presidente del Tribunale fissava ex officio il dubbio con questa formula: «Whether the marriage in question is proved invalis in canon law on the grounds of: 1. Lack of Due Discretion on the part of the Petitioner; 2. Lack of Due Discretion on the part of the Respondent».

Senza la notifica di detto dubbio alla parte convenuta, si procedeva all'istruttoria, con l'audizione delle parti e dei testimoni dell'uomo.

Pubblicati gli atti, la convenuta leggeva finalmente quale fosse la causa petendi e scriveva quindi al Presidente opponendosi alla dichiarazione di nullità e chiedendo di essere risentita, per poter controbattere le accuse mossegli, e poter presentare propri testimoni.

Senza rispondere, il Presidente fissava la data di decisione (3 giorni dopo) e pertanto il 5.7.2001 veniva emanata sentenza affermativa.

Successivamente la convenuta conferiva mandato speciale al sottoscritto patrono di presentare la querela di nullità della sentenza.

Diritto

Il processo matrimoniale, come qualunque altro tipo di processo di natura contenziosa, può mettersi in movimento soltanto con la presentazione al giudice - da parte di uno dei coniugi o, eccezionalmente, del promotore di giustizia - di una domanda formale (can. 1501). Questa assume normalmente la veste di un ricorso redatto per iscritto, denominato tradizionalmente libello, nel quale debbono essere indicati i termini essenziali della causa. Più precisamente esso deve contenere, oltre all'indicazione del giudice a cui è rivolto e delle parti con il relativo domicilio, il tipo di provvedimento che si richiede (ossia la dichiarazione di nullità del matrimonio) e il diritto su cui si fonda tale domanda.

Si tratta di esprimere il fondamento della pretesa riportata nel libello, la "causa petendi" o il "quo iure". Nel libello deve in somma risultare il titolo giuridico di cui è investito l'attore nel formulare la sua richiesta. Tale titolo o causa petendi è costituito da due fattori: Di diritto: cioè è necessario che esista una legge alla base della pretesa dell'attore. Sulla necessità di indicare tale legge bisogna tener presente che se si tratta di una legge comune, dato che "iura novit curia", non è necessario specificare il nome dell'azione, né il testo della legge sostanziale o processuale di cui si tratta. Comunque il consiglio è di indicare sempre il numero del canone; nelle cause di nullità matrimoniale è più conveniente farlo, dato che il dubbio dovrà determinare il capo di nullità (c. 1677).

Di fatto: bisogna includere nel libello, almeno per sommi capi ("generatim saltem"), i fatti concreti che fanno da supporto alla domanda. Sull'indicazione dei fatti alcuni sostengono che basti riportare quelli che servono a dimostrare l'azione che si vuole esercitare (teoria dell'individuazione). Per altri questo sarebbe insufficiente e ritengono necessaria l'inclusione dei fatti che saranno alla base della prova (teoria della sostanziazione). Comunque sia, dall'indicazione dei fatti deve emergere il sufficiente “fumus boni iuris”. Dall'esposizione di diritto e di fatto deve necessariamente risultare l'interesse processuale dell'attore.

A conclusione del libello si deve esprimere chiaramente il "petitum", vale a dire, il provvedimento concreto che si chiede al giudice (c. 1504, 1: "esprimere ... quod petatur"). Nelle cause di nullità matrimoniale, il "petitum" (la richiesta dichiarazione di nullità) e la "causa petendi" (i capitoli di nullità invocati) non si possono scindere facilmente, visto che il c. 1677 stabilisce la necessità di indicare con precisione i capitoli per cui si chiede la nullità. Tale indicazione riguarda la formula del dubbio (che è un atto processuale posteriore) e non necessariamente il libello. Comunque, poiché i motivi di nullità matrimoniale sono diversi ed rapportabili unitamente o distintamente ad ognuno dei coniugi, possiamo considerare insufficiente il libello che contenga unicamente la richiesta di nullità senza indicare i motivi, e perciò dovrà essere integrato prima della citazione.

Il libello viene poi sottoposto ad un primo giudizio di ammissibilità da parte del preside del collegio giudicante: questi deve innanzi tutto accertarsi che la controversia rientri nella competenza del tribunale e che l'attore non sia privo della legittima capacità di stare in giudizio.

In quanto la capacità legittima di stare in giudizio dell'attore, per l'accettazione del libello, basta che l'attore possieda tale capacità, anche se la sentenza potrà essere nulla per incapacità di stare in giudizio da parte del convenuto (c. 1620,5). La capacità di stare in giudizio comprende la legittimazione alla causa e la capacità processuale. La capacità di agire si risolve in concreto nella possibilità di chiedere in nome proprio l'intervento del giudice. Perciò comporta l'effettiva capacità di esercitare le facoltà umane dell'intelletto e della volontà in modo adeguato. Quando si presume un esercizio inadeguato di tali facoltà, si presume anche che non si possano esercitare responsabilmente i propri diritti

Gli interdetti e i malati mentali, non sprovvisti totalmente dell'uso della ragione, possono agire nel processo personalmente in tutte le cause penali, se devono rispondere dei propri delitti e anche quando siano citati dal giudice; nelle altre cause agiscono tramite i curatori.

La parte convenuta: "a quo petatur", cioè la persona di fronte alla quale si chiede qualcosa tramite il processo. Sarebbe il soggetto passivo al quale sono da applicare le stesse regole riguardo alla sua identità e capacità processuale.

Il decreto con cui il preside del collegio giudicante ammette il libello viene comunicato allo stesso attore e al difensore del vincolo e notificato alla parte convenuta, insieme alla citazione a comparire davanti al giudice per l'udienza preliminare indetta per la contestazione della lite o concordanza del dubbio, ossia per la precisazione, in contraddittorio tra le parti, del motivo (o dei motivi) di nullità del matrimonio su cui dovrà imperniarsi la causa e su cui dovrà basarsi la sentenza.

Il c. 1508 §3 richiede che, se convenuto è privo di capacità processuale perché privo del libero esercizio dei suoi diritti o della libera amministrazione delle cose in questione la citazione dovrà essere fatta al curatore o tutore (c. 1478).

Alla citazione della parte convenuta, contrariamente a quanto disponeva il diritto precedente al codice del 1983 , deve essere allegata copia del libello introduttivo della lite, in modo che essa venga messa a conoscenza dei termini esatti in cui la controversia è stata impostata dall'attore. E' peraltro in facoltà del giudice, ove ricorrano gravi ragioni, di non rendere noto alla parte il contenuto del libello prima che questa abbia deposto in giudizio. Nell'attuale sistema processuale, indubbiamente più sollecito, rispetto al precedente, nella tutela dei diritti soggettivi dei contendenti, tale facoltà deve senz'altro considerarsi eccezionale e da esercitarsi, in ogni caso, con decreto motivato, in modo che la parte convenuta possa conoscere, ed eventualmente impugnare, le ragioni che hanno indotto il giudice a limitare il suo diritto di difesa.

Trascorso il termine di quindici giorni dalla notifica il presidente o il ponente, a meno che una delle parti non abbia richiesto l'udienza per la contestazione della lite, entro dieci giorni stabilisca d'ufficio con suo decreto la formulazione del dubbio o dei dubbi e la notifichi alle parti (can. 1677 § 2). Allorché nel decreto della citazione sia stato ordinato al convenuto di rispondere per iscritto, questi dovrà farlo entro il termine fissato nel decreto, sia personalmente sia tramite un procuratore (previo regolare mandato, can. 1484). Identiche regole servono per la citazione a rispondere oralmente presentandosi dinanzi al giudice; l'unica cosa da tener presente è chhe, in questo caso, anche e il convenuto vuole agire per mezzo di un procuratore, il giudice può sempre ordinare la presenza del convenuto di persona (can. 1477)

Nel processo canonico presenta particolare importanza - tanto da essere definita «lapis angularis, fundamentum iudicii» -l'adempimento preliminare della contestazione della lite con il quale si definisce, nei suoi esatti connotati, l'oggetto della causa sulla base delle richieste e delle rispettive risposte avanzate dalle parti (can. 1513). La contestazione della lite si attua con un decreto del giudice che fissa i termini della controversia in forma di dubium, ossia di un quesito a cui dovrà essere data risposta con la sentenza e che costituisce quindi il binario su cui si avvierà tutta la successiva trattazione della causa.

Di norma, il dubbio viene concordato, ossia determinato dal giudice in un'udienza fissata appositamente a tal fine, in contraddittorio tra le parti, tenendo conto delle domande esposte nel libello introduttivo, di eventuali risposte scritte inviate dal convenuto dopo la notifica della citazione, delle dichiarazioni orali fatte dalle parti di fronte a lui. La formulazione del dubbio, salva diversa richiesta di una delle parti, viene stabilita, senza bisogno di fissare un'apposita udienza, dal prèside del collegio giudicante con proprio decreto.

Tale decreto deve essere notificato alle parti e se queste non sollevano, nel termine di dieci giorni, alcuna obiezione, il preside dispone, con altro decreto, l'istruttoria della causa, chiudendo così la fase preliminare del processo (can. 1677) Nei tribunali regionali italiani si preferisce però attenersi al sistema tradizionale che prevede, in ogni caso, la convocazione delle parti ad un' apposita udienza: nel decreto di citazione viene però spesso già inserita la formulazione del dubbio che il giudice, sulla base del libello, prevede di dover concordare, con invito alle parti, che non intendono o non possono partecipare all'udienza, a comunicare eventuali obiezioni su di essa.

Quando il giudice deve compiere accertamenti o valutazioni che richiedono particolari cognizioni tecniche o scientifiche può servirsi dell' opera di uno o più periti, persone esperte nello specifico settore di competenza, che compiranno le necessarie indagini e redigeranno una relazione scritta che costituirà un apporto probatorio ai fini della decisione. Nelle cause matrimoniali l'opera del perito è di norma richiesta (a meno che dalle circostanze non appaia evidentemente inutile) quando la nullità si basa sull'impotenza o sul difetto di consenso per malattia mentale (can. 1680).

Con il decreto di pubblicazione degli atti il giudice stabilisce di regola un termine entro il quale le parti possono presentare eventuali richieste di supplementi di istruttoria: dall'esame completo degli atti della causa può infatti emergere l'esigenza di chiarire, precisare od integrare il materiale probatorio già acquisito.

Quando ci sia probabilità che senza la nuova prova sarà una sentenza ingiusta per le ragioni di cui al can. 1645 § 2, 2-3; ciò implica le nuove prove dimostrino la falsità di quelle già esistenti in atti o il dolo di una parte nei confronti dell'altra (di quella che sollecita l'ammissione della nuova prova); tale ammissione intende evitare future richieste di restituzione in integrum (can. 1600 § 1,3). Se le nuove prove richieste sono documentali, pubblici o privati, il giudice può ordinare o ammettere la loro produzione sempre che sia dimostrato che, senza colpa, non sia stato possibile presentarle prima (can. 1600 §2). Le nuove prove si devono pubblicare a norma del can. 1598 § 1 . Al compimento del supplemento istruttorio seguirà una nuova pubblicazione dei relativi atti.

Fatto

Il sig. Mario Rossi presentò al giudice un ricorso redatto per iscritto che non si può considerare come una domanda formale (can. 1501). Infatti il libello era cosi formulato: «Il sottoscritto Mario Rossi chiede che si dichiari la nullità del matrimonio da lui contratto con la sig.ra Franca Neri».

Manca quindi in esso, oltre l'indicazione del giudice a cui è rivolto e delle parti, con il relativo domicilio, il tipo di provvedimento che si richiede (ossia la dichiarazione di nullità del matrimonio) e il diritto su cui si fonda tale domanda. Manca inoltre espresso il fondamento della pretesa riportata nel libello, la "causa petendi" o il "quo iure". In conclusione non si può ritenere esatto il titolo giuridico di cui è investito l'attore nel formulare la sua richiesta.  Inoltre non è indicato il numero del canone per determinare il capo di nullità (c. 1677).

In questo libello non sono indicati, almeno per sommi capi ("generatim saltem"), i fatti concreti che fanno da supporto alla domanda. Dall'indicazione dei fatti infatti deve emergere il sufficiente “fumus boni iuris”. Dall'esposizione di diritto e di fatto deve poi necessariamente risultare l'interesse processuale dell'attore. Nel già citato libello invece non c'è nessuna fattispecie, non c'è nessuna indicazione dei fatti, non c'è nessuna indicazione del motivo su cui si chiede la dichiarazione di nullità del matrimonio.

Senza indicare tutti i necessari elementi del libello previsti dalla legge già possiamo considerare insufficiente il libello che contenga unicamente la richiesta di nullità senza indicare i motivi, e dunque dovrà essere integrato prima della citazione.

Il libello non era stato mai integrato, né respinto. In questa forma era stato ammesso da parte del preside del collegio giudicante e poi allegato alla citazione della parte convenuta.

Ad esso era stata fatta solo inquisitio brevia, cioè era stata raccolta la testimonianza pre-iudiciale dell'attore perché mancava la motivazione del libello. In questo caso dovrebbe essere giustificato perché c'erano ragioni straordinarie. 

Il presidente del collegio giudicante in un primo giudizio di ammissibilità deve innanzi tutto accertarsi che l'attore non sia privo della legittima capacità di stare in giudizio. Qua si tratta  di grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri essenziali del matrimonio da dare e accettare reciprocamente (can. 1095, n. 2). Sembra strano infatti che in questo caso il giudice abbia presunto la capacità legittima di stare in giudizio dell'attore. Altrimenti quando si presume un esercizio inadeguato di tale facoltà, si deve presume anche che non si possano esercitare responsabilmente i propri diritti. I malati mentali, non sprovvisti totalmente dell'uso della ragione, possono agire nel processo personalmente in tutte le cause penali, essi devono rispondere dei propri delitti anche quando siano citati dal giudice; in questo caso però non si tratta di causa penale dunque il malato mentale deve agire tramite il curatore.

Soltanto dopo la testimonianza pre-iudiciale dell'attore il giudice anche ha desunto la grave incapacità di intendere e di volere da parte convenuta, al quale sono da applicare le stesse regole riguardo alla sua capacità processuale. Il c. 1508 §3 richiede che, se  il convenuto è privo di capacità processuale perché privo del libero esercizio dei suoi diritti o della libera amministrazione delle cose in questione, la citazione dovrà essere fatta dal curatore o tutore (c. 1478). Nel nostro caso questa norma non era stata applicata.

Alla citazione della parte convenuta, deve essere allegata copia del libello introduttivo della lite, in modo che essa venga messa a conoscenza dei termini esatti in cui la controversia è stata impostata dall'attore. In fatti il Presidente scriveva alla parte convenuta allegando il sopra menzionato libello dell'attore, però la convenuta in nessun modo era messa a conoscenza dei termini esatti in cui la controversia era stata imposta dall'attore.

Nella cosiddetta citazione in cui il Presidente scriveva alla parte convenuta nel seguente modo: «Voglia la Signoria Vostra esprimere la propria mens circa la richiesta presentata dal sig. Mario Rossi (cfr. allegato)» ed allegava il suddetto libello dell'attore; non sia stato ordinato al convenuto entro quale termine fissato dovrà rispondere per iscritto oppure oralmente, personalmente o tramite un procuratore (previo regolare mandato, can. 1484). Senza fissare tale termine ed aspettare la risposta il Presidente, trascorsi 9 giorni fissava ex officio il dubbio. Con questa citazione non è stato notificato il decreto dell'ammissione del libello, neanche la citazione a comparire davanti al giudice per l'udienza preliminare indetta per la contestazione della lite o concordanza del dubbio, ossia, in contraddittorio tra le parti, del motivo (o dei motivi) di nullità del matrimonio su cui dovrà costruirsi la causa e su cui dovrà basarsi la sentenza.

Di norma, il dubbio viene concordato, ossia determinato dal giudice in un'udienza fissata appositamente a tal fine, in contraddittorio tra le parti, tenendo conto delle domande esposte nel libello introduttivo, di eventuali risposte scritte inviate dal convenuto dopo la notifica della citazione, delle dichiarazioni orali fatte dalle parti di fronte a lui. Tale decreto deve essere notificato alle parti e se queste non sollevano, nel termine di dieci giorni, alcuna obiezione, il preside dispone, con altro decreto, l'istruttoria della causa, chiudendo così la fase preliminare del processo (can. 1677). Anche in questo caso si procedeva all'istruttoria senza la notifica di detto dubbio alla parte convenuta.  

Evidente che per la parte convenuta il giudice a limitato il suo diritto di difesa perché appena alla pubblicazione degli atti, la convenuta leggeva finalmente quale fosse la causa petendi. Prima non poteva conoscere e difendersi in modo adeguato. Non si sa per quale ragioni il giudice ha limitato il suo diritto di difesa.

L'istruttoria era fatta con l'audizione delle parti e dei testimoni dell'uomo. Non si sa perché non sono stati presentati i testimoni della donna. Anche non è chiaro per quale motivo in questa causa il giudice non si era servito dell' opera di un perito. Nelle cause matrimoniali l'opera del perito è di norma richiesta (a meno che dalle circostanze non appaia evidentemente inutile) quando la nullità si basa sull'impotenza o sul difetto di consenso per malattia mentale (can. 1680).

Con il decreto di pubblicazione degli atti il giudice deve stabilire un termine entro il quale le parti possono presentare eventuali richieste di supplementi di istruttoria. La convenuta scriveva quindi al Presidente opponendosi alla dichiarazione di nullità e chiedendo di essere risentita, per poter controbattere le accuse mossegli, e poter presentare propri testimoni. Senza sua colpa non sia stato possibile presentarle prima. Ciò nonostante il Presidente, senza nessuna risposta fissava la data di decisione (subito 3 giorni dopo) e pertanto il 5 luglio 2001 veniva emanata sentenza affermativa.

Tutto ciò premesso, il sottoscritto patrono della convenuta chiede che voglia dichiararsi la nullità della sentenza de qua.

Con osservanza,

(avv. Francesco Russo)

Armagh, il 10 luglio 2001

Il giudice può ammettere una domanda orale quando l'attore sia impedito a presentare il libello o quando si tratta di causa «facilis investigationis et minoris momenti» (can. 1503 § 1). Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Roma 2001, p. 306.

Cfr. P. MONETA, La giustizia nella Chiesa, Mulino, Bolonia 2002, p. 94-95.

Cfr. WERNZ-WIDAL, Ius cnonicum VI, Roma 1927, p. 321.

Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, p. 306.

Ib. p. 307.

Ib. p. 310.

Cfr. P. MONETA, La giustizia…, p.95.

Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, p. 313.

Ib. p. 233.

Ib. p. 305.

Cfr. P. MONETA, La giustizia…, p.96.

Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, p. 328.

S. Villeggiante, Il principio del contraddittorio nella fase di costituzione del processo ordinario per la dichiarazione di nullità del matrimonio, in Dilexit iustitiam, cit., p. 359.

Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, p. 341-342.

Cfr. P. MONETA, La giustizia…, p.99.

Ib. p. 100.

Ib. p. 111.

Ib. p. 116.

Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, p. 473.

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