2 compito2 TRIBUNALE REGIONALEÊMPANO


TRIBUNALE REGIONALE CAMPANO

Causa Neapolitana

Nullitatis Matrimonii

(Gardini - Garofano)

Prot. n. 1234

Il libello introduttorio della lite per c. 1095 n° 2

A Sua Eminenza Rev.ma Luigi MAGNI

Vicario Giudiziale del Tribunale Regionale Campano

Io sottoscritta sig.ra Maria Eugenia GAROFANO, nata il 6 ottobre 1959 a ROMA, residente a Genova via dei Fagi, 2, ho conseguito il diploma di maturità scientifica, attualmente sono assistente di volo dell'Alitalia, sono cattolica, espongo quanto segue:

il maggio 1977, ho conosciuto il sig. Andrea GARDINI, nato il 3 maggio 1959 a NAPOLI e ivi residente in via M. Ravasio, 35, ha conseguito il diploma maturità scientifica, è assistente di volo dell'Alitalia, è cattolico.

Ci siamo sposati, a ROMA il 16 aprile 1983, dopo un fidanzamento che ritengo normale, con alti e bassi, ma che ci aveva permesso una sufficiente conoscenza di entrambi, nei limiti che sempre comporta un fidanzamento, che non sempre offre tutti i presupposti per instaurare una convivenza coniugale, se non quelli minimi che permettono l'impegno proprio del matrimonio. Nel nostro caso é stata la convivenza coniugale a dimostrare che i presupposti mancavano veramente, o almeno l'impegno serio per portarli avanti nei minimi essenziali, se si tiene conto che non sono impegni astratti ma concreti, cioè, tra due persone concrete che vicendevolmente cercano il proprio bene, in un rapporto di comunione di vita veramente da sposi.

Secondo me il responsabile del fallimento del nostro matrimonio è Andrea. Lui non ha saputo rispondere in modo maturo a quanto esige un rapporto di coppia veramente coniugale. Mi pare che lui pretendeva un rapporto a senso unico, una moglie e sposa che gli offrisse i servizi necessari, ma senza corrispondenza. Forse la sua educazione familiare, o la sua posizione lo hanno condizionato nel prospettare un matrimonio così. Può anche darsi che io sia stata troppo esigente e non mi sia adeguata ai suoi ritmi di crescita e di lavoro. Ma mentirei se non facessi presenti due cose: primo, il grado minimo delle mie “esigenze”, pienamente matrimoniali; in secondo luogo, gli sforzi, ben concreti, che da parte mia sono stati fatti per superare le difficoltà.

Per quanto riguarda le esigenze, da lui non corrisposte, ne esporrò soltanto due che credo siano esigenze minime. La prima di esse si riferisce al posto completamente marginale che il nostro rapporto occupava nell'insieme della sua vita. Tutte e due lavoravamo, e perciò le occasioni di contatto, di convivenza e di dialogo erano incentrate sulle serate a casa e nei fine settimana. In tutto ciò lui non dimostrava nessuna disponibilità nei miei confronti. Gli dava fastidio parlare del lavoro, del suo e del mio, pur trattandosi di attività nelle quali ci potevamo aiutare vicendevolmente. Arrivò addirittura a misurare il tempo (con l'orologio) quando io gli comunicavo le mie cose, adducendo sempre stanchezza e disinteresse. Nei momenti più liberi di lavoro sempre c'erano circostanze o attività alternative che lasciavano poco spazio a noi, e dove la mia presenza contava poco (le domeniche, per es. preferiva le partite). Non credo fosse un “lusso” la mia pretesa di attenzione e di dialogo, anche se certamente si adeguava poco alla sua concezione narcisista, “machista” e superficiale del matrimonio. Anche quando si trattava di questioni delicate, quando mi serviva il suo aiuto (almeno il suo ascolto) circa problematiche personali e di lavoro, lui non si sentiva né interessato né impegnato nei miei confronti. Penso che stimava il mio lavoro, ma lo viveva con un certo senso di competizione con lui.

La seconda di queste esigenze é ancora più concreta, anche se a mio avviso supera il fatto in sé, e rientra in quella mancanza di apertura. Mi riferisco all'intesa sessuale. Lui, nel 1984 ebbe un ipertiroidismo, per stress e gli venne prescritto l'utilizzo di una dose minima di farmaco (“valium”). Posteriormente ha continuato facendone uso e questa era pure una scelta che non ammetteva discussione, e dalla quale io venivo esclusa. Qualsiasi mio tentativo di entrare in merito era da lui severamente respinto. Difatti, la presa del “valium” era un vero e proprio rituale, fatto da lui tutte le sere. Accertai, consultandomi con esperti, che tenendo conto della quantità della dose non dovevo preoccuparmi e con ciò mi sono rassegnata a non mettere in discussione il fatto. Ma questo fu sempre usato da lui come scusante per non impegnarsi sessualmente. Secondo lui, dopo il valium, aveva bisogno di assoluta tranquillità, e mi marcava persino i confini della parte del letto che mi apparteneva.

Lui sempre sottovalutava i problemi, diceva che ci amavamo troppo, che io ci tenevo troppo a lui per abbandonarlo. Io sempre rispondevo che era vero, ma che se io gli offrivo queste certezze, non era giusto che se ne approfittasse. Identico atteggiamento dimostrò quando gli comunicai la gravità che assumevano i miei problemi di fronte al suo disinteresse nel dialogo e nell'impegno sessuale. Difatti, gli feci sapere che stavo arrivando al limite di sentirmi turbata personalmente quando sentivo l'interesse che altri uomini dimostravano nei miei confronti. In un caso il turbamento era molto concreto e glielo dissi subito, facendo capire che la cosa era pericolosa, che mi sentivo molto esposta affettivamente, poiché lui non si dedicava adeguatamente a me, mentre io ne avevo bisogno e vedevo alternative reali di risposta da parte di un uomo. Ma fu inutile perché egli non raccolse per niente la questione e ne sottovalutò l'importanza. Mi disse addirittura che l'importante era non tradirlo e rimanergli fedele.

Non trovando nessun cambiamento, nel novembre 1989, gli dissi che la situazione peggiorava e vista la sua freddezza ed inerzia entro un mese me ne sarei tornata dalla mia famiglia. Ero consapevole che le difficoltà potevano essere superate con maggiore impegno da parte sua. Per quanto mi riguardava volevo essere provocatoria, pensando che fosse il modo migliore di scuotere la sua inerzia. Difatti, la sua reazione fu aggressiva e violenta. Mi fece discorsi molto teorici in realtà. Così mi riaccordò che il nostro impegno era indissolubile e definitivo; mi mostrava la fede al dito e diceva “ricordati che questa ci lega per sempre”. Io raccolsi questa reazione ma tentai di tradurla in fatti concreti, poiché pure io penso all'indissolubilità, ma che essa si traduce in una unione vera e reale. Così gli feci due proposte precise che riguardavano le due difficoltà già menzionate.

Innanzitutto gli chiesi di rinunciare al concorso di lavoro al quale si stava preparando, poiché non era difficile realizzarlo posteriormente, e che in quel momento lo impegnava in modo tale da non permettergli di dedicare nemmeno due ore a me, anzi a noi, inoltre, gli proposi di affrontare il tema del “valium” seriamente, anche con il mio aiuto e con quello di un esperto. Gli dissi anche di fare insieme una terapia psicologica per le coppie. Ad entrambe le richieste rispose di no, manifestando che i problemi lui li poteva risolvere da solo. Anche se si racconta in poche righe, credo sia sufficientemente chiaro il mio atteggiamento di sforzo reale nel superare la crisi, atteggiamento non assecondato da lui, io presi la decisione, dopo un mese di andarmene, come gli avevo preannunciato.

Dal momento della mia decisione forse egli pensava che io scherzavo. Difatti mi chiese subito dove andavo e quando tornavo, pur vedendo le mie valigie. Magari pensava ad un mio capriccio che sarebbe passato subito. Quando invece cominciò a capire la serietà della mia decisione ebbe un'esplosione di amore che io non facilitai. Mi ripeteva costantemente che io ero l'unica per lui, che lo ero sempre stata, e avrei continuato ad esserlo. Non nego che lui fosse sincero, ma al momento dei fatti si mostrava incapace di portare avanti le conseguenze di queste sue ripetute dichiarazioni di amore. Ho pensato che la mia scelta era il modo migliore di trattarlo da uomo adulto, e di aiutarlo ad uscire dalla sua immaturità.

Nell'estate del 1990 gli telefonai, tentando così di venire incontro alle sue richieste. Mi propose di tornare da lui e di ricominciare tutto. Tale era il suo impegno che mi suggeriva di rifare addirittura la casa, i mobili ecc., pur di concederci altre opportunità, insistendo continuamente nel fatto che lui mi aveva sempre amato, e che questo suo amore per me continuava e riusciva a disturbare le nuove esperienze che stava facendo con altre donne. Si esprimeva in modo tale che sembrava mitizzarmi. Ma io non vedevo progressi nei problemi precedenti, e in concreto, non vedevo impegno reale a superare le difficoltà (dialogo, valium, lavoro, rapporti interpersonali, ... ).

Così siamo arrivati alla separazione, anche legale. L'abbiamo fatta consensuale, per incompatibilità di caratteri. Ma in realtà lui ha fatto un certo ostruzionismo, che dimostrava la sua scelta implicita a questa separazione. Nonostante ciò, all'inizio del 1993, lui aveva introdotto presso il Vostro Tribunale la causa di nullità del nostro matrimonio per simulazione da parte sua. La sentenza fu negativa, poiché non si poteva provare le cose rispondenti al vero. Del responso di quella sentenza fui serena, perché compresi che la Chiesa non aveva permesso un nuovo matrimonio religioso, a chi affermava di averne realizzato già uno praticamente nullo, affermando di aver simulato unilateralmente, e assentendo come causa di tale simulazione il fatto di non credere agli impegni che il matrimonio cristiano comporta. Un conto è che lui sia stato incapace di realizzare in modo maturo le esigenze del matrimonio, un altro che le abbia escluse.

Non volevo partecipare attivamente al primo processo introdotto da mio marito poiché non mi sentivo pronta di riaprire tutte le sofferenze che avevo già vissuto in questa vicenda. Però adesso, dopo essermi consultata con un sacerdote, amico ed esperto in diritto canonico, ho deciso di introdurre questo libello per mettere alla luce la verità.

So che la mia decisione verrebbe ulteriormente facilitata nelle apparenze religiose (?) se il mio matrimonio con Andrea venisse dichiarato nullo. Ciò non é indifferente per me. Ma io non credo ad una soluzione apparente dell'aspetto religioso (?). Personalmente intendo la dimensione religiosa della mia vita come un richiamo in più ad agire secondo giustizia e autenticità, al di la delle apparenze. Nel mio matrimonio tale dimensione comportava l'impegno paziente e generoso per Andrea, che tentai di tradurre negli sforzi concreti di accettazione che vi ho indicato. Ma questo ne ha comportato anche la chiarezza e la reazione dinanzi al suo insistente narcisismo, al suo egoismo e infantilismo. Se il nostro matrimonio sarà dichiarato nullo, spero che questo potrà anche, in qualche modo, aiutare Andrea perché possa abbandonare le sue finzioni, di poter vedere realmente il suo problema maturando così veramente.

Tutto ciò premesso in fatto, in diritto io sottoscritta accuso di nullità il matrimonio da me celebrato come sopra, per il seguente motivo:

A norma del c. 1095 n° 2 del CIC per incapacità consensuale da parte del convenuto, per causa di grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente.

Napoli, il 23 marzo 1996

Con osservanza,

Maria Eugenia GAROFANO (firma)

Tribunale Regionale Campano

Si dichiara autentica la firma di Maria Eugenia Garofano

Napoli, 23 marzo 1996

Il Notaio (firma)

Allegati:

  1. Il mandato per l'avvocato

  2. Una copia autentica dell'atto di celebrazione del matrimonio

  3. La documentazione della separazione civile

  4. Le ricette mediche

  5. La cartella clinica

  6. L'elenco dei testimoni:

    1. La sorella dell'attrice - sig. Anna Puccini, res. a Nola, Vicolo Duomo, 11. Lei può essere interrogata circa il fidanzamento delle parti e del loro matrimonio.

    2. Il fratello dell'attrice - sig. Eugenio Garofano, res. a Roma, v. Merulana, 142. Anche lui può testimoniare circa il fidanzamento delle parti e del loro matrimonio.

    3. L'amico della famiglia - sig. Mario Rossi, res. a Napoli, v. M. Ravasio, 15. Lui può testimoniare circa la convivenza matrimoniale delle parti.

    4. L'amica della famiglia - sig. Maria Rossi, res. a Napoli, v. M. Ravasio, 15. Anche lei può testimoniare circa la convivenza matrimoniale delle parti.

    5. Il medico di famiglia - sig. dr. Mario Puppo, res. a Napoli, v. S. Giacomo, 46. Può essere interrogato circa ipertiroidismo del convenuto.

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